RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Béatrice Vacher.  La gestion de l'information en entreprises: enquête sur l'oubli, l'étourderie, la ruse et le bricolage organisés.  Paris: ADBS, 1997.  231 p.  (Collection Sciences de l'information. Série Recherches et documents).  ISBN 2-84365-002-X.  FF 190.

È diventato ormai un luogo comune, in uno scenario di competizione globale, che l'informazione abbia assunto sempre più un valore strategico per le imprese che vogliono vincere la sfida con la concorrenza. Ma la disponibilità di questa particolare materia prima non è immediata: è necessario dare una forma ai fatti, anche a quelli apparentemente più insignificanti, perché siano intelligibili e, quindi, utilizzabili.

Il libro della Vacher affronta il delicatissimo problema dell'organizzazione dei sistemi informativi aziendali e, in generale, le tematiche della gestione della conoscenza. Lo studio è diviso in tre capitoli, corrispondenti a esperienze condotte sul campo dall'autrice presso quattro aziende. Nel primo e nel secondo caso pratico si tratta di due grossi gruppi industriali, uno dei quali specializzato nel settore dell'energia nucleare. In entrambi le rigide divisioni tra competenze specialistiche, giustificate da esigenze tecniche (la sicurezza, il controllo di qualità), impediscono la realizzazione di un flusso informativo efficace. Il terzo capitolo è basato su due realtà: una grande industria che ha l'esigenza di traslocare risorse umane e materiali da una sede all'altra in tempi brevi e uno studio di architetti paesaggisti che deve fare i conti con le difficoltà finanziarie e con la mancanza di personale. In entrambe le situazioni, sulla spinta di motivi urgenti, viene accettato e messo in pratica il principio di cooperazione e, pur in mezzo a mille difficoltà, la gestione e l'utilizzazione dell'informazione sono ripartite tra tutti in funzione delle necessità, senza pregiudizi legati alle varie competenze specifiche.

Béatrice Vacher può così evidenziare come, all'interno delle realtà aziendali, possono trovarsi due tendenze contrastanti: la "protezione" e la "cooperazione". Il primo atteggiamento rivela una concezione dell'informazione come problema globale che solo gli specialisti possono controllare; lo strumento informatico utilizzato in questo contesto concorre a sua volta alla complicazione delle regole, all'ulteriore sofisticazione delle tecniche e, infine, porta all'immobilismo. La scelta di cooperare parte, invece, dalla constatazione che l'informazione è fatta di situazioni multiple e di responsabilità locali, di compiti diversi che si integrano tra loro, di sforzi di attenzione e di vigilanza anche rispetto agli atti più elementari. L'autrice introduce i risultati del suo studio riflettendo su quella che considera la causa di tutti i «malintesi dell'informazione»: la concezione cartesiana, tipica della nostra cultura occidentale, secondo la quale «è nobile pensare, organizzare è vile».

Eppure dare un senso all'informazione significa sia pensarla e produrla, sia organizzarla e, quindi, cooperare trasversalmente, senza chiusura tra ruoli "nobili" e ruoli "esecutivi". Dovrebbe infatti essere abbandonata l'illusione di dominare e di inscatolare la conoscenza, illusione che nasce da tutta una tradizione che, da Platone e da Aristotele in poi, ha fatto della ragione un idolo. Nel momento attuale la fede nella razionalità onnipotente conosce un'espansione ulteriore: il sogno di dominare il mondo con l'informazione è stato alimentato dallo sviluppo della capacità e della potenza degli elaboratori elettronici, per cui informazione e informatica non sono quasi più termini tra loro distinti. Si è fatta strada ormai l'idea che automatizzare i compiti legati all'informazione equivalga a usarla meglio e più in fretta. L'informazione che ingloba dati, conoscenza, strumenti è vista come la soluzione universale, la risorsa economica ultima, in nome del dogma della razionalità. Ma la ragione sulla quale si fonda la cultura occidentale ci rende inadatti ad affrontare la turbolenza degli avvenimenti. Il presente sviluppo della tecnologia, nonostante coincida con un momento di crisi economica, è tuttavia cieco al punto da impedire la percezione dei sintomi di cambiamento, in quanto la relatività dei punti di vista continua a rimanere nascosta sotto l'obiettività dei criteri razionali.

Bèatrice Vacher si serve di due figure mitologiche, Temi e Meti, per dare una forza esemplificativa alla sua visione critica della ragione. Tra Temi, divinità onnisciente, che vive in un mondo fatto di regole e ne impone il rispetto, e Meti, dea che combina armoniosamente astuzia e ragione, in nome dell'azione pratica, non ci sono dubbi: la gestione della conoscenza ha soprattutto bisogno di quest'ultima o, in altre parole, di soluzioni ibride, "meticce".

L'instabilità e il pericolo portano a uno stato di continua attenzione, a percepire il movimento e ad adattarvisi. Così, all'interno di un'impresa, i sistemi informativi devono essere soggetti a un'evoluzione permanente e, talora, ad aggiustamenti intermedi. Ma in presenza di freni culturali che non permettono di intuire le difficoltà quando numerose ricchezze e risorse sono ancora a portata di mano, è indispensabile che qualcuno eserciti una funzione di vigilanza, uno stato di costante veglia, importante non solo rispetto ai cambiamenti improvvisi, ma anche di fronte a mezzi limitati. Chi ha a che fare con i compiti vili relativi all'organizzazione dell'informazione - i segretari, i documentalisti, gli archivisti, tutti coloro che ordinano le cartelle dei decideurs décidants - sono le persone che riescono a navigare anche in acque turbolente.

Coloro che riescono a scorgere un filo conduttore tra le numerose situazioni all'apparenza inestricabili sanno convogliare le competenze necessarie alla realizzazione di azioni collettive e proprio per questo organizzano e creano soluzioni ad hoc. Questi mediatori, senza la pretesa di controllare l'informazione in generale, riescono a fare emergere quella adatta al contesto presente, sono attenti al dettaglio, alla relatività dei punti di vista, non vogliono dominare la conoscenza, ma pensano il mondo per approssimazioni successive, ponendo solo alcuni picchetti necessari. Sanno che l'informazione è per sua stessa natura indisciplinata e attuano degli espedienti per renderla visibile, dopo essersi chiesti «À quoi ça sert?». Se la teoria del caos trasforma la visione scientifica della realtà mostrando che una piccola incognita può produrre grandi sciagure, essa permette anche di migliorare la conoscenza di quei fenomeni e di relativizzarne la portata. Al posto dell'incognita poniamo l'attenzione al dettaglio: non prestare attenzione al dettaglio può significare trovarsi impotenti quando il fenomeno è amplificato al punto tale da creare delle disfunzioni organizzative vicine alla catastrofe.

Partita da un approccio pragmatico, tutto interno alla realtà delle imprese, e da una riflessione critica su tali esperienze alla luce di una letteratura vasta e interdisciplinare, Béatrice Vacher approda a una convincente e convinta valorizzazione del ruolo dei mediatori dell'informazione e di quei compiti vili che una lunga tradizione ha misconosciuto.

Barbara Pistoia, Biblioteca centrale della Facoltà di economia, Università di Pisa

[Nota: Per un disguido, i paragrafi conclusivi sono apparsi a stampa in forma incompleta.]