Elisabetta Pasquini. Libri di musica a Firenze nel Tre-Quattrocento. Firenze: Olschki, 2000. 195 p. (Studi e testi per la storia della musica, 12). ISBN 88-222-4852-X. L. 38.000.

«Soni pereunt»: così Isidoro di Siviglia stigmatizzava il lato effimero della musica, la sua caducità e la sua debolezza. Nonostante cié, la musica ha comunque vissuto e tramandato la sua storia nei tempi passati attraverso eventi singolari e mai ripetibili a cui occorreva partecipare per poterne esperire la bellezza. La documentazione che possediamo di tali eventi è ovviamente del tutto indiretta: a partire dai libri di musica manoscritti e a stampa che sono giunti fino a noi e che ci consentono di vivificare ancora quei suoni, fino al paradosso della scarna annotazione scritta riguardante una fonte oggi perduta che conteneva composizioni che mai più potremo ascoltare.

Sulla scorta delle indicazioni fornite anni or sono da filologi illustri come Giorgio Pasquali, anche la bibliologia musicale ha da qualche tempo inaugurato la consuetudine di trarre informazioni molto interessanti proprio dagli elenchi di libri posseduti da persone ed enti del passato.
Questa materia di studio, oltre a offrire un'immagine delle preferenze e delle competenze musicali di un certo ambito culturale, ci fornisce anche un aiuto importante per riconoscere fonti disperse e ripercorrerne la provenienza, nonché per ricostruire raccolte oggi smembrate o del tutto scomparse che testimoniano la coerenza culturale e la competenza musicale dei loro possessori.
Possiamo ricordare a questo proposito solo alcuni esempi recenti: a partire dalle considerazioni metodologiche suggerite da Franco Alberto Gallo e stimolate dalle poche notizie sulle fonti perdute della Sicilia dei secoli XIV e XV («Schede medievali», 2, 1982), per poi citare la ricostruzione della raccolta estense di codici musicali curata da Alessandra Chiarelli (Firenze: Olschki, 1987) o infine lo studio di Arnaldo Morelli e Antonio Addamiano sull'archivio musicale di S. Maria in Vallicella a Roma («Fonti musicali italiane», 2, 1997).

Il volume di Elisabetta Pasquini esamina, attraverso le informazioni tratte da inventari e cataloghi di raccolte librarie appartenute a enti o persone, la consistenza e la tipologia dei libri musicali esistenti e circolanti in Firenze fra XIV e XV secolo. Come opportunamente rilevato dall'autrice, «il contesto fiorentino è senza dubbio dei più stimolanti per chi intenda studiare il rapporto fra musica e cultura (soprattutto cultura libraria) nel tardo Medioevo e in età umanistica».

Iniziando dalle grandi raccolte ecclesiastiche, questo libro si sofferma in seguito sugli inventari della collezione pubblica di San Marco e di altre collezioni private del periodo, a partire da quella della famiglia Medici fino alle biblioteche appartenute a oratori e uomini di cultura - tra cui citiamo almeno Angelo Poliziano e Pico della Mirandola -, ai nobili - tra cui Palla Strozzi -, ai medici, ai cartolai, ai prelati, per finire con le istituzioni musicali e i musicisti.
Per ognuna di queste collezioni l'autrice fornisce alcune note storiche generali e collaziona in ordine cronologico i documenti che ne testimoniano l'entità, la costituzione, il prestito o la cessione parziale o totale. Nonostante i documenti analizzati dall'autrice siano stati in gran parte già editi, un primo merito del volume è aver posto l'una accanto all'altra testimonianze eterogenee e averne consentito così il confronto e l'analisi sotto il punto di vista del libro di musica. Opportunamente l'autrice non si limita a segnalare i libri di musica pratica, ma si sofferma anche sui manoscritti di contenuto teorico e speculativo, anche su quelli, come la Politica di Aristotele, che sebbene coprano un ambito di interesse ben più ampio, tuttavia hanno influenzato notevolmente la riflessione medievale sulla musica come parte del quadrivium, in particolare indicandola quale elemento essenziale dell'educazione dei giovani.

Tra gli elementi più interessanti di questo volume dobbiamo sicuramente includere l'attenzione al lessico descrittivo del materiale librario musicale, così come viene testimoniato dai documenti del tempo (p. 26-27). Questa considerazione prelude certamente a ulteriori approfondimenti in ambiti geografici e cronologici diversi o più ampi.
In secondo luogo, è notevole il tentativo di identificare, all'interno degli inventari della famiglia Medici, due famosi codici (Città del Vaticano, BAV, Urb. lat. 1411 e Firenze, Bibl. Mediceo Laurenziana, Plut. XXIX.1) sia attraverso l'esame critico delle opinioni degli studiosi moderni, sia basandosi sull'analisi del lessico catalografico utilizzato dagli estensori degli inventari (p. 74-80).

Infine, impreziosiscono il volume tre casi particolari trattati dall'autrice con grande attenzione (p. 141-160). Partendo dall'analisi dei documenti concernenti alcuni volumi utilizzati da fra Bernardo d'Argentina (1470 ca-1556) o relativi alle raccolte librarie appartenute a Gherardo di Giovanni, noto miniatore e cartolaio attivo nella seconda metà del XV secolo, e a Francesco Inghirami (1414-1470) socio del banco Medici, si delinea con dovizia di particolari l'attività musicale di questi personaggi: cantore e organaro fra Bernardo, musicista semiprofessionista Gherardo, nobile e valente dilettante Francesco. È questo un esempio di come la semplice notizia della presenza di alcuni libri di musica all'interno di una biblioteca getti una vivida luce sull'attività musicale di un particolare ambiente culturale.

Ma raccogliere informazioni quantitative, anche se difficili da accumulare e organizzare, è solo il primo passo verso l'interpretazione e la lettura di un fatto culturale. L'autrice si spinge quindi a tracciare un primo bilancio della ricerca delineando coerentemente una Firenze dallo scarso interesse per la musica speculativa e in cui solo una ristrettissima cerchia di specialisti si serviva dei trattati tecnici di teoria musicale. Per la musica pratica, l'autrice ha individuato almeno tredici fonti di polifonia che oggi ci sono sconosciute e ha rilevato come la musica polifonica fosse interesse principale dei privati musicofili mentre, presso le istituzioni ecclesiastiche, si testimonia perlopiù la presenza di fonti di musica liturgica monodica.
Proprio rispetto a questa tipologia di fonti, l'autrice rileva che, non essendo ancora state inventariate sistematicamente ed esaurientemente, esse soffrano di una sorta di emarginazione da parte degli studiosi, emarginazione in parte anche confermata da questo stesso volume. La difficoltà di identificare quelle fonti rispetto alla loro segnalazione sugli inventari, la frequente impossibilità di esaminare gli inventari del materiale conservato nelle sacrestie – le quali contenevano, assieme alle altre suppellettili e agli strumenti per il culto, anche i libri di canto monodico – rende di fatto impossibile valutare adeguatamente il loro peso nella pratica musicale del tempo.

Quantunque tutto ciò sia assolutamente vero, tuttavia avremmo voluto trovare maggiore attenzione nei confronti dei codici di canto liturgico monodico del periodo che, sebbene siano considerati tardivi, non per questo possono essere sottovalutati, poiché nascondono particolarità ancora tutte da studiare. Almeno una volta, nel volume, queste fonti si sarebbero potute identificare con più accuratezza: è il caso dei manoscritti liturgico-musicali della badia di S. Salvatore a Settimo che sono oggi conservati in parte presso la basilica di S. Croce in Gerusalemme a Roma e in parte presso il museo dello Spedale degli Innocenti di Firenze.
L'inventario del 1338 a cui l'autrice fa riferimento e di cui dichiara di non conoscere la collocazione archivistica, dopo essere stato pubblicato parzialmente da E. Lasinio nel 1904 è stato più volte richiamato da A. Guidotti e, se ci riferiamo allo stesso documento, è conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Cestello, 1338, luglio 3. Il documento, se analizzato direttamente, avrebbe permesso all'autrice di valutare anche il materiale musicale eventualmente presente nelle dipendenze di S. Salvatore a Settimo, corroborando in questo modo le sue coerenti e preziose considerazioni.

Nicola Tangari
Facoltà di beni culturali, Università di Lecce