[AIB] Associazione italiana biblioteche. BollettinoAIB 2003 n. 4 p. 503
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RECENSIONI E SEGNALAZIONI


Giorgio de Gregori. La mia vita tra le rocce e tra i libri, a cura di Andrea Paoli; presentazione di Alberto Petrucciani. Roma: AIB, 2003. 287 p. ISBN 88-7812-137-1. Eur 20,00.

«Il brusio intorno a me è andato scemando: ormai è quasi cessato del tutto. E chissà quanti saranno i vuoti lasciati sulla terra da coloro che sono stati gli interlocutori di queste memorie. È meglio non indagare, per non sentire una ventata di freddo». Inizia così l'Epilogo di questo bel volume di memorie di Giorgio de Gregori, maestro e a lungo decano dei bibliotecari italiani. Un regalo che ci ha voluto lasciare: una sorta di testamento ideale che ne abbraccia con le sue belle pagine tutto l'arco della vita, prosecuzione quasi necessaria alla Vita di un bibliotecario romano: Luigi de Gregori (Roma: AIB, 1999) che egli ha dedicato alla storia umana e professionale del padre.

Come ogni biografia o, come in questo caso, autobiografia, gli episodi di vita personali s'intrecciano ovviamente e naturalmente con quelli più generali, con la storia del proprio paese, con i suoi sviluppi e i suoi arretramenti. Giorgio de Gregori con uno stile ed una lingua lontani dai registri banali e vieti di questi nostri anni, trascorre con sguardo attento e onesto quasi cento anni della nostra storia di italiani. E bene ha fatto Andrea Paoli, curatore del volume ("occhi e voce" del suo autore) a non toccare nulla di quell'altalenante scorrere della memoria, a volte apodittico a volte ripetitivo, proprio di una pagina di diario, di una lettera, alla stregua di un viaggio che si è voluto intraprendere per ricostruire una volta ancora i tanti piccoli e grandi episodi che compongono il quadro di una vita.

Si può assistere allora alla giornata spensierata di un bambino della Roma del secondo decennio del secolo scorso alle prese con i fratelli più grandi, con i giochi di quegli anni, con le prime amicizie e gli amori infantili: una Roma che si veste d'una patina "virata seppia", come certe cartoline d'epoca, e forse non è irrilevante che queste vicende si svolgano nei dintorni di piazza Navona. E ancora si possono seguire le esperienze di vita quotidiana, dalla villeggiatura nei dintorni di Roma, alla frequentazione dell'università, fino alla vita militare e la guerra, mentre si incrociano le vite dei cinque fratelli de Gregori, la nascita dell'amore per una giovane ragazza a Firenze, i figli, i nipoti, le biblioteche, a sfondo di tutto.

Il libro non ha una struttura rigida, si muove piuttosto sull'onda del ricordo, sullo spunto offerto da una citazione, da un episodio, da una lettera per intraprendere un'altra strada, un altro ricordo e così via. Ecco le lettere: in realtà se proprio si volesse cercare una traccia, una costante in quest'opera, essa è data dalle citazioni dall'epistolario di cui ci viene dato ampio stralcio a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, dei costumi e dei modi di relazione di una generazione seppure non lontanissima nel tempo da noi, così diversa nel garbo e nello stile. Esemplari le lettere dal servizio militare, o quelle di giovane bibliotecario, di soprintendente in Abruzzo, di figlio e padre affettuoso, di fratello. Memorabile, si potrebbe definire, l'annuncio della storia d'amore con la giovane Rita Grechi con duplice lettera al papà e alla mamma; altrettanto memorabile del raccontino (manoscritto inedito e senza titolo di un'opera da classificare, p. 100-105) che rievoca tutti gli episodi della conoscenza e del progressivo travolgente innamoramento. Quello che veramente colpisce, torno a dire, è il modo di proporre a se stesso e agli altri i sentimenti e le passioni. Scrive nella sua Presentazione Petrucciani: «Il libro è quello che Giorgio avrebbe voluto, come lo aveva voluto, fino al titolo [...] Scritto immergendosi via via, con gli occhi e la voce di Andrea [Paoli], nei documenti e nei ricordi della famiglia, soprattutto in un carteggio familiare, che si intravede come una straordinaria testimonianza della vita di una famiglia del ceto colto a metà del Novecento, in cui la corrispondenza con casa rispetta tutte le regole della buona educazione ma consente di comunicare anche l'immediatezza dei sentimenti. [...] La lingua e lo stile spesso si alternano, con la tranquilla disinvoltura che Giorgio aveva, i modi un po' scolastici e impacciati della borghesia impiegatizia di cinquanta o cent'anni fa a tocchi di piglio romanesco e perfino goliardico». «Come la lingua, anche molti pensieri non sono confezionati per scivolar via senza intoppi sulla cultura comune della fine del ventesimo secolo e dei primi anni del successivo. La famiglia e i suoi ruoli, la patria, la religione, non sono la stessa cosa per chi si è formato nel dopoguerra, o negli anni Sessanta o in tempi ancora più recenti (e speriamo ce ne siano, di questi, fra i lettori del libro)».

Non ci sarebbe molto da aggiungere, se non, collegandosi a quest'augurio, consigliare la lettura di questo libro soprattutto alle nuove generazioni e non solo di bibliotecari, perché potranno trarre giovamento dalle riflessioni che qua e là emergono dal racconto e dagli stessi episodi. E cito ancora dalle pagine conclusive: «Sono rimasto solo a riflettere su quello che ho raccontato. E innanzitutto perché ho scritto queste mie memorie? Non certo perché presumo di me e credo che la mia vita possa dire qualcosa al mondo, e infatti è trascorsa così, semplicemente, come ho raccontato». Una vita normale, dunque, tra i libri e le biblioteche e le rocce, l'amata montagna, la vita di un buon italiano che nella sua semplice grandezza ha fatto con orgoglio la sua parte per lo sviluppo del suo paese attraverso la sua professione, la cura dell'Associazione che la rappresenta, l'affetto verso i suoi cari. Plastica e lustrini non abbaglieranno più, le tracce delle persone vere rimarranno per sempre.

Vincenzo Frustaci
Biblioteca romana dell'Archivio capitolino, Roma


N.B. Sorry, no English abstract is available.
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