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Le biblioteche statali universitarie e le università: quale integrazione?

Bologna, Aula Magna della Biblioteca Universitaria
18 e 19 dicembre 1998


Le biblioteche universitarie e le università : qualche riflessione

di Rosalba Suriano

Qualunque riflessione sul possibile trasferimento alle università delle biblioteche universitarie statali, anche se rivolta soprattutto ad individuare le possibili linee di sviluppo del progetto, non può ancora prescindere da qualche premessa iniziale e resta per il momento circoscritta ad alcune affermazioni di principio, ad alcune enunciazioni teoriche, importanti certo, ma pur sempre di carattere preliminare, dal momento che , almeno a Padova, la discussione si è mossa finora su questo piano e dal nostro Ministero non sono fin qui pervenute analisi più approfondite del problema o indicazioni operative.

L'organizzazione di questo convegno da parte dell'Associazione Italiana Biblioteche ha in tal senso il merito di aver sollecitato un primo confronto sul piano della concreta attuabilità di una riforma ancora tutta sulla carta, ma a me sembra comunque utile ricordare il quadro normativo in cui si inserisce lo scarno, ermetico enunciato che introduce la possibilità del passaggio, cioè il decreto legislativo 112 del marzo di quest'anno, che disciplina, ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59, il conferimento di funzioni e compiti amministrativi a regioni, province , comuni o altre autonomie locali e funzionali, allo scopo di attuare quelle forme di decentramento in cui la legge Bassanini intravede la via maestra allo snellimento e alla semplificazione dell'attività amministrativa nel nostro paese.

Il capo V del citato Decreto, intitolato a Beni e attività culturali, introduce pertanto le definizioni di "bene culturale", "tutela", "gestione", "valorizzazione" etc., individua le funzioni ed i compiti da riservare allo Stato, espone il concetto di "gestione" come complesso di attività da decentrare, secondo il principio della sussidiarietà, per quei musei o altri beni culturali statali che un'apposita commissione paritetica individuerà entro due anni come trasferibili agli enti locali; prevede inoltre che il Ministero per i beni culturali definisca con proprio decreto i criteri tecnico scientifici e gli standard minimi da osservare nell'esercizio delle attività trasferite, in modo da garantire un adeguato livello di sicurezza e di fruizione collettiva dei beni, e si sofferma infine minuziosamente sulle attività in cui si esplicheranno le funzioni e i compiti di valorizzazione e promozione degli stessi beni culturali.

Senza entrare nel merito dei contenuti del decreto, non si può non osservare che, in un contesto abbastanza articolato e dettagliato, l'articolo 151, dedicato alle biblioteche pubbliche statali universitarie, si distingue invece per l'estrema essenzialità e l' incredibile genericità dell'enunciato: non si parla più infatti di trasferimento di gestione, ma di trasferimento "tout court", su richiesta delle università, non si precisa in alcun modo quali saranno i termini dell'operazione né le attività trasferite, non si parla di standard minimi o di garanzie di alcun tipo da rispettare, ma si demanda tutto alle convenzioni che dovranno essere appositamente stipulate tra il Ministero per i beni e le attività culturali e le università e nell'ambito delle quali dovranno anche essere individuati i beni del patrimonio bibliografico da riservare al Demanio dello Stato.

Quest'ultimo comma appare particolarmente oscuro e preoccupante, se si pensa che attualmente tutto il materiale bibliografico appartenente alle biblioteche statali è considerato bene demaniale e che in ogni caso non si vede come, secondo quali tipologie e in base a quali criteri, si possa pensare di isolarne una parte da riservare al Demanio e una parte da trasferire all'istituzione richiedente, senza con ciò operare un'assurda, insensata spartizione.

In conclusione l'articolo 151, come espressamente riconosciuto anche dall'Associazione Italiana Biblioteche in un suo documento ufficiale del marzo 1998, appare decisamente infelice e sbagliato nella formulazione, ma anche e soprattutto carente e ambiguo nella sostanza e nelle più intrinseche motivazioni: esso introduce infatti la possibilità del trasferimento solo per alcune delle 11 biblioteche universitarie statali, quelle per cui saranno le università stesse a fare richiesta, non si inserisce quindi in un quadro organico e complessivo di politica culturale , di riforma del sistema bibliotecario italiano, non sembra in ultima analisi giustificarsi come risultato di una coerente riforma istituzionale.

Il fatto che l'iniziativa sia lasciata alle università può essere spiegato certamente come il tentativo di muoversi con la massima flessibilità, adattando la norma alle diverse situazioni locali, che sono le più complesse e le più varie, nel dovuto rispetto del principio dell'autonomia universitaria, ma può anche essere visto come il riconoscimento iniziale di una posizione subordinata, debole rispetto agli atenei, e soprattutto come la rinuncia a priori a trovare per le universitarie un minimo comune denominatore, un principio ispiratore della riforma che direttamente le tocca.

Non è per nulla chiaro infatti se dietro tutto ciò vi sia, magari in fieri, un'idea d'insieme, un progetto complessivo, se si tratti cioè di una fase iniziale, sperimentale, cui seguirà prima o poi il passaggio alle università di tutte le universitarie statali, oppure, come allo stato attuale appare più probabile, di un'operazione circoscritta, limitata, destinata a risolvere alcune situazioni particolari o ad assecondare alcune importanti università, quelle giustamente e ambiziosamente più avanzate e motivate nell' attività di riorganizzazione e valorizzazione del proprio sistema bibliotecario.

Questa lunga premessa, per dire che le ragioni della possibile riforma di cui si parla non sono a nostro avviso del tutto chiare, non vuole tuttavia rappresentare una inutile recriminazione, ma serve a ricordare e a spiegare le molte perplessità e le preoccupazioni che soprattutto l'ambiente della Biblioteca universitaria di Padova che qui rappresento, ha apertamente espresso e tuttora esprime, sia pur con varie gradazioni e motivazioni.

L'Università di Padova, cui a norma di legge spetta l'iniziativa di avviare il procedimento, ha attivato, attraverso il Centro di Ateneo per le Biblioteche e su richiesta del Magnifico Rettore, una apposita Commissione istruttoria con il preciso mandato di approfondire il tema del possibile trasferimento dell'Universitaria all'Ateneo, da sottoporre, in tempi brevi, alla valutazione e alla decisione finale degli organi accademici di governo. Tale Commissione ha già espresso, in occasione di un recente incontro presso la Biblioteca universitaria, un forte orientamento in senso positivo, che, se andrà confermato, aprirà la strada alla fase successiva della formalizzazione della richiesta e della trattativa.Ci troviamo quindi in questo momento in una fase iniziale, preparatoria, ma proprio perché tutto è ancora da decidere, tutto è ancora da definire, conviene porsi già da adesso, al di là delle perplessità sul perché della riforma, in un'ottica il più possibile pragmatica e costruttiva, per cercare di individuare "localmente", "contrattualmente" le opportunità, le potenzialità che sono comunque presenti in un cambiamento di questo tipo e che possono in un certo senso spiegarne a posteriori le motivazioni e giustificarne le ragioni.

Occorrerà dunque concordare nel dettaglio con le università e fissare nelle apposite convenzioni i progetti che si vogliono realizzare, gli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere, le modalità e le garanzie che si intendono rispettare, ed è innanzi tutto auspicabile che, se anche il livello della contrattazione dovrà necessariamente porsi sul piano locale, si seguano tuttavia il più possibile indirizzi e linee guida comuni , suggeriti dalla natura stessa, dalla storia spesso simile, soprattutto dall'Unità in poi, di queste secolari istituzioni, dalle affinità del loro patrimonio bibliografico e delle funzioni assolte, oltre che dalla opportunità di creare , sia pure all'interno e nell'autonomia dei diversi atenei, modelli omogenei e livelli standard di sviluppo, riferibili comunque ad un più ampio sistema bibliotecario nazionale.

L'aspetto iniziale da analizzare a fondo nel definire ogni possibile progetto di inserimento delle biblioteche universitarie statali nei sistemi bibliotecari di ateneo, mi sembra quello delle molteplici funzioni da esse fin qui svolte, riconducibili a tre indirizzi essenziali: 1) ricerca e studio, 2) conservazione e tutela, 3) pubblica lettura.

Di questi tre filoni, dei quali non potremmo con certezza dire che uno abbia prevalso più nettamente sugli altri, solo il primo riconduce funzionalmente le universitarie statali alle università, secondo un collegamento ovvio, implicito, almeno fino a una certa data, nella loro storia, oltre che nella realtà stessa di atenei spesso antichi e prestigiosi, inevitabilmente presenti in ogni aspetto della vita culturale cittadina. Ma tale collegamento era anche esplicito, ancora fino a qualche anno fa, nelle prescrizioni dei regolamenti delle biblioteche statali precedenti l'attuale, che, dopo il progressivo allentamento e la scomparsa nei primi anni del '900, del legame istituzionale e amministrativo con le università, formalmente ed espressamente ne riconoscevano e regolamentavano il permanente legame funzionale, attraverso la precisa indicazione di fornire a docenti e discenti il necessario supporto agli studi universitari.

Gli altri due indirizzi sono, se vogliamo, del tutto estranei ai compiti di didattica e di ricerca, di documentazione specialistica e aggiornamento scientifico propri dell'università.

Tranne che in alcuni casi, le biblioteche di istituto, di facoltà o di dipartimento, impegnate in compiti diversi, non si sono fin qui particolarmente soffermate, neanche là dove si siano trovate a possedere un certo patrimonio di testi e documenti antichi, sulle complesse problematiche della conservazione, problematiche che non riguardano evidentemente solo la gestione o la catalogazione dei fondi antichi, per la quale l'Università di Padova ha già avviato invece progetti molto interessanti e di ampio respiro, ma in generale tutta l'attività di tutela , le tecniche di conservazione, di protezione e di restauro del materiale librario sia antico che moderno. Al contrario la funzione di tutela è sempre stata istituzionalmente importante per la Biblioteca universitaria, fin dall'inizio depositaria, tra l'altro, lo ricordiamo, del diritto di stampa, dapprima su tutto il territorio della Repubblica di Venezia, poi sul Veneto, e dal 1912 sulla provincia di Padova e quindi da sempre detentrice anche del compito specifico di archiviazione e conservazione dell'editoria locale.

La funzione pubblica poi è stata ed è ancora assolutamente estranea ai compiti dell' università ed alla realtà delle sue biblioteche, laboratori per la didattica e la ricerca, come a Padova sono state definite, e quindi del tutto lontane dalle esigenze generalistiche di una utenza pubblica cittadina.

Intendiamoci, anche la "funzione pubblica" delle biblioteche universitarie statali è da interpretare in senso molto circoscritto e particolare: nella maggior parte dei casi non si tratta infatti di "biblioteche pubbliche" nel senso canonico della definizione, come intesa dalle Raccomandazioni IFLA o dal Manifesto dell'UNESCO, biblioteche cioè che abbiano al centro dei loro servizi compiti di informazione, alfabetizzazione, istruzione e cultura, rivolti a tutte le fasce possibili dell'utenza cittadina.

E' evidente infatti che non sarebbe in nessun caso possibile far convivere in una stessa istituzione bibliotecaria funzioni e compiti così diversi tra loro: pertanto la funzione pubblica che ci riconosciamo, consiste piuttosto nel garantire a chiunque abbia compiuto il sedicesimo anno di età , la possibilità di accedere liberamente al nostro patrimonio bibliografico, al nostro apparato di consultazione generale, alle nostre fonti normative, alla nostra sezione di cultura locale, ai servizi del nostro Ufficio informazioni, con una fascia oraria di accesso molto ampia e continuativa, dalle 9 alle 19.30 , e con un livello di risposta molto differenziato, sulla base delle richieste degli utenti, spesso varie e imprevedibili, ma tendenzialmente e naturalmente rivolto piuttosto agli studi superiori e alla ricerca bibliografica nel senso più proprio e più alto del termine.

Anche questo particolare tipo di risposta pubblica è stato finora estraneo alle biblioteche dell'università, destinate da sempre ad un utenza esclusivamente universitaria, ma l'Università di Padova si è già pronunciata, in occasione dell'incontro citato, sull'opportunità di mantenere condizioni di accesso e fruizione pubblica della nostra biblioteca non inferiori a quelle attuali, consapevole che la ricchezza di funzioni da noi svolte, ricchezza che indubbiamente rende a volte difficile il nostro lavoro, fa della Biblioteca universitaria una istituzione importante, unica nel sistema bibliotecario cittadino, un punto di riferimento che sarebbe grave eliminare o anche solo ridimensionare.

Dev'essere tuttavia ben chiaro che tutto ciò ha un costo molto elevato in termini di organizzazione dei servizi e di gestione delle risorse economiche e del personale, negli ultimi tempi ridottosi drasticamente a causa dei molteplici pensionamenti e trasferimenti.

Sempre più spesso negli ultimi due anni, pur di non restringere i servizi, si è fatto e si fa tuttora ricorso a personale precario, volontari e obiettori di coscienza in particolare, con risvolti non sempre del tutto positivi, soprattutto sulla qualità e l'efficacia dei servizi resi.

Ci auguriamo che l'Università di Padova vorrà eventualmente farsi carico fino in fondo di questi problemi, escludendo programmaticamente tagli nelle spese e restrizioni nel personale, che invece ci sembrano ultimamente perseguiti o ipotizzati, a vari livelli, nei suoi stessi uffici, nelle sue stesse strutture, per problemi sacrosanti di razionalizzazione e controllo sulla spesa, che non vorremmo tuttavia si ripercuotessero negativamente sulla nostra biblioteca.

Per quanto riguarda invece la funzione di conservazione e tutela, ci sembra logico arrivare a questa conclusione: là dove le biblioteche universitarie statali hanno fin qui dovuto raccordarsi e coordinarsi con le università cui erano funzionalmente se non amministrativamente legate, nel momento in cui esse verranno trasferite alle università, dovranno all'inverso mantenere un costante, stretto coordinamento con quel Ministero per i beni e le attività culturali, che ha nella tutela uno dei suoi principali compiti istituzionali, per continuare ad assolvere col rigore di sempre quella funzione imposta dalla ricchezza e dalla importanza del loro patrimonio bibliografico, di cui va comunque garantita l'assoluta integrità e l'indivisibile unitarietà.

In questa futura necessità di uno stretto coordinamento, personalmente non temo il sorgere di incompatibilità o di problemi particolari, poiché forme di collaborazione e di raccordo molto stretti tra le università e il Ministero per i beni culturali sono già da tempo attive e funzionanti per il Servizio bibliotecario nazionale e per le problematiche relative ad esempio alla catalogazione, sia per il libro moderno che per il libro antico, l'università ha sempre accettato le regole e gli standard fissati dall'ICCU per la cooperazione.

Il rispetto di normative e regole comuni dettate dal Ministero per i beni e le attività culturali (penso ad esempio ai criteri e ai suggerimenti forniti dall'Istituto centrale per la patologia del libro in materia di conservazione e di restauro), potranno, ritengo senza difficoltà, restare alla base dell'azione di tutela che andrà garantita dal nuovo assetto istituzionale.

Quanto fin qui esposto mi porta a concludere che, là dove il progettato trasferimento avrà luogo, le biblioteche universitarie dovranno diventare università, inserirsi nei sistemi bibliotecari universitari, senza perdere alcuna delle funzioni attuali, funzioni determinate dalla loro storia e dalla natura del loro patrimonio: conservando la loro identità potranno tuttavia ben configurarsi come biblioteche centrali di ateneo, accentuando il loro carattere di biblioteche storiche, generali e di indirizzo biblioteconomico, mantenendo la loro specificità, senza essere omologate alle biblioteche di istituto, di facoltà o di dipartimento dalle quali restano comunque diverse e senza chiudere al territorio, conservando cioè la loro utenza non solo universitaria e la loro funzione pubblica di biblioteche di alta cultura.

Se queste loro funzioni verranno accettate e salvaguardate, come sembra già evidente negli orientamenti espressi dall'Università di Padova, se il loro patrimonio e le loro attività non cesseranno, per effetto del passaggio ad un'altra amministrazione, di appartenere a pieno titolo alla categoria dei "beni e delle attività culturali", ci si augura anche che esse possano ancora in qualche maniera usufruire di normative specifiche e avanzate come ad esempio la legge Ronchey del 14 gennaio 1993, che ha introdotto possibilità innovative per la gestione dei servizi al pubblico ed il funzionamento di musei, biblioteche e archivi statali, o l'articolo 3, comma 83 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che ha aperto per i "beni culturali" una nuova fonte non trascurabile, anzi potenzialmente in espansione di finanziamenti e di interventi straordinari, con la possibilità di utilizzazione di una quota degli utili derivanti dall'estrazione del gioco del lotto per il recupero e la conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari.

Non so dire esattamente se e come questo sia possibile da un punto di vista giuridico e amministrativo, ma mi sembrerebbe un riconoscimento importante della natura complessa e della molteplicità dei ruoli svolti da queste istituzioni, che certo vedranno potenziata la loro connessione con gli studi universitari e con le esigenze scientifiche della ricerca e della didattica, ma non potranno veder ridotta, pena la perdita della propria identità, la funzione di tutela dei beni culturali che continueranno ad avere in custodia e la funzione di servizio pubblico rivolto al territorio.

Ma la necessità di riconoscere e difendere i compiti fin qui assolti dalle biblioteche universitarie porta anche ad altre importanti conclusioni: innanzi tutto la necessità di riconoscerne e difenderne l'autonomia organizzativa e di gestione.

E' difficile per ora dare un senso preciso ad affermazioni che andranno riempite localmente di contenuti, ad assunzioni di principio che a Padova sono già state indicate come orientamenti di fondo dalla Commissione istruttoria dell'Università, ma che andranno poi eventualmente calate e verificate nella nuova realtà amministrativa e gestionale.

Assicurare autonomia alle biblioteche universitarie significherà riconoscere loro, ovviamente nel contesto più ampio dei rispettivi sistemi bibliotecari universitari e nel rispetto degli obiettivi e delle linee guida concordate con gli atenei, la capacità professionale e quindi la possibilità di articolare liberamente la propria struttura organizzativa interna, di decidere della propria attività tecnico scientifica, della propria politica degli acquisti e dei servizi e in ultima analisi quindi dell'impegno e della gestione del proprio bilancio e dei propri poteri di spesa.

Si rivendica in sostanza la necessità di quella "autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile", che anche il Decreto legislativo 368 del 20 ottobre '98, che istituisce il nuovo Ministero per i beni e le attività culturali, all'articolo 8 dichiara possibile per i suoi uffici periferici e che del resto le università riconoscono ed assegnano già da tempo ai loro dipartimenti.

L'altra importante conclusione su cui insisto con forza è quella della necessità che le biblioteche universitarie si vedano assicurate dotazioni di mezzi e strumenti adeguate ad obiettivi di efficienza e di valorizzazione e potenziamento della loro attività e del loro ruolo, che non si vedano impoverite, ma semmai rafforzate, se necessario, negli organici, anche nel caso in cui, come giusto, venga lasciata al personale la possibilità di optare per la permanenza nei ruoli dell'attuale Amministrazione, che siano infine aiutate a risolvere i grossi problemi strutturali che a volte le attanagliano, qual è ad esempio, a Padova, l'ormai cronica carenza di spazi, che rischia di impedire o vanificare ogni concreto tentativo di valorizzazione o di potenziamento dei servizi all'utenza, se non addirittura il normale accrescimento delle raccolte librarie.

Tutte queste garanzie, queste assunzioni di principio iniziali sono quasi ovvie, lo ripeto, sulla carta, ma vanno calate nella singola realtà e soprattutto andranno sostenute e mantenute nel tempo, difendendole anche dal pericolo, che qualcuno intravede, di un riformismo e di un efficientismo a tutti i costi, che finisca alla lunga per non tenere nel dovuto conto la complessità di compiti articolati e delicati, come quelli che ci si augura vengano mantenuti dalle universitarie.

Per quanto riguarda in particolare Padova, se il processo appena iniziato andrà avanti, dalla capacità di mantener fede a questi impegni dipenderà in buona misura il successo di un progetto che potrà essere veramente di alto livello, che potrà vedere l'Università arricchire e completare il proprio sistema bibliotecario con quella biblioteca centrale, storica che adesso le manca, nel cui patrimonio bibliografico, nel cui passato, nella cui particolare fisionomia c'è anche parte del suo passato e della sua storia, e al tempo stesso potrà vedere la biblioteca universitaria arricchire e valorizzare ulteriormente il suo ruolo in un sistema bibliotecario allargato e integrato, suscettibile di connessioni e interrelazioni sempre più ampie e importanti, sia a livello cittadino e regionale che a livello nazionale ed europeo.


Copyright AIB 1999-03-13, a cura di Elena Boretti
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