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Tavola rotonda
Il futuro non è più come una volta: quale ruolo per la biblioteca nell'università?
Lugano, 13 giugno 2002

Intervento / Gabriele Mazzitelli


Imparentati a tutto ciò che esiste, convicendosi
e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno,
non si può non incorrere alla fine, come in un'eresia,
in un'incredibile semplicità.

Ma noi non saremo risparmiati,
se non sapremo tenerla segreta.
Più d'ogni cosa è necessaria agli uomini,
ma essi intendono meglio ciò che è complesso.

(Boris Pasternak, Le onde)

Le biblioteche in generale e quelle universitarie in particolare si trovano a gestire oggi più che mai il binomio semplicità/complessità. La percezione che l'utente vuole avere della biblioteca è quella di un luogo familiare, in cui sia semplice accedere e ancora più semplice disporre delle informazioni di cui ha bisogno.

La diffusione della rete ha fatto sì che se fino a qualche tempo fa la virtualità della biblioteca veniva considerata da molti bibliotecari quasi con sufficienza, adesso la presenza in Internet è un requisito indispensabile per l'esistenza stessa di una struttura: la rende facilmente raggiungibile da tutto il mondo, abbatte le distanze, consente un'apertura non solo fittizia ventiquattro ore su ventiquattro, offre la possibilità di ideare dei nuovi servizi.

Per paradosso a questo bisogno di semplicità (friendly user è la parola d'ordine di questi tempi) fa da contraltare l'estrema complessità di un mondo globalizzato, abitato da oggetti, come ben sappiamo, non più riconducibili solo alla carta, ma anche digitali. Quello che era il cuore della biblioteca, il catalogo, lo strumento della mediazione per eccellenza, deve adattarsi a dei mutamenti anche sostanziali. Quanto prima veniva inteso come una presenza "certa", quanto prima era considerato statico, adesso diventa dinamico: si può acquistare anche soltanto la possibilità di accedere a determinate risorse senza che queste siano necessariamente presenti in biblioteca. E non è detto che questo accesso debba essere garantito una volta per tutte.

La natura fortemente invasiva delle risorse elettroniche pone problemi nuovi da diversi punti di vista:

  1. nella gestione delle raccolte sia per quel che concerne l'aspetto della conservazione e dell'uso, sia per quel che concerne la politica delle acquisizioni;
  2. nella gestione del catalogo (o dell'OPAC), inteso come lo strumento che consente all'utente di conoscere l'effettiva disponibilità (sia essa intesa come possesso sia essa intesa come accesso) delle risorse informative;
  3. nella gestione dei servizi, in primo luogo del reference, ma anche di tutte le transazioni di document delivery e di prestito interbibliotecario;
  4. nella formazione dei bibliotecari;
  5. nella formazione degli utenti;
  6. nel rapporto con la propria istituzione di appartenenza e nella armonizzazione con le altre strutture bibliotecarie presenti, ad esempio, all'interno di un Ateneo;
  7. nella visibilità complessiva che la biblioteca può avere sia nei confronti della sua utenza primaria sia nei riguardi dell'utenza esterna.

Se a tutto questo, che già non è poco!, aggiungiamo la possibile creazione di una vera e propria biblioteca digitale, intesa come la somma di collezioni digitali eventualmente prodotte dalla biblioteca stessa o dai suoi utenti istituzionali, da mettere in stretta relazione, magari attraverso l'OPAC con gli altri oggetti digitali disponibili in locale o in remoto, mi pare che il quadro pur se rapido, sia già sufficientemente ricco per delineare alcuni dei più significativi cambiamenti con i quali, in questi ultimi anni, una biblioteca universitaria deve fare i conti.

Quanto fino ad ora descritto trova poi nel Web il suo naturale tramite e nella posta elettronica il necessario corollario, visto che l'esigenza di comunicare è diventata essenziale. Il Web altro non è che una sorta di biglietto da visita che deve obbligatoriamente rispettare quelle che sono le regole della rete: tempestività di informazione e di aggiornamento, chiarezza, pochi fronzoli, corretta descrizione di servizi, capacità di essere effettivamente la porta virtuale (il "portale" appunto) della biblioteca.

In questo contesto sicuramente nuovo è mutato il ruolo del bibliotecario? E quali possono essere gli scenari futuri? Davvero ogni utente potrà in un futuro prossimo pensare a una biblioteca virtuale personale, che al pari della libreria della sua casa, possa soddisfare (ma in maniera enormemente più vasta) i suoi bisogni informativi, senza che debba più esistere un luogo, fisico o virtuale, organizzato per lui da qualcun altro? Davvero i fantasmi della disintermediazione e dell'aggregazione domestica si aggirano per il mondo intero, mettendo a rischio professionalità ormai consolidate, ma incapaci di "adeguarsi" ai nuovi modelli di sviluppo del mondo dell'informazione?

A me pare complessivamente che le biblioteche abbiano affrontato con coraggio le nuove sfide: proprio la maggiore complessità di quanto deve essere gestito vede un rinnovato entusiasmo da parte di tanti bibliotecari e ribadisce la necessità che le biblioteche non solo continuino a esistere, ma anzi rafforzino la loro presenza.

Non dimentichiamo il monito di Pasternak: "gli uomini intendono meglio ciò che è complesso" e spesso, lo sappiamo bene, la semplicità è solo apparente.

Credo che mai come in questi anni siano da evitare previsioni sul futuro: si rischia di essere clamorosamente smentiti nel giro di qualche settimana, ma se posso dare un mio personalissimo giudizio sulla realtà universitaria italiana, mi pare di poter dire che dovunque ci si sta ponendo il problema di giungere davvero a degli standard di servizio accettabili, superando anche alcuni di quei tabù che ci hanno accompagnato per tanti anni. La parola magica "cooperare" che abbiamo anche stancamente ripetuto per decenni, sembra adesso trovare una sua effettiva realizzazione nei consorzi per l'acquisizione delle risorse elettroniche. I maligni possono dire che si tratta di una scelta "forzata" e indotta dal mercato, più che di una libera scelta: è vero, ma ciò non toglie che si tratti di un passo avanti.

La preparazione media del personale bibliotecario è senz'altro migliorata anche se le procedure di assunzione restano legate a modelli che non rispondono alle effettive esigenze delle strutture. Restano, però, e va senz'altro detto, moltissime ombre: io credo che uno degli errori che spesso fanno alcuni nostri utenti nel giudicare le biblioteche universitarie sia di non vederle come uno dei tanti meccanismi dell'ingranaggio: è assurdo, ad esempio, richiamare modelli stranieri quando è il sistema universitario italiano, nel suo complesso, malgrado anche recenti riforme di rilevante portata, ad avere delle enormi difficoltà a definire la sua posizione nell'ambito sia del circuito formativo sia dei rapporti con il mondo del lavoro.

In Italia negli anni novanta si è molto diffusa l'idea della managerialità anche nel pubblico impiego (non dobbiamo dimenticare che la stragrande maggioranza delle biblioteche dipende da un Ente pubblico): verrebbe perciò da ribadire che il bibliotecario del futuro deve essere soprattutto un "manager dell'informazione", con grandi doti di comunicazione e notevoli capacità didattiche. Né più né meno come in passato, mi viene, però, da aggiungere. Forse, però, oggi con una maggiore consapevolezza dell'importanza del suo mestiere, con minori timori riverenziali e una professionalità indiscutibile. Una professionalità che si sostanzia, di fronte a una complessità a volte contrabbandata come "semplice da usare", nello svolgere il compito, fondamentale in ogni società civile, di organizzare questa complessità per rendere "semplice" la possibilità di conoscerla e di analizzarla.