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Dibattito
Il ruolo delle biblioteche universitarie e dell'Alessandrina tra cultura e ricerca
Roma, 19 aprile 1999


Relazione / Gabriele Mazzitelli

Dovrebbe essere per noi molto agevole riflettere sul significato, sull'importanza di una biblioteca all'interno di un sistema bibliotecario. Caratteristiche tipologiche, storia delle raccolte, efficacia dei servizi forniti, cooperazione con le altre strutture bibliotecarie del paese, soddisfazione dell'utenza dovrebbero essere i cardini su cui articolare una riflessione seria, pacata, costruttiva. Questa riflessione non dovrebbe essere altro che il naturale portato della maturazione complessiva della Res publica, della comunità di cittadini che si fa Stato, che si riconosce in un determinato contesto culturale e fa dell'istruzione, della conoscenza, del progresso intellettuale e scientifico, la base su cui costruire il proprio futuro.
Purtroppo quando ci si trova a parlare del sistema bibliotecario italiano si è attraversati dal sospetto che si stia parlando di una chimera, o peggio, di un'attesa, di una speranza costantemente delusa.
Questa considerazione, però, non vuole servire a eludere il problema, a liquidare la questione con una vuota lamentazione o con la sconfortata presa d'atto che tutto è inutile, tutto è perduto e non c'è più niente da fare. Luigi Crocetti, al quale molto debbono i bibliotecari italiani, in un illuminante e bellissimo intervento dal titolo La tradizione culturale del Novecento ha messo in luce alcune delle cause dell'anomalia italiana. Voglio citarne un passo, a mio avviso molto significativo, dedicato alla nascita nel 1975 del Ministero per i Beni culturali e ambientali (che come sapete di recente ha cambiato denominazione): «Nel testo del decreto del presidente della repubblica sull'organizzazione del ministero per i beni culturali e ambientali (del 1975), non s'infieriva più sui bibliotecari, ormai sistemati, ma sulle biblioteche, non vergognandosi di definirle "organi periferici del Ministero", ciò che non era stato immaginato neppure nei tempi della dittatura. Se ne ribadiva così la burocratizzazione. È sempre stupefacente per me che a questo non ci sia stato nemmeno un conato di resistenza organizzata. Forse non si è capito che con quell'iniqua e mostruosa definizione - tuttora in vigore - venivano attaccate le caratteristiche di policentrismo della galassia italiana; (...). Ma più grave è la provocata sconnessione tra biblioteche e cultura (così come credo si possa dire per i musei). Può fare cultura un organo periferico del ministero?».
Basterebbe forse partire da qui, da questa affermazione di Crocetti, per cercare di capire cosa è successo o cosa non è successo in questo ultimo quarto di secolo, per tentare di impostare una discussione seria, possibilmente serena, in cui siano messe in campo le armi della ragione e non quelle di polemiche sterili e strumentali: visto che nessuno può mettere in dubbio che il nostro obbiettivo, l'obbiettivo comune di chiunque affronti queste tematiche, siano essi bibliotecari, docenti, funzionari dei vari Ministeri o uomini politici, deve essere quello di favorire l'organizzazione di servizi bibliotecari degni di questo nome.
Né, d'altro canto, si può pensare che non vi possano essere idee diverse in proposito, ma proprio dal confronto di queste idee dovrebbero nascere gli stimoli giusti per trovare assieme le soluzioni migliori.
Per le biblioteche universitarie il 1975 significò anche la «sconnessione» amministrativa e gestionale dalle università, sconnessione che, però, sanciva, almeno in determinate realtà, un allontanamento che si stava già compiendo o era già avvenuto nei fatti 1.
Proprio sulla base di queste considerazioni si potrebbe affermare che, in fondo, l'articolo 151 del Decreto legislativo 31.III.1998, n. 112, che prevede che «le università possono richiedere il trasferimento delle biblioteche statali ad esse collegate», sembrerebbe voler ricucire quello strappo, riconoscendo alle università che lo richiedono, la possibilità di 'ricollegarsi' alle strutture bibliotecarie che della qualifica di universitarie si fregiano. Ma la ricucitura appare debole, lasciata al motu proprio delle università e già il concetto di 'collegamento' sembra essere oggetto di interpretazioni diverse: nella tanta frenesia legislativa caratteristica del nostro paese, in questo caso si resta nel vago, si lasciano irrisolti i nodi di fondo, si ha la sensazione che il mutamento gestionale proposto resti affidato al caso e non sia il frutto di una riflessione approfondita. Insomma di questa legge non si coglie bene la ratio.
Ma, ribadisco, se l'analisi di Crocetti è giusta e condivisibile allora non ci si dovrebbe troppo lamentare se il legislatore tenta di porre un rimedio, parziale, incompleto, compromissorio, ma comunque un rimedio. E, in effetti, sarebbe un errore avere un atteggiamento preconcetto. Ma prudenza, buon senso e raziocinio in situazioni del genere sono il minimo che si possa richiedere a chi la legge è chiamato a mettere in pratica.
Così come non si può far finta che non esistano delle situazioni de facto che richiedono attenzione e rispetto. Esiste un personale che può vantare delle legittime aspirazioni, un patrimonio librario che ha una sua storia e che va tutelato, un'utenza, in particolare, a cui bisogna garantire l'erogazione di una sempre maggior gamma di servizi.
Vedete, prescindendo da ogni opinione personale, sono convinto che del futuro dell'Alessandrina, ad esempio, molto più di me siano autorizzati a parlare gli operatori di questa biblioteca e gli utenti che quotidianamente la frequentano. Ma certo il problema generale, quello relativo al «sistema» bibliotecario rimane. E inevitabilmente si rincorrono una fitta serie di domande che enumero in ordine sparso: Quale è oggi il ruolo delle biblioteche universitarie nel panorama bibliotecario italiano? Quale è l'attuale situazione delle biblioteche delle università? Quante università hanno sistemi bibliotecari d'Ateneo davvero funzionanti? Qual è il contesto universitario locale in cui si andrebbero a collocare le biblioteche universitarie? L'università "La Sapienza" vorrà approfittare dell'opportunità offerta dalla legge di 'ricollegarsi' alla biblioteca che è nata storicamente per servirla? Se sì, in che modo? E se, invece, non lo volesse, cosa accadrà? E così di seguito. Mi verrebbe da dire che già questa sequela di interrogativi evidenzia un limite dell'articolo 151: da un articolato di legge ci si potrebbe aspettare delle risposte e non la proposizione di questioni non semplici da risolvere.
Si dirà che tutto potrà dipendere dalle contingenze, che in fondo dettano legge più delle norme del codice. Giusto. Ma credo che noi tutti possiamo concordare che ci si trova di fronte a alternative che possono incutere un qualche timore. E il problema è senz'altro più generale, perché davvero investe l'aspetto sistemico e voglio qui ricordare che l'AIB ha tentato di dare un contributo fattivo in questo senso con una proposta di legge-quadro che, qualora il legislatore l'assumesse, potrebbe diventare, finalmente, un chiaro strumento di "indirizzo politico" unitario e coordinato nel settore dei servizi bibliotecari e informativi.
Nel recente convegno che si è tenuto a Bologna proprio sul tema della possibile integrazione tra biblioteche universitarie e biblioteche delle università, organizzato dalla Commissione per i servizi bibliotecari nazionali e la tutela e dalla Sezione Emilia Romagna dell'AIB, Rosalba Suriano nel suo intervento ha ben messo in evidenza le diverse problematiche aperte e, sebbene l'analisi fosse relativa alla situazione della Biblioteca universitaria di Padova, credo che molte di quelle considerazioni possano valere anche per la maggior parte delle altre biblioteche universitarie.
Si potrà anche dare il caso di trovarsi di fronte a dei paradossi: biblioteche che non vogliono tornare alle università per le quali viene richiesto il passaggio e biblioteche che magari auspicherebbero un distacco dal Ministero che non sono gradite alle università. E allora? Torniamo ancora all'aspetto generale. E se volete alle domande di fondo che non investono solo le biblioteche universitarie, ma l'intero sistema bibliotecario nazionale che non c'è.
Consentitemi di ricordare che nel giugno del 1994 partecipai, in qualità di presidente della Sezione Lazio dell'AIB, a un convegno organizzato dalla Biblioteca nazionale centrale "Vittorio Emanuele II" sui problemi della lettura a Roma, in cui si evidenziò pienamente la difficoltà in cui tutti noi ci troviamo nello gestire un'utenza spesso costretta a ricorrere impropriamente a strutture bibliotecarie che finiscono per perdere i loro connotati tipologici. A rileggere gli interventi tenuti in quel convegno si direbbe che da allora la situazione non è cambiata: i problemi sono rimasti gli stessi e le buone intenzioni non hanno avuto alcun seguito.
Oggi, però, noi abbiamo a disposizione delle novità tecnologiche che stanno mutando il quadro generale all'interno del quale si situa la nostra professione. Scrive ancora Crocetti: «Abbiamo ora strumenti potentissimi, che nessun bibliotecario delle età passate ha avuto a disposizione; e mi sembra che questi strumenti stiano insegnando molto, almeno ai bibliotecari delle generazioni più giovani».
Questi strumenti possono, forse, consentirci di superare alcune delle difficoltà che hanno impedito fino ad ora di cooperare in maniera armonica. Senz'altro ce ne porranno di nuove, ma l'essere preparati alle sfide delle nuove tecnologie fa anche parte delle peculiarità della nostra professione.
Al convegno di Bologna che ho ricordato e al quale ho avuto il piacere di partecipare, ho avanzato l'ipotesi che le biblioteche universitarie prendano in considerazione l'opportunità offerte dal Decreto legislativo n. 112, come un'occasione per ridisegnare il loro ruolo, per accrescere la loro presenza sul territorio diventando magari centri per la fornitura di servizi avanzati, senza per questo perdere di vista la funzione di valorizzazione dei loro fondi storici. E' un'idea discutibile, certo, ma nasce dalla volontà di porre il problema di un riassetto complessivo del nostro sistema che non c'è, di sottolineare l'urgenza che ci si muova in direzioni nuove.
Vorrei qui soffermarmi su un altro aspetto che so molto delicato, venuto alla luce anche nel corso del convegno di Bologna, e che ci riguarda in prima persona. Si ha a volte l'impressione che tra gli stessi bibliotecari non sempre esista una condivisione di intenti. Si direbbe che siamo afflitti da un corporativismo 'tipologico' che certo non aiuta a essere uniti. D'altra parte è anche umano che in un contesto non sistemico ciascuno tenti, diciamo così, di difendersi e sia molto preoccupato di possibili mutamenti.
Ancora una volta, inevitabilmente, il discorso si amplia, investe temi legati al rapporto di lavoro, alle qualifiche, ai mansionari, alla complessità della nostra macchina amministrativa, a quella burocratizzazione dei nostri istituti bibliotecari che secondo Crocetti ne ha comportato la definitiva separazione dalla cultura italiana.
Il nostro problema è, oggi, capire come ricucire questo strappo. So che può apparire astratto spostare la questione sul terreno culturale, quando invece sono in gioco anche destini individuali. Ma può non essere un problema culturale la realizzazione di un sistema bibliotecario nazionale? Può la politica bibliotecaria di un paese essere separata dal contesto culturale, dalle esigenze primarie di formazione che ogni comunità civile deve avere? Nel convegno romano del 1994 Maria Concetta Petrollo denunciava: «la scarsissima attenzione che da sempre la società italiana e le istituzioni dedicano all'istruzione, alla formazione e all'educazione dei ragazzi» 2. Una denuncia che, purtroppo, mantiene ancora oggi tutta la sua validità.
So bene che spostare sul terreno culturale il problema non aiuta a risolverlo, proprio nel momento in cui si ha la sensazione che nel nostro caso il legislatore abbia volutamente tralasciato il quadro generale per soddisfare delle possibili esigenze particolari. Nell'impossibilità di mutare l'assetto complessivo, per ora si favorisce l'eventualità di quello che alcuni, comunque, ritengono essere un rimedio, rimedio che in fondo non riuscirà a provocare danni maggiori.
E allora? Come comportarsi? Sarà il semplice trascorrere del tempo, l'ingresso in Europa, l'invasione di Internet, ma comunque il passaggio dal «sistema bibliotecario che non c'è» a un sistema bibliotecario moderno e efficiente dovrà realizzarsi. Credo che si tratti di una battaglia nella quale valga la pena di impegnarsi. Forse sarà necessario ripensare il nostro ruolo, rivedere la funzione e le peculiarità di alcuni istituti bibliotecari. Non mancheranno critiche, timori e una giustificata apprensione. Sta, però, anche a noi dare il nostro contributo fattivo.
Come ho già detto, nutrirei la speranza che quanti a vari livelli e con diverse capacità decisionali si trovino a fronteggiare questi problemi si sentissero animati dalla consapevolezza di affrontare questioni rilevanti per la democrazia e per il paese. Dovrebbe essere dato per scontato che chi si siede intorno a un tavolo per discutere di queste tematiche lo faccia con quello spirito di servizio, con quel senso delle istituzioni che dovrebbe animare ogni cittadino che si senta davvero parte di una comunità di uomini liberi.
Vedete, qui non si tratta tanto di essere favorevoli o contrari all'articolo 151: il problema è quello di capire quale sistema bibliotecario vogliamo avere. Ben vengano quegli stimoli che possono servirci a disegnare un futuro migliore per le nostre biblioteche. Ben venga che a questa riflessione partecipino tutti coloro che sono realmente interessati a raggiungere dei risultati concreti. Nella speranza che, davvero, tornare a riflettere su questi problemi non sia uno sterile esercizio di bello stile o una vacua geremiade, ma il portato della maturazione complessiva della nostra società, finalmente capace di rinsaldare e mantenere vivo quel legame fondamentale tra cultura e biblioteche che è necessario perché un sistema bibliotecario possa fornire ai suoi utenti i servizi di cui hanno diritto.


[Note]

1 In realtà si dovrebbe dire che si accentuò ancora di più una separazione che già esisteva, come testimoniato proprio per il caso dell'Alessandrina nell'articolo di Gaetano Colli, "Per salire degnamente la cattedra". Biblioteche, bibliotecari e professori alla Sapienza romana (1870-1957). La Biblioteca dell'Istituto di Storia del Diritto Italiano. In «Il Bibliotecario», (1998), n. 1, p. 97-191, in particolare le p. 97-119.
2 Leggere a Roma. A cura di Luca Bellingeri, Natalia Santucci e Giuliana Zagra. Roma, Biblioteca nazionale centrale, 1996, p. 37.


Copyright AIB 1999-04-21, a cura di Serafina Spinelli
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