[AIB]

53º Congresso nazionale AIB

Le politiche delle biblioteche in Italia
La professione

Roma, Centro congressi Europa
Policlinico universitario "A. Gemelli"
18–20 ottobre 2006


Programma 53º Congresso AIB

Sul riconoscimento professionale degli archivisti e bibliotecari

Ferruccio Ferruzzi
Vicepresidente ANAI

 


 

Prima di entrare nel merito di quanto mi ero proposto di dire, vorrei aggiungere agli interessanti spunti emersi dalle relazioni precedenti qualche precisazione di carattere generale relativa al settore archivistico, che credo valga anche in buona misura per quello bibliotecario.

La relazione di Deiana infatti ha delineato un quadro generale del nostro tema, nel quale grande enfasi positiva viene alla prospettiva dell'apertura alla libera concorrenza del mercato professionale derivante dalla possibilità di costituire professioni riconosciute a livello associativo libero. Ma tale prospettiva è evidentemente connessa alla situazione delle nuove professioni non riconosciute più diffuse in campo economico-giuridico, come per esempio i tributaristi, che trovano il loro campo di azione delimitato, se non talora precluso, dalle riserve di legge delle professioni tradizionali affini, come avvocati e commercialisti. Questo ottimismo liberistico mi pare assai meno applicabile ai nostri settori, dove la condizione della presenza limitante di professioni analoghe stabilite per legge non si verifica affatto. Nei nostri settori non si tratta tanto di estendere la platea dei potenziali offerenti di prestazioni a un libero mercato, riducendo i costi imposti agli utenti da professioni tradizionali arroccate nei loro privilegi, dato che queste non esistono e che la "libera concorrenza" è già una realtà di fatto nei nostri settori, che ha portato a un livellamento verso il basso dei costi delle prestazioni – e talora della loro corrispettiva validità –, che non ne garantisce la qualità.

Il problema fondamentale nei nostri settori non è quindi tanto quello di introdurre una libera concorrenza di prestazioni professionali, quanto quello di garantire la qualità delle prestazioni per la generalità degli utenti, in modo da stabilire un preventivo esplicito rapporto fra qualificazione degli operatori e costi delle prestazioni da una parte e il loro livello di qualità dall'altra.

È chiaro che tutto ciò trova nella certificazione il suo strumento precipuo, e di questa ha parlato Diozzi, illustrando la scelta dell'AIDA di trasferirla a soggetti terzi e di aderire a tal fine a Certidoc. Anch'io credo che sia comunque necessario e opportuno per le associazioni professionali avere sul piano del metodo e delle procedure adottate un supporto tecnico e un garante esterno di secondo livello tecnicamente specializzato in materia. Ma, sul piano del contenuto, data la natura tecnico-scientifica specifica delle nostre professioni, le caratteristiche delle prestazioni e dei requisiti da certificare devono essere non solo definite, ma anche valutate direttamente dai rispettivi esperti. In altri termini, qui ci troviamo di fronte a due esigenze in parte contrastanti: una è certamente quella dell'imparzialità della certificazione, che potrebbe essere assicurata da organismi terzi specializzati in questo campo, l'altra è però quella precisione della certificazione rispetto alle effettive caratteristiche oggettive dei requisiti e prestazioni, che può essere assicurata solo da un'associazione tecnico-professionale specifica, come le nostre. Privilegiando per ora quest'ultima esigenza l'Associazione archivistica sta mettendo a punto un sistema di valutazione e certificazione basato su una commissione operante presso l'Associazione, formata peraltro da archivisti esperti e autorevoli, anche non soci, che riscuotono una stima professionale e scientifica ampia. D'altra parte il disegno di legge governativo che in questa legislatura dovrebbe affrontare il problema del riconoscimento delle professioni, dice chiaramente che la certificazione dovrebbe essere assicurata in prima istanza dalle stesse associazioni professionali. Ciò non toglie che, dopo una prima fase di elaborazione e sperimentazione, al momento di attuare un regime definitivo conforme a un'intervenuta legge in materia, si potrà porre, nella detta forma di secondo livello, se pur non di un affidamento integrale, il problema di una garanzia tecnico-procedurale della certificazione da parte di un organismo specializzato.

Entrando ora nel merito delle considerazioni che intendevo proporvi, vorrei anzitutto riprendere il tema della garanzia della qualità delle prestazioni professionali. Il punto principale che vorrei sottolineare in merito è che la situazione professionale nel nostro campo ci porta con grandissima frequenza, e molto probabilmente nella grande maggioranza dei casi, a operare su beni culturali tutelati dal relativo Codice ai sensi dell'art. 9 della Costituzione. Questo fatto introduce nel tradizionale rapporto a due fra committente e professionista, nel quale la normativa professionale pubblica è volta a garantire il committente in quanto portatore di diritti tutelati dall'ordinamento e in quanto non in grado di valutare tecnicamente la prestazione, un terzo elemento che ne modifica sensibilmente il quadro.

Per il pubblico interesse in questo caso è infatti da tutelare non solo l'utente della prestazione, ma anche il bene culturale che ne è oggetto, indipendentemente e perfino contro le intenzioni e gli scopi perseguiti dall'utente nel richiedere la prestazione. Naturalmente non è previsto in alcun modo dal Codice che sia compito del libero professionista operare una particolare tutela attiva dei beni culturali, che spetta alle soprintendenze, ma egli deve certamente osservare nelle sue operazioni precise modalità e limiti tali da assicurare il rispetto degli obblighi, che la legge prevede per il soggetto proprietario o detentore, di garantire l'integrità, la futura conservazione e la fruibilità dei beni culturali. Dal punto di vista normativo ciò si può ottenere precisando che nel caso di professioni come le nostre, che operano su beni culturali tutelati ai sensi dell'art. 9 della Costituzione, si richiedono più qualificati e specifici requisiti di istruzione, aggiornamento professionale, e il rispetto delle norme tecniche poste a tutela dei beni (standard di trattamento) fissate dagli organi preposti, nonché una relativa stringente deontologia.

Riteniamo quindi che una futura legge sul riconoscimento delle professioni dovrebbe contenere clausole particolari per quelle che operano come le nostre sui beni culturali, che prevedano la definizione di specifici, qualificati e soprattutto inderogabili requisiti per l'accesso e l'esercizio della professione, sul quale il Ministero per i beni e le attività culturali potrebbe avere anche un ruolo di alta vigilanza e registrazione delle relative associazioni.

Come mi sembra giusto e doveroso che da una parte lo Stato si assuma un ruolo di più specifica garanzia della professione, occorre d'altra parte evitare gli eccessi di dirigismo e di clientelismo a cui si è giunti per la professione di restauratore, che è stata dapprima specificamente riconosciuta e regolamentata per legge dalla stesura iniziale del Codice dei beni culturali, e poi, con le integrazioni a questo apportate nel 2006, è stata regolata in modo eccessivamente minuzioso e ampio, estendendola, per evidenti motivi clientelari denunciati recentemente da Bruno Zanardi, a innumerevoli diplomati di corsi regionali e universitari del tutto privi di adeguate strutture operative e corpi docenti per l'apprendimento della professione.

Vorrei attirare ora l'attenzione su un altro compito che il disegno di legge sulle professioni assegna alle associazioni, quello di individuare l'oggetto dell'attività professionale e definirne il profilo. La questione è certamente fondamentale, ma è anche alquanto complessa. Come ricorderete, le nostre associazioni hanno proposto e ottenuto la presentazione per ben tre legislature dall'XI (1993) senza esito di un disegno di legge di istituzione di albi e ordini per le professioni dei beni culturali, fra cui l'archivista e il bibliotecario, elaborando definizioni condivise dei rispettivi profili che credo costituiscano ancor oggi una base valida in tal senso. Poi diverse regioni hanno emanato o proposto (Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Toscana, Lazio) provvedimenti che in vario modo hanno tentato di definire e disciplinare queste professioni, se non altro per quanto riguarda gli interventi da esse promossi, finanziati o vigilati, giungendo a istituire albi regionali e a riconoscere le rispettive associazioni professionali. Però la Corte costituzionale, in più riprese, ha annullato simili provvedimenti presi per altre professioni sulla base della norma del nuovo art. 117 della Costituzione che, pur attribuendo alle regioni la facoltà legislativa in materia di professioni, la ha subordinata per ciascuna alla preventiva definizione-quadro della professione da parte di una legge statale, senza la quale esse non possono emanare la normativa locale. Di questo il disegno di legge governativo sulle professioni non tiene ancora alcun conto, ma è evidente che nel suo eventuale iter dovrà in qualche modo farlo e – per i motivi detti – in particolar modo per le professioni operanti sui beni culturali. Pertanto il tema della definizione dell'oggetto delle attività professionali sarà comunque all'ordine del giorno delle nostre associazioni, e in particolare lo sarà il problema di distinguere eventualmente specializzazioni applicative diverse o livelli diversi a seconda del livello di formazione iniziale, come avviene per i restauratori.

Un ultimo aspetto della problematica di cui oggi ci occupiamo che vorrei segnalare è quello del contesto più ampio in cui operano le nostre professioni, che è un altro grande motivo per cui esse non possono rientrare nel semplice modello tipicamente privatistico del rapporto duale fra professionista e committente, sia pur questo un ente o soggetto pubblico, che richiede una singola prestazione una tantum. Archivisti e bibliotecari operano infatti istituzionalmente in servizi pubblici e in alcuni servizi di grandi imprese ed enti a regime giuridico di diritto privato aventi dimensioni e caratteristiche analoghe. Come saprete, per lo Stato la normativa del suo ordinamento interno che prescrive funzioni, responsabilità e prerogative dei tecnici e dei professionisti dipendenti ha finora sempre prevalso su quella ordinistica generale. Ma questo orientamento, con la invero ancora parziale privatizzazione del rapporto di lavoro introdotta nel 1993 sta cedendo luogo anche per quanto riguarda i professionisti alla possibilità di un maggiore riconoscimento di normative esterne a quelle meramente amministrative. Il terreno di incontro sarà a mio avviso, più che quello della normativa individuale, quello della definizione e attuazione delle "carte della qualità dei servizi", e più in particolare la parte di tali carte dei servizi che inevitabilmente dovrà definire anche i profili professionali applicati ai diversi servizi, requisiti e numero degli addetti. Uno di questi requisiti generali potrebbe essere appunto la certificazione periodica implicante l'appartenenza a un'associazione riconosciuta. In tal modo il ruolo di garanzia delle prestazioni professionali delle associazioni si potrebbe estendere dal settore privato libero-professionale a quello istituzionale. In tal senso esse sono certo pienamente intitolate dal fatto di essere non solo associazioni professionali, ma più ampiamente associazioni "di settore", alle quali aderiscono anche istituzioni ed enti privati operanti nel settore e che hanno per statuto lo studio e la promozione della tutela dei beni archivistici e librari e dello sviluppo dei servizi archivistici e bibliotecari. Si apre così sui diversi fronti del riconoscimento professionale che ho cercato di delineare un molteplice terreno di impegni e di sfide per le nostre associazioni, per il quale giornate di approfondimento e dibattito come questa credo pongano valide premesse.


Copyright AIB 2007-11-24, a cura della Redazione AIB-WEB.
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