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Il knowledge management

di Alessandro Bottin


Adattamento dalla tesi di laurea triennale in biblioteconomia, discussa il 7 novembre 2002 presso la Facoltà di lettere e filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia; relatore prof. Riccardo Ridi.


Sommario

Introduzione

1 : Cenni storici

2 : Che cos'è e da dove nasce

3 : Concetti e attività

4 : Gli strumenti del knowledge management

5 : Il fattore umano

6 : KM e LIS

7 : Dalla teoria alla pratica: Lisa Guedea Carreño

Conclusioni

Bibliografia


Introduzione

La conoscenza e l'apprendimento sono temi che hanno sempre interessato l'uomo fin dai primi bagliori di civiltà. Nel mondo occidentale le prime testimonianze le possiamo trovare nelle opere dei più importanti filosofi greci per poi continuare fino ai giorni nostri. Analogamente i filosofi orientali come Lao Tzu e Confucio e quelli indiani hanno posto la conoscenza come percorso essenziale per una vita spirituale e terrena realmente compiuta. Molti di questi tentativi avevano come obbiettivo quello di riuscire a capire che cosa sia veramente la conoscenza.

Ma la cognizione ed in particolare le nozioni pratiche e le abilità speciali sono sempre state centrali nell'esistenza dell'uomo a cominciare dalla lotta per la sopravvivenza dei suoi albori. All'inizio si è trattato di meccanismi impliciti, che funzionavano autonomamente ed in modo automatico, per poi raggiungere una sempre maggiore consapevolezza. Come sottolineato da WIIG (1999), le confraternite di arti e mestieri ed il sistema apprendista-maestro che hanno dominato nel periodo medievale erano basati sui principi che sono il fondamento del knowledge management [1]. La trasmissione del sapere si basava sull'osservazione del lavoro di un maestro, il quale si preoccupava di trasmettere la propria conoscenza ai suoi apprendisti. Questo scambio non era mediato da nessun'altra persona, istituzione (ad esempio la scuola) o documento ed avveniva in maniera diretta tra i due. In questo modo, oltre alle conoscenze di base, venivano trasmessi anche quei modi di lavorare e quei piccoli segreti che ogni maestro, o comunque ogni persona esperta di un mestiere, aveva imparato nel corso degli anni di pratica. Sostanzialmente avveniva quella trasmissione della conoscenza implicita che, come vedremo più avanti, è proprio uno degli obiettivi del KM.

Con il periodo dell'illuminismo poi si arrivò finalmente ad integrare le concezioni della filosofia teoretica e le astrazioni epistemologiche con l'aspetto pratico della conoscenza. Il movimento che portò all'affermazione del libero pensiero permise il consolidamento della convinzione che attraverso l'apprendimento l'uomo potesse cambiare e migliorare il suo modo di essere. La rivoluzione industriale modificò ulteriormente lo scenario e nonostante la proliferazione delle industrie e la conseguente necessità di maggiore specializzazione, il modello apprendista-maestro, basato sui principi impliciti del KM continuò a prevalere adattandosi alle nuove esigenze.

Il continuo avanzamento tecnologico ha poi reso la componente umana del processo industriale sempre più marginale spostando le sue competenze dalla realizzazione materiale dei beni ad attività di tipo intellettuale. Questo fenomeno in costante evoluzione ha convinto molti che l'informazione sia diventata il bene commerciabile più importante della nostra epoca.

L'odierno interesse per la conoscenza, in particolar modo per il knowledge management, rimane quindi orientato all'efficienza commerciale ma è emersa la convinzione che per raggiungere obiettivi che permettano di essere competitivi sia necessario considerare tutti gli aspetti della persona-lavoratore, a partire dalla motivazione e soddisfazione personale, come un valore aggiunto dell'impresa che è utile capitalizzare.

Un aspetto prettamente commerciale nel quale la figura umana sta lentamente diventando centrale nello scenario di continuo apprendimento e aggiornamento che si sta configurando. Non è difficile immaginare che gli esperti della conoscenza (bibliotecari, documentalisti etc.), vista la loro dimestichezza con problematiche relative all'informazione e all'apprendimento, possano assumere un ruolo importante. Una convinzione non ancora affermata però. Forse anche a causa dell'aspetto prettamente economico che assume la materia, il quale può risultare in forte contrasto con l'ambiente tipicamente umanistico in cui sono abituati a lavorare.


1 : Cenni storici

La moderna storia del knowledge management ha inizio nel 1986 quando Karl Wiig, coniando il termine, ne introduce i fondamenti durante una conferenza allestita dall'Organizzazione Internazionale dei Lavoratori delle Nazioni Unite. A partire da questo momento il concetto così formalizzato inizia ad interessare molte importanti aziende soprattutto a carattere multinazionale. Nel 1989 a partire dalla Price Waterhouse si ha una prima diffusione ed integrazione del KM all'interno delle strategie di mercato delle aziende. Nel 1991 l'"Harvard business review" pubblica il primo articolo (Nonaka e Takeuchi) dedicato alla disciplina e nel 1993 è ancora Karl Wiig a dare alle stampe il primo libro ("Knowledge management foundations"). Nel 1994 anno del "Knowledge management network", prima conferenza sul KM, le prime grandi aziende di consulenza iniziano ad offrire servizi di KM ai loro clienti [2].

Da questo momento in poi il KM godrà di un'attenzione sempre maggiore da parte del mondo delle aziende, tanto da venire considerato indispensabile da molte società che nella realizzazione delle infrastrutture necessarie alla sua implementazione hanno investito capitali ingenti.


2 : Che cos'è e da dove nasce

Nonostante il KM goda ormai di una fama internazionale e sia al centro delle attività di molte aziende, una vera e propria definizione è ben lontana dall'essere data. È la natura stessa del KM a renderne difficile una formalizzazione efficace.

Un punto d'inizio per cercare di spiegare in cosa consiste questa nuova disciplina può essere una delle definizioni date da Karl Wiig in LIEBOWITZ (1999):

"KM is the systematic, explicit, and deliberate building, renewal, and application of knowledge to maximise an enterprise's knowledge-related effectiveness and returns from its knowledge assets." [3]

Tradotto nella realtà dei fatti quello che il KM si pone come obiettivo è rendere esplicita, e quindi fruibile ai più, la conoscenza tacita ed implicita che ogni figura professionale all'interno dell'azienda ha maturato con il suo lavoro, affinché l'impresa ne tragga un vantaggio economico.

Il concetto di conoscenza, nonostante la sua intangibilità, è stato al centro di molte ricerche che hanno portato a diverse formalizzazioni dei suoi concetti. Se infatti consideriamo la conoscenza dal punto di vista dell'accessibilità possiamo arrivare a queste tre definizioni: [4]

A questo primo punto di vista è però necessario affiancarne un altro per riuscire a focalizzare al meglio il problema. In particolare è bene osservare la conoscenza dal punto di vista della sua organizzazione gerarchica. Tobin in LIEBOWITZ (1999) ne fornisce uno schema:

dati (data) ( + importanza + scopo = )
informazioni (information) ( + applicazione = )
conoscenza (knowledge) ( + intuizione + esperienza = )
saggezza (wisdom)

Come puntualizza BOGLIOLO (1998a) la prima impressione è che: "Tutto si riduce, in sostanza, a trasformare capitali intangibili (come quello intellettuale) in beni e servizi per i quali la gente sarebbe disposta a pagare, inventando un modo per la valutazione di qualunque valore aggiunto ai dati e all' informazione."

Ma nell'era dell'informazione siamo già abituati alla ricerca del valore aggiunto concretizzata nel generalizzato accumulo di informazioni. Ciò che si propone il KM è invece una razionalizzazione di questo processo, una maggiore attenzione ai meccanismi cognitivi e alla centralità della risorsa umana. Uno dei principali obiettivi diventa esplicitare i meccanismi che permettono il passaggio da informazione a conoscenza e saggezza, ma contemporaneamente far emergere l'importanza dell'apprendimento come risorsa indispensabile e fondamentale anche quando (o soprattutto quando) si ha già un posto di lavoro.

Capitali intangibili li chiama Bogliolo, e quindi per definizione sfuggenti e non schematizzabili. Un'impresa quella del KM che risulta davvero difficile e che per risultare vincente si deve affidare a mezzi tecnologici tra i più diversi. Tra le difficoltà che incontrò il knowledge management, ai suoi albori, nell'affermarsi come disciplina a se stante fu la facile confusione con l' information technology [5]. Gli ultimi vent'anni sono stati caratterizzati dalla costante informatizzazione di tutte le attività. I mezzi informatici hanno permesso la razionalizzazione del lavoro e la riduzione dei costi di gestione. Ma soprattutto hanno permesso l'accumulo, la gestione, l'indicizzazione e la distribuzione delle informazioni con una velocità e diffusione assolutamente inimmaginabili.

In un primo momento questo è sembrato sufficiente, i risultati erano buoni, il lavoro si svolgeva più velocemente e le informazioni necessarie si reperivano con rapidità. Ad una analisi più approfondita però ci si rese conto che ad essere organizzati erano soltanto i dati e le informazioni (ovvero i due gradini più bassi della scala precedentemente riportata). L'esperienza maturata sul campo, la capacità di improvvisare e tutte quelle attitudini particolari che permettono al soggetto di trasformare le informazioni in conoscenza e saggezza rimanevano a beneficio del singolo lavoratore, che le portava con sé nelle proprie esperienze lavorative. Un patrimonio di abilità e competenze (e quindi valore aggiunto) che non entra a fare parte dell'azienda in maniera definitiva ma temporanea, soltanto nel periodo in cui il rapporto lavorativo con i soggetti permane. L'attenzione si è quindi spostata dagli strumenti (information technology) verso le risorse umane che a diversi livelli costituiscono il patrimonio informativo di un'azienda.

A questo punto la distinzione è evidente, l'IT è uno degli strumenti (forse il principale) che il KM utilizza per raggiungere i suoi obiettivi.

Una volta affermatane l' indipendenza non è comunque facile esplicitarne le peculiarità, anche perchè l'uso della definizione knowledge management in realtà copre un ventaglio di attività che non sempre trovano applicazione contemporaneamente:

Se l'analisi, l'indicizzazione e la diffusione sono ormai affermate e facilmente realizzabili anche grazie agli strumenti offerti dall'IT, sono la creazione e la condivisione della conoscenza a risultare la chiave di svolta per un KM efficace. Sfogliando infatti le analisi fatte in ambito economico di alcune implementazioni pratiche di KM [6], risulta evidente che buone infrastrutture e strumenti all'avanguardia non sono sufficienti alla riuscita del progetto. Se manca la cultura ad essere collaborativi e a condividere le conoscenze, qualsiasi strumento venga utilizzato sarà inefficace.

Da questo punto di vista il KM si configura certamente come uno strumento per accrescere le capacità di un'azienda, ma più spesso diventa anche una filosofia lavorativa. Lo svolgere le attività da esso previste permette la diffusione di un senso di collaborazione e condivisione delle informazioni senza il quale anche gli strumenti utilizzati risulterebbero inutili. Se mettiamo in relazione quest'ultimo aspetto con l'iniziale definizione di Karl Wiig, quello che emerge è quanto sia utile affrontare il lavoro con lo spirito giusto. Lavorare convinti che il proprio "valore" e la propria "indispensabilità" siano calcolati in base alle competenze uniche che si possiedono non permette un facile scambio di conoscenza, inibendo così qualsiasi processo di KM attivato. Questo modo di lavorare e di organizzare l'ambiente di lavoro si sta molto diffondendo delineandosi apparentemente in contrasto con i principi di individualità e forte rivalità che hanno reso il sistema capitalistico il più importante modello economico a livello mondiale.


3 : Concetti e attività

Possiamo utilizzare il grafico riportato in figura 1 per rappresentare quelle che sono le principali attività relative al knowledge management all'interno di un'azienda. Lo schema evidenzia anche come ogni singola attività riceva e generi flussi di conoscenza.

Figura 1 - Principali attività di manipolazione della conoscenza

Alcune di queste attività, nella loro pratica comune, possono essere suddivise in ulteriori sub-attività; in particolare la fase di selezione, che non a caso si trova in posizione centrale nello schema, risulta la più complessa e frammentata. Un'analisi puntuale aiuterà a chiarire ulteriormente il concetto.

La creazione di una struttura che aiuti e faciliti la realizzazione delle attività appena illustrate ha portato all'ideazione del concetto di "organizzazione intelligente": un'organizzazione in grado di gestire la propria base conoscitiva, coordinando i flussi di conoscenza in modo da massimizzare il valore delle informazioni che genera e acquisisce.

CHOO CHUN WEI (1995), con la sua "piramide cognitiva dell'organizzazione intelligente" (figura 3), propone una divisione in tre gruppi delle professionalità coinvolte nel knowledge management.

Figura 3 - Knowledge Pyramid of the Inteligent Organization

Gli esperti del dominio (domain experts) sono coloro che creano ed utilizzano la conoscenza. La loro principale attività è assicurare l'efficacia dell'intera organizzazione attraverso l'innovazione, l'adattamento e l'apprendimento.

Gli esperti dell'informazione (information experts) sono coloro che organizzano la conoscenza in schemi e strutture per facilitarne l'accessibilità, aumentarne il valore e favorirne l'utilizzo.

Gli esperti della tecnologia dell'informazione (IT experts) sono coloro che creano e gestiscono le infrastrutture al fine di favorire i processi di elaborazione e scambio della conoscenza. Il loro ruolo è quello di assicurare l'efficienza dell'intero processo.

Al centro della piramide, nel triangolo lasciato apparentemente vuoto dobbiamo invece posizionare l'utente-cliente "come massimo esperto del dominio, il cui interesse preminente consiste nel separare la gestione dell'informazione da quella della tecnologia dell'informazione, affinché non venga perduta la chiarezza degli obiettivi del sistema, che è di fornire l'informazione all'utente affinché questa divenga conoscenza" [7]. La collaborazione tra queste quattro figure è, e deve essere, assolutamente paritaria, promovendo uno spirito di collaborazione che è centrale nell'idea di organizzazione intelligente [8].


4 : Gli strumenti del knowledge management

La realizzazione degli obiettivi del KM passa necessariamente attraverso la disponibilità di strumenti adatti allo scopo.

Come abbiamo già visto nel secondo capitolo, l'information technology risulta essere un punto di partenza quasi fondamentale. L'informatica è ormai una presenza familiare in tutte le attività lavorative, ma non deve bastare la presenza di un computer a convincere che si hanno gli strumenti adatti. Quello che serve è una tecnologia che sia orientata alla condivisione delle informazioni in maniera semplice e veloce.

Tra le prime infrastrutture tecniche ad essere state utilizzate vi sono le reti informatiche aziendali [9] (intranet). Il loro utilizzo permette un facile e veloce scambio di file (informazioni) tra i vari uffici dell'azienda collegati alla rete. Inoltre possono servire anche da punto di raccolta (knowledge repository) per documenti, e materiale informativo in genere, che risulti di ampia utilità e che quindi necessiti di un accesso facilitato.

In un secondo momento, grazie anche allo sviluppo delle tecnologie legate ad Internet, le reti aziendali sono diventate internazionali permettendo il collegamento delle sedi collocate in diverse parti del mondo. Questa tecnologia permette la creazione della base conoscitiva (knowledge base) aziendale che si concretizza spesso con la nascita di archivi informatici indicizzati di documenti, accessibili anche in remoto. Questi possono diventare il principale punto di raccolta in cui di volta in volta memorizzare, e successivamente ricercare, i frammenti di conoscenza recuperati dalle varie attività di KM.

Nell'ambito delle comunicazioni la posta elettronica ha ormai raggiunto una diffusione pressoché totale. La facilità d'utilizzo e la possibilità di spedizioni simultanee a più utenti la rendono ideale per la disseminazione delle informazioni, soprattutto a grandi gruppi di persone.

Oltre ai mezzi tecnici è necessario anche disporre delle risorse umane adatte. Soprattutto nelle fasi di analisi e valutazione delle informazioni raccolte, le competenze devono essere precise. Molte grandi aziende prevedono già l'esistenza di biblioteche aziendali specializzate o di servizi analoghi. In questi casi è facile sfruttare le strutture, e soprattutto le competenze del personale, per trasformarli in centri di raccolta della conoscenza (knowledge center). Le mansioni potranno essere quelle di selezione e cattura della conoscenza oltre ovviamente a quella della diffusione.

È possibile partire da queste strutture per realizzare anche un progetto di apprendimento continuato [10] che permetta il costante aggiornamento dei lavoratori e prepari i nuovi assunti ai loro compiti in maniera veloce ed efficace. Laddove queste strutture e competenze non fossero già presenti sarà necessario prevederne la creazione attraverso la formazione di un team, inizialmente poco numeroso e composto da esperti, che valuti la realtà aziendale e formuli un progetto realizzativo. Le infrastrutture si devono infatti adattare all'ambiente lavorativo specifico per permetterne uno sviluppo che risponda alle esigenze aziendali.


5 : Il fattore umano

Nonostante l'utilizzo delle tecnologie informatiche sia essenziale per l'implementazione dei processi di knowledge management, il fattore umano, ovvero i lavoratori, sono il punto focale attorno a cui si devono muovere tutte le attività. Sono loro a possedere le informazioni e le conoscenze la cui esplicitazione e condivisione sono l'obiettivo del KM.

Aldilà delle necessarie competenze delle quali ho accennato nel capitolo precedente, quello che spesso viene dimenticato o non preso in considerazione è il ruolo e le qualità specifiche della persona nel suo ambiente di lavoro. Leggendo il breve resoconto della conferenza "KMWorld 2000" presentato da ABRAM (2000), si può osservare come l'interesse si sia spostato dalle strategie di KM al ruolo delle persone.

Susan Mohrman [11] pone l'accento sul fatto che problemi come la mancanza di tempo, il turnover [12] e la distanza tra i collaboratori inibiscono il progredire dei processi di KM avviati. La tendenza a sostituire i team di lavoro con team virtuali collegati grazie alle tecnologie telematiche fa sì che le persone, non sentendosi pienamente coinvolte, si concentrino maggiormente sul loro lavoro più che sul condividere ciò che sanno o apprendono. Le conoscenze interpersonali giocano un ruolo fondamentale nel facilitare la comunicazione, tanto che qualcuno ritiene utile creare e favorire momenti di socializzazione all'interno dell'ambiente di lavoro.

Lo stesso effetto negativo si ha in presenza di un eccessivo carico di lavoro, che comporta la necessità di non assumere come prioritario lo scambio di conoscenze, ma di concentrarsi solo sui problemi ritenuti di primaria importanza. Sempre Mohrman rileva che il principale motivo che porta alle dimissioni dei lavoratori è la convinzione da parte loro che l'azienda non stia valorizzando al meglio i loro talenti. Questo comporta la ricerca di migliori opportunità in altre realtà lavorative. Sullo stesso piano è anche l'effetto che può avere l'incertezza riguardante le strategie dell'azienda relative sia allo sviluppo della stessa che alla trasformazione delle competenze dei dipendenti. Un senso di instabilità che favorisce l'allontanamento dei lavoratori i quali portano con sé le conoscenze che hanno acquisito privando l'azienda di una parte del suo patrimonio conoscitivo.

Proprio di fronte a queste problematiche è facile capire perché il cosiddetto apprendimento continuativo [13] venga ritenuto anch'esso uno strumento del KM. La possibilità di preparare e mantenere aggiornati i dipendenti (vecchi e nuovi) in maniera rapida ed efficace permette sia di dare maggiore valore al lavoro svolto dalla persona, sia la possibilità di sostituire, con maggiore efficacia, l'eventuale dipartita di un dipendente.


6 : KM e LIS

Il carattere multidisciplinare del KM evidenzia la necessità di coinvolgere diversi tipi di competenze. In realtà, all'interno delle aziende, la maggior parte delle cariche legate ad attività di KM sono tutt'ora occupate da persone il cui bagaglio culturale e di capacità proviene da studi in ambito economico. Non è certo il loro profilo professionale a favorire questa situazione, ma più probabilmente la scarsa considerazione del KM in altri ambienti.

Prima di valutare i possibili punti di contatto tra il KM e la biblioteconomia, è necessario però analizzare brevemente le differenze che esistono tra il concetto anglosassone di biblioteconomia e quello italiano.

Il termine biblioteconomia nasce in Francia nel XIX secolo con il significato di "legge della biblioteca, principio direttivo della biblioteca, ordinamento della biblioteca". Nello stesso periodo il termine viene inserito sia nell'ambito della lingua italiana che in quella tedesca (Bibliothekswissenschaft) con lo stesso significato. In ambito anglosassone il termine che viene usato è invece librarianship che, derivando dalla parola librarian ("bibliotecario") assume un significato leggermente diverso, ovvero "insieme delle abilità tecniche di chi è addetto alla biblioteca".

Una differenza di punti di vista che sicuramente può aiutare a comprendere la differente evoluzione che il termine ha avuto nei due ambienti. Tornando al panorama italiano e limitandoci a sottolineare le generali tendenze [14], si può vedere come la biblioteconomia per anni sia stata considerata esclusivamente come la capacità di catalogare e descrivere libri e manoscritti. Un punto di vista libro-centrico che ha favorito la visione della biblioteca come di un luogo prettamente di cultura, accessibile solo agli iniziati, ed il lavoro del bibliotecario come il solo gestire e organizzare la biblioteca limitando al minimo indispensabile i servizi agli utenti (reference). Diversamente nel mondo anglosassone la biblioteca non ha messo al centro della sua attenzione il libro, ma più genericamente l'informazione, in qualsiasi forma essa possa apparire. Il lavoro del bibliotecario è dunque quello di indicizzare e rendere accessibile l'informazione all'utenza della biblioteca. Si è infatti affermata la sigla LIS (library & information science), in sostituzione del vecchio termine librarianship, proprio a sottolineare una nuova prospettiva per questa disciplina.

Questo differente modo di vedere il lavoro del bibliotecario, oltre a favorire una maggiore ricettività del mondo anglosassone verso le nuove tecnologie (e di conseguenza una maggiore attenzione alle nuove tipologie di documenti), ha anche favorito un aspetto multidisciplinare della materia rendendola più permeabile a influenze provenienti da altri settori.

Se consideriamo, come analizzato in precedenza, la conoscenza come "prodotto" dell'informazione, sembrerebbe naturale che tra le figure professionali in grado di operare nel knowledge management ci siano di diritto anche gli specialisti dell'informazione. In realtà questo è tutt'altro che scontato.

Nell' articolo di SOUTHON & TODD (2001) che espone i risultati di una ricerca svolta in Australia per saggiare il grado di consapevolezza rispetto al KM nel mondo dei professionisti dell'informazione e delle biblioteche, emerge che, nonostante una buona cognizione generale del fenomeno, una parte considerevole degli intervistati afferma di non conoscere bene il concetto. Coloro invece che si ritengono maggiormente informati sono soprattutto quelli che lavorano in ambito privato e che hanno alle spalle un'esperienza lavorativa più breve.

Una possibile spiegazione si può trovare nel fatto che, come emerge dalla ricerca, vi è una generale convinzione che il KM sia un servizio già offerto dalla biblioteca e che faccia parte delle attività comunemente svolte dai professionisti dell'informazione. Una realtà che non è possibile confutare essendo evidente come molte attività svolte nell'ambito bibliotecario siano del tutto accomunabili a quelle previste dal KM.

Ad esempio, tutto il processo di identificazione, organizzazione e trasferimento delle informazioni, che è centrale in questa nuova disciplina, non è forse analogo al lavoro svolto dai servizi di awareness [15] approntati da molte agenzie? L'unica differenza può essere negli argomenti trattati, ma le necessarie capacità di comprensione e sintesi sono assolutamente equiparabili.

Volendo proseguire con gli esempi si può pensare anche alla fase dell'intervista dell'utente in un servizio di reference, in cui attraverso una serie di domande mirate si cerca di chiarire le esigenze e necessità dell'intervistato. Le competenze utilizzate non sono del tutto simili a quelle richieste dall'analoga attività di KM di cattura dell'informazione che serve per riuscire ad esplicitare la conoscenza tacita ed i processi mentali che la governano? Due esempi che mettono in luce come le competenze possedute da bibliotecari, documentalisti e professionisti dell'informazione in genere siano assolutamente compatibili (se non addirittura indispensabili) con molte delle attività previste dal knowledge management.

Come sostiene SCHWARZALDER (1999) riferendosi in particolare alle biblioteche aziendali, i bibliotecari considerati come agenti del KM hanno due punti di forza a loro favore. Il primo è la spiccata propensione alla condivisione della conoscenza, considerata come una vera e propria missione orientata a soddisfare le esigenze del cliente e quindi all'efficienza del servizio [16]. La seconda è la capacità di comprendere le modalità con cui le persone comunicano i loro bisogni informativi ed i modelli con cui utilizzano le informazioni ricevute. [17].

Una così evidente attitudine a questo nuovo ambito da parte di una disciplina ormai affermata fa però emergere un dubbio legittimo messo in luce da BOGLIOLO (1998c) che, riferendosi alla ricerca sul mercato dei professionisti "con la k nel nome", puntualizza che "Forse non c'è tanto bisogno di nuove professioni, quanto piuttosto di vedere con occhi nuovi professioni antiche." [18]

Stesso dubbio che emerge dalle posizioni raccolte da BARKLEY (1996a) in risposta all'affermazione di Davenport [19] che le competenze che più si avvicinano alle esigenze del KM si possono trovare solo nelle scuole di giornalismo. Tutti gli intervistati infatti affermano e mettono in luce come sia possibile riconoscere le attività associate al KM tra quelle comunemente portate avanti da bibliotecari e documentalisti.

Un'affinità che però non porta ad una esatta sovrapposizione delle due attività. Sarebbe troppo facile pensare che il passaggio dalle mansioni legate all'informazione verso quelle legate alla conoscenza sia automatico e indolore. Come giustamente spiega BROADBENT (1998): "Il KM è caratterizzato dalla varietà e dall'eccezione piuttosto che dalla routine. Se il vostro lavoro è o può essere totalmente routinario, allora siete degli amministratori, non dei professionisti della conoscenza. Se descrivete il vostro lavoro come l'organizzare le cose affinché gli altri vi abbiano accesso, siete più vicini al lavoro amministrativo che non a quello del professionista della conoscenza." [20]

HILL & INTNER (2000), ragionando sul fatto che il KM è un'attività più impegnativa rispetto alla catalogazione libraria poiché richiede di fornire accesso diretto alla conoscenza e non solo alla "scatola" che la contiene, avanzano l'ipotesi che solo i lavoratori dell'area reference abbiano le giuste competenze per adattarsi ai nuovi ruoli. Essi infatti avrebbero la giusta capacità di mettere in collegamento le richieste degli utenti con il patrimonio bibliografico-informativo, essendo in grado di interloquire con l'utenza ed affinarne le richieste ed allo stesso tempo utilizzare con consapevolezza le fonti a disposizione.

Ma se riguardiamo le attività del KM non possiamo non accorgerci di come anche i catalogatori "puri" abbiano capacità adattabili a questa nuova disciplina. Soprattutto nell'ambito della creazione della base dati conoscitiva le loro competenze sono utilissime per indicizzare alcune tipologie di informazioni. In quest'ottica anche i bibliotecari che si siano trasformati in manager, occupandosi degli aspetti burocratici, possono trovare la loro area d'impiego. La loro esperienza e le loro conoscenze possono essere di ottimo aiuto in quei ruoli di organizzazione dei gruppi di lavoro.

Dunque a ben guardare è davvero difficile trovare qualche attività, tra quelle dei professionisti dell'informazione, che non possa trovare applicazione all'interno della disciplina del knowledge management. Sicuramente piccoli cambiamenti di abitudini e di punti di vista sono obbligatori per riuscire ad inserirsi in questa nuova attività, ma le basi professionali ci sono e possono essere adattate alle necessità con brevi corsi di aggiornamento o perfezionamento mirati a rispondere a specifiche richieste.


7 : Dalla teoria alla pratica: Lisa Guedea Carreño

La grande quantità di attività e di spunti che il KM comprende e alimenta rende difficile una visione d'insieme della materia. Soprattutto l'aspetto multidisciplinare rende più facile il soffermarsi su alcuni aspetti particolari (gli strumenti, le risorse umane, l'aspetto economico, etc.) distogliendo lo sguardo dalla visione d'insieme. La presentazione di un caso di vera e propria traslazione dal lavoro di bibliotecario a quello di knowledge manager ci può aiutare sia a capire nella pratica in cosa consista il KM, sia a valutare le attinenze con le competenze dei specialisti dell'informazione.

La storia di Lisa Guedea Carreño è stata, alcuni anni fa, un vero e proprio simbolo per la concreta applicazione della teoria del KM tanto da diventare un caso emblematico della letteratura in materia di knowledge management. [21]

La vicenda è legata al suo lavoro presso la biblioteca aziendale della Highsmith Inc., una ditta americana che si occupa di forniture a biblioteche ed istituti scolastici. Il suo capo (direttore e proprietario dell'azienda), dopo una grave crisi economica che investì la sua ditta, si rese conto che avrebbe potuto evitarla o prevederla se non si fosse preoccupato solo dei bilanci aziendali ma avesse tenuto sotto controllo anche gli avvenimenti del mondo esterno. Questa convinzione lo portò a creare un nuovo ufficio, chiamato "Life, the universe and everything", con il compito di monitorare tutti gli avvenimenti che potessero in qualche modo interessare l'attività dell'azienda.

La prima persona a cui pensò di affidare il compito fu proprio la direttrice della sua biblioteca aziendale, ovvero la nostra Lisa Guedea Carreño, che in passato lo aveva già favorevolmente impressionato per la sua capacità di "pensiero laterale" [22]. Lisa, che nei precedenti cinque anni di lavoro alla Highsmith Inc. aveva già dimostrato di essere un'ottima bibliotecaria-documentalista, si trovò così, quasi senza rendersene conto, coinvolta in attività di knowledge management.

Quello che infatti il signor Highsmith volle creare fu un vero e proprio modo di pensare che influenzasse tutti i reparti dell'azienda. Guedea Carreño iniziò a partecipare a tutti i consigli d'amministrazione con il compito di fornire informazioni e "intelligence" [23] su tutte le questioni trattate. Tutti i dirigenti furono invitati a rivolgersi a lei per avere le informazioni di cui necessitavano ed in breve la biblioteca, o meglio l'ufficio "Life, the universe and everything", divenne il centro informativo aziendale tanto che l'ottanta percento delle informazioni esterne che i manager dell'azienda leggevano provenivano dall'ufficio guidato da Guedea Carreño. In breve tempo il profitto dell'azienda aumentò fino al 40% convincendo Duncan Highsmith (CEO [24] e proprietario della ditta) che la strada che stava percorrendo fosse quella giusta.

La risposta che ottenne chi chiese a Lisa quale fosse il segreto di questo grande risultato fu un semplice e disarmante "Think like a librarian!". Ed è proprio questo che lei ed il suo staff (composto da sole altre due persone) fanno quotidianamente. Assieme ad Highsmith, ha creato una base dati divisa in otto categorie principali e settantasette sottocategorie che comprendono sia argomenti di diretto interesse per l'attività aziendale, ma anche argomenti apparentemente inutili ai fini commerciali quali Antropologia, Humour o Metafore. In aggiunta all'aggiornamento costate della base dati e della biblioteca aziendale, lo staff si occupa di fornire risposte e dati organizzati in maniera personalizzata ad ogni manager, rispondendo alle esigenze di chi preferisce relazioni orali, chi schemi o grafici riassuntivi e di chi vuole le informazioni in "full text".

Attualmente Guedea Carreño spende circa il venti percento del suo tempo leggendo giornali e riviste, analizzando database online e navigando sul Web alla ricerca di informazioni utili, cercando di essere il più recettiva possibile a tutti gli input informativi. Una volta a settimana poi si incontra con Duncan Highsmith per fare il punto della situazione e concordare quali sono le informazioni che finiranno nel database.

Il suo "normale" lavoro di bibliotecaria si è arricchito di nuove attività e obiettivi trasformandosi quasi naturalmente in quello di knowledge worker. Il suo ufficio è diventato il punto di riferimento per l'intera azienda e non solo come fonte di informazioni, ma soprattutto come esempio per impostare un nuovo metodo di lavoro. L'obiettivo di Highsmith era infatti quello di rendere più indipendenti e autonomi tutti i quadri aziendali:

"We have a very limited labour market, so I wanted to make the most of the people we had by helping them become decision makers, by providing them with information and the context to make good decisions." [25]

Questo però non deve far pensare che, una volta messo in moto il lavoro di KM, l'azienda possa fare a meno dei knowledge workers. Anzi, la loro presenza diventa sempre più necessaria dovendo le aziende trattare una mole di informazioni in continuo aumento. Di questo Guedea Carreño è ben cosciente, tanto da chiudere l'articolo di BUCHANAN (1999) con un frase quasi profetica:

"The thing about information is that it never stops coming, and it's always coming in new ways and new formats. It's impossible to keep on top of it and still get the phones answered, the orders picked and packed, and the catalogues designed. We're here to help people integrate information into their jobs as seamlessly as possible. That way, they can keep doing their jobs." [26]


Conclusioni

Quanto c'è di nuovo nel KM e quanto non è altro che un rimaneggiamento di pratiche già conosciute e diffuse? Questa è la domanda che continua a rimbalzarmi in testa dopo aver studiato il fenomeno del knowledge management. Nonostante si possa cercare di indicare alcune procedure ed alcuni metodi ricavati dall'esperienza pratica per applicare ciò che il KM prevede, una visione unitaria, chiara e condivisa del suo significato è ancora lontana dall'essere data. Questa nuova disciplina si divide, o meglio si basa, principalmente su due ambiti disciplinari (economico e biblioteconomico) che apparentemente sembrano avere poco in comune, ma che trovano un punto d'unione proprio nel KM.

Se la necessità di rendere le aziende più competitive è stato lo stimolo verso una maggiore attenzione verso il mondo dell'informazione, le competenze di bibliotecari e documentalisti sono state la più ovvia risposta a questa esigenza. Questo avrebbe dovuto configurare uno scenario di pacifica collaborazione atto ad alimentare una sinergia quanto mai necessaria per affrontare le problematiche di questa "era dell'informazione". Eppure quello che mi sembra emergere è tutt'altro che uno scenario armonioso.

Dalla parte del mondo degli specialisti dell'informazione c'è una tendenza a snobbare il KM come qualcosa di già conosciuto, di già applicato e di poco stimolante. Non che questo sia falso, anzi come ho avuto modo di spiegare in precedenza molte attività del KM sono proprie anche dei bibliotecari e dei documentalisti, ma sembra quasi che non si voglia prendere in considerazione un nuovo sbocco professionale. È un dato di fatto che l'attività del bibliotecario ormai abbia fatto proprie le competenze più svariate, non limitandosi più alla sola attività di catalogazione e conservazione. Ma spesso ci si nasconde dietro a schemi e a pratiche ormai consolidate per evitare di vedere le novità. Indicare il KM sempre più spesso come la solita "scoperta dell'acqua calda" non aiuta certo a favorirne la conoscenza. Il rischio a mio avviso è quello di scartare un nuovo sbocco lavorativo senza prima averne accertata la percorribilità. Soprattutto per chi si affaccia ora al mondo del lavoro dopo un percorso formativo incentrato sulla biblioteconomia e sulle discipline dell'informazione, il KM è uno sbocco da tenere in alta considerazione.

Dall'altro canto l'ambiente economico sembra quasi che non voglia riconoscere come utili le capacità dei bibliotecari, continuando sulla strada di un'innovazione tecnologica "senza anima" in sostituzione di competenze facilmente reperibili nel mercato del lavoro. L'esperienza di Lisa Guedea Carreño avrebbe dovuto evidenziare come un buon bibliotecario aziendale possa rispondere a molte delle esigenze informative di un'azienda senza ricorrere a complesse strutture tecnologiche. Ma la scarsa conoscenza delle reciproche capacità sembra spostare la bilancia verso la tecnologia piuttosto che verso gli specialisti. La tecnologia svolge un ruolo importante nel facilitare la nascita di una sharing philosophy [27] aziendale, contribuendo a facilitare i contatti e la condivisione delle informazioni, ma non è ancora in grado di analizzare e gestire processi tanto complicati come quelli della conoscenza. Le capacità umane devono continuare ad essere centrali nel KM, anche se seguendo il ragionamento di Françoise Rossion: [28]

"Come possiamo pretendere di gestire e quindi di controllare la conoscenza, se grandi filosofi come Platone, Cartesio, Kant e Marx non sono stati d'accordo nemmeno nella sua definizione?"
ci possiamo rendere conto che da sole possono non essere sufficienti. Ma questo non deve far prendere alla tecnologia il posto che spetta all'intelligenza umana all'interno del processo.

Il futuro del KM, sebbene adesso possa sembrare "inevitabilmente" florido, non è ancora chiaro. Il suo ruolo e la sua natura sono così difficili da delineare che lo faranno restare a lungo in bilico tra l'essere considerato una moda passeggera o uno strumento fondamentale per imporsi sul mercato. In più, la sua natura multidisciplinare offre nuovi spazi e possibilità a diverse figure professionali. In questo panorama ancora non regolato da schemi e consuetudini lavorative, i professionisti dell'informazione, ed in primo luogo bibliotecari e documentalisti, possono mettere a frutto le loro conoscenze e attitudini in modo proficuo e gratificante contribuendo inoltre ad una percezione del KM meno empirica.


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NB: I link a risorse presenti sul Web sono stati controllati per l'ultima volta il 23 febbraio 2003.


Note

1. Da questo momento in poi il termine knowledge management sarà spesso abbreviato con la sigla KM.

2. LIEBOWITZ (1999).

3."Il KM è la sistematica, esplicita e deliberata costruzione, applicazione e rinnovamento della conoscenza per massimizzare l'efficacia della base conoscitiva di un'azienda ed i relativi benefici" (traduzione mia).

4. Thomas Beckman in LIEBOWITZ (1999).

5. Generalmente con information technology, si intende l'insieme di tecnologie informatiche che hanno permesso l'automazione di molte attività soprattutto di tipo amministrativo. In ambito biblioteconomico ha favorito la creazione degli OPAC e la standardizzazione dei cataloghi elettronici.

6. BARCLAY (1996b), BROADBENT (1998), CHARLES (2002).

7. BOGLIOLO (1998C).

8. Intesa anche come learning organization, ovvero "che apprende" ed evolve.

9. Con rete informatica si intende il collegamento di più personal computer al fine di condividere file e risorse. Esistono diverse tipologie, dalle più semplici dove i PC sono collegati in maniera diretta, alle più complesse con potenti computer (server) che si occupano di gestire il traffico d'informazioni verso i PC loro collegati.

10. Corsi di aggiornamento e d'istruzione svolti periodicamente dai dipendenti e finanziati dal datore di lavoro.

11. Appartenente al Center for effective organization della University of Southern California's Marshall school of business.

12. Inteso come avvicendamento nel posto di lavoro a causa di dimissioni da parte del dipendente.

13. Vedi nota n. 10 (p. 22).

14. Per una panoramica delle problematiche dell'evoluzione della biblioteconomia in Italia rimando a SOLIMINE (1995).

15. Bollettini che con periodicità molto fitta forniscono i sommari, talvolta arricchiti con abstract, di un certo numero di periodici specializzati in un determinato settore. Si dividono in tre principali tipologie: current contents (CC), current awareness service (CAS) e individual article supply (IAS) che differiscono per specificità e personalizzazione.

16. "Unlike most people in organisations, librarians are predisposed to sharing information. We see it as our mission, and we are both effective and costumer-oriented."

17. "Secondly, we understand the ways in which people communicate information needs."

18. Grassetto dell'autore.

19. Davenport, Thomas H. Knowledge roles: the CKO and beyond. CIO ("Think Tank" column). 1. (1996).

20. Traduzione di Domenico Bogliolo in BOGLIOLO (1998c).

21. Vedi BOGLIOLO (2001) e BUCHANAN (1999).

22. Lateral thinking è il termine usato per indicare la capacità di improvvisazione e di risolvere problemi attuando strategie innovative.

23. Con intelligence si intendono quei consigli e suggerimenti dettati da una buona conoscenza dell'argomento e da una sua visione d'insieme.

24. Chief executive officer.

25. Highsmith in BUCHANAN (1999). "Avevamo un mercato del lavoro molto limitato, il mio obiettivo era quindi aiutarli [i manager] a prendere decisioni autonome fornendo loro le informazioni ed il contesto adatti per farlo" (traduzione mia).

26. "Il problema dell'informazione è che non smette mai di arrivare, e lo fa in modi e formati sempre nuovi. È impossibile restare aggiornati e allo stesso tempo rispondere al telefono, ricevere richieste e preparare le risposte e mantenere il catalogo aggiornato. Siamo qui per aiutare le persone ad integrare l'informazione nel loro lavoro nel modo più semplice possibile. In questo modo possono continuare a fare il loro lavoro" (traduzione mia).

27. Letteralmente "filosofia della condivisione". Si intende lo spirito collaborativo che dovrebbe essere promosso e sostenuto dalle aziende al fine di migliorare la comunicazione interna.

28. Citato in BOGLIOLO (1999), originariamente in: To be a knowledge officer or not? How the information professional can face this challenge, Online Information 98: proceedings. Learned Information Europe, Oxford, 1998, p. 157-163.


Copyright AIB 2003-02-27, ultimo aggiornamento 2003-07-29, testo di Alessandro Bottin, a cura di Claudio Gnoli.
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