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Quelli che le risorse elettroniche...

I bibliotecari delle università alle prese con la gestione e la valutazione delle collezioni elettroniche

di Maurizio di Girolamo
Università di Milano Bicocca. Biblioteca di Ateneo


Testo dell'intervento tenuto alla 10. Giornata delle biblioteche lombarde. AIB Lombardia, Milano, 2 febbraio 2002.


Parlare di risorse elettroniche remote (RER) oggi equivale a parlare della biblioteca in tutti i suoi aspetti, tanti e tali sono i punti di vista da cui quello che fino a qualche tempo fa poteva essere considerato semplicemente un "tipo di materiale" può essere trattato [1].

Questo breve contributo vuole affrontare due aspetti, particolarmente critici, nell'opinione di chi scrive, della "presenza" delle risorse elettroniche fra le collezioni di una biblioteca di università: la costruzione e la manutenzione delle raccolte e la misurazione del loro uso.

Si tratta di due aspetti che "fanno letteralmente impazzire" i bibliotecari chiamati a decidere se e in che misura puntare sulle RER nella costruzione della "propria" biblioteca ibrida [2]. Non è necessario essere un fine psicologo per scorgere sui volti dei colleghi che partecipano alle riunioni in cui si deve decidere dell'acquisto di questo o quell'aggregato di basi di dati o della partecipazione o meno a un consorzio, lo smarrimento e lo sgomento al pensiero di dover motivare ai propri amministratori/utenti (e, prima ancora, a se stessi) la bontà dell'una o dell'altra scelta.

Si tratta altresì di due aspetti strettamente interconnessi dal momento che la misurazione dell'uso delle RER dovrebbe essere attività basilare per una corretta politica di acquisizione e gestione di tali risorse. In molti casi tuttavia i bibliotecari delle università italiane sono di fatto privi di strumenti consolidati per il monitoraggio delle RER e tale debolezza, solo una delle tante debolezze dei nostri sistemi bibliotecari all'interno del mondo accademico, li rende spesso vittime delle politiche aggressive di editori e fornitori di servizi che, come vedremo, incidono pesantemente sulla reale possibilità per i bibliotecari, "quelli che le risorse elettroniche..." [3] appunto, di selezionare consapevolmente le proprie raccolte digitali.

Chi scrive gode del privilegio (?) di aver seguito l'evoluzione delle raccolte elettroniche della propria biblioteca fin dalle origini [4], e soprattutto di aver seguito in prima persona le attività di acquisizione delle stesse, sia attraverso la partecipazione a consorzi di acquisto [5] sia attraverso accordi bilaterali con altre università [6], sia, infine, mediante acquisizione in autonomia [7].

Insomma, per seguire la similitudine richiamata nel titolo di questo intervento, potrei considerarmi un ospite fisso di un'eventuale trasmissione televisiva...

Negli ultimi anni l'offerta di accesso a risorse elettroniche remote è cresciuta in maniera esponenziale. Per università di recente costituzione quali quella in cui lavoro, caratterizzate necessariamente da un'esigua collezione di tipo tradizionale, da un budget non commisurato alle esigenze di costruzione "da zero" di una biblioteca tradizionale, ma al tempo stesso da un'utenza con aspettative molto elevate e dalla necessità di inserirsi in maniera prepotente nella competizione con atenei di ben maggiore storia e risorse, l'acquisizione di questo tipo particolare di risorse rappresenta un modo, forse l'unico, di garantire un adeguato patrimonio bibliografico, se pure cronologicamente limitato, a supporto della ricerca e della didattica [8].

Dalle tradizionali (se di tradizione si può parlare riferendosi a qualche decina di anni) basi di dati, bibliografiche e fattuali, che permettevano il rapido reperimento delle fonti, per lo più a stampa, necessarie alla ricerca accademica, l'attenzione delle biblioteche delle università è attratta sempre più vorticosamente nella spirale dell'offerta di periodici elettronici a testo completo [9].

Contemporaneamente i prodotti disponibili sul mercato si sono via via sempre più "contaminati", nel senso che appare difficile anche all'utente più smaliziato (e forse anche a molti bibliotecari...) distinguere fra basi di dati bibliografiche che contengono il testo completo degli articoli citati (es. Journals@Ovid), o ne presentano il link in maniera del tutto trasparente (es. basi dati di CSA) e pacchetti di periodici elettronici dotati di sofisticati strumenti di ricerca da far invidia ai sistemi di information retrieval fino a poco tempo fa propri delle basi di dati (es. Jstor o ScienceServer di Elsevier). Se annoveriamo questi prodotti tra le biblioteche digitali (alcuni le richiamano anche nel nome, ad es. IEL o ACM) possiamo vedere come l'aspetto formale (periodico, database, atto di convegno...) perda sempre di più di valore a favore di quello contenutistico [10].

Dalla fase pionieristica dell'accesso libero, via email o via Web, a periodici elettronici dalla vita relativamente breve [11], spesso frutto di iniziative di singoli o società scientifiche, caratterizzati da una diffusione limitata agli ambiti accademici, si è rapidamente passati alla diffusione sul Web della quasi totalità della produzione editoriale periodica. Grossi gruppi editoriali, società scientifiche, aggregatori, integratori di risorse elettroniche si contendono a suon di offerte il mercato editoriale accademico.

La spirale perversa dell'editoria universitaria, dove il produttore dei contenuti (docente, ricercatore, studioso) coincide con l'utente delle biblioteche ed è quindi acquirente dei suoi stessi lavori è stata ampiamente trattata in letteratura [12], così come a più riprese sono stati evidenziati i limiti, per usare un termine non offensivo, di una ricerca che ha i suoi fondamenti sui meccanismi di citazione che hanno reso famoso (e ricco...) l'ISI, l'Institute of Scientific Information, nonché produttore del Journal Citation Report, del Web of Science e dei Current Contents [13].

Chi sperava che l'avvento del Web potesse "spezzare le catene" imposte dai grandi produttori dell'informazione accademica rischia però di rimanere deluso, sebbene molte iniziative, dai server di preprint per la fisica fino, solo per fare un esempio italiano, alla Florence University Press [14], cerchino da vari punti e con varie soluzioni di riportare l'editoria accademica all'interno delle università [15].

Quel che è certo è che la crescita dell'informazione digitale pubblicata ha raggiunto dimensioni inimmaginabili: è stato necessario coniare una nuova unità di misura, l'exabyte (pari a un miliardo di gigabytes) per calcolare le dimensioni di informazioni digitali prodotte annualmente, e tutto ciò influenza pesantemente le abitudini e i comportamenti sociali. Un esempio su tutti: le ore di uso di Internet negli USA sono aumentate, dal 1992 al 2000, del 2.050% [16]!

Appare chiaro che una così vasta offerta comporta la necessità di operare delle scelte che, se in linea teorica dovrebbero tener conto delle caratteristiche della biblioteca e dei suoi utenti e del valore scientifico di ciascuna risorsa, troppo spesso sono caratterizzate da considerazioni di convenienza economica o, peggio, da fattori non controllabili dai bibliotecari ma controllati, e fin troppo bene, dai produttori.

Se la spesa per i periodici a stampa ha, da sempre, rappresentato la voce principale dei bilanci delle biblioteche universitarie [17], la transizione verso l'elettronico non pare comportare, almeno nel breve periodo, consistenti risparmi. Anzi.

Anche con la diminuzione generalizzata degli stanziamenti alle biblioteche, l'impegno economico in questo settore è massiccio e di fatto trasforma, anche contabilmente, i bilanci delle università. Da investimenti di tipo "patrimoniale", che producono cioè un aumento patrimoniale dell'ente, si passa a spese cosiddette di "funzionamento", attraverso le quali non si concretizza alcun tipo di investimento, se non quello che si potrebbe definire come "crescita della conoscenza", che, in maniera analoga con quanto accade per le risorse umane, dal punto di vista contabile si tende a considerare una spesa più che un investimento.

Il mercato è in continuo movimento e non pare che si possa ancora definire un modello sufficientemente stabile. Sebbene siano passati già alcuni anni dall'irruzione delle RER nelle nostre biblioteche pare proprio che molti degli interrogativi che ci siamo posti in passato siano tutt'ora senza risposta [18].

L'arrivo sul mercato degli ejournal ha avuto degli effetti imprevedibili anche sui prezzi delle versioni a stampa. Una recente ricerca presentata al 101. meeting annuale della Medical Library Association in cui è stato analizzato l'aumento dei prezzi di 300 riviste a stampa negli ultimi cinque anni, dimostra come tutte e quattro le categorie individuate (periodici unicamente a stampa, periodici con versione elettronica a pagamento, periodici cosiddetti "free online", pacchetti di aggregatori) abbiano subito aumenti di prezzo più o meno consistenti, ma che gli aumenti più contenuti riguardano proprio i titoli che non hanno una versione elettronica, anche se la convenienza degli acquisti in consorzio dei grossi pacchetti pare confermata [19].

Fusioni e acquisizioni fra editori e fornitori di servizi elettronici mutano di continuo gli scenari e non è infrequente il passaggio di periodici elettronici che, cambiando editore, passano da un "pacchetto" all'altro con tutte le conseguenze che ciò comporta: disponibilità degli stessi titoli attraverso più aggregatori ma con differenti livelli di aggiornamento, difficoltà degli utenti ad adattarsi ad interfacce di ricerca differenti. Questa situazione complica e di molto la vita dei bibliotecari chiamati a disegnare una politica delle raccolte, comprese quelle elettroniche [20].

È necessario selezionare dunque, ma che margine ha il bibliotecario di impostare correttamente una politica di sviluppo e mantenimento delle collezioni elettroniche, e in particolare di quelle dei periodici?

L'acquisizione di interi pacchetti in formato elettronico, generalmente multidisciplinari e comunque tali da coprire l'intera produzione editoriale di un certo gruppo (es. Swets-Blackwell), di fatto sottrae al bibliotecario ogni possibilità di selezione consapevole.

Nella biblioteca tradizionale era impensabile che ci si abbonasse "a scatola chiusa" alla totalità dei periodici di una certa casa editrice: sia che se ne occupassero i docenti sia che fossero i bibliotecari a condurre la politica degli acquisti, lo sviluppo delle collezioni di periodici o dell'apparato di consultazione era, o avrebbe dovuto essere, frutto di una scelta ponderata.

Eppure ciò è l'esatto contrario di ciò che accade oggi quando ci troviamo, in buona compagnia ben inteso, visto che spesso questi acquisti avvengono in consorzi che aggregano decine di enti [21], a sottoscrivere contratti per RER che prevedono da un lato il mantenimento degli abbonamenti cartacei in corso alla data della stipula del contratto e dall'altro la sottoscrizione dell'intero pacchetto di titoli, a condizioni percentuali sul cartaceo che variano da editore a editore [22].

Al bibliotecario potrebbe non essere nemmeno consentito di servirsi di librerie commissionarie per la gestione dei propri periodici. È noto come molte biblioteche italiane, specialmente le più piccole, si appoggino su commissionarie e intermediari per la gestione degli abbonamenti. Tale scelta presenta vantaggi e svantaggi [23], ma è comunque espressione del "libero arbitrio" del bibliotecario.

Ebbene l'abbonamento a pacchetti completi oltre ad annullare la possibilità di selezione di singoli titoli (e per una biblioteca o per un ateneo non multidisciplinare questo equivale ad abbonarsi forzatamente a periodici di nessun o scarso interesse per i propri utenti), spesso impedisce il ricorso agli intermediari per espressa volontà degli editori.

La tendenza dei grossi editori appare infatti quella di eliminare gli intermediari proponendosi, come la grande distribuzione, direttamente ai consumatori (le biblioteche) o addirittura, nel caso del pay per view o del print on demand, direttamente agli utilizzatori (in questo caso la disintermediazione è totale, coinvolgendo anche le biblioteche). È evidente che il risparmio in termini di gestione dei grandi editori si trasforma in costi aggiuntivi sulle biblioteche.

Non è detto infatti che il "valore aggiunto" garantito dagli intermediari sia mantenuto all'interno delle offerte di servizi da parte degli editori. Altri costi sono poi diretta conseguenza dei termini delle licenze: ad es. l'impossibilità di fornire document delivery elettronico costringe quelle biblioteche che vogliano continuare ad erogare questi servizi a soluzioni diverse e più costose (invio di copia su originale cartaceo via posta o fax).

Anche la disdetta degli abbonamenti potrebbe non essere più consentita laddove le biblioteche abbiano sottoscritto abbonamenti pluriennali che impongano il mantenimento delle sottoscrizioni cartacee in corso al momento della stipula del contratto.

Situazione analoga per le basi dati composte da differenti risorse che possono variare in senso positivo o negativo nel tempo, ad es. Lexis-Nexis, dove purtroppo l'importanza scientifica della risorsa (con conseguente "pressione psicologica" degli utenti sui bibliotecari) riduce i margini di una contrattazione con il produttore ponendo le biblioteche in un ruolo del tutto passivo.

Si dirà che questo è il prezzo da pagare per poter offrire ai propri utenti l'accesso ad una ricchezza di materiale non altrimenti disponibile (il ricorso al document delivery [24], per quanto diffuso, non ha mai rappresentato la principale fonte di reperimento dei documenti per gli utenti universitari italiani che preferiscono altre vie, come la rete di rapporti personali fra colleghi, per procurarsi libri e articoli).

Quanto alle biblioteche, la rinuncia ad un patrimonio bibliografico tangibile e "sicuro" per il futuro viene spesso giustificata in nome di una filosofia rivolta al servizio più che alla conservazione e, a ben guardare, il problema tanto dibattuto dell'accesso vs. possesso, che tanto ha appassionato le ultime leve dei bibliotecari italiani, è un falso problema, se visto nell'ottica dell'utente finale: per chi cerca un libro, un articolo, un documento digitale, ciò che conta è l'accesso alle informazioni ivi contenute. Per il possesso ci sono le librerie...

Tuttavia, e qui veniamo al secondo punto critico, se all'accettazione acritica di raccolte virtuali costruite da altri aggiungiamo l'estrema difficoltà di misurarne l'uso ci rendiamo conto di quanto sia ridotto il peso dei bibliotecari in questo campo.

Solo in anni relativamente recenti l'attenzione dei bibliotecari delle università si è rivolta verso la raccolta di dati quantitativi e qualitativi al fine della costruzione di indicatori o più in generale al fine di valutare l'efficacia e l'efficienza delle biblioteche. C'è da dire che la sensibilità verso questi temi da parte dei bibliotecari è sempre stata sicuramente superiore rispetto al resto del mondo accademico. E questo non è motivo di vanto per le nostre università [25]...

Ma se per la misurazione e la valutazione della biblioteca tradizionale è solo questione di immaturità delle biblioteche italiane, per le RER a mancare sono addirittura gli strumenti tecnici, intesi come tecniche di raccolta dei dati, standard accettati internazionalmente, accordo su quali siano i dati, e gli indicatori con essi costruiti, significativi ai fini della valutazione e possibilmente comparabili fra biblioteche diverse [26].

E, come nel caso dei pacchetti di ejournal "all inclusive", anche in questo caso a determinare questa situazione sono in grande misura editori e aggregatori.

È alquanto curioso come gli stessi editori dichiarino la loro incapacità di produrre dati statistici uniformi e quindi confrontabili [27], quando in altri casi (ad es. nella costruzione di sistemi di riferimenti incrociati, reference linking) sono state trovate soluzioni tali da invogliare gli utenti a navigare fra una rivista e l'altra e da questa in Internet, passando attraverso le basi dati... tutto a condizione che fossero attivi gli abbonamenti a tutte queste risorse.

Né le linee guida fin qui prodotte da associazioni di bibliotecari e affini hanno prodotto risultati effettivamente applicabili [28]. Naturalmente ciò non significa che, non solo all'estero [29] ma anche in Italia [30], non si stiano facendo dei tentativi in tal senso.

Questa situazione, secondo il Libro Bianco sulle statistiche d'uso dei periodici elettronici [31](per le basi di dati la situazione appare sicuramente migliore) pubblicato dal Council on Library and Information Resources (CLIR), va ricondotta al timore degli editori che le biblioteche disdicano i loro abbonamenti elettronici (ma non si erano sufficientemente tutelati con i pacchetti "prendere o lasciare"?) e al disaccordo sul formato di raccolte e presentazione dei dati alle biblioteche.

In effetti i problemi sono molti in questo campo: l'apparente facilità di raccolta di dati si scontra con la difficoltà della loro elaborazione e interpretazione. Ben diversa l'esperienza di misurazione nella biblioteca di carta, che può riservare grosse sorprese, come quella, frutto di una ricerca presso l'Università dell'Illinois a Chicago [32], secondo cui vi è una diminizione dell'uso dei periodici a stampa laddove le RER siano molto diffuse. E non si tratta della prevedibile diminuzione dell'uso dei periodici a stampa di cui è accessibile dalla biblioteca la versione elettronica, bensì della riduzione dell'uso dei periodici a stampa in genere, anche di quelli privi di versione online.

Dati simili stimolano molte considerazioni circa la preferenza degli utenti nei confronti della facilità di recupero delle informazioni a discapito della rilevanza o della qualità delle stesse, e circa la condanna all'oblio di testate che, non più consultate e quindi non più citate, rischiano di uscire definitivamente dal circuito citazionale che ne avrebbe garantito la sopravvivenza [33].

Accanto ai dati statistici forniti dai sistemi automatizzati (file di log e statistiche prodotte dagli editori) non si deve dimenticare tuttavia, ai fini della valutazione della soddisfazione dell'utenza, e dunque della adeguatezza della propria offerta informativa, l'importanza dell'analisi quantitativa di dati qualitativi raccolti attraverso i metodi classici dell'intervista, dei focus group o dei questionari. Tutti metodi cui la tecnologia può dare nuovo vigore: e-mail, moduli interattivi via Web, videoconferenze possono essere, con poca fatica, veicolo per la raccolta di questi dati [34].

Presso la nostra biblioteca è in corso, nell'ambito di una tesi di laurea in economia, l'analisi di dati raccolti attraverso un questionario, via Web, riservato ai docenti e ricercatori del nostro Ateneo, sull'uso delle RER. I risultati saranno poi confrontati con i dati prodotti dagli editori e fornitori, per i quali è in corso un tentativo di "mappatura" e dovranno costituire il nocciolo di un sistema informativo per le RER che ne influenzi lo sviluppo nei prossimi anni [35].

Come si è visto i problemi sono molti, come i dubbi e le incertezze che assalgono i bibliotecari che si occupano delle risorse elettroniche. Ma non c'è molto tempo per trovare delle soluzioni: gli e-books sono già fra noi [36]!

Cambiano gli scenari, cambiano gli attori, cambiano i supporti ma cambiano anche i bibliotecari [37], soprattutto "quelli che le risorse elettroniche...", per loro natura propensi al cambiamento di ruoli, di competenze e soprattutto curiosi, come solo i bibliotecari sanno essere, di scoprire cosa li aspetta domani [38].


Note

1. Dalla politica degli acquisti alla conservazione, dall'integrazione o meno negli OPAC al marketing dei servizi, dall'impatto nell'organizzazione del lavoro in biblioteca ai problemi del copyright e delle licenze, dai formati ai mutamenti del mercato editoriale e del circuito accademico, dai consorzi agli standard catalografici e ai metadati... Per una panoramica italiana sui vari aspetti che interessano le RER si vedano tra gli altri: Tammaro [1998], Burioni [1999], Bucchioni [1999], Bardi [2000], Martellini [2000], De Robbio [2001a], Ridi [2001], Vezzosi [2001].

2. A differenza di Pat Dixon [2001] non considero disdicevole questa forma di "possesso" della biblioteca spesso rivendicata dai bibliotecari, pur non dimenticando che i reali "proprietari" delle nostre biblioteche sono gli utenti...

3. L'introduzione delle RER nelle attività di biblioteca sta stravolgendo i nostri modelli lavorativi. Nuove e diverse capacità sono richieste ai bibliotecari che se ne devono occupare e i processi organizzativi subiscono continue modifiche. Su questi aspetti si veda tra gli altri Montgomery [2000] che effettua una comparazione fra le attività previste dalla gestione del patrimonio a stampa e di quello elettronico e descrive le ricadute della transizione dalla biblioteca tradizionale a quella ibrida su tutti i servizi della biblioteca, anche in termine di costi, portando ad esempio la biblioteca dell'Università di Drexel dove è stata definita una nuova figura professionale: l'Electronic Resources Manager (ERM). Fra i contributi italiani, Martellini [2000] per le universitarie e Ferrieri [2001] per le biblioteche pubbliche disegnano l'identikit del bibliotecario che si occupa di ER.

4. La biblioteca di Ateneo dell'Università degli studi di Milano Bicocca nasce nel 1998 dalla fusione di due preesistenti biblioteche di facoltà (giurisprudenza ed economia) cui nel corso degli anni si sono aggiunti fondi librari afferenti tutti i corsi di laurea dell'ateneo. Attualmente il sistema bibliotecario è costituito da una sola biblioteca di ateneo articolata in tre sedi fisicamente distinte (sede centrale, di scienze e di medicina). Il modello organizzativo è fortemente centralizzato e nel nostro ateneo non sono previste biblioteche autonome di facoltà e dipartimenti. Questo aspetto ha di fatto favorito una politica unitaria di acquisizione del patrimonio bibliografico in generale e delle risorse elettroniche remote in particolare. La tipologia e le dimensioni del nostro ateneo hanno di fatto stimolato il massiccio ricorso alle RER, pur non trascurando le esigenze di costituzione di un solido patrimonio tradizionale. Maggiori informazioni sulla Biblioteca di Ateneo si trovano sul sito web <http://www.biblio.unimib.it>, in particolare si veda la sezione "Documentazione > Dati statistici" per una quantificazione di raccolte e servizi.

5. La nostra partecipazione al progetto CDL, Cilea Digital Library <http://cdl.cilea.it>, si è concretizzata con l'acquisizione di numerose RER in forma consortile (fra le altre i pacchetti di ejournal Elsevier, Academic Press, Kluwer, Blackwell, Jstor, e basi dati bibliografiche quali ISI Web of Science, Cambridge Scientific Abstracts, Lexis-Nexis, Scifinder Scholar). Altre RER, come Mathscinet <http://www.math.unipd.it/~biblio/consorzio/licenza/consorzioMSN.html>, sono state acquisite nell'ambito di consorzi nazionali.

6. Le basi di dati Ovid, quelle del Sole-24 Ore, PCI e i pacchetti di e-journal delle maggiori società scientifiche quali IoP, AIP/APS, RSC in accordo con l'Università degli studi di Milano.

7. Si tratta per la maggior parte di abbonamenti a e-journal di cui si possiede la versione cartacea, es. ACM, singoli titoli di editori minori o pacchetti per i quali non si sono concretizzate possibilità di acquisto in consorzio, es. Science, Nature e Annual reviews o di pacchetti acquistati prima della costituzione di consorzi, es. IEL/IEEE. In quest'ultimo caso non è sempre agevole confluire all'interno di consorzi già costituiti usufruendo di condizioni più agevolate di quelle praticate dal produttore al singolo ente. L'elenco delle RER attualmente disponibili si trova a partire dall'homepage della biblioteca alla voce "Risorse elettroniche".

8. A fine 2001 potevamo contare su circa 46 basi di dati on line e 2.730 ejournals.

9. La crescita esponenziale della produzione periodica elettronica negli ultimi anni è documentata, fra gli altri, dalla directory curata dalla associazione delle biblioteche di ricerca americane (ARL). A tale proposito si vedano Mogge [2001] e De Robbio [2001a].

10. Uno dei problemi creati dalla grande massa di basi dati ed e- journal messi a disposizione dalle nostre biblioteche agli utenti è rappresentato dalla difficoltà di fornire loro un accesso integrato semplice ma efficace, cfr. Moothart [1998], pena il rischio di disaffezione degli utenti nei confronti di questi strumenti. La creazione di database di ejournal comporta costi elevati se "fatta in casa" ma garantisce una flessibilità che tenga conto dei rapidi mutamenti che caratterizzano questi prodotti (modalità di accesso, restrizioni all'uso, definizione dell'utenza, volatilità degli indirizzi etc.) Una visione generale e aggiornata del problema è fornita da Schulz [2001]. In attesa del passaggio al nuovo software di automazione bibliotecaria che permetterà una gestione delle RER attraverso l'adozione di standard internazionali (es. OpenURL), la nostra biblioteca ha preparato un semplice database ricercabile attraverso un modulo web che riunifica tutti i periodici elettronici in abbonamento ad accesso riservato ai nostri utenti. Ci aspettiamo che questo servizio ne incrementi notevolmente l'uso (si veda il nostro sito, già citato, alla voce "Risorse elettroniche > Ejournal").

11. La fine prematura di molti dei periodici elettronici dell'età "pionieristica" di Internet è descritta, con la consueta vis polemica, da Walt Crawford [2001], il quale ci offre una ben triste immagine dell'Internet attuale dominata dai grandi gruppi editoriali: l'uso della sigla $TM che richiama ironicamente la nota categoria dei periodici STM (scienze, tecnologia e medicina) lascia ben intendere l'opinione dell'autore circa i costi esorbitanti cui sono sottoposte le biblioteche per garantire l'aggiornamento scientifico ai propri utenti. Un'eccezione è rappresentata dai periodici di biblioteconomia e scienza dell'informazione, particolarmente prolifici: un'analisi approfondita di questo particolare settore è presentata da Hawkins [2001].

12. Fra gli altri si veda Gargiulo [2000]. Per un costante aggiornamento sulla letteratura professionale su questi argomenti trovo molto utile il repertorio su Web a cura di Bayley [2001].

13. Per una critica feroce dell'impact factor si veda Figà Talamanca [2000].

14. Tammaro [2001].

15. Non dimentichiamo che accanto alle RER le università dovrebbero essere in grado di offrire tutta un'altra serie di documenti digitali prodotti al loro interno (letteratura grigia, materiali per i corsi, etc.) possibilmente in un'unica applicazione di facile uso per gli utenti. A titolo di esempio si veda Allectra, il sistema fatto in casa dall'Università di Calgary, descritto da Pearce [2001]. Su questo argomento è suggestiva l'ipotesi di un open public access catalogue recentemente formulata da De Robbio [2001b].

16. Questo e altri interessantissimi "numeri" si possono trovare su Lymann [2000].

17. Il 70% dei fondi delle biblioteche universitarie americane è destinato agli abbonamenti, il 20% a risorse elettroniche Luther [2001]. Per l'Italia questo e altri dati statistici sono di difficile reperimento a livello aggregato. A titolo di esempio, la Biblioteca di Ateneo di Milano Bicocca ha speso nel 2001 323 milioni di lire per basi di dati e 215 milioni per gli ejournals, per un totale di 538 milioni a fronte di uno stanziamento complessivo di 3 miliardi, gli abbonamenti alle 1.400 riviste a stampa ammontano a 724 milioni.

18. La paura da parte degli editori di perdere gli introiti garantiti dagli abbonamenti cartacei pare dominare lo scenario attuale. Ciò comporta il mantenimento di una politica commerciale che non incentiva le biblioteche alla dismissione degli abbonamenti. A volte gli editori hanno addirittura difficoltà ad accettare che le università disdicano gli abbonamenti a copie multiple della stessa rivista, sia al loro interno (la frammentazione dei sistemi bibliotecari delle università italiane ha sempre rappresentato una ghiotta opportunità di guadagno per editori e intermediari), sia fra i partecipanti a consorzi.

19. Secondo Chen [2001] si può prevedere che la doppia opzione (stampa e online) resterà a disposizione delle biblioteche per i prossimi dieci anni, anche se non è prevedibile l'andamento dei prezzi e la convenienza nella scelta fra i quattro modelli attualmente disponibili e quelli che nasceranno in futuro. C'è poi il grosso problema della conservazione dei periodici elettronici: molte biblioteche continuano a preferire le riviste a stampa così da garantirsi per il futuro l'accesso alle annate pregresse. Paradossalmente la carta pare essere il mezzo più efficace e sicuro, per le biblioteche, per conservare le proprie collezioni. Sui problemi della conservazione si veda Flecker [2001].

20. In modo molto grossolano possiamo dividere in tre grosse categorie l'offerta attuale dei periodici elettronici:

  • pacchetti di grossi editori (es. Elsevier, Academic, Springer, Kluwer, Blackwell etc.),
  • pacchetti di società scientifiche (IoP, AIP, APS, ACM, etc.),
  • sottoscrizioni a singoli titoli (Nature, Science etc.).

    21. Recentemente in Italia molte trattative vengono condotte in maniera congiunta dal cosiddetto CCC (CILEA, CIPE, CIBER, tre consorzi che comprendono gran parte delle università italiane). Stranamente nell'ultima versione, 10 dicembre 2001, del documento CONSIP circa le iniziative pilota relativi ad acquisti di periodici elettronici si perde il riferimento ai consorzi, presente invece nella versione del 28 settembre 2001.

    22. Su questo apparente "ricatto" editoriale si vedano i recenti articoli, molto incisivi, di Frazier [2001] e Bell [2001].

    23. Personalmente ritengo che in alcuni casi i costi superiori dovuti alla commissione praticata dall'intermediario siano comunque compensati da un servizio più efficace e dal risparmio su costi "nascosti" (per tutti il personale interno). Solo chi lavora sul campo si può rendere conto di quanto tempo (e denaro) si perda nella risoluzione delle "grane" con editori e fornitori. Ebbene se la scelta dell'intermediario è stata fatta tenendo conto delle caratteristiche di qualità e non soltanto dei fattori di risparmio di fatto tali costi si abbattono. C'è poi un aspetto strettamente finanziario che non va sottovalutato: il ricorso all'intermediario permette alle biblioteche di dilazionare i pagamenti nel corso dell'anno, in genere a ricevimento dei fascicoli cartacei, cosa non praticabile a fronte delle richieste degli editori di pagamento anticipato. Spesso sono quindi gli intermediari a "scoprirsi" per centinaia di milioni, a tutto vantaggio delle biblioteche.

    24. Sul DD come soluzione praticabile si veda Tammaro [1999].

    25. È di pochi mesi fa la presentazione ufficiale in occasione di Bibliocom 2001 del Gruppo Interuniversitario sul Monitoraggio dei Sistemi Bibliotecari di Ateneo (GIM), coordinato dall'Università di Padova, che potrebbe contribuire efficacemente alla maturazione di questi temi a livello nazionale.

    26. Lo stato dell'arte a livello internazionale ed alcune originali considerazioni sulle prospettive della misurazione delle RER sono forniti da Galluzzi [2001]. Un interessante tentativo di adattare agli e-journal, ampliandolo, il metodo di analisi statistica usato per i periodici a stampa è descritto da Degener [2001]. Può essere utile consultare il rapporto annuale 2000 sull'uso delle collezioni, naturalmente digitali, della California Digital Library a cura di Lack [2001].

    27. Si veda ad esempio la formula usata da AIP/APS sulle pagine delle proprie statistiche d'uso: "We caution that there are currently no industry standards for online usage metrics, and information from various publishers may not be comparable. The data in these reports provides only a partial picture of online usage. Any comprehensive usage report should include measures of the total usage of the journal in all formats (i.e., online, print, CD-ROM, microform, etc.)". In altre parole si verifica quello che fino a poco tempo fa accadeva, ad esempio, per le tariffe telefoniche la cui comparazione fra gestori diversi era di fatto impossibile.

    28. È del dicembre 2001 l'edizione rivista delle Linee guida dell'ICOLC [2001] che definiscono i requisiti minimi dei dati da raccogliere e cercano di definirli sgombrando il terreno da ambiguità di interpretazione. Non è sempre facile infatti per i bibliotecari districarsi fra numeri di sessioni (login), ricerche (query, search), selezione da lista (browse), documenti full text (unit).

    29. Un esempio di misurazione degli e-journal è riportato da Mercer [2000] che riferisce dell'esperienza fatta dalla Washington University School of Medicine.

    30. Una delle descrizioni più dettagliate di misurazione delle RER in Italia è quella di Gardois [2001] riferita al Dipartimento di scienze pediatriche dell'Università di Torino. L'interpretazione combinata dei file di log e dei dati forniti dai produttori e fornitori (Ovid ed Ebsco nel caso specifico) potrebbe rappresentare un valido aiuto per i bibliotecari chiamati a prendere decisioni strategiche.

    31. Luther [2001] ha intervistato bibliotecari ed editori sull'argomento nel tentativo di definire dei modelli cui riferire i casi reali. Nel Libro Bianco vengono evidenziati molti aspetti critici della misurazione delle RER, come, solo per dirne alcuni, la necessità di interpretare il comportamento degli utenti (ad es. è risaputa la predilezione dei ricercatori per il browsing delle testate ritenute fondamentali per la loro disciplina e l'uso del searching da parte degli utenti generici o non esperti della materia), o la difficoltà di analisi dei files di log, o ancora il problema della privacy dell'utente che potrebbe essere violata da rilevazioni statistiche che lo possano identificare attraverso login/password o indirizzo IP di provenienza.

    32. De Groote [2001]

    33. Un'altra conseguenza, apparentemente marginale, della disaffezione degli utenti per le risorse a stampa che inciderà sempre più sull'organizzazione delle nostre biblioteche è rappresentata dalla diminuzione della presenza fisica degli utenti stessi in biblioteca. Per questi aspetti si veda Carlson [2001].

    34. Due esempi di questionario all'utenza sull'uso degli e-journal sono descritti da Woodward [1998] e Rusch-Feja [1999].

    35. In sintesi possiamo dire che i rispondenti che dichiarano di fare uso delle risorse elettroniche sono quasi il 70%; si può notare un giudizio altissimo sull'utilità delle risorse (4,64 nella scala di Likert da 1 a 5) e, tuttavia, una scarsa soddisfazione, anche se superiore a 3 (3,34), sul livello di completezza delle stesse. Anche l'assistenza fornita dai bibliotecari è stata percepita come molto soddisfacente (4,11). Il voto medio più basso (3,3) è stato dato all'efficacia delle schermate di aiuto. Vedi anche: Web based methodologies and techniques to monitor electronic resources use in university libraries / Marisa Civardi, Walter Maffenini and Emma Zavarrone. In: ICIS 2002 : the International conference on improving surveys, 25-28 August 2002, Copenhagen <http://www.icis.dk/ICIS_papers/D2_5_3.pdf> [in formato PDF, 48 Kbyte].

    36. Per il momento la diffusione dei libri elettronici è ancora scarsa nelle nostre biblioteche, ma c'è da scommettere che i problemi per "quelli che le risorse elettroniche..." non saranno inferiori (formati proprietari, hardware, copyright, modelli commerciali che riproducono quelli del print on demand, in pratica 1 utente = 1 copia, etc.). Sull'argomento si veda Snowhill [2001].

    37. Cambiano, ma restano pur sempre bibliotecari, direbbe Stephen King: "... questi indossava semplici camicie bianche e calzoni di colore anonimo acquistati da Penney e sedeva in un box di lettura alla biblioteca dell'Universita' del Maine, a scrivere sulle origini delle note a pie' di pagina e dei possibili vantaggi della numerazione ISBN nella catalogazione dei libri, mentre fuori marciavano i dimostranti e Phil Ochs cantava "Richard Nixon trovati un'altra patria" e c'erano uomini che morivano con lo stomaco squarciato in villaggi con nomi che non sapevano nemmeno pronunciare; lui sedeva assorto nel suo lavoro di studioso (Bill lo vedeva), illuminato da un raggio obliquo di frizzante luce bianca invernale, con il volto disteso e attento, cosciente che nessun essere umano più di un bibliotecario si ritrova a sedere sul motore dell'eternità. (Stephen King, IT, trad. it., Sperling Paperback, p. 532.).

    38. Devo ammettere di essere stato piacevolmente colpito, forse perchè "mi ci sono ritrovato" alla perfezione, dalla descrizione che del bibliotecario, e delle sue nove vite, ha fatto recentemente Brunella Longo [2001].


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    Grazie a Roberta Bassetti, che gestisce le RER della nostra biblioteca, per i suggerimenti che mi ha dato durante stesura di questo articolo. Grazie a tutto lo staff della biblioteca per lo spirito con cui affronta il cambiamento. Giorno dopo giorno.


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