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La separazione

Un racconto

di Massimo Gatta


Questo testo, nato dalla lettura del recente saggio di Paola Puglisi "Sopraccoperta" (Enciclopedia tascabile 22, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2003), ha per "protagonisti" il volume di Giuseppe Marotta "Mal di Galleria" (Milano, Bompiani, 1958) e la bella sopraccoperta disegnata da Riccardo Manzi nel 1958, che ritrae l'interno della Galleria milanese.

È stato pubblicato anche a stampa in "L'Esopo: rivista trimestrale di bibliofilia", n. 97-98 (maggio-giugno 2004), p. 85-89, con il titolo "La separazione degli amanti".



...e fu all'improvviso che si svegliò, turbata da quel sogno ricorrente. Tutti quei libri bruciati nelle piazze, l'acre fumo e il grigio delle uniformi, i volti eccitati e quel bagliore sinistro. E poi la scena straziante delle madri separate a forza dai figli all'ingresso dei campi di sterminio, Arbeit macht Frei, ma quale libertà può esistere nel dolore. Non capiva perché sognasse ormai sempre quelle stesse, terribili, cose.

A fatica uscì dalla busta trasparente dove viveva e si adagiò sul fondo candido del raccoglitore, nel primo chiarore dell'alba che filtrava a stento dalle brutte finestre dell'Ufficio. Non capiva il perché di quei sogni che le spezzavano il respiro e l'immalinconivano ancora di più.

Erano rimasti uniti fin dagli anni '50. Si conobbero esattamente il 30 settembre 1958 dall'editore Bompiani, in via Senato 16 a Milano, grazie allo scrittore Giuseppe Marotta, che li fece incontrare. Lei allora era una giovanissima sopraccoperta, allegra e spensierata nei vivaci colori, nei tratti sottili e mossi (che ricordavano un po' quelli di Steinberg) che Riccardo Manzi aveva saputo così ben dosare per quell'interno della Galleria milanese, popolata da mille figure minute. E poi aveva avuto il privilegio di una bella lettera di Leo Longanesi riprodotta che l'ornava all'interno.

Lui poi era un bel tomo forse un po' troppo rigido e formale nel chiarore dell'incarnato che dava sul miele, senza particolari segni tranne una piccola stella nera sulla fronte, ma pieno zeppo di parole. Insieme si completavano e, soprattutto in Galleria, era un piacere vederli uniti, stretti nelle mani di qualcuno. Ma Milano, allora, era diversa.

Mai un litigio, una discussione. Sempre insieme, da una casa all'altra, da una libreria all'altra, da uno scaffale all'altro. Di mano in mano, sorridendo incontro alla vita, in un tripudio di parole e di colori. All'epoca, almeno in Italia, non si poneva ancora la questione del divorzio. E nella loro gioventù abbagliante non erano certo consapevoli di ciò che il futuro stava riservando loro.

Quando si separavano, per qualche necessità di lettura, ciò non durava mai a lungo. Lei non vedeva l'ora di tornare a stringere il suo corpo solido e profumato. Rimaneva in attesa di tornare a lui, distesa sul bordo del divano. E lui si lasciava fasciare da quelle alette sottili e delicate. Le separazioni sembravano riguardare solo gli altri. Molti loro amici, soprattutto all'estero, vivevano in quell'incubo. Ma in Italia, per fortuna, non si pensava ancora a questo. C'era altro a cui pensare. Figuriamoci se si perdeva tempo a decidere se andavano o meno separati i libri dalle sopraccoperte! Questioni cavillose che i bibliografi e bibliotecari nostrani lasciavano tranquillamente ai loro colleghi americani, inglesi, tedeschi. I francesi, poi, questo problema non se lo ponevano proprio visto che i loro libri erano per lo più in brossura.

Le persone che si presero cura di loro, nelle tante case nelle quali abitarono, riuscirono a preservare quella unione, cercando di fare meno danni possibili. Lei, molto più fragile di lui, era sempre a rischio di ferirsi, di lacerarsi, di macchiarsi. In fondo era lei che proteggeva lui e quindi per lei i rischi erano maggiori. Grazie alle cure amorose, riuscì a conservare sempre un aspetto fresco e giovanile; anche quei colori, negli anni, subirono poco l'assalto del tempo. E il suo volto conservava, con somma eleganza, quel disegno originario. Lui, poi, sembrava ancora quello del '58, meno solido e aitante forse, e un po' più incurvato e macchiato dagli anni, ma in fondo conservava sempre il fascino austero di un tempo e lo si leggeva sempre con interesse.

Un giorno le ultime persone che fino ad allora si erano prese cura di loro improvvisamente morirono. La casa fu occupata da nuovi inquilini, più pratici e meno sentimentali. Insieme ad altri amici furono letteralmente scaricati, abbandonati al loro destino. I tempi erano cambiati e anche il rispetto per gli anziani. Finirono tra i rifiuti, e lei ancora una volta cercò di proteggerlo.

Rimasero così per qualche giorno, stretti, chiusi in uno scatolone umido e maleodorante. Poi, una mattina, furono notati da una giovane donna. I suoi occhi si intenerirono e li raccolse. A casa li asciugò, li ripulì, guarì loro qualche taglio. Ma era lei, la sopraccoperta, ad avere più bisogno di aiuto. La donna si vedeva che era esperta in queste cose. La toccò con estrema cura, l'accarezzò, separandola da lui solo per un istante.

Era il 1992. Sospeso da lungo tempo in Biblioteca il vecchio "Ufficio archiviandi", il destino per queste "coppie di fatto" era ancora incerto e confuso. Seppero per caso di un vecchio articolo di trent'anni prima scritto da un certo Barbiere o Barberi che indirettamente si occupava anche di loro. Riuscirono a procurarselo e lessero, entusiasmandosi, che costui si batteva perché non venissero separate, o addirittura distrutte, le sopraccoperte dei libri e che anzi fossero amorevolmente conservate nelle biblioteche. Ciò li fece ben sperare.

Alla Biblioteca nazionale di Roma si era intanto costituito il nuovo "Ufficio pubblicazioni minori" e in esso furono portati in attesa di ulteriori decisioni. Quel periodo fu abbastanza triste. Praticamente non vedevano mai nessuno. Rimasero circa due anni in quelle stanze senza sapere quale sarebbe stato il loro destino. Temevamo che qualcuno li potesse separare e addirittura lei temette di essere soppressa, nonostante quanto ricordava di quello scritto di Barberi.

Fu proprio in quel periodo che iniziò ad avere quegli incubi atroci.

Avevano poi saputo che a Firenze molti loro amici, nelle stesse condizioni, rimanevano invece uniti per sempre. Desiderarono ardentemente di vivere in quella meravigliosa città, dove nessuno avrebbe mai interrotto il loro legame simbiotico. Ma ormai non avevano più la forza, né la voglia, di spostarsi e lasciarono che le cose andassero come dovevano.

A Roma, in quell'Ufficio, seppero indirettamente che li avrebbero separati. Passavano per quelle stanze anche molte coppie straniere, ma non tutte venivano separate. Il criterio era molto selettivo: si trascorreva ancora uniti tutto il periodo dell'iter attraverso la biblioteca e solo dopo aver ricevuto quella che veniva indicata come "collocazione" si veniva separati. Sperarono che l'iter durasse anni, ma poteva durare anche solo un giorno!

E fu allora, dopo che una donna energica gli scrisse sopra LLL.733.MAS, che lui fu costretto ad abbandonarla, dirigendosi verso il "Magazzino", la sua nuova casa. Non ebbe la forza di voltarsi, di aprirsi. I lunghi corridoi aumentavano quel senso irreparabile di solitudine, di malinconia, di vuoto. E per la prima volta in vita sua si sentì nudo, vulnerabile e solo su quel gelido carrello di ferro.

Lei invece, quasi subito, fu portata nel nuovo "Ufficio pubblicazioni minori", che non aveva mai visto prima. Era arioso e abbastanza luminoso, con pochi tavoli disposti a spina di pesce. Fu fatta distendere in una busta di plastica trasparente, sistemata poi in un apposito raccoglitore, separata da altre amiche da un sottile foglio di carta bianca, secondo strani criteri quali l'anno di nascita, il nome, le misure. Questo per "facilitare la consultazione", come le dissero. Non capiva quelle parole e si sentì morire all'improvviso.

La separazione dal suo amante fu un trauma e un tormento che durò mesi. Ciò che aumentava il suo senso di impotenza era la solitudine profonda, muta. Rimaneva per lunghi periodi in quella posizione supina, scomoda e innaturale, senza che nessuno la sfiorasse, la guardasse, senza il minimo contatto umano e senza che lei sfiorasse nulla e nessuno. In quella stanza erano ammessi pochi, selezionati studiosi, e ciò aumentava il suo senso di vuoto e di non "appartenere" più a nessuno. Si sentì inutile e, per la prima volta in vita sua, solo una "sopraccoperta oggetto" da guardare, come altri dicevano ad esempio "donna oggetto".

Non aveva più saputo nulla di lui, dove fosse finito, in quale piano, su quale scaffale, e soprattutto come stesse, cosa pensasse senza di lei.

Poi si ricordò all'improvviso che anche su di lei avevano "tatuato" lo stesso numero che aveva lui (ciò le ricordò per un attimo i suoi incubi, associando quel numero a quelli ben più terribili che gli ebrei avevano tatuato sul braccio); lo cercò trovandolo all'interno del suo corpo, proprio sotto la lettera riprodotta di Longanesi, di cui tanto era orgogliosa. E fu allora che sperò ardentemente che un giorno qualcuno, per una ricerca comparata e più completa o per semplice curiosità, richiedesse oltre a lei anche il suo antico e inseparabile compagno. Quel giorno si sarebbero riuniti, anche solo per un attimo.

E fu questo pensiero a farle compagnia nei lunghi anni di solitudine che seguirono.
 


Copyright AIB 2005-01-28, ultimo aggiornamento 2005-01-28, testo di Massimo Gatta, a cura di Claudio Gnoli.
<https://www.aib.it/aib/contr/gatta1.htm>

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