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Albo professionale dei bibliotecari italiani

di Alberto Petrucciani


Al Congresso di Genova avremo a portata di mano un traguardo storico, perseguito da generazioni di bibliotecari e finora sempre sfumato: l'istituzione di un albo professionale.
é importante rendersi conto, però, che il progetto che verrà discusso e posto in votazione a Genova si inscrive in un quadro nuovo per il nostro paese, quello delineato da varie direttive europee degli anni Novanta e fatto proprio dal Governo italiano, anche per sollecitazione dell'Antitrust, proprio in questi mesi. Il tradizionale "modello italiano" delle professioni, come si sa, è basato su ordini professionali obbligatori e unici, istituiti con legge dello Stato, che in pratica si sono rivelati strutture burocratiche e chiuse, impegnate più nella difesa corporativa di interessi particolari che in funzioni di effettiva tutela e garanzia per il pubblico. La ragione degli ordinamenti professionali, ribadita dall'Antitrust e dal recentissimo disegno di legge delega del Governo, è invece soprattutto quella di garantire la qualità di prestazioni complesse, che richiedono una adeguata formazione e capacità di giudizio, possono comportare dei rischi, e non si prestano quindi ad essere affidate semplicemente alla valutazione "di mercato" del cliente.
Il "modello europeo", a cui si ispirano il nostro progetto (che ha come principale punto di riferimento l'albo della Library Association britannica, già riconosciuto a livello di Unione Europea) e i provvedimenti legislativi annunciati in febbraio dal Governo, è basato invece su una più moderna distinzione di ruoli fra la società civile e lo Stato, che lascia alla prima l'iniziativa riservando al secondo soltanto una funzione di controllo e garanzia a posteriori.
La formazione di albi ed elenchi viene lasciata all'iniziativa delle libere associazioni professionali, sollecitate ad assumere un ruolo maggiore anche nella formazione e nel tirocinio. Lo Stato interviene poi a riconoscere le forme di certificazione professionale istituite da un'associazione per i propri membri, quando ricorrano una serie di circostanze: il rilievo sociale delle attività svolte, la rappresentatività dell'associazione nel suo settore e il suo ordinamento democratico e trasparente, la serietà ed affidabilità delle procedure di certificazione stesse, l'effettivo controllo delle prestazioni svolte dai soci certificati (verifiche periodiche ed eventuali procedimenti disciplinari), l'esistenza di garanzie – da un codice deontologico fino a forme assicurative – per il fruitore delle prestazioni. Va sottolineato ancora che non è più lo Stato a definire l'ordinamento di ciascuna professione, per tutti, bensì sono le singole associazioni, entro una cornice di criteri generali, a promuovere e gestire le attività di certificazione, se intendono farlo, senza alcuna pretesa di esclusività e soltanto per coloro che vi aderiscono e che desiderano acquisire un certo titolo.
Salvo in pochissimi campi – come quello della salute – nei quali i rischi di una prestazione inadeguata sono socialmente inaccettabili, l'iscrizione a un albo non viene considerato requisito sempre indispensabile per operare in un dato settore. Piuttosto, si parte dal principio che possano esistere professionisti certificati (anche da più associazioni e con criteri diversi, purché riconosciuti validi) e operatori non certificati: saranno poi sia le dinamiche del mercato sia provvedimenti specifici a promuovere il ricorso ai primi piuttosto che ai secondi. Si tratta, in fondo, di una logica simile a quella degli standard, che ci è familiare: l'adozione o il raggiungimento di un certo standard non sono di solito obbligatori, ma spesso diventano dei requisiti di fatto. Per fare qualche esempio, sicuramente prematuro ma indicativo, la presenza di bibliotecari certificati potrebbe essere adottata come requisito per l'affidamento di prestazioni ad aziende di servizi o per l'ammissione a reti cooperative regionali o territoriali (e ai relativi finanziamenti).
In questo quadro, l'istituzione di un albo non è quindi un'inverosimile panacea, ciò che porta la nostra professione in un sol colpo dall'inferno al paradiso, bensì un passo importante, indispensabile e alla nostra portata, in un percorso che non finisce lì. Se compiremo questo passo a Genova, dovremo subito dopo impegnarci per avviare rapidamente le procedure di certificazione per i soci e quelle del riconoscimento giuridico.
Soggetto di questo percorso è la nostra Associazione professionale, una associazione privata, libera e democratica, che si dà le proprie norme e si assume la responsabilità di definire la professione stessa, le condizioni per un suo esercizio competente e responsabile, i suoi principi deontologici. All'Associazione, quindi, viene chiesto di "diventare maggiorenne", di passare da un ruolo di stimolo – spesso inascoltato – a un'effettiva assunzione di responsabilità: una grande sfida, all'altezza della società aperta, società dell'informazione e della conoscenza, del prossimo millennio.


PETRUCCIANI, Alberto. Albo professionale dei bibliotecari italiani. «AIB Notizie», 10 (1998), n. 3, p. 1-2.
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Copyright AIB, ultimo aggiornamento 1998-04-09 , a cura di: Andreas Zanzoni