[AIB]AIB Notizie 5/2002
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A metà degli anni Sessanta...

di Dario D'Alessandro

A metà degli anni Sessanta quando frequentavo a Parma la Facoltà di giurisprudenza, l'università istituì, per noi studenti prossimi alla laurea, un servizio sperimentale di guida all'inserimento nel mondo del lavoro avvalendosi della consulenza di un giovane psicologo piemontese che avrebbe poi fatto una brillante carriera. Questi dopo due colloqui mi disse: «Penso che gli sbocchi professionali a lei più familiari potrebbero essere l'avvocatura, o la magistratura, o il giornalismo, ma non escluderei altre strade, soprattutto nella ricerca e nell'informazione».

Sull'ultimo punto lo psicologo aveva ragione: infatti sono divenuto bibliotecario. Oggi, dopo trent'anni, se mi si offrisse una seconda possibilità non avrei alcun dubbio: sceglierei una sola opzione, quella del bibliotecario.
So che non a tutti accade di sentirsi gratificati dal proprio lavoro. Nella finzione cinematografica ove - com'è scritto nei titoli di coda - ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale, gli esempi non mancano nell'uno o nell'altro verso.
I casi in negativo si registrano segnatamente tra i bibliotecari. Nel film La famiglia di Ettore Scola (Italia, 1986), c'è il personaggio di Paolino (Ricky Tognazzi) che alla futura moglie che gli chiede quale sia la sua occupazione risponde: «Lavoro alla Biblioteca Alessandrina, ma più che altro faccio tante altre cose». Né se la passa meglio Marco (Marcello Mastroianni) che in Il nemico di mia moglie di Gianni Puccini (Italia, 1959), è costretto dal padre Ottavio (Vittorio De Sica), direttore dell'Angelica, a lavorare in biblioteca contro la sua volontà.
Una costante su cui insistono i registi è l'insoddisfazione di chi presta servizio nelle grandi biblioteche. Ciò accade anche nella New York Public Library sia in Buttati Bernardo di Francis Ford Coppola (USA, 1966), sia in Un poliziotto fuori di testa di Michael Dinner (USA, 1988), ove due giovani addetti al prelievo dei libri lavorano spostandosi su pattini a rotelle. Il primo si ribella rubando una Bibbia di Gutenberg, il secondo lascia la NYPL ed entra nel NYPD per star vicino ad una bella poliziotta.
Le donne, nel cinema, appaiono più attaccate alla professione. Nel film La mummia di Stephen Sommers (USA, 1999), la protagonista esclama: «Non sarò un'esploratrice, o un'avventuriera, o una cercatrice di tesori, o una campionessa con le armi, però sono molto fiera di essere me stessa... sono una bibliotecaria!». Fiera è pure la bella Rene Russo che in Major League - La squadra più scassata della lega di David S. Ward (USA, 1989), veste i panni di un'ex atleta divenuta bibliotecaria che apostrofa il suo ex fidanzato dicendogli di aver chiuso col passato: ora i libri sono la sua vita.
Ma forse lo stereotipo del bibliotecario frustrato è nelle trasposizioni delle memorie di Giacomo Casanova che troviamo in alcune scene del film Il mondo nuovo di Ettore Scola (Francia/Italia, 1982) e ne Il Casanova di Federico Fellini (Italia, 1976). In ambedue i film il protagonista dice: «Da più di sei anni vivo in Boemia nel castello di Dux. Faccio il bibliotecario al conte Waldstein». E nel primo aggiunge: «In realtà sono una specie di buffone di corte soggetto alle angherie della servitù che mi manca di rispetto, che mi insulta». Nell'edizione felliniana assistiamo però ad un momento di assoluto lirismo che ha come protagonista un bibliotecario. Infatti l'unica scena in cui Casanova è in biblioteca è alla fine del film. Lui è lì, con i suoi libri, ed inizia un sogno, bellissimo: è l'ultimo della sua vita.

biblioteca@provincia.pescara.it

D'ALESSANDRO, Dario. A metà degli anni Sessanta.... «AIB Notizie», 14 (2002), n. 6, p. 14.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2002-06-26 a cura di Franco Nasella
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