[AIB]AIB Notizie 06/2004
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La riforma del Ministero per i beni e le attività culturali
I beni librari nel regolamento di organizzazione del ministero

Anna Maria Mandillo

Alla costituzione del Ministero segue ora il regolamento di organizzazione dell’amministrazione centrale e periferica.

Siamo al penultimo atto della riforma che colpisce il ministero,dico colpisce, perché ormai ogni due anni, quasi come un castigo, arrivano cambiamenti che tendono a peggiorare piuttosto che a migliorare l’amministrazione dei beni culturali in Italia. Alla costituzione del nuovo ministero (con il decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3) segue ora il regolamento di organizzazione dell’amministrazione centrale (capo I), degli organi consultivi centrali (capo II), dell’amministrazione periferica (capo III), per la quale verranno predisposti, come ultimo atto, i singoli regolamenti degli istituti e di tutte le strutture tecniche periferiche.
Così, alla fine, calerà il sipario su una situazione ormai seriamente compromessa: in futuro non sarà compito né facile né rapido ripristinare i principi e i valori fondamentali della tutela dei beni culturali, riportare gli interessi pubblici in primo piano, ridare nuova fiducia alle professionalità tecniche nello svolgimento del loro lavoro.
Attualmente la costruzione burocratica,ingigantita, del ministero peserà come un macigno sul funzionamento e mortificherà sempre di più gli istituti e le strutture scientifiche sul territorio.
Per il settore delle biblioteche (ed archivi) è vero che si è ottenuto, nel decreto di riforma del ministero, di istituire il dipartimento apposito ( e ciò è avvenuto a seguito dei pareri favorevoli delle commissioni parlamentari e delle richieste del mondo della cultura) per evitare che biblioteche ed archivi andassero sommersi nell’unico dipartimento dei beni culturali, ma il rischio d’essere marginali, per i due settori è rimasto sempre in agguato e si manifesta ora di nuovo nel regolamento.
Già la denominazione assegnata nel decreto 3/2004, quella cioè di “dipartimento per i beni archivistici e librari” ( mentre l’altro dipartimento è intitolato ai “beni culturali e paessaggistici”), fa nascere qualche dubbio: ma i beni archivistici e librari sono o non sono anch’essi beni culturali? Dubbio che il regolamento non ha risolto.
Era sicuramente più corretto definire tutti i beni come beni culturali e poi differenziarli in storico artistici, architettonici..., come è stato fatto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 41). Ma questa, che potrebbe apparire in fondo una questione marginale, mette tuttavia in luce un atteggiamento costante degli organi politici e legislativi del ministero: quando trattano di beni librari e biblioteche sembrano ispirati sempre o dalla fretta o dal disinteresse.
Non possono essere perciò che una magra consolazione le parole del ministro Urbani, nell’audizione sul decreto alla Commisione cultura del Senato, quando, in risposta alle osservazioni dell’opposizione sul rischio di una funzione minore per archivi e biblioteche, ha detto che tale rischio non riguarda il settore delle biblioteche, «atteso il prestigio internazionale di queste ultime» (vedi resoconto parlamentare). Come questo prestigio internazionale possa essere mantenuto, grazie al regolamento di organizzazione del ministero, non è facile comprendere dal momento che il settore dei beni librari e delle biblioteche è davvero debole presenza in questo regolamento, che non va mai oltre un livello generale e generico di riferimento al settore. Sembra quindi, a leggere l’articolato, che non sia emersa la necessità di conoscere in modo approfondito le specificità e i compiti che, a livello nazionale,dovrebbero essere posti in evidenza nel delineare l’organizzazione del ministero.
Penso ai servizi bibliografici e bibliotecari nazionali, inseriti la prima volta in dirittura finale nel decreto 368/1998, dopo una battaglia delle associazioni professionali, fatta nella speranza di sviluppare intorno a questi servizi una più ampia trattazione nei regolamenti successivi. Speranza che finora è andata delusa.
Si trattava in sostanza di definire e far emergere i compiti e le funzioni delle biblioteche,in particolare delle due Biblioteche nazionali centrali di Firenze e Roma in relazione all’esigenza, ormai matura nel settore, di istituire piuttosto una Biblioteca italiana nazionale, articolando tra le due esistenti i compiti che sono propri di tutte le biblioteche nazionali nel mondo, per raggiungere finalmente una gestione più efficiente ed adeguata ai tempi di grande sviluppo tecnologico che stiamo vivendo.
Riassumo i compiti più volte ricordati e noti ormai anche ai non addetti ai lavori e che sono oggetto di esame attento nelle legislazioni di altri paesi europei (ad esempio in Francia):
- raccogliere e conservare nel tempo l’archivio della produzione editoriale nazionale mediante la legge del deposito legale.
Per produzione editoriale si intende attualmente la produzione di opere su una molteplicità di supporti, che va oltre i libri e comprende anche i prodotti digitali offline e online, con delicati problemi da risolvere per la loro raccolta e conservazione soprattutto per i prodotti diffusi soltanto in rete (Internet);
- produrre strumenti bibliografici adeguati a descrivere e far conoscere rapidamente e correttamente le opere dell’archivio nazionale, mediante soprattutto la pubblicazione e diffusione della bibliografia nazionale e di altre forme di documentazione;
- organizzare e potenziare i servizi al pubblico a livello nazionale assicurando la più ampia circolazione delle informazioni e l’agevole accesso alle opere, qualsiasi sia il loro supporto;
- gestire la normativa del diritto d’autore (applicazione e monitoraggio delle direttive europee in particolare), soprattutto per le opere digitali, ispirando l’azione a criteri di giusto equilibrio tra gli interessi del pubblico (degli utenti) e quelli degli autori editori e produttori.
Nel regolamento non appare però alcun disegno di una possibile futura organizzazione delle strutture nazionali deputate a tali servizi, anche soltanto per nominarle e rinviarne poi la trattazione definitiva ai successivi regolamenti di secondo o terzo livello. Il problema delle due biblioteche nazionali centrali e dell’articolazione dei loro compiti, anche in rapporto all’Istituto centrale per il catalogo unico (ICCU), resta insoluto dal 1976, dai tempi del ministero Spadolini. Nel regolamento,è vero, sono attribuiti alla direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali, «i servizi bibliografici e bibliotecari nazionali», ma questi continuano, dal decreto 368/98, a essere citati come una sorta di formula magica, che rischia però di rimanere una scatola vuota.
Inoltre, con molta leggerezza, a mio parere, è stato affrontato nel regolamento il ruolo degli istituti centrali creando tra questi una non giustificata discriminazione.
È da osservare che agli istituti centrali, tutti indistintamente, sono confermati, nel decreto 3 /2004 che ha rinnovato il ministero, i compiti già previsti nel d.P.R. 805/75, dove in particolare sono evidenziati i compiti comuni di ricerca, nel campo della catalogazione e conservazione, possibilmente da svolgere concordemente.
Inoltre, all’Istituto centrale per la patologia del libro e all’Istituto centrale del restauro è stata data, con il decreto 368/98, la possibilità di istituire scuole di alta formazione e di studio (per le quali per altro non si è ancora arrivati ad una definitiva regolamentazione).
Su questa base normativa è ora intervenuto il regolamento che ha posto nell’ambito del dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione gli istituti centrali del restauro, dell’opificio delle pietre dure, della patologia del libro, del catalogo e documentazione.La motivazione indicata nel testo è la seguente: perché questi istituti hanno «funzioni di alta formazione e ricerca».
Questa scelta presenta, a mio parere, dei rischi che vanno valutati: può voler dire che, se questi sono gli istituti che fanno ricerca, gli altri possono essere automaticamente declassati, perché molto disinvoltamente si è deciso che essi non svolgono compiti di ricerca, nonostante il richiamo al d.P.R. 805/75. Per ora comunque questa scelta riguarda soprattutto l’ICCU, visto che l’Istituto centrale per gli archivi deve ancora nascere. I due istituti non sono neanche nominati in questo regolamento e dovranno quindi attendere quelli successivi per conoscere la loro sorte.
Una riflessione maggiore è a mio parere necessaria per mettere a confronto opinioni diverse e motivate (vale la pena ricordare,ad esempio, che non a caso l’ICCU figura da molti anni nel rilevamento degli istituti di ricerca svolto ogni anno dal CNR e dall’ISTAT).
Il dibattito dovrebbe pertanto aprirsi non solo tra i bibliotecari, dei quali comunque mi piacerebbe sentire chiara e forte la voce, per discutere sull’opportunità o meno di separare gli istituti centrali, o sull’ipotesi, preferita da alcuni, di tenere l’ICCU e il costituendo istituto centrale per gli archivi ancorati al settore specifico. In questo caso dovrebbero afferire al dipartimento per i beni archivistici e librari, privilegiando il rapporto di scambio e di arricchimento che verrebbe loro da uno stretto legame con archivi e biblioteche.
Infine, altro argomento non meno importante, sul quale far sentire la nostra voce, è quello della necessità, sia che gli istituti siano uniti o separati,di confermare e rafforzare l’autonomia della quale già godono e di meglio evidenziare i compiti di studio, di ricerca nelle specifiche materie di competenza, compiti che vanno a tutto vantaggio dell’intera opera di diffusione di standard e di linee di indirizzo spettante al ministero
Un altro problema emerge per le biblioteche: poiché il coordinamento sul territorio è anche una necessità per le biblioteche pubbliche statali per i molteplici programmi di cooperazione ed accordi esistenti e futuri con le Regioni e gli altri enti ed istituzioni territoriali, resta il dubbio se questa funzione possa essere compresa nell’ambito dei compiti dei comitati regionali di coordinamento o debba essere ricondotta al direttore generale di settore o al capo dipartimento. I comitati regionali, a leggere l’articolato, esprimono pareri a richiesta del direttore regionale su ogni questione di carattere generale concernente la materia dei beni culturali ed è quindi più probabile che possano intervenire solo su tematiche intersettoriali e su progetti comuni riferiti alle diverse tipologie di beni culturali.
Gli altri motivi di preoccupazione, se si guarda alla costruzione piramidale del ministero, sono di carattere generale e accomunano le biblioteche agli altri settori: solo alla prova dei fatti potremo vedere l’esito dell’appesantimento gerarchico con il quale tutte le strutture tecnico-scientifiche dovranno fare i conti. Il rischio naturalmente è quello di peggiorare in lentezza, in difficoltà e in ostacoli il lavoro quotidiano.
I livelli gerarchicamente sovraordinati ai quali riferirsi sono, come abbiamo visto aumentati: il direttore generale, il direttore generale di staff, il capo dipartimento.
C’è anche il pericolo che competenze ed attività di questi organismi entrino in conflitto tra loro con conseguenze sempre più dannose per il funzionamento complessivo dell’amministrazione.
Nessuno più, mi sembra, conservi il ricordo lontano della struttura agile e prevalentemente tecnica che si immaginava per il ministero, al momento della sua prima istituzione con il d.P.R. 805/75, voluto da Spadolini.
Infine, a dimostrazione che tutti i punti di riferimento tecnici stanno per venire meno con questo regolamento, è significativa l’operazione condotta sul Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici e soprattutto sui Comitati tecnico scientifici: sono state ridotte nel numero le presenze tecniche, prevalgono i membri designati sugli eletti, i pareri in massima parte sono espressi solo e se c’è la richiesta del Ministro o dei capi dipartimento, alle riunioni dei comitati partecipano i capi di dipartimento, i direttori generali, i direttori regionali. Chi altro ancora è necessario per far sentire più “liberi” di esprimersi i membri dei comitati?
Si prefigurano, quindi, veri e propri consigli del re.
Cosa fare per l’immediato: non credo sia possibile ottenere cambiamenti di rilievo, ma è possibile tenere desta l’attenzione e monitorare le situazioni che si determineranno con questa riforma.
Il lavoro significativo deve svolgersi parallelamente e deve condurre alla costruzione, da qui a due anni, di una proposta significativa di modifica della gestione dei beni culturali, proposta di alto valore culturale, che deve essere condivisa non solo dagli addetti ai lavori, ma deve raggiungere e convincere soprattutto le forze politiche, le forze sindacali, gli ambienti della cultura,e i cittadini di questo nostro paese.
Alcuni segnali positivi già da qualche tempo dovrebbero farci ben sperare: appare infatti una maggiore consapevolezza sulle esigenze del patrimonio culturale pubblico ed un’attenzione non superficiale è rivolta da larghi strati dell’opinione pubblica ai problemi della tutela e dell’organizzazione dei beni culturali.

a.mandillo@iccu.sbn.it


MANDILLO, Anna Maria. La riforma del Ministero per i beni e le attività culturali. I beni librari nel regolamento di organizzazione del ministero. «AIB Notizie», 16 (2004), n. 6, p. 8-9.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2004-08-12 a cura di Franco Nasella
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