[AIB] AIB notizie 19 (2007), n. 1
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53° CONGRESSO NAZIONALE AIB "Le politiche delle biblioteche in Italia: la professione"

L’organizzazione della professione

Vanni Bertini

Dopo la sessione introduttiva della mattinata, con le relazioni del presidente dell'Associazione Mauro Guerrini e del segretario generale dell'IFLA Peter Lor, il Congresso è proseguito con la sessione plenaria del pomeriggio del 18, coordinata da chi scrive e dedicata al tema del lavoro e dell'organizzazione della professione.

L'argomento è attuale e complesso, e questo ha fatto sì che fosse stato previsto un programma assai denso, proprio per la necessità di coprire sia i diversi aspetti che i diversi punti di vista: erano stati invitati esperti esterni al mondo delle biblioteche, come il docente di sociologia del lavoro Patrizio Di Nicola, e il rappresentante del sindacato Francesco Sinopoli della FLC (Federazione dei lavoratori della conoscenza della CGIL); responsabili del lavoro e dell'organizzazione, sia privati come Gigliola Marsala (ASPIDI), che pubblici come Giulia Maraviglia (università) e Sergio Conti (biblioteche di ente locale); un membro del Collegio dei probiviri come Fausto Rosa, con lo scopo di esaminare quali conseguenze le trasformazioni in atto possono comportare nei confronti della deontologia professionale. Tramite i call for papers erano infine presenti le voci degli operatori privati e atipici (Stefano Bolelli Gallevi e Antonio Caroccia) così come quella dei bibliotecari del comparto scolastico.

Il lavoro in biblioteca sta cambiando profondamente, in questi ultimi anni, su due linee fondamentali, peraltro comuni anche ad altri settori: l'esternalizzazione, ossia l'affidamento di parti sempre più consistenti del servizio a personale che non dipende direttamente dalle amministrazioni pubbliche, e la precarizzazione, ossia l'adozione di forme contrattuali di vario tipo, che però hanno come comune denominatore la mancanza di sicurezza e di garanzia di continuità. Questi due aspetti sono fra loro interconnessi, anche se non si può dire che fra di loro esista una necessaria relazione di causa-effetto: non è cioè automatico il fatto che l'affidamento all'esterno debba comportare una minore sicurezza del posto di lavoro.
Tuttavia si sta consolidando una situazione molto grave, in cui emerge sempre di più il problema dello sfruttamento del lavoro dei bibliotecari atipici e privati. Nei giorni immediatamente precedenti a quelli del congresso, sulla lista AIB-CUR si è sviluppato un thread molto partecipato, dal significativo titolo "Prendere la gente per fame". Quindi la sessione si è svolta in un momento in cui i suoi temi risultavano di grande attualità ed erano animatamente dibattuti dalla comunità dei bibliotecari.

Da diversi anni ormai la struttura tradizionale del lavoro in biblioteca è stata sostituita da uno schema complesso, articolato su almeno 3 piani fondamentali: le amministrazioni pubbliche, le aziende di servizi (spesso ma non sempre cooperative), infine i bibliotecari, lavoratori non più pubblici ma sempre più dipendenti privati, spesso precari.
Spesso i lavoratori privati sono alle dipendenze dirette delle amministrazioni: i contratti di tipo precario possono cioè essere attivati sia dall'azienda che dall'ente pubblico.
In questa nuova situazione si sta modificando la professione e la percezione stessa della figura del bibliotecario. Essa richiede una riflessione profonda da parte dell'AIB, che rischia altrimenti di non riuscire più a rispecchiare gli interessi di tutti i bibliotecari. Il pericolo è infatti quello di vedere prevalere conflitti interni fra soci e sorgere interessi contrastanti, tali da mettere in pericolo la ragione stessa dell'Associazione.
La sfida dei prossimi anni sarà quella di trovare le forme per far convivere sotto comuni valori i datori di lavoro (sia pubblici che privati) con i lavoratori stessi.

Per sviluppare la tematica della sessione era necessario un confronto anche con personaggi esterni al mondo delle biblioteche, ed è stato in questo senso ideale l'intervento introduttivo di Patrizio Di Nicola, che ha fornito un significativo quadro d'insieme storico-sociale delle modalità e delle cause per cui si è arrivati, nel mondo del lavoro, a una vera e propria ossessione per la flessibilità.
Di Nicola ha messo in evidenza come questa richiesta di flessibilità negli anni si sia sempre più orientata sull'aspetto retributivo: si vogliono cioè lavoratori flessibili perchè costano di meno.
Tuttavia questa è una scelta miope e discutibile per molti punti di vista: da quello sociale, perchè prepara la strada a un enorme problema che dovrà essere risolto fra pochi decenni, quando i precari avranno l'età della pensione; da quello produttivo, perchè in realtà il risparmio economico ottenuto è effimero e comporta una dequalificazione complessiva per le aziende, che quindi avranno difficoltà a sopravvivere.
Il tema della perdità di qualità e di qualifica è apparso estremamente attinente al mondo delle biblioteche.
Di Nicola ha concluso invitando tutti a orientarsi piuttosto sugli aspetti di flessibilità organizzativa, che possono essere vantaggiosi sia per il lavoratore che per il datore di lavoro.

Questi argomenti sono stati ripresi da Francesco Sinopoli, che ha proposto il ruolo che su questi problemi può svolgere il sindacato. Sinopoli riconosce il ritardo con cui il sindacato si è mosso.
Negli ultimi anni la CGIL, con l'esperienza di Nidil e di alcune altre categorie come appunto la FLC, cerca di recuperare terreno e individua la propria priorità nel superamento del precariato. L'azione del sindacato viene condotta nei confronti delle aziende ma anche nei rapporti con il datore pubblico.
Fra le proposte illustrate ci sono quelle della possibilità di assumere chi lavora da tempo presso le amministrazioni, la ricostruzione delle carriere "precarie" ai fini dei concorsi, e soprattutto il fatto che negli appalti vi siano clausole di salvaguardia per i lavoratori: i contratti collettivi che si applicano devono essere quelli giusti e con gli inquadramenti corretti.
La forma di lavoro deve essere quella dipendente perché il massimo ribasso non può comportare che i risparmi presunti della pubblica amministrazione si scarichino sulla vita delle persone: le esternalizzazioni servono se qualificano i servizi e non perché fanno risparmiare.

Il tema della qualificazione risulta quindi fondamentale ed è stato ripreso da Gigliola Marsala, che ha sottolineato il fatto che il bibliotecario "esterno", colui cioè che fa parte di un'azienda bibliotecaria, non è solo un esecutore di servizi ma si qualifica come un partner che può mettere a disposizione una conoscenza di tipo diverso, che gli deriva dalle diverse realtà nelle quali ha operato e ha fatto esperienza.
Marsala ha condiviso le osservazioni di Di Nicola, e ha spiegato che non è possibile fornire un servizio di qualità in presenza di personale non adeguato professionalmente al ruolo, oppure non correttamente inquadrato, oppure sottopagato o precarizzato.
Per le aziende private nel nostro settore quindi non dovrebbe essere possibile prescindere dall'attività di formazione, da quella di coordinamento e controllo dei lavori, dalla lotta al precariato e dalla corretta applicazione della normativa del lavoro: il personale è il capitale delle aziende bibliotecarie e andrebbe salvaguardato.
Purtroppo la correttezza riguardo agli obblighi di legge sul lavoro non sempre è praticata non solo da società private ma neanche da enti pubblici, e a fronte dell'ampiezza del fenomeno (si stima un milione di ore di lavoro annue solo per i lavori affidati con gare pubbliche) sarebbe urgente definire linee etiche di comportamento proprie dell'intera comunità bibliotecaria.
Marsala ha concluso con alcune proposte concrete per affrontare problemi quali le caratteristiche di affidabilità per l'esecuzione di un servizio (è stata illustrata una griglia studiata da Legacoop e Associazione nazionale delle cooperative di servizi e turismo dell'Emilia Romagna riguardo ai criteri di qualificazione degli appalti pubblici nel settore dei beni culturali) e la determinazione della base d'asta, in modo che il prezzo sia congruo.

Giulia Maraviglia ha approfondito il tema del contesto organizzativo visto dalla parte dell'amministratore, partendo dall'esempio concreto di una realtà precisa, che è quella della Biblioteca di scienze sociali dell'Università di Firenze.
La compresenza in biblioteca di molteplici figure con contratti di tipo diverso non è necessariamente negativa, ma deve essere adeguatamente governata per evitare storture e ingiustizie dovute solo a esigenze di tipo economico o alla mancanza di progettualità.
Analizzando le aree in cui è divisa l'attività corrispondono, nell’organizzazione del lavoro, ruoli e competenze specifiche del personale che vi opera. Ai ruoli individuati dovrebbero corrispondere forme contrattuali diverse, privilegiando per esempio le assunzioni per i ruoli fondamentali, e riservando altre forme per attività e investimenti straordinari.
Oggi invece impera sempre più la confusione, utilizzando per ruoli fondamentali contratti che si reggono sulla precarietà, quando addirittura non si sconfina nel ricorso al volontariato. Il risultato è quello dell'incertezza, della perdita della spinta all'innovazione, del disagio relazionale. È fondamentale recuperare il concetto della qualità, evitare la pericolosa corsa al ribasso che ha aperto le competenze proprie di una professione a una serie di imprese di servizi che poco hanno a che fare con i servizi di biblioteca.
Se si vuole difendere e dare un futuro alla professione del bibliotecario, è necessario recuperare il valore della prestazione professionale sia nelle gare di appalto che nei contratti a progetto.
Si deve avere il coraggio di lasciare un peso marginale al ribasso economico privilegiando le competenze e la qualità dei servizi, stabilire il giusto prezzo di mercato per la base d'asta e individuare le giuste formule affinché alle gare possano partecipare solo le ditte effettivamente in grado di svolgere quella prestazione.

Anche Sergio Conti ha sottolineato la stretta relazione che corre fra efficace gestione del personale pubblico e del personale privato: là dove il primo funziona, funziona bene anche il secondo.
I limiti e le inefficienze della gestione dei servizi e del personale ricadono come problemi anche sulla gestione del personale con contratti diversi. A differenza di altri servizi degli enti locali (per esempio mensa, impianti sportivi), in biblioteca raramente si è esternalizzato l'intero servizio, ma più spesso si è subita l'esternalizzazione come soluzione di emergenza, come provvedimento tampone per lo più improvvisato e non pianificato.
Questo è dipeso, per quanto riguarda gli Enti locali, in gran parte dai continui tagli di spesa e dai limiti posti dalle varie Finanziarie alle politiche di assunzione del personale.
Uscire dall'emergenza, possibile solo nel caso di un cambiamento negli indirizzi di politica economica a livello nazionale, renderebbe possibile ragionare sull'esternalizzazione con progettualità e pianificazione.
Questo permetterebbe di muoversi in due direzioni: esternalizzazione completa di un servizio, come unica via che consenta al privato di esplicitare le proprie capacità gestionali, e selezione dei gestori sulla base della capacità gestionale e della qualità delle prestazioni, e non sulla base del prezzo.
Conti ha concluso provocatoriamente ricordando che questa visione strategica ideale dovrebbe poter contare, se intrapresa, su un vero mercato dei servizi bibliotecari, con aziende che cercano continuamente di migliorare la propria offerta in una naturale dinamica di concorrenza e competizione: ma esiste in Italia questo mercato?

Fausto Rosa ha cercato di individuare i fondamenti di carattere etico che definiscono la deontologia del bibliotecario, sia esso pubblico che privato, e i rapporti che devono intercorrere fra i soci stessi che, come abbiamo visto, possono ricoprire, soprattutto in questi ultimi anni, ruoli sempre più diversi e in certi casi fra loro antagonisti.
La tradizione italiana da questo punto di vista non è di grande spessore.
Le riflessioni sono state poche e si deve quindi ricorrere a quelle straniere. L'AIB si è dotata, negli ultimi anni, di strumenti importanti come il Codice deontologico, il Regolamento di disciplina e il Codice di comportamento, ma questi testi si rilevano del tutto insufficienti a fare da riferimento forte per i propri soci, anche giovani e atipici, in quanto professionisti del settore.
L'orientamento preponderante è stato quello della visione del bibliotecario come lavoratore dipendente. Altri passi avanti importanti sono stati quelli della creazione dell'Albo e dell'Osservatorio lavoro, l'adesione al Colap, ma una svolta è necessaria e ormai non più rimandabile.
Rosa ha elencato alcune azioni possibili, fra cui citiamo: la revisione dello Statuto, una costante attività di Osservatorio che contrasti apertamente azioni palesemente lesive della dignità del lavoro e del riconoscimento professionale, linee guida per la corretta impostazione di comportamenti professionali nell'ambito del management e della gestione generale dei servizi bibliotecari: l'AIB non può più sottrarsi al dovere etico-professionale di indicare ai propri soci scelte e comportamenti che siano rispettosi dei diritti al lavoro e alla professione dei più giovani colleghi.

Gli interventi programmati nella prima parte della sessione hanno quindi messo sul tappeto una grande quantità di argomenti e problematiche, che sarebbero potuti da soli essere sufficienti a riempire un intero convegno.
Nella seconda parte del pomeriggio gli stessi aspetti sono stati presentati da Stefano Bolelli Gallevi e da Antonio Carroccia, alla luce però di esperienze dirette e quindi come problemi vissuti in prima persona. Il primo ha sottolineato i temi del disagio relazionale di chi lavora fianco a fianco con contratti diversi, mentre il secondo ha messo in evidenza il caso di chi lavora come bibliotecario musicale, con alti livelli di specializzazione e di professionalità, ma con altrettanto grandi problemi di riconoscimento, soprattutto a causa dei referenti politici.

Data l'ora avanzata, poco spazio è stato possibile concedere agli ultimi due interventi, che meritavano sicuramente di essere ascoltati con più attenzione, senza l'urgenza di concludere in tempi strettissimi. La pubblicazione dei testi completi consentirà, speriamo, di essere adeguatamente riconosciuti.
Donatella Lombello ha presentato un interessante studio sul bibliotecario scolastico, analizzando la deficitaria situazione legislativa italiana, che non riconosce questa figura e non ne definisce il profilo, e ha aggiungento una esauriente panoramica della situazione internazionale.
Fiorisa Lentisco ha presentato i progetti dell'ISPESL per la diffusione e applicazione alle biblioteche dei modelli di buona pratica sulla salute e il benessere sul lavoro. L'elaborazione di strumenti informativi/formativi in questo ambito potrà consentire di potenziare la professionalità e il riconoscimento del ruolo del bibliotecario nella società.

La sessione è stata densa e tirata, ed è purtroppo mancato lo spazio per il dibattito o per ulteriori riflessioni. Tuttavia gli stimoli e le indicazioni contenute dagli interventi sono stati tali e talmente espliciti da consentire di trarre alcune conclusioni precise, che potranno fare da sfondo all’azione politica che l’Associazione dovrà sviluppare nell’immediato futuro.
Esiste infatti una emergenza lavoro che si intreccia strettamente con quello del riconoscimento professionale del lavoro di bibliotecario. Essa ha conseguenze immediate sui giovani e sugli operatori privati, e dovrebbe essere affrontata sulla base di alcune direttrici e di prese di posizione chiare da parte dell’AIB, fra le quali:
- contrarietà a tutte le forme di contratti, gare, incarichi che portino alla creazione di lavori basati sul precariato;
- contrarietà alle gare o agli affidamenti che utilizzino il criterio del prezzo più basso;
- favorire i processi di esternalizzazione solo là dove si privilegia la progettualità, e dove non si maschera un rapporto di lavoro dipendente tramite la mera intermediazione di manodopera;
- stabilire criteri precisi per i costi a base di gara, in modo particolare per quanto riguarda il costo del lavoro; i criteri devono essere tali da consentire di riconoscere un corretto inquadramento del personale bibliotecario impiegato, sia per quanto riguarda la tipologia di contratto (stabilità) sia per quanto riguarda le qualifiche, che devono essere adeguate al grado di specializzazione richiesto;
- valorizzare e sostenere l’attività degli organismi interni specializzati in questo campo, in particolare l’Osservatorio lavoro, che deve riacquistare peso e diventare uno dei punti di forza dell’azione dell’AIB; l’Osservatorio dovrà produrre strumenti facilmente utilizzabili, prendendo spunto da esperienze positive del passato, come per esempio le Linee guida sull’esternalizzazione, che hanno bisogno di essere riviste e rese più concrete;
- individuare gli alleati, in primo luogo le organizzazioni sindacali, e le buone pratiche, sia nel settore pubblico (esempi di gare o affidamenti corretti), sia nel settore privato (esempi di ditte che cercano di valorizzare la professionalità);
- individuare e denunciare con fermezza e con coraggio, anche pubblicamente, le cattive pratiche, sia nel settore pubblico (responsabili di servizi che avallano o addirittura promuovono progetti che penalizzano la professionalità con compensi risicatissimi) che in quello privato (aziende che cavalcano il metodo del ribasso sfruttando gli operatori);
- introdurre criteri nel codice deontologico che consentano di condannare queste cattive pratiche, prevedendo la possibilità di provvedimenti disciplinari anche estremi nei confronti dei soci che, nelle proprie organizzazioni, ne siano protagonisti attivi.


BERTINI, Vanni. L’organizzazione della professione. «AIB notizie», 19 (2007), n. 1, p. 8-10.

Copyright AIB 2007-02, ultimo aggiornamento 2007-03-06 a cura di Zaira Maroccia
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