[AIB] AIB notizie 19 (2007), n. 1
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53° CONGRESSO NAZIONALE AIB "Le politiche delle biblioteche in Italia: la professione"

Formazione e aggiornamento: attori, strategie, alleanze

Rosa Maiello

A proposito di riconoscimento sociale dei bibliotecari in Italia, non è irrilevante il fatto che la nostra sia classificata dall’Istat tra le professioni intellettuali, quindi tra le attività lavorative il cui esercizio presuppone una preparazione di tipo specifico e avanzato (universitario o post-universitario), caratterizzata da conoscenze, abilità, attitudini, valori professionali tali da assicurare un elevato grado di responsabilità e autonomia da parte degli operatori. In particolare, secondo la classificazione Istat rientriamo (con gli archivisti e i conservatori museali) nel gruppo degli Specialisti in scienze umane, sociali e gestionali e al suo interno nella categoria degli Specialisti in discipline linguistiche, letterarie e documentali. Per conto del ministero del Lavoro, l’Istat ha inoltre avviato nel 2006 un’indagine sulle professioni, finalizzata alla costruzione di una mappa dettagliata delle caratteristiche di tutte le professioni esistenti.
Queste informazioni potranno essere usate dai lavoratori, dai datori di lavoro, dalle agenzie di formazione, dai decisori politici per individuare i fabbisogni di professionalità e competenze e facilitare il raccordo tra formazione e mercato del lavoro. Sarà quindi molto utile vedere quale identikit professionale sarà emerso dalle risposte del campione di bibliotecari intervistati.
Se una disciplina si definisce intorno a un paradigma che vale a identificarne i princìpi e l’oggetto, forse possiamo ancora dire che a distanza di un secolo il nostro paradigma resta tracciato nelle sue linee fondamentali dalle cinque leggi di Ranghanathan: 1) i libri sono fatti per essere usati; 2) a ogni lettore il suo libro; 3) a ogni libro il suo lettore; 4) risparmia tempo al lettore; 5) la biblioteca è un organismo in crescita. Dove però – con lo sviluppo delle tecnologie digitali - alla parola "libro" si è sostituita la parola "documento" e alla parola "lettore" si è sostituita l’assai più generica parola "utente".
Il raggio d’azione delle biblioteche, le loro relazioni con l’ambiente esterno e l’idea stessa di biblioteca nell’immaginario collettivo sono profondamente cambiati, tanto che il Gruppo di studio AIB sulle biblioteche digitali considera opportuno avvertire (quarto principio del Manifesto): "Le biblioteche digitali sono biblioteche". Tutto ciò, al di là della padronanza delle tecniche, chiama in causa saperi e capacità (gestionali, relazionali, di advocacy...) ulteriori rispetto a quelli tradizionali dei bibliotecari, proprio nel momento in cui di quei saperi tradizionali esalta appieno la portata strategica nei processi di trasferimento e disseminazione della conoscenza.
Sicché, l’emersione della categoria (e della necessità) sociale del bibliotecario come figura distinta da quelle dell’erudito e del bibliofilo o da quelle del custode e dell’impiegato generico, non può che accompagnarsi – tra l’altro – a una precisa assunzione di responsabilità rispetto ai suoi complessi fabbisogni formativi e una verifica degli interventi necessari.
Le prime scuole di biblioteconomia sono state le associazioni dei bibliotecari: si diventava bibliotecari quasi sempre per caso e "sul campo", provenendo da studi di vario livello e tipo e secondo meccanismi di reclutamento i più vari, ci si misurava con i problemi di ordinaria gestione bibliotecaria e i più sensibili e appassionati cercavano nel confronto con i colleghi più esperti, nella letteratura professionale, nei convegni, nei corsi organizzati dall’associazione, nell’elaborazione comune le risposte ai loro fabbisogni formativi e informativi.
La funzione di stimolo e confronto, anche attraverso l’attività formativa diretta, è sempre propria delle associazioni professionali, e anche grazie a questo lavoro ha potuto maturare nel tempo un’offerta formativa più ampia e strutturata.
Oggi i giovani aspiranti alla carriera di bibliotecario possono scegliere tra numerosi corsi universitari di biblioteconomia o a indirizzo biblioteconomico, mentre l’aggiornamento lungo tutto l’arco della vita lavorativa trova sponda in una molteplicità di soggetti (a cominciare dalle biblioteche e proseguendo con le agenzie private, e ancora con le università), al punto che costruire una mappa dettagliata dell’offerta in questo campo è assai difficile. Nello spazio dell’ultima sessione del 53° Congresso AIB, abbiamo provato a trarre – dal dibattito teorico e dalla suggestione di esperienze concrete – una visione d’insieme delle linee di tendenza nazionali ed europee e delle strategie praticabili a favore di un sistema della formazione dei bibliotecari efficace e adeguato ai fabbisogni.

L’ampio intervento introduttivo di Anna Maria Tammaro ha illustrato la prospettiva europea, ovvero il processo di europeizzazione della formazione, e le sue implicazioni in particolare per le scuole di biblioteconomia. Nel solco del processo di armonizzazione dei sistemi formativi cominciato a Bologna nel 1999 e proseguito a Copenhagen nel 2002 con l’accordo di tutti i ministri dell’istruzione dei paesi membri per rendere leggibile, trasparente e spendibile ovunque il curriculum culturale e lavorativo dei cittadini europei, nel 2004 è stato sviluppato un modello di riferimento per la definizione delle qualifiche professionali, l’European qualification framework (EQF), orientato alla comparabilità dei risultati dell’apprendimento comunque acquisiti, e ad avvicinare l’offerta di istruzione e formazione alle esigenze del mercato del lavoro.
Il modello prevede otto livelli di qualificazione (dal più semplice al più complesso) e sposta "l’attenzione dall'impostazione tradizionale che evidenzia gli input dell'apprendimento (durata, tipo di istituzione) ai risultati dell’apprendimento", definiti in termini di: conoscenze teoriche e/o fattuali, abilità (sapere applicare le conoscenze a problemi concreti) e competenze (capacità di usare conoscenze e abilità professionali e personali con responsabilità e autonomia).
Gli ultimi tre livelli corrispondono grosso modo ai tre cicli della formazione universitaria dopo la riforma (il sesto alla laurea triennale, il settimo alla laurea magistrale o al master, l’ottavo al dottorato di ricerca). L’EQF dovrebbe tradursi in una direttiva europea entro il 2007. In tal caso, il sistema europeo di registrazione della formazione (Europass) prevederà l’obbligo di riportare il livello di qualificazione EQF nei documenti di certificazione delle competenze individuali e l’istituzione in ogni paese di un’agenzia che provveda all’adeguamento all’EQF anche attraverso precise prescrizioni sul sistema di validazione dei risultati.
Quando si parla di risultati dell’apprendimento comunque acquisiti, si apre uno spazio per ridiscutere l’opportunità del valore legale del titolo di studio, vigente in paesi come l’Italia: siamo sicuri che il valore legale del titolo di studio non costituisca una sorta di impropria "rendita di posizione" per istituzioni formative poco orientate al risultato? L’elevazione della qualità della formazione non sarebbe stimolata da un sistema in cui il mero titolo vale meno delle competenze effettivamente acquisite? Per Anna Maria Tammaro sarebbe profondamente sbagliato impostare la questione in questi termini, proprio in una fase in cui faticosamente si sta cercando di affermare l’importanza di studi specifici e il livello avanzato della professione dei bibliotecari.
È importante invece concentrare l’impegno sull’armonizzazione degli obiettivi formativi e sui criteri di valutazione della formazione universitaria e non universitaria, anche intensificando le iniziative di cooperazione internazionale nell’organizzazione dei corsi e nell’elaborazione dei sistemi di valutazione.
Quanto ai contenuti e ai metodi, Tammaro riporta gli esiti di una riflessione di docenti di biblioteconomia e scienze dell’informazione conclusasi nel 2005 con il rapporto European curriculum reflections on library and information science education. Mentre vi è sostanziale accordo tra le diverse scuole europee sulle competenze di base del bibliotecario (studio dei documenti; organizzazione, gestione e recupero dell’informazione; politiche dell’informazione e legislazione), sul ruolo di "facilitatore dell’apprendimento" che vedrebbe assegnati al bibliotecario compiti didattico-educativi ulteriori rispetto al ruolo di guida nel reperimento di informazioni e documenti e sposterebbe il focus della biblioteca dalla raccolta documentaria alla competenza informativa degli utenti, non concordano quanti ritengono debba prevalere la raccolta documentaria quale oggetto fondamentale qualificante il servizio.
Sono inoltre diversi gli approcci metodologici e i sistemi di valutazione e certificazione (oggetto di una recente indagine dell’Ifla), anche se tutti convengono sia sulla necessità di superare l’opposizione "teoria vs. pratica" a vantaggio di un modello formativo che permetta l’integrazione tra i due aspetti, sia sull’importanza e la trasversalità del tema della qualità, divenuto determinate soprattutto dopo Lisbona.

Sul piano delle esperienze nazionali "dopo Lisbona", molto stimolante (e incoraggiante) è stato l’intervento di José Lopez Yepes, che – opposto a quello italiano, caratterizzato da notevoli disomogeneità nei programmi e nei percorsi – ha presentato un quadro unitario del curriculum universitario di bibliotecari e documentalisti in Spagna.
Lopez Yepes ha anzitutto richiamato l’attenzione sulla difficoltà a dare un nome comune alla disciplina applicata da coloro che a vario titolo si occupano di gestione dei documenti e dell’informazione: Biblioteconomia? Documentazione? Scienza dell’informazione? Scienza dei beni culturali? A parte le ragioni storiche delle diversità terminologiche, è probabile che al fondo vi siano tuttora divergenze epistemologiche, ovvero che sia difficile trovare un accordo proprio sul paradigma disciplinare, e che questa difficoltà sia in qualche modo enfatizzata proprio dal fatto che lo studio dei processi di trasferimento dell’informazione – su cui si basa il nostro lavoro – è trasversale a tutte le scienze, e ognuna osserva il fenomeno dal suo particolare punto di vista.
A dispetto di questa difficoltà, nel 2004, sotto gli auspici dell’agenzia nazionale spagnola per la valutazione e l’accreditamento, i responsabili delle scuole universitarie di biblioteconomia e documentazione – sentite tutte le associazioni professionali di categoria e un certo numero di operatori a diversi livelli – hanno pubblicato un progetto di riforma dei piani di studio per la laurea in Informazione e documentazione.
Il progetto si basa sulla seconda edizione riveduta (2004) dell’Euroréférentiel I&D, opera in due volumi pubblicata dall’ECIA, European Council of Information Association con il patrocinio della Commissione europea).
L’Euroréférentiel (o Euroguida, nella versione ufficiale italiana dell’AIDA) delinea un modello basato su competenze, attitudini e livelli di responsabilità/autonomia professionale, e individua trentatrè tipi di competenze raggruppati in cinque categorie (Informazione, Tecnologia, Comunicazione, Gestione, Altre conoscenze) e quattro livelli professionali (Assistente, Tecnico, Manager, Esperto).
Le principali caratteristiche della proposta spagnola sono: l’unificazione dei due attuali cicli triennale e biennale in un unico corso di laurea che fornisca una preparazione omogenea e adeguata all’accesso alla professione e/o a successive specializzazioni; la definizione di un elevato numero di materie qualificanti obbligatorie su tutto il territorio nazionale (156 crediti su 240, pari al 65% del totale); la denominazione "Laurea in Informazione e documentazione". Secondo gli estensori del progetto, anche se i professionisti impegnati nelle biblioteche, negli archivi e nei centri di documentazione utilizzano tecniche e strumenti distinti, tutti sono accomunati dal fatto che il loro lavoro si basa sull’organizzazione dell’informazione e dei documenti in funzione del servizio agli utenti. Il progetto ha registrato ampia convergenza da parte di bibliotecari e documentalisti, mentre perplessità sono state avanzate dal settore archivistico, non tanto in rapporto ai contenuti, quanto sul piano della denominazione del corso.
Quanto alla situazione italiana, la buona notizia è che, per impulso dell’AIB, la commissione Biblioteche della CRUI ha deciso di avviare un lavoro sulla formazione dei bibliotecari (Rossana Morriello ne riferisce ampiamente in questo numero), che potrebbe concludersi con un documento di raccomandazioni alle università. L’impegno dell’AIB per la formazione dei bibliotecari si articola su tre linee d’azione: pressione politica sulle istituzioni competenti, approfondimento scientifico su contenuti, metodologie e programmi in relazione ai fabbisogni, attività formativa diretta.
È evidente come questi tre aspetti siano strettamente collegati l’uno all’altro. In particolare sull’attività formativa diretta si è soffermata Sandra Di Majo, responsabile scientifico dei seminari nazionali AIB per il triennio 2005-2008, a cominciare dall’analisi delle risposte a un questionario di valutazione che viene somministrato ai partecipanti ai seminari nazionali. Il campione osservato è costituito dai partecipanti ai seminari svolti tra fine 2005 e primo semestre del 2006 ed è pari a circa il 3% degli iscritti AIB, corrisponde in massima parte a personale bibliotecario strutturato e in cui sono però poco rappresentati i bibliotecari statali (salvo le presenze legate all’essere dipendenti dell’ente ospitante). Si tratta certo di un campione parziale, ma una criticità da risolvere è come facilitare la partecipazione dei giovani non occupati e dei colleghi con contratti di lavoro atipici. Le risposte alle domande sulla qualità dei corsi (proprietà del docente, caratteristiche del corso, logistica e aspetti organizzativi) sono state positive, in particolare per quanto riguarda la scelta dei docenti e l’impostazione dei programmi. Quanto alla rispondenza dei corsi alle aspettative e all’applicabilità alla situazione lavorativa concreta, le risposte hanno evidenziato esigenze di maggiore approfondimento sul piano dell’applicazione tecnica e della discussione.
Da queste risposte, e da ulteriori stimoli provenienti da contatti diretti con i docenti e i partecipanti ai corsi, Sandra Di Majo ha tratto materia per riaffermare l’importanza di "un’analisi approfondita delle esigenze (quelle che hanno già raggiunto il livello di domanda e quelle potenziali)" e per rilanciare la proposta di un lavoro comune con le Sezioni su questo piano (di fatto, il Gruppo di lavoro sulla valutazione dell’offerta formativa ha fatto propria tale proposta e sta lavorando alla rielaborazione di un questionario già da tempo somministrato ai soci dalla Sezione Calabria), anche per giungere a una programmazione nazionale condivisa da tutte le articolazioni e che consenta una migliore distribuzione territoriale delle proposte formative.
Oltre la cooperazione interna, occorre approfondire le possibilità di cooperazione esterna, a cominciare dalle Associazioni "sorelle". Altra proposta riguarda la selezione dei docenti, che potrebbe essere facilitata dalla disponibilità di un albo dei formatori (ed è stato opportunamente sottolineato che proprio l’Albo professionale potrebbe essere utilizzato anche come "repertorio delle competenze"), senza dimenticare che su alcuni temi è da incoraggiare l’apporto di professionalità diverse. Un auspicio è quello della certificazione, ovvero la possibilità che la partecipazione ai corsi AIB consenta l’attribuzione di crediti formativi riconosciuti: e ciò ci riporta alla cruciale questione del riconoscimento su cui la recente approvazione del d.d.l. Mastella finalmente offre motivi di ottimismo.

Nella seconda parte della sessione: Rosaria Bacchini (Università di Napoli Federico II) ha descritto un progetto IFTS (formazione professionale di avviamento, finanziata e certificata dalle Regioni) per la preparazione di "tecnici delle biblioteche per la valorizzazione del patrimonio turistico", organizzato in collaborazione da una scuola, un’agenzia formativa privata, una libreria e due biblioteche; Cinthia Pless e Raffella Ingrosso (Università di Modena e Reggio Emilia) hanno presentato i risultati di un progetto di aggiornamento del personale bibliotecario commissionato ad AIDA; Luisa Marquardt (CASPUR) ha presentato il progetto formativo "Biblioteche nelle scuole" erogato in modalità blended learning.
Mentre il primo contributo ci è parso interessante sia come esempio di cooperazione tra soggetti diversi che per dare un’occhiata al mondo della formazione certificata dalle Regioni, che varrebbe la pena approfondire ad esempio dal punto di vista dei meccanismi di accreditamento dei corsi, il secondo colpisce anzitutto come esempio di buona pratica di un’amministrazione pubblica, che investe adeguatamente sull’aggiornamento del personale e inoltre – come il terzo, notevole quest’ultimo anche per gli aspetti innovativi legati al rapporto tra biblioteche, bibliotecari e formazione a distanza – per l’attenzione che ha dedicato alla valutazione dei risultati dell’apprendimento.
Infine, l’intervento di Vittorio Ponzani che – dopo una rassegna storica dell’evoluzione della formazione professionale e dell’accelerazione che ha subito soprattutto a partire dagli anni ’90 del secolo appena trascorso, in parallelo con la messa a fuoco della figura del bibliotecario come "intellettuale-tecnico" – ha evidenziato come i saperi del bibliotecario (quelli tradizionali e quelli derivanti dall’apporto di altre discipline) richiedano aggiornamento continuo nell’epoca attuale caratterizzata da veloci trasformazioni. Gli strumenti dell’aggiornamento continuo sono corsi brevi, attività e-learning, seminari e convegni, letteratura professionale. In particolare, l’esame della letteratura professionale in lingua italiana del periodo 2004-2006 rivela che le risorse su supporto cartaceo sono tuttora numericamente superiori a quelle disponibili in rete, anche se queste sono in aumento e comprendono – oltre le liste di discussione da AIB-CUR in poi – riviste elettroniche, versioni elettroniche di riviste cartacee, siti web specializzati, archivi aperti, blog.
Le occasioni di aggiornamento dei bibliotecari sono oggi molteplici e sta in parte all’iniziativa e alla curiosità intellettuale di ognuno saperle cogliere e saperle creare. Molto è da fare da parte dell’Associazione e di tutti i soggetti responsabili per migliorare la situazione dell’offerta e per facilitare l’apprendimento e la crescita della professione, e il 53° Congresso ha costituito una tappa importante in questo percorso. Ma l’accento sulla responsabilità individuale, relativamente all’autoaggiornamento e agli strumenti che i bibliotecari stessi possono contribuire a fornire e/o predisporre per essere di aiuto a se stessi e ad altri colleghi, ci sembra il più appropriato a concludere la riflessione congressuale sul valore della nostra professione.


MAIELLO, Rosa. Formazione e aggiornamento: attori, strategie, alleanze. «AIB notizie», 19 (2007), n. 1, p. 12-14.

Copyright AIB 2007-02, ultimo aggiornamento 2007-03-06 a cura di Zaira Maroccia
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n19/0112.htm3

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