[AIB] AIB notizie 19 (2007), n. 11
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Berlin 5 e oltre
Il mondo dell’Open Access si incontra a Padova

Maria Cassella

Si è tenuto a Padova dal 19 al 21 settembre 2007 il quinto follow-up dedicato alla Dichiarazione di Berlino, dal titolo “Berlin 5 Open Acces: from practice to impact: consequences for knowledge dissemination”, un appuntamento ormai diventato tradizionale e irrinunciabile per il circuito dei promotori (e non) dell’Open Access (OA): docenti attivamente coinvolti in progetti di ricerca e appartenenti a un ampio spettro di discipline scientifiche, ricercatori, responsabili di archivi digitali e di university presses, enti finanziatori, bibliotecari, alcuni editori (Clarke Maxine di Nature, Paul Evans dell’Elsevier) si sono incontrati a Padova e confrontati sul complesso tema dell’Open Access e le nuove opportunità che l’accesso aperto offre alla ricerca e al paradigma della disseminazione scientifica.

Il programma era organizzato in tre giornate.
La prima era dedicata prevalentemente ai saluti e ai buoni proponimenti: tra gli altri quelli del rettore dell’Università di Padova, nonché presidente della Commissione CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane) per le biblioteche, Vincenzo Milanesi, che nel porgere il benvenuto ai partecipanti si è impegnato a far sì che, dopo la firma della Dichiarazione di Berlino da parte di 75 università, la CRUI sostenga le varie iniziative Open Access messe in atto dalle istituzioni accademiche, grazie anche ai suggerimenti e all’impegno concreto del Gruppo di lavoro CRUI sull’OA.

Sempre nella prima giornata Susanna Mornati (Cilea), chair della conferenza, ha presentato una panoramica dei principali temi della conferenza, mentre Sijbolt J. Noorda, già rettore dell’Università di Amsterdam e attuale presidente del Gruppo di lavoro OA della European Universities Association (EUA), ha cercato di fare il punto sull’accesso aperto. Noorda ha sottolineato come sebbene l’OA sia in teoria un concetto molto semplice «make accessibile to the public what is/should be public knowledge», soprattutto nel mondo digitale, in realtà si dimostri un messaggio estremamente complesso da trasmettere, dalle molteplici implicazioni – legali, economiche, di archiviazione, di peer review – e trasversale a una varietà di discipline scientifiche, di culture e di pratiche professionali.
Tuttavia l’accesso aperto, l’e-science, la condivisione dei dati, hanno di per sé un potenziale fortemente innovativo e la cooperazione in Europa può fare la differenza.

Nella sessione plenaria della seconda giornata sono state presentate le relazioni che descrivevano lo stato dell’arte dell’accesso aperto in vari paesi, tra i quali l’Italia. In questa sessione sono emerse delle sostanziali differenze tra i paesi che possono contare sul sostegno concreto e continuo degli enti finanziatori e fare leva su programmi e progetti strategicamente finalizzati e paesi che segnano il passo.
Tra i primi il Regno Unito, la Germania e più di recente anche la Francia, paese nel quale nel 2006 è stato firmato un Memorandum of understanding dalle più prestigiose organizzazioni di ricerca e università francesi.
Frederick Friend, per esempio, ha descritto le nuove strategie del JISC a sostegno della “green” e della “gold road”.
Il primo percorso verso l’accesso aperto consiste nel promuovere l’auto-archiviazione nei depositi istituzionali o disciplinari. Il JISC aveva lanciato nel 2002 un programma sui depositi disciplinari denominato FAIR e attualmente sta finanziando con 14 milioni di sterline fino al 2009 un nuovo programma allo scopo di sviluppare una massa critica di contenuti, di sostenere le politiche di preservazione e il sistema di cross-searching tra i depositi, ovvero il paradigma dell’interoperabilità.
La seconda strategia per la promozione dell’accesso aperto, invece, si risolve nel sostegno alla pubblicazione degli articoli scientifici in riviste interamente o parzialmente OA.

Per realizzare questo percorso, il JISC sta lavorando attualmente con i soggetti coinvolti in questo modello (enti finanziatori, istituzioni accademiche) per far sì che i costi della pubblicazione degli articoli scientifici in riviste ad accesso aperto vengano spostati sulla ricerca.
In tal modo si accrescerebbe negli autori accademici anche la consapevolezza dei costi per l’accesso alle pubblicazioni scientifiche con evidenti vantaggi a lungo termine anche per le biblioteche (si pensi ai problemi di fund raising o alle non sempre facili decisioni nelle cancellazioni degli abbonamenti).

In Germania la nuova piattaforma www.open-access.net, finanziata da un pool di associazioni, società, enti finanziatori e conferenza dei rettori, si propone come un punto di riferimento per l’accesso aperto ai contenuti della ricerca, offrendo nel contempo anche informazioni su progetti e studi, proponendo modelli, offrendo soluzioni organizzative e tecnologiche per l’editoria elettronica, consulenze sugli aspetti legali ecc.
L’informazione e lo scambio di opinioni rappresentano, comunque, un fattore chiave per la promozione e la pratica dell’OA.
L’Italia e il Giappone sono apparsi per motivi contrapposti in una fase che potremmo definire di transizione. Roberto Delle Donne, coordinatore del Gruppo di lavoro CRUI sull’OA, ha elencato le quattro sfere di azione del gruppo a partire dal 2006, anno della sua costituzione: una linea di azione politica per creare collaborazione e sviluppare sinergie con altre organizzazioni a livello europeo; una seconda linea di azione inerente lo studio delle problematiche legali e tecnologiche correlate con l’auto-archiviazione di tesi e dissertazioni; una terza strategia collega i depositi istituzionali con le anagrafi della ricerca locali e la valutazione della ricerca; infine, una quarta si focalizza sull’editoria elettronica.
È evidente come la mancanza di cospicui finanziamenti e di politiche nazionali forti a sostegno dell’OA abbia penalizzato l’Italia. A tre anni dalla firma della Dichiarazione di Berlino sono ventotto i depositi istituzionali italiani registrati nella OpenDOAR. L’approccio teorico prevale su quello pragmatico.
Di contro, il Giappone dimostra un notevole dinamismo con l’implementazione di ben 100 depositi istituzionali in soli due anni, anche se numerosi studi dimostrano come ci sia ancora poca consapevolezza dell’accesso aperto tra gli autori giapponesi. L’OA resta però un’opportunità unica per la diffusione della cultura locale.

La continuazione della seconda giornata prevedeva tre sessioni parallele e un panel.
Le prima sessione era dedicata ai modelli economici per la transizione alla “gold road”. In alternativa si poteva partecipare a un panel sull’OA nelle scienze umane e sociali, mentre nel pomeriggio il programma proponeva la scelta tra una sessione sull’OA nei paesi in via di sviluppo e una sessione su questioni aperte in relazione all’OA.

Dalla sessione sui modelli economici per la “gold road” sono emerse due delle proposte più interessanti e innovative del convegno.
La prima è quella che viene dal campo per la fisica delle alte energie (HEP) ed è ormai ben nota nel mondo Open Access grazie al suo acronimo elevato al cubo: SCOAP3 ovvero Sponsoring Consortium for Open Access Publishing in Particle Physics. SCOAP3 si propone di convertire tutte le riviste del campo della fisica delle alte energie (una decina in tutto, attualmente pubblicate da quattro editori commerciali tra i quali l’Elsevier), in riviste interamente ad accesso aperto.
Questo ambizioso obiettivo dovrà essere raggiunto grazie alla realizzazione di un consorzio internazionale, composto da enti finanziatori, laboratori di ricerca e biblioteche, che coprirà le spese di pubblicazione.
L’obiettivo è quello di mantenere elevata la qualità degli articoli pubblicati nelle riviste HEP, garantendo la sostenibilità economica delle riviste e, nel contempo, fungendo da calmiere per i prezzi. Il modello SCOAP3 ha ottime probabilità di avere successo, grazie al fatto di avere come riferimento una comunità scientifica (quella dei fisici per le alte energie) molto ristretta e compatta, che può essere considerata una early adopter nel mondo dell’Open Access. Resta qualche dubbio sull’esportabilità di un modello economico di questo tipo ad altre realtà scientifiche.
Un report su SCOAP3 è stato pubblicato nell’aprile 2007 dallo SCOAP3 Working Party.

La seconda proposta innovativa è stata quella presentata da Chris Armbruster, recentemente insignito del premio letterario Yale Law “Access to knowledge”. Secondo Armbruster i modelli commerciali attualmente presenti sul mercato per sostenere la società della conoscenza non sono sufficientemente efficaci nel mondo digitale.
L’autore propone quindi di creare un nuovo modello di disseminazione della comunicazione scientifica. Le biblioteche digitali e i depositi istituzionali dovranno assumere le funzioni di “registrazione, disseminazione e archiviazione” della conoscenza, mentre in futuro compito degli editori sarà quello di concentrarsi sulla certificazione (peer-review) e sui servizi a valore aggiunto di navigazione in rete.
Tutto ciò premessa la disponibilità di una massa critica di dati e di articoli peer-review ad accesso aperto. A differenza di SCOAP3 questa proposta, seppur accattivante, resta tuttavia confinata nello spazio di un raffinato esercizio intellettuale.
Armbruster, infatti, non ha spiegato come questa sua visione sia economicamente sostenibile. Per i paesi in via di sviluppo l’OA rappresenta in assoluto un’opportunità senza precedenti. Nella sessione relativa sono state presentate alcune delle più rilevanti iniziative a sostegno dell’accesso aperto in questi paesi: la rete Agris, un network informativo sull’agricoltura creato dalla FAO; Agorà, Access to Global Online Research in Agricolture, un progetto lanciato nel 2003 e promosso sempre dalla FAO, che consente di consultare ad accesso aperto più di mille riviste (1132 per l’esattezza) nel campo dell’agricoltura e della sicurezza alimentare.
Bioline International è, invece, un editore no-profit che fornisce accesso ai contenuti della ricerca scientifica realizzata nei paesi in via di sviluppo. Le riviste Bioline coprono prevalentemente temi quali la salute, la biodiversità, l’ambiente, la conservazione e lo sviluppo internazionale. Una cinquantina i titoli pubblicati.

Nel campo biomedico, invece, sono da segnalare le pubblicazioni di MedKnow, editore OA in India. Le statistiche di uso dimostrano un utilizzo massiccio delle risorse sopra elencate nei paesi in via di sviluppo.
La sessione 5.2 era quella dedicata alle “questioni aperte nel mondo dell’Open Access”. L’accesso aperto alla ricerca scientifica è una delle linee di azione dell’iniziativa denominata Knowledge exchange (KE), un progetto lanciato nel 2005 e promosso in collaborazione dalla Denmark’s Electronic Research Library, dal Deutsche Forschungsgemeinschaft, dal JISC e dalla SURF Foundation per offrire supporto strategico allo sviluppo di un’infrastruttura tecnologica europea per la ricerca. Altre linee di azione riguardano lo studio dei modelli di licenza di uso e i depositi istituzionali.
Nel 2007 KE ha promosso in Europa insieme a SPARC Europe la petizione per l’accesso aperto ai contenuti della ricerca scientifica firmata da 26.000 persone e 1200 istituzioni.

Il giorno successivo, venerdì 21, il programma prevedeva ancora due sessioni parallele: il workshop promosso da European Science Foundation e Deutsche Forschungsgemeinschaft su “Shared responsibilities in sharing research data” e il workshop in lingua italiana su “Open Access in the scholarly communication in Italy”.
Ancora una scelta da fare. I partecipanti al primo workshop, quello seguito da chi scrive, hanno assistito alla presentazione più sorprendentemente coinvolgente del convegno.
Quella tenuta da Ilaria Capua, giovane direttrice dell’Istituto zoo profilattico sperimentale delle Venezie. Capua ha isolato il codice dell’influenza aviaria in Nigeria e, in seguito, ha difeso la sua scelta di non depositarlo in una banca dati protetta da password, la cui consultazione è riservata a soli 15 enti di ricerca in tutto il mondo, ma di renderlo liberamente accessibile su GenBank, una banca dati specializzata, ma aperta. Il libero accesso ai dati primari della ricerca è una questione etica, prima di tutto.

I problemi per accedere ai research data sono numerosi, ma teoricamente e, in parte anche tecnologicamente, risolvibili. È quanto ha detto Peter Murray Rust, chimico dell’Università di Cambridge.
Murray Rust si è lamentato del fatto che molti dati primari inseriti nelle pubblicazioni scientifiche sono di fatto inaccessibili anche per i sottoscrittori degli abbonamenti. È necessario, infatti, chiedere un’autorizzazione all’editore per il loro riutilizzo.
Per l’harvesting dei dati (un altro problema) nel campo della chimica sono state sviluppate tecniche di text mining che riescono a riconoscere e a estrapolare l’80% dei dati dalle varie pubblicazioni scientifiche. Purché siano ad accesso aperto, naturalmente, e prodotte in formato testo.

Altre criticità relative ai dati scientifici riguardano: l’eterogeneità dei dati, la necessità di una loro descrizione standardizzata attraverso metadati di qualità, l’adozione di un identificativo permanente (una sorta di DOI) per facilitarne il recupero, la sostenibilità a lungo termine dei depositi digitali ecc.
Nel 2007, comunque, l’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) ha pubblicato delle linee guida sull’accesso ai dati primari della ricerca finanziata con fondi pubblici.

Nella sessione dedicata all’OA in Italia sono da segnalare i magistrali interventi di Fiorello Cortiana, che ha discusso dell’interoperabilità come concetto cognitivo e culturale prima ancora che tecnologico; di Juan Carlos de Martin del Politecnico di Torino, che ha parlato invece delle nuove iniziative firmate Science Commons, e cioè il Biological Material Transfer Agreement Project e Neurocommons, “an open source knowledge management platform for biological research”; di Antonella De Robbio, che ha sottolineato come il concetto di “diritto di autore” vada interpretato come “diritto di accesso”.
Secondo De Robbio le università italiane dovrebbero identificare i vari portatori di interessi e creare e implementare differenti livelli di politiche di gestione dei diritti (rights management policies) per sostenere la strada dell’accesso aperto. Il diritto di accesso è dunque un requisito imprescindibile per il raggiungimento dell’eccellenza nella ricerca.
Molto apprezzato anche l’intervento di Maria Chiara Pievatolo nella sessione dedicata all’accesso aperto nelle scienze umane. Pievatolo, docente di filosofia politica presso l’Università di Pisa, ha parlato di comunità scientifiche frammentate, riferendosi, ovviamente, a quelle umanistiche, che mancano di un sistema di comunicazione organica tra pari (si pensi, ad esempio, alla sopravvalutazione della monografia rispetto all’articolo e alla sconnessione tra la letteratura primaria e la letteratura secondaria).

La soluzione, secondo l’autrice, è quella di ritornare al “tribunale di Atene”, nel quale si combinavano libertà di contenuti (per l’uso informativo) e comunità di conoscenza (per la sapienza). L’OA offre, quindi, notevoli opportunità anche alla comunicazione tra umanisti, purché si adottino forme aperte di peer-review, al fine di realizzare un dibattito pubblico continuo e ininterrotto.
Nella stessa sessione Gino Roncaglia, docente di Informatica applicata alle discipline umanistiche presso l’Università della Tuscia, ha parlato di come sia possibile integrare nei depositi istituzionali materiali didattici e materiali scientifici, descrivendo i primi con Learning Object Metadata (LOM) e i secondi con Dublin Core (DC).
L’integrazione dei dati didattici con quelli della ricerca è una necessità che deriva dalla difficoltà pratica di gestire e mantenere due archivi separati, ma appare anche collegata con una visione olistica dell’ambiente accademico, nel quale esiste, di fatto, un continuum di dati che vengono generati, modificati, trasformati in ambienti digitali differenti, ma tra loro correlati e interoperabili. Almeno a livello concettuale.

Le conclusioni del convegno erano affidate alla dolce e, ormai, immancabile Alma Swan.
Swan ha esordito con un parallelo: come nel Seicento le Philosophical transactions avevano rappresentato il primo efficace mezzo di trasmissione del sapere, così l’Open Access offre alla ricerca contemporanea un sistema nuovo in grado di rivoluzionare il paradigma della comunicazione scientifica.
Alma ha quindi delineato le varie strategie per promuovere l’accesso aperto: diffondere consapevolezza tra i ricercatori, far capire loro la forza e l’efficacia dell’OA, ricompensare gli early adopters, chiedere loro di tenere conferenze, di partecipare ai seminari, riconoscere il lavoro di quanti si adoperano giornalmente per la causa e la disseminazione dell’accesso aperto, riallocare i fondi, ma soprattutto adottare politiche forti (mandatory policy), a livello istituzionale o dipartimentale, per riempire di contenuti i depositi istituzionali.
Swan ha ricordato che, secondo i risultati di un’indagine condotta nel 2005 dalla sua società, la Key Perspectives, l’81% dei ricercatori dichiarava di essere favorevole ad auto-archiviare i contributi delle proprie ricerche nel caso l’istituzione di appartenenza avesse adottato una politica mandataria. Collaborazione – locale, nazionale e internazionale – promozione, determinazione, sperimentazione e innovazione sono alcune delle parole chiave per il futuro dell’Open Access. Aspettando Berlin 6.

maria.cassella@unito.it


CASSELLA, Maria. Berlin 5 e oltre. Il mondo dell’open access si incontra a Padova. «AIB notizie», 19 (2007), n. 11, p. 18-20.

Copyright AIB 2007-12, ultimo aggiornamento 2007-12-14 a cura di Zaira Maroccia
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