[AIB] AIB notizie 22 (2010), n. 2
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REICAT. Un nuovo codice di regole per quale catalogo?

Mauro Guerrini

Il 25 giugno 2009, alle 13:20, AIB-CUR batteva questa agenzia: "Annuncio pubblicazione REICAT: Si comunica che sono state pubblicate le Regole italiane di catalogazione : REICAT". Così la notizia della nascita del nuovo codice raggiungeva i bibliotecari italiani. Le nuove Regole italiane di catalogazione (REICAT) costituiscono la novità più importante e più attesa degli ultimi anni dalla comunità bibliotecaria italiana. Le REICAT non aggiornano semplicemente le RICA per adattarle all'ambiente odierno, ibrido e caratterizzato dalla catalogazione partecipata e online, ma ne rinnovano totalmente la struttura concettuale, ispirandosi alle più recenti acquisizioni teoriche emerse a livello internazionale e, in particolare, a FRBR (Functional Requirements for Bibliographic Records) e agli ICP (International Cataloguing Principles), entrambi editi dall’IFLA, per quanto riguarda l'individuazione delle entità e delle funzioni del catalogo. FRBR e ICP non sono semplicemente riversati nelle REICAT, ma sono accolti in maniera critica, con ampliamenti e restrizioni.

I meriti delle REICAT sono molti e se ne possono elencare alcuni:

  1. si applicano a una vasta gamma di tipologie di materiali e supporti documentari;
  2. considerano come oggetto centrale della catalogazione la pubblicazione (cfr. 0.1.1.) ma introducono un importante meccanismo di controllo di autorità delle opere e, facoltativamente, delle espressioni (REICAT 0.2.1., 0.2.3. e 0.4.3);
  3. presentano una struttura logica progressiva che consente di affrontare la lettura a partire da definizioni rigorose, passando poi a punti di snodo che presentano il ventaglio di ciascuna casistica, riccamente corredata da esempi basati su pubblicazioni reali.

Il lavoro compiuto dalla Commissione ministeriale è stato enorme e tuttavia non è concluso. Dovrà sorvegliare gli effetti delle nuove regole sui cataloghi, le lacune o le richieste che si affacceranno.

Qualche ipotesi di lavoro per il futuro. Mi sembra di potere scorgere almeno tre aspetti che necessitano di attenzione da parte della Commissione e di tutta la comunità professionale italiana:

  1. il rapporto delle REICAT con i principi e gli standard internazionali concepiti in ambito IFLA;
  2. la presenza di strumenti catalografici condivisi a livello mondiale;
  3. l’attuazione delle nuove regole nei cataloghi delle biblioteche italiane.

1. Il rapporto delle REICAT con i principi e gli standard internazionali concepiti in ambito IFLA

Le REICAT incorporano un riferimento esplicito allo scopo e alle funzioni del catalogo definiti sia dai Principi di Parigi del 1961 sia dagli ICP del 2009. I Principi di Parigi hanno lasciato un’impronta indelebile sul codice angloamericano e su tutti i codici europei, in primis sulle RICA. Non è molto chiaro invece come sia possibile che le REICAT, in due paragrafi immediatamente successivi, adottino sia i Principi di Parigi sia i Principi internazionali di catalogazione. Questi ultimi, infatti, dichiarano di "sostituire" i primi. L’adesione può essere considerata solo parziale, se le REICAT non hanno accolto il rinnovamento terminologico e soprattutto concettuale che ha caratterizzato gli ICP, sul cui risultato non pienamente convincente ho avuto modo di intervenire.1 I Principi di Parigi sono stati sostituiti perché ritenuti inadeguati a rendere il nuovo quadro concettuale che iscrive i cataloghi costruiti per navigare prima ancora che per individuare e per caratterizzare. In questa prospettiva gli ICP ritengono inadeguati termini come Unità bibliografica, Intestazione, Titolo uniforme e Rinvio, sostituiti da Manifestazione, Punto di accesso autorizzato e Forma variante del nome; anche Pubblicazione è sostituito da Risorsa.

Due domande:

  1. È coerente che le REICAT preferiscano il termine pubblicazione quando poi includono documenti non pubblicati? A parte ciò, non sarebbe stato preferibile usare un termine più ampio, per esempio risorsa (termine certamente non esaltante, ma ormai entrato nel vocabolario internazionale), come fanno gli ICP e l’ISBD, per indicare la multiforme tipologia documentaria soggetta alla catalogazione?
  2. La Relazione introduttiva specifica (parte II e III) che "si è scelta un’impostazione del catalogo fortemente incentrata sulle opere, in cui cioè anche queste – come avviene da tempo per tutti gli autori – siano interamente soggette a un controllo di uniformità dell’informazione: un passo avanti impegnativo" (p. xvi). Oggetto della catalogazione è pertanto la pubblicazione o l’opera o entrambe?

Mi pare di capire che le REICAT pongano al centro la pubblicazione ma poi focalizzano la loro attenzione sulle opere, nel senso che l’oggetto della catalogazione sono i prodotti reali che contengono opere, e sono queste che si evidenziano e si indicizzano. Si tratta di una distinzione chiara in tutto lo svolgimento del codice ma che forse poteva essere espressa ancor più apertamente proprio nel punto 0.1.1.

Intestazione uniforme vs punto di accesso autorizzato

Alcune considerazioni sull’intestazione uniforme o, nel linguaggio degli ICP, sul punto d’accesso autorizzato. L’introduzione nelle REICAT del concetto di titolo uniforme è una caratteristica molto positiva, se si tralascia l’adozione di una terminologia diversa dagli ICP: ma quale lingua usare per le intestazioni uniformi? Come può un catalogo essere contemporaneamente ottimo per l'accesso (in particolare locale) e ottimo per l'identificazione (in particolare per gli utenti remoti)? Il concetto di intestazione uniforme – nel senso di forma di un attributo utilizzata come punto d’accesso di una registrazione bibliografica – non è condiviso e vi è chi ha proposto (e non da ora) di abbandonarlo a favore dell'impiego della forma presente sulla risorsa. Anche mantenendo l'intestazione uniforme, occorre chiarire uniforme rispetto a cosa? L'idea di un’uniformità verbale internazionale è stata abbandonata dall'IFLA con MLAR (Minimal Level Authority Records)2 e successivamente con GARE.3 Con l'internazionalizzazione dell'authority control, a essa si sono sostituite due idee:

  1. l’uniformità numerica internazionale: ISAN e poi ISADN, proposta anch'essa abbandonata;
  2. l’uniformità verbale nazionale, proposta attualmente sostenuta in ambito IFLA e realizzata con VIAF (Virtual International Authority File).

Il perdurare nel nuovo codice italiano nella preferenza ai termini intestazione e titolo uniforme mi pare sia un segnale di un approccio diverso fra le REICAT e gli ICP nel concepire il funzionamento degli strumenti di ricupero dell’informazione.

Rapporto tra le REICAT e l’ISBD

Un altro punto importante è il rapporto fra le REICAT e l’ISBD. Malgrado la dichiarata intenzione "di rimanere fedele agli standard [...] discostandosene però in alcuni punti di dettaglio",4 le REICAT introducono modifiche relative alle fonti d’informazione, per esempio per le risorse non leggibili a occhio nudo, e ampliano le fonti per le opere testuali e addirittura modificano la lingua usata in area 3, dando coerentemente la preferenza a quella del documento rispetto a quella talora del documento e talora dell’agenzia catalografica come previsto attualmente. Sempre per l’area 3 le REICAT prevedono l’integrazione degli estremi dei periodici anche quando non si possieda il primo fascicolo, senza indicare tra quadre l'integrazione, soluzione motivata dal lavoro in ambiente cooperativo.

Sono in atto profonde trasformazioni nello standard, non ultima la trasformazione dell’area 6 in un’area che assume il compito di descrivere un documento che appartiene a una risorsa "più ampia: una serie, una sottoserie o una risorsa monografica multiparte", concetto che non coincide con quanto contenuto nell’area della Collezione delle REICAT.

La soluzione delle REICAT di distaccarsi dall’ISBD dev’essere interpretata come l’introduzione di una miglioria o come un atto unilaterale che rischia di compromettere il secondo dei quattro scopi stabiliti in 0.1.2, ovvero "rendere possibile lo scambio di registrazioni provenienti da fonti diverse"? La seconda ipotesi significherebbe non perseguire l’obiettivo della cooperazione internazionale. Perché la Commissione REICAT non ha proposto le modifiche che riteneva migliorative all'ISBD Review Group dell’IFLA? Perché non si è comportata come i francesi, i quali "combattono" in ambito internazionale per modificare una normativa quando ritenuta insufficiente o sbagliata? è quanto mai necessario, in questa fase di transizione italiana che corrisponde a una fase di generale riassetto a livello internazionale, che la Commissione REICAT non abbassi la soglia di attenzione verso gli standard internazionali e le scelte che avvengono a livello globale, soprattutto quando alcune soluzioni potrebbero essere ritenute condivisibili anche in ambito internazionale.

2. La presenza di strumenti catalografici condivisi a livello mondiale

La diffusione di alcuni strumenti come l’ISBD consolidata e le intenzioni della Francia e forse della Germania di tradurre e adottare le RDA ci restituiscono un panorama caratterizzato da strumenti di uso globale. Le REICAT non sono direttamente confrontabili con RDA, le quali rispecchiano il processo di atomizzazione dei sistemi di anagrafe documentaria e non parlano più di registrazioni e neppure di catalogazione, termine assente perfino dal titolo. Le RDA hanno accettato la sfida di lavorare in ambiente digitale e hanno dedicato un’enorme quantità di risorse umane per raggiungere l’obiettivo di definire norme applicabili anche al di fuori delle biblioteche.

Alcune domande? Qual è stata la scelta delle REICAT? Per quale catalogo – e per quali catalogatori – sono state redatte le REICAT? Offrono un catalogo allestibile direttamente da zero in ambiente digitale o pensano ancora a un catalogo impostato sulla registrazione composta dalla descrizione bibliografica (per la pubblicazione) e dalle relazioni con i possibili accessi (opera e responsabilità) che deriva dalla struttura del catalogo cartaceo diviso in intestazione e quello che un tempo veniva chiamato "corpo della scheda"? Perché parlano ancora di intestazione e non di registrazione di autorità? Soprattutto: è ancora pertinente un codice nazionale in un contesto in cui il catalogo (o come si chiamerà in futuro) viene consultato su base globale? è ancora attuale un catalogo che interroghi solo il posseduto dalle biblioteche? Non si dovrebbe pensare alle opportunità offerte dal web di interrogare tendenzialmente tutte le basi dati? I cataloghi delle reti bibliotecarie, delle case editrici, gli archivi aperti istituzionali e disciplinari, gli articoli disponibili delle riviste online, gli e-books, etc.?

Si rende necessaria un’altra riflessione importante: qual è il rapporto tra le REICAT e il Nuovo Soggettario? Usare la medesima forma linguistica o forme linguistiche diverse per il punto di accesso autorizzato? Come valutare le indicazioni del Naming principle dell’IFLA?

3. L’attuazione delle REICAT in SBN

L’attuazione delle nuove regole è una fase di passaggio delicata, che richiede una considerevole assiduità e un’elevata soglia di attenzione. La catalogazione secondo le REICAT impone lo sforzo di una nuova modalità di lavoro.

Attuare le nuove regole significa anche applicabilità. L’applicabilità richiede modifiche profonde anche dei sistemi informatici. Se per la modifica dei dati rimane valido l’approccio di Luigi Crocetti – il quale ricordava che il catalogo si rinnova sempre per osmosi, sicché il nuovo viene prodotto con nuove regole e il vecchio si trasforma "per contatto con il nuovo" – la modifica dei sistemi informatici pone questioni che riguardano gli investimenti economici e l’adesione a standard definiti e condivisi.

L'applicazione a SBN richiede investimenti, necessari per due ragioni:

  1. per evitare l'inutilità delle REICAT;
  2. per evitare la marginalizzazione del catalogo SBN.

La catalogazione secondo le REICAT richiede l’allestimento di un imponente sistema di authority al quale il catalogatore possa fare ricorso. Per ciò che riguarda i titoli delle opere e le qualificazioni delle espressioni mancano del tutto i precedenti e occorre pertanto formare i catalogatori, i quali sono invece ormai in qualche modo abituati al concetto di intestazione uniforme per i nomi e gli enti. Per ciò che riguarda i titoli delle opere non vi è nulla di simile. Ripulire un authority file al quale sono collegate numerose localizzazioni è certamente più gravoso che costruirlo ex novo; ma costruire ex novo un authority file richiede programmazione e investimenti. Il lavoro non potrà essere affidato soltanto allo staff delle biblioteche nazionali centrali e della BNI. Occorre un investimento ad hoc.

Forse, la soluzione migliore per lo sviluppo dell'authority file italiano sarebbe quello – ispirandosi a ciò che avviene negli Stati Uniti con il Program for Cooperative Cataloging (PCC) – di chiedere alle biblioteche che partecipano a SBN di contribuire redigendo proprie registrazioni di autorità, ovvero di rendere partecipato il lavoro di authority oltre che quello per le registrazioni catalografiche, prevedendo un coordinamento centrale. Il lavoro di authority richiesto dalle REICAT va percepito come parte essenziale della qualità del controllo bibliografico e non come un aggravio.

Riflessione finale

Le REICAT rappresentano un’opportunità di grande interesse per la professione bibliotecaria italiana per almeno tre motivi:

  1. per la crescita di qualità, armonia ed efficacia del catalogo. L’impulso al ricupero della centralità del catalogo, come perno di conoscenza organizzata delle potenzialità informative delle nostre biblioteche e della loro gestione;
  2. per la funzionalità del catalogo. La centralità dell’opera e delle sue espressioni, delle relazioni fra le opere, promette un catalogo ancor più ordinato, dove trovare ciò che veramente interessa trovare, e navigare, secondo le parole di Elaine Svenonius, "in una base dati (cioè, trovare opere correlate a una determinata opera, tramite generalizzazione, associazione o aggregazione; trovare attributi collegati per equivalenza, associazione o gerarchia",5 scoprendo nessi significativi. L’inclusione nelle regole del controllo d’autorità impone maggior rigore e precisione nell’inserimento dei dati, e assicura efficacia alla ricerca delle informazioni;
  3. per la qualificazione della professione, che si pone l’obiettivo di creare uno strumento – il catalogo – sempre più culturalmente fondato e sempre più corrispondente alle esigenze dei lettori. Un testo la cui utilità di lettura e studio va al di là dell’immediato uso per catalogare, nell’esplorazione delle diverse fenomenologie presenti in biblioteca, che la catalogazione indaga sistematicamente. Se questo codice è assunto consapevolmente può costituire l’occasione per una riflessione che coinvolge e fa crescere tutta la professione. Qualità e forza di una professione si misurano, infatti, anche dagli strumenti che essa è in grado di darsi.

La pubblicazione delle REICAT rappresenta pertanto un evento per la cultura italiana, dunque per la società italiana, se la catalogazione e la bibliografia, come ordinamento e memoria delle parole originarie della cultura, sono la premessa indispensabile e la via maestra per qualsiasi studio e ricerca, per tante scoperte utili alla vita pubblica e privata.

guerrini@aib.it


GUERRINI, Mauro. REICAT. Un nuovo codice di regole per quale catalogo?, 22 (2010), n. 2, p. 17-19

Copyright AIB 2010-04, ultimo aggiornamento 2010-04-01 a cura di Ilaria Fava
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n22/0211.htm3

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