[AIB] AIB notizie 22 (2010), n. 4
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Cibi e bevande in biblioteca?

Dagmar Göttling

La biblioteca di conservazione - conservatrice dell'oggetto libro e del pensiero passato, fondamentali alla comprensione del presente e alla costruzione del futuro – ci viene dall'antichità. Riservata ai pochi che già possedevano strumenti e mezzi per accedervi, nasceva e viveva grazie all'iniziativa e all'impegno privato. Per i potenti, grandi e piccoli, era uno strumento in più, utile alla "libertà di fare". Certamente era preclusa alla popolazione subalterna e analfabeta.

La biblioteca pubblica è figlia della moderna democrazia. Attraverso la conoscenza, la democrazia ci dà la possibilità di partecipare da cittadini consapevoli alla gestione della cosa comune, di apportare nuove idee ed infine di decidere collettivamente. La biblioteca pubblica contribuisce a garantire una nuova libertà: la "libertà dal bisogno"1 di conoscere, dubitare, verificare, attingere alle idee e alla creatività altrui. Come servizio gratuito per tutti, finanziata dalla fiscalità generale, la biblioteca pubblica è espressione dello stato sociale del ‘900, patrimonio comune a beneficio della comunità tutta. La biblioteca pubblica è tale solamente in un clima di autentico pluralismo ed effettiva democrazia. Coerentemente con la mission assegnatale (Manifesto UNESCO e Guidelines IFLA), la biblioteca pubblica mette a disposizione, avvicina, invita e invoglia alla scoperta e al godimento dei suoi contenuti, sempre attuali e stimolanti. Serve un pubblico più eterogeneo possibile – in dichiarata indipendenza dalla Signoria del momento. Assieme alla scuola pubblica e alla libera docenza è a pieno titolo strumento di alfabetizzazione. Di fatto, in molte parti del mondo, per lo più nelle società economicamente arretrate, questo compito è ancora la sua mission prioritaria e il "cittadino libero" – dal bisogno da un lato e di fare dall'altro – costituisce una meta tutta da conquistare. Nelle società ricche, sovralimentate e in preda al consumismo accecante, questo compito è oggi tutt'altro che raggiunto.

La biblioteca pubblica deve fare i conti con un crescente analfabetismo strumentale e culturale di ritorno. Cercare di essere una sorta di "interfaccia" fra contenuti e teste, si scontra con un cittadino sempre meno consapevole dell'utilità della conoscenza. Si rivolge ad una popolazione che rischia di non percepire appieno l'importanza dell'accesso ad un pensiero libero, individuale, non condizionato o "guidato". Sembra che sfugga ormai a molti la necessità di una dialettica libera e pluralista come garanzia della libertà dal bisogno intellettuale, spirituale e materiale. In Italia l'alfabetizzazione strumentale e culturale diffusa non ha le medesime radici che ha in altri paesi europei a cui spesso facciamo riferimento. Per assolvere al suo compito istituzionale la nostra biblioteca pubblica deve essere particolarmente abile nell'utilizzo degli strumenti professionali. Deve saper raggiungere il suo pubblico, trattenerlo, fidelizzarlo, legarlo a sé, quasi affettivamente. Ora, se ci fermassimo alla teoria e alle sole discipline biblioteconomiche, lasceremmo di fatto il mondo reale fuori dalle mura della biblioteca. Rischieremmo – e di fatto spesso rischiamo – di lasciare fuori gran parte della popolazione. Continueremmo a "giocare in casa", dialogando solamente con quella parte della cittadinanza che già è consapevole delle opportunità di crescita che può trovare sui nostri scaffali.

Per fare il passo successivo, per compiere appieno la nostra mission, dobbiamo attingere - attentamente e quanto basta, con competenze acquisite in proprio o tramite collaborazioni mirate – al marketing, alla comunicazione verbale e non, all'architettura, alla psicologia, alla sociologia. La professione del bibliotecario pubblico deve includere la capacità di gestire questi aspetti - come include quella di saper gestire un budget, coordinare e motivare un gruppo di collaboratori, redigere gli atti amministrativi, vigilare sulla sicurezza dello staff e del pubblico. A mio avviso, il bibliotecario non può dirsi professionale nel gestire l'ambiente a lui affidato quando si limita a mettere a disposizione e a lasciar fare. Deve stabilire e far rispettare una cornice di regole – non in ultimo per incoraggiare la buona educazione – che garantisce a tutti un servizio efficiente, efficace e gradevole. La biblioteca pubblica è "amichevole" quando assicura il rispetto reciproco di persone e cose comuni, vigilando - con coerenza, fermezza, garbo e buon senso – sul rispetto delle "istruzioni d'uso". Chi la gestisce per conto della comunità garantisce così un luogo in cui le persone possono incontrare le idee in maniera naturale, immediata, gradevole e indisturbata. Si torna volentieri dove non si ha la necessità di imparare linguaggi speciali, non si deve "cambiare pelle", non si subisce alcun tipo di valutazione, giudizio o limitazione della propria "libertà di fare/sapere". Il bibliotecario è quello che fa rispettare a tutti le regole interne, limitando la libertà di ogni visitatore solo laddove invade quella altrui3. Contribuiscono a sostenere "la libertà dal bisogno di conoscere" - oltre alla professionalità degli operatori e della gentile disponibilità di tutto lo staff - anche la pulizia dell'ambiente, l'integrità di contenuti e supporti, la gradevolezza e la funzionalità degli arredi, le comodità di sosta e la facilità di utilizzo.

Infine servono tutte ad avvicinarsi alla "libertà di sapere per fare" in un ambiente familiare, invitante e stimolante, dove si può vivere un momento di tranquillità o di sereno scambio con altri. La biblioteca pubblica amichevole e cangiante "cambia colore" ad ogni visita, ad ogni nuova prospettiva di approccio e di interesse. Se è ben gestita, possiamo fermarci su una comoda poltrona, senza schiamazzi, musica ad alto volume o squilli fantasiosi che si intromettono nella nostra lettura o nella nostra conversazione. Possiamo unire il piacere di scoprire, leggere, ascoltare, a quello del palato. Bibita, caffè e dolcetto convivono benissimo con libro, giornale, MP3 o netbook. Anzi, acquistano verve e prendono slancio gli uni dagli altri: se si incontrano un libro integro e pulito, un tavolo ben proporzionato e illuminato, un caffè profumato e cremoso siamo quasi come a casa. Nelle più belle biblioteche del mondo, le persone si fermano per ore. Ci pranzano come nei migliori musei, fanno persino un sonnellino sopra le pagine dell'ultimo bestseller. Si torna volentieri in un ambiente quando si è sicuri di trovarvi reciproco rispetto – delle persone, delle idee, della cosa comune… che è la biblioteca tutta e il suo intero patrimonio.

dagmar.gottling@gmail.com


GÖTTLING, Dagmar. Cibi e bevande in biblioteca? «AIB notizie», 22 (2010), n. 4, p. 22-23

Copyright AIB 2010-10, ultimo aggiornamento 2010-11-01 a cura di Ilaria Fava
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n22/0402.htm3

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