«Bibliotime», anno III, numero 2 (luglio 2000)


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Antonella De Robbio

I periodici elettronici
e la persistenza della memoria cartacea:
un problema di definizioni [1]



"Io intendo qui per real definition quella che non si limita a sostituire al nome di una cosa degli altri termini più facilmente comprensibili, ma che enuncia un carattere così chiaro che l'oggetto possa essere riconosciuto in modo sicuro in tutti i casi, e che rende così il concetto spiegato utilizzabile nelle sue applicazioni. La spiegazione reale sarebbe dunque quella che non si limita a render chiaro un concetto, ma anche la realtà oggettiva di questo"

(Kant, Critica della Ragion Pura)

 

Periodici elettronici: un problema di definizioni

Se è vero che, nel corso degli anni, si sono susseguite state molte definizioni di "periodico elettronico", è altresì vero che una definizione "standard" a tutt'oggi non è ancora stata fornita; ciò è dovuto alla natura stessa dell'oggetto, tanto effimera quanto difficilmente ingessabile entro definizioni ristrette. Come scrive Crossman - un filosofo di Oxford, ma più noto nella sua veste di politico e stratega nel periodo della seconda Guerra Mondiale, "se non conosciamo precisamente i significati delle parole che usiamo, non possiamo proficuamente discutere di niente" [2].

Se vogliamo andare indietro nel tempo, già nelle opere retoriche di Cicerone si fa appello alla natura, allo scopo e alla funzione dell'oggetto per tracciare una definizione che possa in qualche modo comprendere/rappresentare ambiti e significati dell'essere da definire.

Ma che cos'è una definizione? A partire da Platone ed Aristotele fino ad arrivare ai moderni dizionari di filosofia e di linguistica, quando si parla di definizione ci si trova di fronte all'affermazione che definire qualcosa (un oggetto, un concetto) significhi rispondere alla domanda "che cos'è quell'oggetto, quel concetto?" [3].

La definizione è data dalla relazione tra definiendum e definiens, laddove l'oggetto o concetto intorno al quale ci si interroga viene denominato definiendum, mentre viene detto definiens ciò che nella risposta è predicato del definiendum [4]. Lo stesso termine definizione peraltro presenta delle ambiguità, in quanto alcuni la identificano con il definiens, altri con l'intera operazione che associa il definiendum al definiens.

Ad esempio, se ci poniamo la domanda "che cosa è un periodico", e rispondiamo che "è una pubblicazione che esce periodicamente", "pubblicazione che esce periodicamente" costituisce il definiens; dunque, secondo il primo orientamento, questa sarebbe la "definizione"; per il secondo orientamento invece la definizione si identifica con l'espressione "il periodico è una pubblicazione che esce periodicamente".

Leibniz, brillante giurista tedesco ma anche filosofo, matematico e bibliotecario, distingue le definizioni suddividendole in due categorie: quelle nominali e quelle reali. Le prime permettono soltanto di distinguere un oggetto dagli altri, le seconde, definizioni reali, sono quelle che dimostrano la possibilità, ossia la non contraddittorietà del definito.

Bene, se tentiamo di definire cosa sia un "periodico elettronico", relativamente alla sua natura, allo scopo, all'oggetto in sé, come forma ma anche in relazione alle sue funzioni primarie e secondarie, in modo da render chiaro il concetto ma anche la realtà dell'oggetto stesso, ci rendiamo subito conto della difficoltà di una definizione e di una categorizzazione entro limiti ben precisi.

Il termine "periodico", mutuato dall'oggetto su supporto a stampa, differente da quello di cui ora ci occupiamo per natura, forma, scopo e funzioni, è inadeguato, se non del tutto "erroneo" nella sua formulazione. Il periodico cartaceo è un oggetto riconducibile a definizioni standard assodate in biblioteconomia, che ben lo connotano per il suo essere innanzitutto una "pubblicazione seriale" che può avere una certa periodicità, anche irregolare.

La definizione IFLA che troviamo in ISBD(S) [5] è la seguente: "un genere di pubblicazione in serie edito ad intervalli regolari con frequenza superiore a quella bisettimanale ed inferiore a quella annuale nel quale i fascicoli sono generalmente caratterizzati da una varietà di contenuti e di collaboratori tanto all'interno di un singolo fascicolo quanto da un fascicolo ad un altro." La periodicità pare sia dunque il fattore che ne caratterizza la forma ma anche in un certo senso la funzione.

E' dunque evidente come il focus sia posto sul "fascicolo" e come la definizione ruoti attorno al concetto di "periodicità", laddove per periodicità sempre ISBD(S) parla di "cadenza con cui una pubblicazione in serie viene pubblicata, per esempio giornaliera, settimanale, mensile, annuale".

Nella lingua inglese è utilizzata l'espressione "electronic journal", non propriamente speculare a "giornale elettronico" o "rivista elettronica". Il termine inglese "journal" (e quindi di "electronic journal", in italiano è solitamente inteso come "periodico" piuttosto che come "rivista" o "giornale". In contesto nazionale "rivista" prende più connotazione di pubblicazione scientifica periodica, o al contrario di pubblicazione periodica a larga divulgazione di tipo popolare. Le ISBD(S) definiscono "rivista" ("journal") come "termine frequentemente usato per periodico, più particolarmente per periodico di cultura".

Il termine "giornale" ("newspaper") viene inteso dalle ISBD(S) come una "pubblicazione in serie che esce a cadenze stabilite e frequenti, di solito quotidianamente, settimanalmente o due volte la settimana e che riporta fatti e argomenti di interesse corrente e generale."

Se la prima parte della definizione di "giornale", legata alla periodicità, potrebbe "avvicinarsi" all'oggetto digitale, in quanto effettivamente più che di periodicità di tipo "periodico", abbiamo aggiornamenti anche giornalieri, la seconda riconduce la definizione ad un oggetto di interesse corrente e generale. Dunque ciò che in inglese è chiamato "electronic journal" (o in breve "e-journal") noi lo indichiamo con il termine di "periodico elettronico" che, paradossalmente, periodico non è affatto, se per periodico intendiamo una pubblicazione con periodicità superiore a quella bisettimanale.

La versione elettronica di tale oggetto "periodico" non sempre ha natura "seriale" e/o "periodica", ma spesso si connota in un aggregato informativo, in un insieme di informazioni organizzate in un certo luogo e in un certo spazio, entrambi virtuali, il cui aggiornamento è legato alla banca dati (talvolta settimanale, ma molto spesso quotidiano).

L'unità lessicale "rivista elettronica" fu utilizzata da Carla Basili e Corrado Pettenati nel volume La biblioteca virtuale del 1994 quando, all'interno del capitolo sulle risorse informative di rete, gli autori tentarono di tracciare una classificazione delle risorse disponibili in rete, ricomprendendo le "riviste elettroniche" entro la più generica categoria di "pubblicazioni elettroniche": "Le riviste elettroniche - scrivevano infatti Basili e Pettenati - sono del tutto equivalenti alle riviste a stampa: a parte il fatto che vengono distribuite in rete sotto forma di file; gli articoli sono oggetto di revisione da parte di esperti, così come avviene per le riviste stampate".

Il fatto che la definizione tracciata soltanto sei anni fa sia certamente non più attuale, ci comunica la velocità di evoluzione di questi oggetti digitali e di come essi si siano trasformati in qualcosa di profondamente diverso da una semplice trasposizione di formato. Nel più recente La biblioteca in rete (1998) Carla Basili tenta di darne una definizione solamente per gli scopi del suo testo, scrivendo che "qualunque pubblicazione contenente un insieme di articoli, che venga resa disponibile periodicamente, con regolarità o meno, in Internet è un periodico elettronico (electronic journal)". Nel contempo afferma però di non volersi addentrare nel dibattito aperto sulla definizione, citando Judy Myers [6] che già nel 1992 osservava che non vi era una definizione rappresentativa del futuro di questi oggetti in movimento; difatti Meyers affermava a ragione che definire "electronic journal" gli oggetti che oggi noi ben conosciamo, sarebbe stato come utilizzare la frase "carrozza senza cavalli" per definire un'automobile, rendendo l'idea con una metafora quanto mai veritiera ed attuale, e soprattutto vista con gli occhi di oggi.

Nell'ambito delle definizioni un'altra grande dicotomia è quella tra definizioni descrittive e costitutive. La differenza è basata sulla funzione immediata, ossia su che cosa fa la definizione rispetto all'oggetto, se lo descrive oppure se lo stabilisce. Quando con la definizione si forniscono informazioni fattuali, stiamo utilizzando una definizione descrittiva; quando invece creiamo il significato futuro del definiendum, si tratta di una definizione costitutiva [7].

Se una definizione quindi è cosa improba, la stessa natura dell'oggetto da definire - in questo caso natura in evoluzione - ne complica i meccanismi per un suo trattamento a più dimensioni. Mauro Guerrini in Catalogare le risorse elettroniche: Lo standard ISBD(ER) [8] riconduce i periodici elettronici entro la categoria delle "risorse elettroniche ad accesso remoto", tracciando un quadro di problematiche non indifferenti, non solo di tipo gestionale o di controllo:

"La risorsa elettronica ad accesso remoto (p.e., una base di dati, un periodico elettronico, una versione elettronica di un periodico cartaceo, un servizio in linea) è mutevole: può avere un aggiornamento con frequenza alta, anche più volte al giorno. Cambia, pertanto, status (grafica, informazioni, dimensione, ...) ripetutamente, fino a divenire altro rispetto alla sua origine; talvolta cambia URL (Universal Resource Locator) e diviene irreperibile, ovvero diviene disponibile a un nuovo indirizzo; la manutenzione e l'aggiornamento sono caratteristiche così distintive che, se cessano, provocano la "morte" della risorsa (Internet è pieno di "cadaveri")".

Valutando questo oggetto digitale nelle sue innumerevoli sfaccettature, esso può essere inteso come una banca dati, quale contenitore di informazioni strutturate, come tra l'altro la definizione di banca dati enunciata dal legislatore lascia ampiamente intendere.

Ma è pur vero che ad oggi il bibliotecario e l'utente si trovano di fronte ad un prodotto "bene servizio", un bene immateriale intangibile, non facilmente maneggevole e non facilmente classificabile entro limiti angusti, definibile piuttosto come "servizio online". I servizi in quanto beni immateriali si caratterizzano per la loro "personalizzazione", per la loro impossibilità di stoccaggio e per la coincidenza del momento di fruizione con quello dell'erogazione.

L'unità lessicale italiana attualmente in voga, e cioè "periodico elettronico", risulta quanto mai inadeguata oltre che per quanto sopra esposto anche per una serie di motivazioni oggettive implicite ed esplicite all'oggetto intangibile.

A livello legislativo il periodico elettronico rientra a tutti gli effetti nella definizione giuridica di banca dati. La recente normativa italiana (Decreto Legislativo 169/99 sulla tutela giuridica delle banche dati), ne traccia una definizione, mutuata in modo identico dalla Direttiva europea 9/96 la quale, nella descrizione dei principi ispiratori dell'impianto normativo, tutela "le raccolte e le compilazioni di opere, di dati o altre materie la cui disposizione e memorizzazione, nonché l'accesso, sono basati su processi di tipo elettronico, [...]"

La definizione data dal legislatore intende per banche di dati "raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo" [9]. La tutela delle banche dati, come recitato nel comma definitorio, non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto.

Questo punto è fondamentale anche per comprendere le clausole contrattuali laddove, per quanto sia lasciata possibilità di inviare copie via e-mail a terzi, è sempre bene prestare la massima attenzione ad eventuali diritti che gravano sull'articolo che si intende far circolare. Per questo motivo è meglio evitare clausole contrattuali vaghe e poco chiare nella parte dei diritti sui contenuti e privilegiare forme di servizio basate su controlli attraverso codici DOI (Document Object Identifier) o sistemi analoghi.


Le liste "demografiche" per il controllo di nascite e variazioni

Non mi soffermo nella presente esposizione su questioni riguardanti la nascita dei primi periodici elettronici e la loro crescita in questi ultimi dieci anni, argomenti abbondantemente trattati nell'articolo nato dalle riflessioni dopo la conferenza ginevrina del luglio del 1999 tenuta da Ann Okerson [10]. Mi preme però in questa sede far notare come nella sesta edizione della Directory di ARL [11] del maggio 1996 fossero registrate, su 1689 titoli, solo 47 riviste online con formale peer review, mentre nel febbraio 1998, nella settima edizione, su 3400 titoli, ben 1002 (quasi un terzo) presentava un'organizzazione con peer review.

Alla data del 18 febbraio 2000, "NewJour, The New Journal and Newsletter Announcement List for new serials on the Internet", enumera 8428 titoli di e-journal [12] L'evoluzione numerica di questi oggetti porta ad una necessità di ridefinire concetti e reinterpretare ruoli, ma anche conduce a pensare a strumenti nuovi per il censimento e controllo delle pubblicazioni elettroniche in Italia, soprattutto e-journal.

Un meccanismo di tipo "Forum", con una lista di discussione ove tutti i bibliotecari italiani possano comunicare nuovi titoli di e-journal, variazioni di URL, sul modello di NewJour, sarebbe uno strumento di controllo formidabile relativamente alla produzione scientifica nazionale elettronica. Un archivio connesso alla lista comprendente i messaggi posti su Web, visualizzabile con un semplice motore di ricerca e con costruzione di liste repertoriali automatiche in pagine HTML, sarebbe il primo passo verso "frontiere" che non sono poi così difficili da raggiungere. E' la proposta che lancio, una sfida e al contempo un'opportunità.


La persistenza della memoria cartacea

Il persistere di forme e modelli "tradizionali", se da una parte rassicura una certa utenza e gli autori stessi che si sentono parte di un sistema che offre certe garanzie e, perché no, tranquillizza anche gli addetti ai lavori che spesso hanno poca dimestichezza con i nuovi media, dall'altra parte dissangua le biblioteche, laddove il mantenimento di vecchie logiche nelle politiche degli acquisti produce effetti drammatici. Ciò ovviamente gioca a favore delle figure che regolano il mercato dell'editoria, mantenendo il predominio e talvolta il monopolio anche nell'industria del contenuto [13], a tutto svantaggio della ricerca scientifica, che si vede sottrarre ingenti somme per l'acquisizione di riviste che comunicano i risultati delle ricerche condotte nei propri laboratori.

Da alcune indagini risulta che l'aumento medio annuo nel prezzo dei periodici cartacei si conferma un dato vicino al 13.50% negli ultimi anni. Ciò ha portato ad un incremento di spesa per i periodici cartacei da parte delle biblioteche di quasi il 140% in questi ultimi dieci anni. Alcuni editori hanno applicato aumenti anche maggiori, giustificando tali incrementi con formule che abbinavano la versione elettronica alla cartacea in un unico pacchetto d'abbonamento.

Ma se nel dotarci di nuovi strumenti, economicamente più vantaggiosi e più versatili a livello scientifico, manteniamo vecchi presupposti a causa di mentalità inadattabili al cambiamento, è ovvio che ciò che può rivelarsi un'opportunità si può conchiudere solo in un miraggio. La costruzione delle raccolte digitali deve quindi passare per una trasformazione radicale delle collezioni cartacee allo scopo di evitare duplicati o copie fisiche locali poco consultate e dai costi sempre più elevati. L'investimento di fondi risparmiati grazie ai tagli di collezioni cartacee a bassa consultazione o estremamente costose, può portare a forme nuove di abbonamenti per l'accesso a documenti elettronici, con servizi molto più evoluti, flessibili e ritagliati sulle esigenze dei gruppi di ricerca e dell'utenza in generale.

Relativamente alla presenza dei periodici elettronici nelle biblioteche in Gran Bretagna, Fred Friend [14] rileva come anche in questa realtà si sia riservato, fino ad oggi, poco spazio alle collezioni digitali rispetto a quanto esistente nel mercato, sostanzialmente per due fattori:

  1. la diffidenza da parte dell'utente verso prodotti che conosce poco e che sconvolgerebbero il suo modo di acquisire informazioni e di produrre ricerca;
  2. la diffidenza dei bibliotecari, tuttora ancorati ai supporti cartacei e intimoriti all'idea di riconvertirsi in nuovi formati professionali.

Anche oltre oceano la situazione non è poi così avanzata, a parte le note esperienze consolidate da più di quindici anni, che hanno visto bibliotecari ed editori lavorare a fianco per la costruzione di modelli di biblioteche digitali, dai quali molto avremmo da imparare, quali il Progetto JSTOR, il Progetto MUSE e l'attività editoriale di HighWire Press di Stanford.

JSTOR [15] è il progetto di digitalizzazione della Andrew W. Mellon Foundation, per l'accesso ma soprattutto la "conservazione digitale", in quanto propone l'immagine scandita di 117 periodici a testo pieno: JSTOR ripropone le copie fedeli degli originali a stampa, inclusi articoli, recensioni e anche la pubblicità. Il sistema di immagazzinamento consiste infatti in una mappatura delle immagine a 600 dpi che permette di "vedere" le pagine come esattamente appaiono nella copia a stampa. JSTOR è connesso alle banche dati più prestigiose, per esempio i 10 periodici per la matematica sono recuperabili a partire dalla banca dati MathSciNet dell'AMS.

Il progetto MUSE [16], lanciato nel 1996 dalla Hopkins Press, la Eisenhower Library e il Centro di calcolo di Ateneo, offre più di 50 periodici di discipline umanistiche e scienze sociali; accessibili gratuitamente sul web le pagine di indice (TOC) e un fascicolo full text di ciascun periodico.

HighWire Press [17] è un'esperienza estremamente interessante che si differenzia da altri progetti in quanto le biblioteche dell'Università di Stanford divengono "editori" in modo compartecipato con gli editori delle riviste scientifiche. Nato come progetto nel 1985, dal 1997 offre circa 174 riviste full-text, per 133.761 "free full-text articles" e 613.615 articoli in totale (a febbraio 2000). Lo scopo del progetto è quindi quello di creare un lavoro globale tra varie figure: accordi con società scientifiche ed editori universitari, collaborazione con varie università ed editori del settore dell'editoria elettronica, collaborazioni con tecnici ed industrie specializzate nella strumentazione, al fine di testare il prodotto da vari punti di vista creando una connessione di competenze tra i vari partner per un continuo miglioramento del servizio. HighWire Press è un dipartimento dell'Università di Stanford al pari di una delle loro biblioteche [18].

Heting Chu [19] ci illustra i risultati di un'indagine condotta nel 1998 sull'utilizzo di riviste elettroniche tra i responsabili dei settori periodici delle maggiori novantacinque biblioteche accademiche statunitensi. E' sorprendente notare che solo cinquanta biblioteche hanno risposto al questionario; solo il 52.6% dei questionari tornati indietro dalle biblioteche, peraltro afferenti ad ARL, erano compilati in modo completo e di queste biblioteche il 70% dichiarava di aver partecipato ad attività o progetti correlate ai periodici elettronici.

E' pur vero che laddove si sono messe a disposizione collezioni di periodici elettronici con adeguate informazioni (sull'esistenza del nuovo servizio, sulle modalità di accesso, e sulle condizioni e utilizzo dei documenti) il successo è stato superiore alle aspettative. Dalla valutazione dei dati emersi dall'indagine condotta dalla tedesca Max Planck Society (MPG) [20], dopo solo un mese di sperimentazione del nuovo servizio, l'accettazione dell'utenza fu molto alta. MPG mise a disposizione dei suoi 2000 ricercatori, in una struttura organizzativa con 84 istituti di ricerca e numerose altre sedi dislocate in territorio tedesco, tutti i periodici di quattro grossi editori: Elsevier, Springer, Academic Press e IOP. L'indagine, di estremo interesse anche per la validità della metodologia applicata e del campione utilizzato, nacque soprattutto per cercare di affrontare il problema del drastico aumento dei costi.

La tendenza attuale di acquisire entrambe le versioni del periodico, la cartacea e la corrispettiva elettronica, porta alla paradossale situazione di un incremento delle uscite correlato a due variabili: alla modalità di acquisizione del cartaceo e alle dinamiche di mercato dell'online. Il problema aumenta di volume invece che ridimensionarsi. MPG ha voluto quindi investigare quale delle due forme di abbonamento fosse la più opportuna a fronte delle decisioni prese dall'utenza dopo un test di solo un mese. Le risposte dell'utenza denotarono una forte predominanza per il mantenimento della versione online e ben 544 studiosi (in testa l'area biomedica seguita breve distanza dall'area chimica-fisica-matematica), dichiararono di non voler più rinunciare al formato elettronico. Relativamente basse le risposte di utenti che optavano per un ritorno e mantenimento della versione a stampa, per lo più provenienti dal versante umanistico.

Un aspetto da non sottovalutare, legato alla creazione e disseminazione di conoscenze, è quello della certificazione, aspetto fondamentale ai fini della progressione nella carriera accademica; fino ad oggi il modello del periodico a stampa ha assolto ottimamente alla sua funzione di "regolatore", garantendo informazioni di qualità e prestigio, utili ai fini di un riconoscimento formale legittimato [21]. Molti studiosi sono ancora scettici verso un modello di pubblicazione che temono non essere in grado di offrire tali garanzie e di cui ancora non si conosce bene l'impatto sui meccanismi concorsuali. Questo accade soprattutto nei contesti socio-umanistici, mentre negli ambienti della fisica e della matematica il circuito della comunicazione scientifica ha già subito sconvolgimenti importanti, laddove la percezione sul prestigio e valore di una risorsa elettronica risulta essere superiore rispetto a fonti tradizionali.


L'apparato gestionale in crisi

Un ripensamento sul ruolo del serial librarian è quanto mai urgente. Nuove operazioni, nuovi percorsi di lavoro per nuove nature in movimento è il tema trattato in più occasioni da Thomas E. Nisonger [22], e ottimamente ripreso in vari interventi e articoli da Enrico Martellini [23], che riesce con coerenza filosofica a cogliere l'essenza di questi oggetti mutevoli, calandoli con pragmatismo nella quotidianità di un loro trattamento gestionale.

E' soprattutto il ripensare al catalogo nella sua forma e istanza, nei suoi ruoli e funzioni tradizionali, l'aspetto più affascinante e nel contempo non privo di preoccupazioni. L'ambiguità di fondo sta nel riuscire a cogliere il giusto equilibrio tra le entità e gli oggetti che racchiude, tra ciò che il catalogo descrive e rappresenta, ciò che, attraverso la sua stabilità nel tempo e nello spazio, ci ha comunicato fino ad oggi, e quello che permette di raggiungere fuori dai suoi confini, introducendo però elementi di instabilità che vanno a scardinare l'essere catalogo nella sua forma e coerenza.

Il catalogo tradizionale gestionale, come oggi è concepito, è una struttura non adattabile a rappresentare risorse effimere quali risorse elettroniche remote e, in particolare, i periodici elettronici; esso infatti, anche se tradotto nella nuova veste di OPAC, per la sua funzione storica segna la proprietà attraverso le procedure inventariali per la gestione dei beni patrimoniali, descrivendo i beni fisici tangibili posseduti. L'alienazione e lo scarico inventariale dei beni richiedono procedure complesse, ed i periodici elettronici sono materiale non posseduto ma "in accesso", alle volte locale, ma più spesso remoto.

L'entrare/uscire di titoli dal catalogo, la creazione di titoli che poi svaniscono, l'inventare inventari che poi si devono cancellare con complesse procedure, la modifica dei dati descrittivi, l'aggiornamento continuo di localizzazioni migranti, le variazioni dei dati di accesso alla risorsa, l'impossibilità di garantire un controllo puntuale attraverso l'OPAC stesso, sono tutte condizioni che ci devono far riflettere accuratamente.

Anche per le acquisizioni di detto materiale sussistono problematiche non indifferenti, difficilmente gestibili entro le procedure standard di un catalogo automatizzato tradizionale. I contratti per le licenze d'uso sono variabili e con condizioni non modellizzabili. Le localizzazioni degli e-journal ad accesso remoto sono in siti di cui la biblioteca non è responsabile, né ai fini di una conservazione delle risorse stesse, né sul controllo degli indirizzi (attualmente gli URL sono instabili) sui siti degli editori o aggregatori.

Uno stesso titolo inoltre può essere situato in punti diversi della rete, non tanto relativamente ai siti mirror di uno stesso editore o aggregatore, ma in relazione a differenti edizioni della stessa risorsa, ma non solo. Tali differenti versioni/edizioni/pubblicazioni sono effettivamente delle "espressioni" autonome: editore diverso, aggregatore che raggruppa quel titolo assieme ad altri, edizione retrospettiva solo per vecchi numeri su un sito "archivio", edizione con formato particolare per numeri storici, sito preprint che mette a disposizione i numeri che usciranno a stampa, versione su sito ad accesso gratuito solo per alcuni numeri, e via dicendo.

Tali rilevanti variazioni richiedono più descrizioni per le forti connotazioni che differenziano una risorsa da un'altra: ogni risorsa può avere ISSN autonomo e distinto, layout proprio, editore o aggregatore diversi, URL differenti in quanto risorsa situata su più server, accessi e modalità di consultazione e recupero diversificati, talvolta anche variazioni di titolo.

Sempre più spesso non esiste un vero e proprio corrispettivo cartaceo, a parte le esperienze ben note di editori che riproducono esattamente il periodico cartaceo trasponendolo in formato digitale. Ma sempre più i due prodotti divergono, l'uno mantenendo le sue caratteristiche classiche legate al circuito informativo tradizionale cartaceo, l'altro riconducendosi all'ambito dei "servizi online".

Notevoli anche le problematiche descrittive di queste nature, che gli attuali standard, del tutto inadeguati, non sono in grado di risolvere. Lo standard ISBD(ER) dell'IFLA [24] è poco adattabile all'analisi descrittiva dei periodici elettronici ad accesso remoto, soprattutto per una mancanza di codifica di molte informazioni, che risultano fondamentali e che dovrebbero essere visibili e recuperabili per l'utenza in modo strutturato, e non semplicemente affogate nell'area delle note.

Queste considerazioni sui fenomeni reali dovrebbero indurci ad un'analisi approfondita sulle linee stabilite da FRBR (Functional Requirement for Bibliographic Records) [25] riguardo a quanto deliberatamente non preso in considerazione dall'attuale versione di FRBR. Risorse elettroniche non solo, ma anche pubblicazioni seriali su qualsiasi supporto non sono state coperte dall'analisi di FRBR proprio per la loro complessità e novità rispetto ai canoni catalografici tradizionali. Ma è proprio il modello entità/relazioni, vecchio di venticinque anni nel mondo delle basi di dati [26] ma di nuova introduzione nel mondo delle biblioteche, che ci dà la possibilità di definire con precisione non solo le manifestazioni di opere all'interno di uno stesso catalogo, ma anche le manifestazioni poste in differenti contenitori dentro e soprattutto fuori del catalogo.


Antonella De Robbio, Biblioteca del Seminario Matematico - Università degli Studi di Padova, e-mail: derobbio@math.unipd.it


Note

[1] Testo elaborato quale momento di riflessione previa in occasione del convegno organizzato a Bologna il 28 febbraio 2000 dalla Sezione Emilia-Romagna dell'AIB su I periodici elettronici in biblioteca: nuova frontiera o terra promessa?, e che logicamente precede la relazione Evoluzione e rivoluzione dei periodici elettronici, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-1/derobbio.htm>, presentata dalla scrivente al medesimo convegno. I due lavori sono quindi strettamente correlati.

[2] Richard H. S. Crossman, Plato today, London, Unwin books, 1971.

[3] Abbagnano, Definizione, in Dizionario di filosofia; Lalande, Definizione, in Dizionario critico di filosofia, pag.191; Pupier, Lessico in La linguistica. Guida alfabetica, a cura di Martinet, pag.181.

[4] Vincenzo Colelli, Uno strumento di riduzione della vaghezza: le definizioni, in Linguaggio giuridico e definizioni. Tesi presentata al corso di Laurea in Giurisprudenza, Università degli Studi di Padova.

[5] ISBD(S), International Standard Bibliographic Description for Serials. International Federationl of Library Association and Institions. Edizione italiana, Roma, ICCU, 1990.

[6] Judy E. Myers et al., Surfing the sea of stories. Riding the information revolution. "Mechanical Engineering", 114 (1992) 10, p. 60-65.

[7] Vedi nota 3.

[8] In "Forum Burioni", <http://www.burioni.it/forum/isbder.htm>, pubblicato anche a stampa, in versione arricchita da immagini ed esempi di catalogazione, in "Biblioteche oggi", 17 (1999) 1, p. 46-70.

[9] Come riferisce la Relazione Governativa al DLgs. 169/99, "si è voluto in tal modo dare una definizione molto ampia, per il rapido e imprevedibile mutare della tecnologia informatica: sono protette, pertanto, sia le compilazioni cartacee che quelle elettroniche (considerando 13 e 14 [della Direttiva 9/96/CE])".

[10] Remo Badoer e Antonella De Robbio, On the road of e-journals. Paesaggi in movimento nell'evoluzione dei periodici elettronici. "Bibliotime", 2 (1999) 3, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-ii-3/badodero.htm>.

[11] Directory of Electronic Journals, Newletters, and Academic Discussion List di ARL, Association of Research Libraries, <http://arl.cni.org>.

[12] <http://gort.ucsd.edu/newjour/NewJourWel.html>.

[13] Parlo di industria del contenuto piuttosto che di industria culturale riferendomi all'oggetto intangibile, quale bene immateriale che si stacca dal suo supporto fisico divenendo puro contenuto.

[14] Frederic J. Friend, Cooperazione in Gran Bretagna per l’acquisto di pubblicazioni elettroniche. "Bollettino AIB", 39 (1999) 3, p. 235-243.

[15] <http://www.jstor.org>.

[16] <http://muse.jhu.edu/>.

[17] <http://highwire.stanford.edu >.

[18] L'esperienza di HighWire Press ci è stata illustrata direttamente da Assunta Pisani e Michael Keller durante il corso di lezioni stanfordiane nel modulo Master The Digital Library, organizzato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dallo IAL di Brescia, nel mese di settembre 1999.

[19] Heting Chu, Electronic journal: promises and challenges for accademic libraries, 1999, <http://phoenix.liu.edu/~hchu/ejournal.htm>.

[20] Evaluation of usage and acceptance of electronic journals: results of an electronic survey of Max Planck Society Researchers including usage statistics from Elsevier, Springer and Academic Press. "D-Lib Magazine", 5 (1999) 10, <http://www.dlib.org/dlib/october99/rusch-feja/10rusch-feja-summary.html>.

[21] Cheri Speier et al., Faculty perceptions of electronic journals and scholarly communication: a question of prestige and legitimacy. "Journal of the American Society for Informations Science" 50 (1999) 6, p. 537-543.

[22] <http://www-slis.lib.indiana.edu/Faculty/nisonge.html>.

[23] Enrico Martellini, Ritorno al futuro: i periodici elettronici dal Web al catalogo della Scuola Normale Superiore", <http://www.burioni.it/forum/pi99-mart.htm>; Id., Il ruolo del serials librarian nell'era dei periodici elettronici, <http://www.burioni.it/forum/mart-per.htm>, entrambi su "Forum Burioni".

[24] ISBD(ER), International Standard Bibliographic Description for Electronic Resources / revised from the ISBD(CF): International Standard Bibliographic Description for Computer Files ; recommended by the ISBD(CF) Review Group. München, Saur, 1997.

[25] Il testo dei Functional requirements for bibliographic records è disponibile all'URL <http://www.ifla.org/VII/s13/frbr/frbr.pdf>. Gli atti del seminario sui FRBR, tenutosi Firenze il 27-28 gennaio 2000, è disponibile all'URL <https://www.aib.it/aib/sezioni/toscana/conf/cfrbr.htm>.

[26] Il concetto di entità fu introdotto da P. Chen nel citatissimo articolo The entity-relationship model: toward a unified view of data. "ACM Transactions on Data Base Systems", n. 1, (1976) p. 9-36.



«Bibliotime», anno III, numero 2 (luglio 2000)


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