«Bibliotime», anno IX, numero 3 (novembre 2006)

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Michele Santoro

Conservazione e perdita delle memorie. Breve storia per immagini *



1. Una vicenda millenaria

In questo articolo ci proponiamo di esaminare, in termini generali e senza alcun carattere di esaustività, alcuni aspetti legati al tema della conservazione e della perdita delle memorie documentarie. A tal scopo proveremo ad affrontare - anche con l'ausilio delle immagini - i principali problemi che, nel corso del tempo, hanno pregiudicato in modo spesso irreversibile la trasmissione del patrimonio scritto; analogamente, ci sforzeremo di riconoscere i meccanismi che hanno consentito lo sviluppo di processi di conservazione sempre più consapevoli e duraturi.

E per introdurre questi argomenti, è interessante riprendere l'analisi di Pietro Rossi il quale, nell'esaminare le tematiche relative alla salvaguardia e alla diffusione del sapere dall'antichità ai giorni d'oggi, assegna un'importanza centrale alla presenza e all'interazione continua di tre istanze o funzioni culturali, che egli individua nella produzione, nella conservazione e nella circolazione delle conoscenze [1].

Si tratta di funzioni strettamente correlate, che stanno all'origine dei fenomeni socioculturali verificatisi nelle diverse epoche storiche; in particolare, afferma Rossi, la conservazione assume una posizione intermedia, trovando il proprio presupposto nella produzione e costituendo a sua volta il requisito per la circolazione delle conoscenze. Difatti, prosegue l'autore,

"che tra queste funzioni sussistano rapporti di continuità assai stretti, e anche di condizionamento reciproco, è talmente ovvio da non richiedere una dimostrazione; così come evidente è il fatto che i luoghi della conservazione (e della trasmissione) del sapere spesso coincidono con quelli della sua produzione, mentre d'altra parte la conservazione si realizza soltanto se il sapere acquista una sua circolazione [...]. Anzi, la stessa distinzione tra queste funzioni è, sotto il profilo istituzionale, il risultato di un processo storico molto complesso, che ha messo capo a esiti differenti nelle varie società [2]."

E tuttavia, di fianco a queste funzioni "positive", occorre individuarne una quarta, decisamente negativa ma senza la quale non è possibile comprendere a fondo il nostro tema: ci riferiamo alla distruzione, alla scomparsa, alla perdita delle memorie.

Tale perdita è dovuta alle cause più diverse, fra cui alcune di origine naturale (terremoti, inondazioni, eruzioni vulcaniche, ...), altre provocate dall'uomo (guerre, saccheggi...); e ad entrambe queste categorie appartiene uno tra i motivi più frequenti di scomparsa della memorie, vale a dire gli incendi.

Molta parte del patrimonio documentario poi è andato distrutto non solo per calamità più o meno naturali, ma per ragioni legate agli stessi supporti, alle loro caratteristiche chimico-fisiche, ai criteri in base ai quali sono stati conservati, oltre che all'azione di veri e propri "predatori" (tarli, termiti, roditori, etc.). Infine, una causa poco esplorata, ma di forte impatto sui meccanismi di trasmissione dei documenti, è quella legata all'avvento di nuove materie scrittorie, e dunque al trasferimento dei contenuti da un supporto a un altro.

Ciò nonostante, la funzione conservativa ha continuato a esercitare la sua attività, tramandando alle generazioni successive ciò che nelle diverse epoche storiche è stato possibile sottrarre ai processi di oblio, di deterioramento o di distruzione vera e propria. È dunque alla luce di questa duplice opzione - che vede da un lato una lunga catena di perdite provocata dalle cause più diverse, dall'altro una costante opera di salvaguardia e tutela documentaria - che si svilupperà il nostro percorso, teso a mettere in luce i momenti più significativi di una vicenda di durata millenaria.

2. Il mondo antico

E in tale percorso ci piace aprire con un successo: quello realizzato nella penisola mesopotamica a partire dal 3° millennio a. C., quando le prime civiltà, nate ad opera di Sumeri, Babilonesi e Assiri, danno vita a uno dei supporti più duraturi di ogni tempo, ossia la tavoletta di argilla [3]: un supporto, in primo luogo, inattaccabile dagli incendi, se è vero che il fuoco,

"fatale alla carta di papiro e agli altri materiali da scrittura quali la pelle e il legno, indurisce invece le tavolette d'argilla, rendendole addirittura più resistenti. Così, quando i conquistatori mettevano a ferro e fuoco un palazzo mesopotamico, non facevano che assicurare ai posteri la sopravvivenza delle tavolette d'argilla in esso conservate [4]."

Grazie a queste caratteristiche è stato possibile il ritrovamento di interi archivi: il caso più celebre è senz'altro quello di Ebla, in Siria, dove nel 1980 un gruppo di archeologi italiani ha portato alla luce oltre 2000 tavolette. Allo stesso modo sono state recuperate importanti biblioteche, come quella del re assiro Assurbanipal, risalente al settimo secolo a. C. e che, secondo Lionel Casson, rappresenta

"un vero e proprio tesoro che annovera, tra l'altro, più di un centinaio di esempi di testi professionali di vario tipo, nonché l'epopea di Gilgamesh e quella del mito della Creazione, ossia la maggior parte delle opere letterarie della Mesopotamia di cui siamo a conoscenza [...]. Si è stimato che la biblioteca di Assurbanipal contenesse circa 1500 titoli e che molti di essi fossero presenti in molteplici copie, in alcuni casi fino a sei; il numero complessivo delle tavolette doveva dunque essere vertiginoso [5]."

L'avvento di una nuova materia scrittoria, il papiro, rappresenta un'innovazione fondamentale per ciò che riguarda la leggibilità dei testi e la possibilità di disporli su una superficie atta a contenere una quantità assai ampia di scrittura [6]. Ma allo stesso tempo il primo tipo di carta mai prodotta, al pari di tutti gli altri che seguiranno nel corso dei secoli, presenta il gravissimo limite della deperibilità, dell'infiammabilità, dunque della scarsa capacità di resistere (se così possiamo esprimerci) agli oltraggi della storia, e tramandare nella maniera più idonea le memorie dell'umanità.

I papirologi infatti sono concordi nel ritenere che, solo per l'epoca greca e romana (e cioè in oltre un millennio di produzione scritta), siano sopravvisuti non più di 30.000 rotoli di papiro, "fra cui quelli latini sono poco meno di 400 [...]; la grandissima maggioranza è costituita da documenti, mentre i papiri letterari non arrivano ai 4000 (dei quali poco più di un centinaio latini), a cui vanno aggiunti quelli biblici (circa 400)" [7].

Le cause di tale naufragio sono le più varie, e tra queste in primo luogo gli incendi. Non è un caso, osserva Luciano Canfora, se "la storia delle antiche biblioteche si conclude spesso nel fuoco"; si tratta, prosegue l'autore, di un'idea diffusa fin dai tempi più remoti, che ha le sue radici nella percezione

"di come erano finite le biblioteche dei grandi regni orientali, nei quali l'inevitabile, conclusivo incendio del "palazzo" aveva in genere implicato anche l'incendio della annessa biblioteca [...]. Le notizie sui roghi vengono talvolta replicate in epoche diverse in riferimento alla stessa biblioteca. Così ad Alessandria; così ad Antiochia, dove il Museo va in fiamme sotto Tiberio e poi daccapo sotto Gioviano. A corroborare queste tradizioni con dolorosa esperienza sopraggiunse la guerra dei cristiani contro la vecchia cultura ed i suoi santuari: le biblioteche appunto [8]."

Una conferma quasi paradigmatica di questa visione - che peraltro si ripropone nelle epoche successive senza soluzione di continuità - è data dalla vicenda della biblioteca di Alessandria: per averne una riprova, scrive James O' Donnell, basterà pensare che

"le leggende della civiltà occidentale hanno bisogno di Alessandria come se fosse la nave madre della tradizione bibliotecaria; e tuttavia queste leggende sono sempre legate al fatto che la biblioteca è stata distrutta, distrutta completamente [9]."

È dunque importante concentrarsi sull'identità di una biblioteca che, nelle parole di Christian Jacob, si configura come "l'origine, il modello fondatore di ogni progetto di raccolta della memoria scritta": difatti, continua lo studioso, "l'esemplarità della biblioteca non risiede tanto nella monumentalità dell'architettura, quanto nella decisione di raccogliere in uno stesso luogo tutti i libri della terra, presenti e passati, greci e barbari" [10].

Ed è per dar corso a questo progetto che, secondo alcune testimonianze, la biblioteca arriva a possedere fino a 700.000 rotoli [11], ponendosi dunque come la quintessenza stessa della conservazione. Ma è proprio questa mission, volta all'accumulazione e al mantenimento nel lungo termine delle memorie scritte, che contribuisce in maniera determinante alla sua fine: difatti, appare evidente che raccogliere in un sol luogo tutto il sapere del mondo equivale a esporlo a un elevato rischio di perdita, diventando il bersaglio privilegiato di ogni aggressione, accidentale o volontaria che sia.

In tal senso si possono allora interpretare i controversi avvenimenti che hanno portato alla sparizione della biblioteca e che, a seconda delle fonti, la attribuiscono all'incendio scaturito durante l'assedio posto da Cesare alla città di Alessandria nel primo secolo a. C. [12]; o alla devastazione seguita, nel terzo secolo d. C., alla guerra condotta dall'imperatore Aureliano nel tentativo di soffocare la ribellione del regno di Palmira [13]; o alla distruzione consentita dall'intollerante imperatore cristiano Teodosio nel quarto secolo d. C. [14]; o infine alla grande ecpirosi avvenuta ad opera degli arabi nel settimo secolo d. C. [15].

Ma a ben guardare, la scomparsa della biblioteca può essere riferita a cause meno deflagranti e più legate a fenomeni culturali e strictu senso naturali: è ciò che ipotizza Mattew Battles, secondo cui i diversi nuclei librari presenti ad Alessandria sono andati

"lentamente in rovina nel corso dei secoli, sotto lo sguardo indifferente, se non ostile, delle popolazioni. Il greco antico, lingua peraltro piuttosto duttile, divenne incomprensibile per gli alessandrini dell'era cristiana, nella sua commistione di copto, aramaico, ebraico, latino e koinè o greco demotico. Ignorati da generazioni per le quali erano indecifrabili, i rotoli furono danneggiati dall'alternarsi di periodi umidi e periodi secchi, divorati dalla fauna e dalla flora che avevano sviluppato una particolare resistenza a vivere in ambienti come la biblioteca; e poi rubati, smarriti e, ovviamente, bruciati [...]. Cosa ne è stato dei libri di Alessandria? La loro vera sorte appare chiara ai bibliotecari: molti, moltissimi secoli sono passati - troppi, per salvarli dalla loro inevitabile dispersione e scomparsa, non importa chi abbia detenuto il monopolio del papiro o a quale fazione appartenessero le folle inferocite, né quali imperatori gli abbiano dato fuoco [16]."

In ogni caso, possiamo convenire con Luciano Canfora quando afferma che la storia delle biblioteche dell'antichità si presenta come una lunga "catena di fondazioni, rifondazioni e catastrofi", e ciò consente di collegare "i vari, e in buona parte vani, sforzi del mondo ellenistico e romano di mettere in salvo i propri libri" [17].

La perdita delle memorie tuttavia non è dovuta soltanto a eventi calamitosi (provocati o meno dall'uomo), ma ha origini che il più delle volte sono legate a necessità d'uso non scrittorio delle materie scrittorie.

Per rimanere all'epoca ellenistica, vi ritroviamo un esempio decisamente significativo di impiego improprio dei supporti: quello del rotolo contenente gli epigrammi di Posidippo di Pella, autore alessandrino del 3° secolo a. C., recuperato e ricostruito da due papirologi italiani, Guido Bastianini e Claudio Gallazzi, i quali hanno pazientemente giustapposto 22 frammenti, alcuni dei quali grandi quanto un coriandolo [18]. Difatti tale papiro, come avveniva sovente in questo periodo, era stato riutilizzato

"per realizzare della cartapesta. Raccolto o acquistato da qualcuno che produceva i sarcofagi in cartapesta (cartonnage), il rotolo venne spezzato, unito a papiri di altra provenienza, tagliato per adattarsi al nuovo oggetto: un pezzo di sarcofago [...]. Fin dal primo millennio a. C. infatti ai sarcofagi in legno o in pietra vennero sostituiti involucri fatti con il cosiddetto cartonnage. Questa specie di cartapesta era ottenuta incollando pezzi di tela o di papiro, sovrapposti a strati e quindi ricoperti di stucco e dipinti. Il prodotto finito era talvolta traforato così da mettere in rilievo certi disegni: ciò spiega perché il rotolo con gli epigrammi di Posidippo - finito nel pettorale di una mummia sconosciuta - presenti dei buchi geometrici e regolari. Oltre al libro di Posidippo, il fabbricante del pettorale utilizzò anche cinque documenti provenienti da archivi pubblici e datati in un arco di tempo che va dal 188 al 178 a. C. [19]."

A partire dal II secolo d. C. poi si assiste all'avvento di un nuovo supporto documentario, il codice in pergamena, il quale offre una serie indiscussa di vantaggi legati a una maggiore leggibilità, a una più efficace mise en page ed anche a una relativa robustezza e resistenza alle insidie del tempo [20]; allo stesso tempo però esso ripropone tutti i limiti dei supporti che l'hanno preceduto, essendo facilmente infiammabile e, naturalmente, suscettibile di furti, smarrimenti o distruzioni per i motivi più diversi.

Ma è la stessa presenza di questo di supporto che contribuisce a un'ulteriore perdita delle memorie documentarie, e ciò accade quando molte opere della tradizione greca e latina vengono trasferite dal rotolo di papiro al codice in pergamena. Luciano Canfora in particolare ha dimostrato come una serie di testi (o ampie parti di essi) siano andati dispersi proprio a seguito di queste trasposizioni: difatti la precedente ripartizione in "libri" delle opere di autori tragici, storici o filosofici non viene replicata nel nuovo formato del codice, e ciò provoca la loro definitiva scomparsa nel momento in cui vanno perduti i codici sui quali sono state trascritte. Nelle parole dell'autore,

"i testi degli storici greci e latini erano stati raggruppati, a un dato momento, in blocchi di cinque libri (in origine cinque rotoli) su ciascun codice: di conseguenza la perdita di un codice ha comportato la sparizione di cinque libri in blocco [...]. Questi esempi mostrano come i due fattori della conservazione e della perdita - il fattore meccanico e il criterio del "contenuto" - siano strettamente intrecciati [21]."

3. Il mondo medievale e moderno

Il passaggio dall'antichità al medioevo rappresenta una fase cruciale per ciò che riguarda la salvaguardia o la perdita delle memorie; ma proprio perché siamo di fronte a una svolta epocale, appare importante chiarire le ragioni che hanno portato all'insorgere di condizioni così particolari e radicalmente diverse da quelle delle epoche precedenti. E in primo luogo, occorre sottolineare come in questo periodo si verifichi una scomparsa di proporzioni davvero enormi del patrimonio documentario del mondo antico; come scrive Lucien Polastron,

"è stata calcolata la perdita certa e definitiva di opere di ogni tipo: 109 opere teatrali di Plauto, 24 di Ennio, 40 di Accio; l'Hortensius, un trattato filosofico di Cicerone, e tutta la sua opera poetica tranne qualche verso; quasi tutto Varrone, così come i poemi epici che si scrivevano ai tempi di Virgilio; la maggior parte, non sappiamo quanto, del Satiricon e 107 libri su 142 della storia romana di Tito Livio (tra cui quello contenente la chiave del mistero di Alessandria), interi tomi di Tacito o di Plinio il Vecchio: di quest'ultimo ci rimangono solo 37 libri della Historia Naturalis, sui più di 500 volumi dedicati alla grammatica, all'arte della guerra e ad altri argomenti. E non potremo più trarre profitto da Conoscere i libri di Telefo di Pergamo, da Sulla scelta e l'acquisizione dei libri di Filone Erennio, né dal Bibliofilo di Damofilo di Bitinia [22]."

Ma al tempo stesso è opportuno richiamare l'opinione di Guglielmo Cavallo, secondo il quale sarebbe un grave errore ritenere che

"l'immenso complesso delle opere antiche si sia trasmesso integralmente o quasi fino all'incirca il secolo II d. C. e che, a partire da quest'epoca, sia stato travolto dalla più generale crisi del mondo antico, avendo provocato quest'ultima tutta una serie di naufragi senza ritorno. Invece, il patrimonio di sapere che la tarda antichità si trovò di fronte era un patrimonio che già i secoli precedenti avevano sfoltito, selezionato o semplicemente dimenticato o perduto; anzi, fu proprio la tarda antichità, da considerare perciò una delle epoche-cardine nella storia della conservazione, che prese coscienza della crisi in atto e mise in opera meccanismi intesi a recuperare quanto ancora sopravviveva di quel patrimonio" [23]."

Difatti l'attività di recupero e di conservazione del patrimonio documentario del mondo antico si concentra intorno ai monasteri, alle cattedrali ed in seguito anche alle corti [24], presso cui sorgono quei nuclei librari che consentono la salvaguardia e la trasmissione delle conoscenze alle generazioni successive. In particolare sono le comunità monastiche che, sulla scorta della regola benedettina, vengono sollecitate a trascrivere, e dunque a riprodurre i codici in loro possesso, assicurando così la conservazione e la diffusione del patrimonio documentario [25].

Nei secoli successivi il numero dei codici aumenta in maniera considerevole, permettendo una maggiore circolazione delle informazioni, e dunque una più idonea tutela delle memorie; al tempo stesso però si assiste a continue distruzioni di manoscritti, e ciò è dovuto a necessità assolutamenta pratiche e quotidiane.

In tutto il medioevo infatti i codici vengono smantellati perché la pergamena ha un costo assai elevato, e quindi quindi viene riutilizzata per gli scopi più disparati, ad esempio per ricavare rinforzi, copertine, rinforzi, fogli di guardia per protocolli notarili, rotoli, registri di conto, etc. Se a ciò si aggiunge che alcune scritture - come la gotica - sono difficili da leggere, si comprende perché i codici vengono smembrati senza particolari riguardi: si distruggono libri di scuola, testi liturgici, universitari, cavallereschi, senza distinzioni [26].

La ricerca condotta da Cesare Scalon presso l'Archivio di Stato di Udine ha permesso di ritrovare una serie di frammenti che in epoca medievale erano stati adibiditi ad altro uso: in particolare, sono state recuperate pergamene provenienti da trentacinque libri liturgici, da due opere di Padri della Chiesa (Sant'Agostino e San Gregorio), da tre testi letterari (una grammatica di Prisciano, un Lucano e un Sallustio) e da un testo di Aristotele [27].

Il fenomeno si accentua fra Quattro e Cinquecento, e cioè in seguito all'invenzione della stampa, quando i libri manoscritti vengono eliminati nelle stesse tipografie in cui sono stampate le opere da essi contenute; tale situazione ha fatto pensare a precise connessioni fra commercianti di carta, rilegatori e professionisti per il riutilizzo delle pergamene, e che ciò abbia condotto alla distruzione sistematica di intere biblioteche. Difatti, scrive David McKitterick,

"una volta stampate le opere, non c'era più l'imprescindibile necessità di preservare l'esemplare manoscritto. Poco dopo essere stati stampati, e giusto per fare due esempi, i manoscritti di Plinio e di Livio non si videro più [...]. Si può dire che oggi sia impossibile calcolare quante opere (e non semplicemente quante copie) fossero andate distrutte, a metà del Cinquecento, in conseguenza di trascuratezza, di ignoranza o di distruzione più o meno deliberata [28]."

Ma per restare ancora al mondo manoscritto, è opportuno ricordare l'intensa attività di recupero e trascrizione di testi classici realizzata dai nostri umanisti, a partire da Lovato Lovati per arrivare a Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Poggio Bracciolini, Coluccio Salutati, Niccolò Niccoli [29].

Le vere e proprie biblioteche raccolte da questi studiosi (ricordiamo con Armando Petrucci che "Coluccio possedette circa ottocento libri, una cifra assai grande per i tempi" [30]) sono andate disperse per le cause più diverse, ad eccezione di quella del Niccoli, composta anch'essa di ottocento codici, i quali hanno costituito il primo fondo della biblioteca di San Marco in Firenze, che poi è diventata la Medicea pubblica ed oggi è la Biblioteca Medicea Laurenziana.

E se quest'ultimo appare un esempio assolutamente positivo di conservazione e di trasmissione delle memorie, vediamo che anche in epoca moderna la storia delle biblioteche è costellata dalla scomparsa di straordinarie raccolte: fra tutte, s'impone la vicenda della biblioteca di Mattia Corvino, re d'Ungheria dal 1458 al 1490, la cui dispersione

"fu provocata da più cause: Ladislao Jagellone, successore del sovrano bibliofilo, trascurò di tutelare il patrimonio inestimabile raccolto da Mattia, lasciandolo esposto a continui e reiterati saccheggi; persino Beatrice d'Aragona, vedova di Mattia, facendo ritorno a Napoli nel 1501, portò con sé molti manoscritti, contribuendo alla frantumazione della prestigiosa collezione. Alcuni codici vennero poi donati ad ambasciatori e sovrani in visita nella capitale ungherese, e quelli prestati spesso non furono mai restituiti [31]."

4. Il mondo contemporaneo

L'invenzione della stampa ha prodotto un vertiginoso aumento nel numero dei libri, e di conseguenza ha ridotto il rischio di scomparsa di una quantità di opere letterarie e scientifiche; ma allo stesso tempo l'accumulo dei volumi in raccolte sempre più vaste ha dato vita a problemi di conservazione con cui le biblioteche fanno i conti ancora oggi, e che sono legati alle componenti chimico-fisiche dei supporti, a fattori quali la polvere, la temperatura e l'umidità relativa, la luce, l'inquinamento atmosferico e pulviscolare, oltre che ai diversi agenti di degrado biologico (batteri, muffe, insetti, roditori, etc.) [32].

Ma anche nel mondo contemporaneo sono gli incendi a costituire la causa più spettacolare di scomparsa delle memorie: non è un caso se Lucien Polastron, nel suo ben documentato volume intitolato Libri al rogo [33], dedica più della metà della sua indagine al mondo moderno e contemporaneo; allo stesso modo, l'impressionante elenco redatto dall'Unesco indica gli incendi come la causa principale di distruzione di biblioteche e archivi per tutto il ventesimo secolo [34].

Il nostro paese peraltro non è andato esente da questa condizione: basti pensare all'incendio che, nella notte fra il 25 e il 26 gennaio 1904, ha devastato la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino provocando danni gravissimi.

Il fuoco, sviluppatosi per cause imprecisate, si è esteso con grande rapidità, favorito dalle numerose strutture lignee della biblioteca [35]:

"le sezioni più danneggiate risultarono quelle dei manoscritti orientali, dei francesi e degli italiani [...]. Nei codici membranacei le modificazioni strutturali delle pergamene, provocate dal calore, si aggravarono dai getti d'acqua fredda; per drastiche riduzioni delle dimensioni e agglutinamenti delle pergamene fra di loro, alcuni codici si sono trasformati in blocchi compatti [36]."

Ed anche in tempi più recenti - e cioè poco meno di due anni fa - il nostro patrimonio documentario è stato duramente colpito da questa calamità: difatti nella notte tra il 1 ed il 2 dicembre 2004 un incendio di origine dolosa ha distrutto più di 70.000 libri e riviste dell'Ottocento e del Novecento di proprietà della Società Letteraria di Verona, conservati nel Padiglione 24 nell'area dei Magazzini generali, e in attesa di rientrare nella sede della biblioteca dopo la sua ristrutturazione [37].

Tali catastrofi naturalmente non sono esclusive della nostra penisola [38]: difatti qualche mese prima del disastro di Verona, ossia nella notte del 2 settembre 2004, un incendio sviluppatosi nel sottotetto della storica biblioteca della duchessa Anna Amalia a Weimar ha devastato una delle principali istituzioni culturali della Germania, annoverata nel patrimonio universale dell'Unesco [39].

In particolare sono andati distrutti oltre 30.000 preziosi volumi, e circa 40.000 sono stati seriamente danneggiati dall'acqua e dalla schiuma impiegata dai 330 pompieri accorsi per spegnere l'incendio, mentre una catena umana di cittadini ha consentito di mettere in salvo oltre 120.000 volumi, tra cui i 3.900 esemplari della più grande raccolta mondiale del Faust di Goethe, e l'importante raccolta storica delle varie edizioni della Bibbia, tra cui quella del 1534 appartenuta a Martin Lutero [40].

Agli incendi si aggiungono poi altre calamità, quali alluvioni, inondazioni, uragani, che da sempre hanno colpito le biblioteche e le altre istituzioni volte alla conservazione delle memorie. L'emblema di questo tipo di catastrofi resta senz'altro l'alluvione di Firenze [41]: come ricordano Giulia Barone e Armando Petrucci,

"all'alba del 4 novembre 1966 l'Arno invase Firenze; alle 6.30 l'acqua limacciosa fece breccia proprio davanti alla Biblioteca Nazionale, da qualche tempo già investita da un torrente d'acqua proveniente da altri punti del Lungarno, e penetrò con forza nei locali di deposito sotterranei, quindi nelle sale di lettura a piano terreno, travolgendo mobili, attrezzature, schedari, distruggendo e inghiottendo centinaia di migliaia di volumi, di opere antiche di grande formato, di quotidiani [42]."

Sono rimaste così danneggiate circa 1.200.000 unità bibliografiche, tra le quali 300.000 libri della collezione Magliabechiana e della collezione dei grandi formati presenti nel sottosuolo della biblioteca, e una quantità di opere moderne di varie epoche, tra cui 20.000 quotidiani, 10.000 riviste, 400.000 miscellanee, varie collezioni di manifesti e opuscoli, oltre ai cataloghi della biblioteca, contenenti circa 8 milioni di schede.

Occorre però ricordare che l'emergenza è stata affrontata con grande energia dall'allora direttore Emanuele Casamassima, che non solo ha ignorato la tradizionale visione che impediva ai "non addetti ai lavori" di maneggiare i materiali bibliografici nel momento in cui ha lasciato entrare i volontari in biblioteca, ma ha adottato una serie di decisioni che porteranno al successivo ripristino di buona parte di questi materiali e che, per citare ancora Barone e Petrucci, sono consistite

"innanzitutto nella scelta del recupero e del restauro totale del materiale librario e catalografico danneggiato; quindi nella individuazione del metodo di essiccazione come sistema preliminare di salvataggio dei pezzi; infine nell'assunzione di responsabilità necessaria per utilizzare sia la forza-lavoro volontaria sia i fondi messi a disposizione da enti e istituti italiani e stranieri, prima e al di qua di quelli inviati dalla stessa Direzione Generale. Così avvenne che entro un mese il materiale fu tutto estratto dai locali invasi dal fango e inviato in oltre venti località diverse ove erano in funzione ininterrottamente essiccatoi industriali [43]."

Ma non sono soltanto le calamità naturali a condizionare le possibilità di sopravvivenza delle memorie, se è vero che, anche in epoca recente, le guerre si pongono come una fra le cause più drammatiche di perdita del patrimonio documentario. Pensiamo in particolare al conflitto jugoslavo, durante il quale la Biblioteca Nazionale e Universitaria di Bosnia-Erzegovina è stata intenzionalmente distrutta dai nazionalisti serbi che occupavano le colline intorno a Sarajevo. Nella notte del 25 agosto 1992 infatti il fuoco ha completamente devastato le storiche raccolte della biblioteca, che comprendevano centinaia di migliaia di volumi, fra cui 700 manoscritti e incunaboli e insostituibili collane di periodici; la distruzione dei cataloghi poi ha reso ancora più problematica una futura ricostruzione delle collezioni [44].

Un po' meglio, se così si può dire, è andata alla biblioteca nazionale di Bagdad che nell'aprile 2003, in seguito all'arrivo delle truppe americane, è stata prima saccheggiata e poi data alle fiamme, ma il cui patrimonio non è andato completamente disperso. Come ha dichiarato il nuovo direttore, Saad Eskander,

"purtroppo abbiamo perduto gli schedari. Ma sappiamo che tra i libri spariti ci sono pubblicazioni vecchie oltre mezzo millennio dei libri di Averroè, i trattati di Avicenna, edizioni uniche delle Mille e una notte. Poco prima dello scoppio della guerra, le autorità avevano nascosto da 3.000 a 5.000 tra i volumi più preziosi, su circa un milione di testi che si trovavano nella biblioteca, nei sotterranei del ministero del Turismo. Fu un errore madornale. Lo stabile venne assaltato dalla folla di saccheggiatori. A ciò si aggiunse l'inondazione dei liquami dalle fognature colpite dai bombardamenti [...]. In tutto ci sono rimasti circa 750.000 volumi e il 40 per cento degli oltre 7 milioni di documenti relativi al periodo 1921-1978 [45]."

Ma il disastro più recente, che ha sconvolto ampie zone degli Stati Uniti provocando perdite documentarie assai ingenti, è senz'altro l'uragano Katrina, a seguito del quale è rimasto seriamente danneggiato il patrimonio di numerose biblioteche in Texas, Alabama, Mississippi e Louisiana [46].

In quest'ultimo stato in particolare sono andate distrutte la biblioteca di Lakeshore, di circa 46.000 volumi; la Belle Terre Library, contenente quasi 39.000 volumi; la biblioteca di Gretna, di 28.000 volumi, e qualle di Grand Isle sul Golfo del Messico, di circa 17.000 volumi, mentre di altre si sono registrate perdite di parti significative delle collezioni, com'è il caso di quelle di Lafitte e di Westwego, nelle quali è andata dispersa l'intera sezione ragazzi, ciascuna di circa 7.500 volumi; o quella di Live Oak, in cui l'uragano ha colpito la raccolta di reference e i libri per ragazzi, per un totale di 12.000 volumi.

Anche la New Orleans Public Library ha subito danni gravissimi, se è vero che otto delle dodici sezioni in cui si articolava la struttura sono state completamente distrutte dal vento, dall'acqua e dal fango: l'immagine successiva mostra una di queste sezioni, la Martin Luther King Branch, sia prima che dopo il disastro. Va inoltre ricordato che in seguito a questo evento l'80% dello staff ha perso il lavoro, e che la cifra totale dei danni subiti dalle strutture bibliotecarie si aggira intorno ai 30 milioni di dollari [47].

Ciò nonostante, le associazioni professionali statunitensi e i governi locali si stanno attivamente adoperando per il recupero dei materiali deteriorati e per la ricostruzione delle biblioteche danneggiate o distrutte, puntando al tempo stesso a una sempre maggiore funzionalità delle strutture e a un conseguente miglioramento dei servizi: come infatti scrivono i promotori di una fra queste iniziative (e cioè quella volta alla ricostituzione della principale biblioteca cittadina), "il nostro obiettivo non è soltanto un 'ritorno alla normalità', ma ci stiamo impegnando per qualcosa di più e di meglio: un nuovo modello bibliotecario urbano per la New Orleans del ventunesimo secolo" [48].

Saremmo tentati di chiudere il nostro excursus su questa nota di ottimismo, se non fosse necessario accennare almeno alla documentazione in formato digitale e ai suoi rilevanti rischi di scomparsa: si tratta, com'è noto, di un tema è ancora sub judice per la complessità e la multiformità dei fenomeni che propone, e con cui la comunità internazionale si sta attivamente confrontando [49].

Ma se possiamo comunque trarre un insegnamento dalla lunga storia della conservazione e della perdita delle memorie, è che queste due istanze sono sempre strettamente connesse, per cui ad ogni insulto teso a colpire o distruggere il patrimonio documentario si associa un'indubbia capacità di proteggere, salvaguardare o ricostituire tale patrimonio [50]. È ciò che sembra suggerire l'ultima immagine, la quale mostra la Birmingham Central Library in seguito al disastroso incendio del 1879, e come invece appare oggi. Ed è forse in questa diatesi che si compendia l'intera storia culturale dell'umanità.

Michele Santoro, Coordinamento Area Scientifico-tecnica del Sistema Bibliotecario di Ateneo - Università di Bologna, e-mail: michele.santoro@unibo.it


Bibliografia

Note

* Relazione presentata al convegno Conservare le raccolte delle biblioteche: problemi e prospettive dal cartaceo al digitale, Venezia il 26 maggio 2006, e promosso dalla Commissione nazionale università e ricerca, dal Gruppo di studio sulle biblioteche digitali e della Sezione Veneto dell'Associazione Italiana Biblioteche.

[1] Pietro Rossi, Prefazione a La memoria del sapere. Forme di conservazione e strutture organizzative dall'antichità a oggi, a cura di Pietro Rossi, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. V.

[2] Ibid.

[3] Di opinione opposta è Guglielmo Cavallo, per il quale "il sapere fissato su materie dure e forse solo su queste - il sapere più antico - è naufragato in misura quasi totale [...]; e invece l'età moderna ha conosciuto da materiali papiracei di circolazione casuale molto del sapere antico non soltanto per fortunate circostanze di conservazione in particolari siti geografici, ma soprattutto per il numero notevolissimo di reperti; ugualmente, molto è sopravvissuto grazie alla 'tenace fragilità' della carta" (Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere dalla Grecia antica all'Occidente medievale, in La memoria del sapere, cit., p. 66). Su quest'ultimo punto si veda in particolare Giorgio Raimondo Cardona, Storia di una tenace fragilità, in Charta. Dal papiro al computer, a cura di Giorgio Raimondo Cardona, Milano, Mondadori, 1988, p. 15-17.

[4] Lionel Casson, Biblioteche del mondo antico, Milano, Sylvestre Bonnard, 2003, p. 11.

[5] Ibid., p. 19-20.

[6] Su questo aspetto cfr. fra l'altro Guglielmo Cavallo, Tra volumen e codex. La lettura nel mondo romano, in Storia della lettura nel mondo occidentale, a cura di Guglielmo Cavallo e Roger Chartier, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 37-69.

[7] Orsolina Montevecchi, La papirologia, ristampa riveduta e corretta con addenda, Milano, Vita e Pensiero, 1998, p. 7.

[8] Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, p. 198-199.

[9] James O'Donnell, Avatars of the words. From papyrus to cyberspace, Cambridge, Harvard University Press, 1998, p. 27, trad. nostra.

[10] Christian Jacob, Lire pour écrire: navigations alexandrines, in Le pouvoir des bibliothèques. La mémoire des livres en Occident, sous la direction de Marc Baratin et Christian Jacob, Paris, Albin Michel, 1996, p. 47. Sul tema si veda anche l'importante volume di Rudolf Blum, Kallimachos: the Alexandrian Library and the origins of bibliography, translated from the German by Hans H. Wellisch, Madison, The University of Wisconsin Press, 1991.

[11] Difatti, scrive Luciano Canfora, la cifra complessiva dei rotoli posseduti dalla biblioteca è "variamente tramandata: da 40.000 a 700.000" (Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, Palermo, Sellerio, 1990, p. 147). Un numero così elevato, osserva Lucien Polastron, si spiega con il fatto che "un rotolo o volumen rappresenta un 'libro', ovvero il capitolo di un'opera [...]. Calcolando che per ogni titolo occorrevano in media ventiquattro rotoli di papiro, com'è il caso dell'Odissea, possiamo dedurre che 500.000 volumi rappresentavano più o meno 20.000 dei nostri titoli (Lucien X. Polastron, Libri al rogo. Storia della distruzione infinita delle biblioteche, Milano, Sylvestre Bonnard, 2006, p. 27). Con maggior precisione, Luciano Canfora mette in luce la principale differenza di "formato" esistente in epoca ellenistica: "Le due ipotesi prevalenti sono: a) summigeis = 'rotoli alla rinfusa' e amigeis = 'rotoli scelti'. È l'interpretazione suggerita dal Ritschl, il quale intendeva che dunque la biblioteca del Museo conteneva in tutto 400.000 rotoli, i quali, 'eliminati i doppioni', si riducevano a 90.000; b) summigeis = 'rotoli miscellanei', e amigeis = 'rotoli contenenti una sola opera' (monobybloi). La più circostanziata formulazione in questo senso è quella di Karl Dziatzko [...]: i rotoli amigeis contenevano le monobybloi (le opere comprese in un solo rotolo) ovvero 'parti di senso compiuto, concluse, di opere più grandi'; i rotoli summigeis, ben più numerosi, contenevano 'più libri ovvero più parti di libri di un'opera, senza alcun segno di ripartizione, della materia, ovvero vari scritti singoli'. Questa veduta è quella che ha ottenuto maggiori consensi (Luciano Canfora, Le biblioteche ellenistiche, in Le biblioteche nel mondo antico e medievale, a cura di Guglielmo Cavallo, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 12).

[12] Lucien X. Polastron, cit., p. 28-29; Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, cit., in particolare p. 74-79; 117-121

[13] Lionel Casson, cit., p. 52.

[14] "In più di un'occasione Teodosio si astenne dal reprimere gli atti violenti compiuti dai Cristiani contro i più importanti luoghi di culto pagani. La distruzione dell'enorme Serapeo di Alessandria e della sua famosa biblioteca ad opera di una setta di fanatici, avvenuta all'incirca nell'anno 392 e descritta trionfalmente nei minimi dettagli dagli esultanti cronisti cristiani dell'epoca, fu solo il più spettacolare di una lunga serie di episodi simili" (Teodosio I di Bisanzio, in Wikipedia, l'enciclopedia libera, <http://it.wikipedia.org/wiki/Teodosio_I>).

[15] Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, p. 92-108.

[16] Mattew Battles, Biblioteche: una storia inquieta. Conservare e distruggere il sapere da Alessandria a Internet, Roma, Carocci, 2004, p. 32-33.

[17] Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, p. 202.

[18] Papiri dell'Università degli Studi di Milano - VIII, Posidippo di Pella, Epigrammi, P. Mil. Vogl. VIII 309, in "Archeogate. Il portale italiano di archeologia", 05 marzo 2001, <http://www.archaeogate.org/papirologia/pubblicazione/6/papiri-delluniversita-degli-studi-di-milano-viii-posidi.html>.

[19] Ibid. Sull'argomento si veda anche Claudio Gallazzi, A chiare lettere. Papiri e tecnologia, in Il ritorno del Golem, <http://www.golemindispensabile.it/Puntata40/articolo.asp?id=1602&num=40&sez=473&tipo=&mpp=&ed=&as=>.

[20] Su questi aspetti si rinvia a Guglielmo Cavallo, Tra volumen e codex, cit.

[21] Luciano Canfora, Le bibliothèques anciennes et l'histoire des textes, in Le pouvoir des bibliothèques, cit., p. 271, trad. nostra. Dello stesso autore si veda anche Conservazione e perdita dei classici, Padova, Antenore, 1974, in particolare p. 25-35.

[22] Lucien X. Polastron, cit., p. 42.

[23] Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere dalla Grecia antica all'Occidente medievale, cit., p. 45.

[24] Difatti, per i primi secoli del medioevo, si parla a volte delle corti come di veri e propri centri di elaborazione e di conservazione delle memorie documentarie. Invece, scrive Guglielmo Cavallo, "per tutto l'alto medioevo occidentale, non sembra che le corti abbiano dato specifico impulso alla salvaguardia del patrimonio intellettuale tramandatosi. Non pochi sovrani, del resto, in quest'epoca erano analfabeti o quasi. La corte di Carlo Magno ad Aquisgrana, fulcro della cosiddetta 'rinascenza carolingia' e quindi centro di presenze dotte, di attività scolastica, di restaurazione linguistica e testuale, fu sede di una biblioteca, ma non istituzionalmente destinata a una conservazione diacronica, tanto che lo stesso Carlo dispose che ne fossero venduti i libri alla sua morte a scopo di beneficenza" (Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere dalla Grecia antica all'Occidente medievale, cit., p. 54-55).

[25] Della vasta letteratura sull'argomento citiamo soltanto Libri e lettori nel medioevo. Guida storica e critica, a cura di Guglielmo Cavallo, Roma-Bari, Laterza, 1989.

[26] Su questo argomento si veda in particolare Cesare Scalon, Libri, scuole e cultura nel Friuli medioevale. "Membra disiecta" dell'Archivio di Stato di Udine, Padova, Antenore, 1987.

[27] Ibid.

[28] David McKitterick, Testo stampato e testo manoscritto. Un rapporto difficile, 1450-1830, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005, p. 30-31. Sul tema si veda anche Lorenzo Baldacchini, Dal manoscritto all'incunabolo: continuità o rottura? Note su qualche studio recente, in Metodologia bibliografica e storia del libro. Atti del seminario sul libro antico offerti a Dennis E. Rhodes, a cura di Alessandro Scarsella, "Miscellanea Marciana", 10-11 (1995-1996), p. 105-119.

[29] Si rinvia in particolare a Armando Petrucci, Le biblioteche antiche, in Letteratura Italiana, II, Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, p. 527-554.

[30] Ibid., p. 538.

[31] Maria Gioia Tavoni, Recensione a Nel segno del corvo. Libri e miniature della biblioteca di Mattia Corvino re d'Ungheria, 1443-1490 (Modena, Il Bulino, 2002), "Biblioteche oggi", 23 (2005), 8, p. 74.

[32] Su questi argomenti cfr. almeno Carlo Federici - Libero Rossi, Manuale di conservazione e restauro del libro, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1983; Oltre il testo. Unità e strutture nella conservazione e nel restauro dei libri e dei documenti, a cura di Rosaria Campioni, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1985; Antonio Giardullo, La conservazione dei libri. Materiali, tecniche e impianti, Milano, Editrice Bibliografica, 1999; Carlo Federici, A, B e C. Dialogo sulla conservazione di carte vecchie e nuove, Roma, Carocci, 2005; Maria Barbara Bertini, La conservazione dei beni archivistici e librari. Prevenzione e piani di emergenza, Roma, Carocci, 2005; Caroline Laffont - Raphaële Mouren, Les ennemis du livre, "Bulletin des Bibliothèques de France", 50 (2005), 1, p. 54-63.

[33] Lucien X. Polastron, cit.

[34] L'indagine citata va infatti dal 1904 al 1994; cfr. Lost memory. Libraries and archives destroyed in the twentieth century, 2004, <http://portal.unesco.org/ci/en/ev.php-URL_ID=2165&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html>.

[35] Desumiamo queste informazioni - e la relativa immagine - dalle pagine web della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, disponibili all'indirizzo <http://www.bnto.librari.beniculturali.it/incendio.htm>.

[36] Ibid.

[37] Daniela Brunelli, L'incendio, in "Bollettino della Società Letteraria", 2004, p. 197-212. Si vedano inoltre le informazioni presenti all'indirizzo <http://www.societaletteraria.it/incendio2.htm>, da cui sono tratte le relative immagini.

[38] Fra gli incendi storicamente più significativi si ricordano quello appiccato dagli inglesi nel 1814 e che devastò della Library of Congress; ma anche le numerose biblioteche distrutte durante il grande incendio di Chicago del 1871, e quelle scomparse a causa degli incendi scaturiti in seguito al terremoto di San Francisco nel 1906 (cfr. Maria Barbara Bertini, cit., p. 145).

[39] Si veda tra l'altro Claudio Guidi, Weimar, fuoco nella biblioteca di Anna Amalia, "Il Mattino Online", 4 settembre 2004, <http://ilmattino.caltanet.it/hermes/20040904/NAZIONALE/CULTURA/MAMA.htm>.

[40] È interessante osservare come, tra i materiali sopravvissuti all'incendio, siano stati stati ritrovati di recente due manoscritti inediti di Johann Sebastian Bach, contenenti musiche per organo trascritte dal musicista tedesco intorno al 1700; cfr. Gli inediti manoscritti di Bach sopravvissuti alle fiamme, "Repubblica.it", 1 settembre 2006, <http://www.kataweb.it/multimedia/media/389800>.

[41] Su questo evento, di cui proprio in questi giorni ricorre il quarantennale, esiste un'ampia documentazione anche disponibile in rete; si veda ad esempio L'alluvione di Firenze: documenti, tracce, ricordi, in Percorsi Culturali. Firenze e il Novecento: luoghi, fatti e personaggi di un secolo straordinario, <http://www.comune.firenze.it/firenze900/alluvione.htm>; L'alluvione quarant'anni dopo, <http://www.mega.it/allu/>. Le problematiche bibliotecarie sono state tra l'altro esplorate in un ampio dossier pubblicato nel numero 10 (dicembre 1996) di "Biblioteche oggi", e contenente articoli di Libero Rossi (Die florentinische Alluvione); Roberto Maini (Un'occasione perduta); Massimo Belotti (Angeli oltre il mito); Sergio Marchini (Periodici nel fango); Gisella Guasti (Seppuku); Antonio Giardullo (A 100 all'ora).

[42] Giulia Barone - Armando Petrucci, Primo: non leggere. Biblioteche e pubblica lettura in Italia dal 1986 ai nostri giorni, Milano, Mazzotta, 1976, p. 154.

[43] Ibid., p. 155. Non in tutti i casi però tali scelte sono risultate eccellenti: "Antonia Ida Fontana, l'attuale direttrice della Biblioteca, ricorda per esempio l'uso della segatura e del talco, posti nei primissimi momenti sulle opere danneggiate per favorirne l'asciugatura, che si rivelerà alquanto inopportuno favorendone la distruzione" (Maria Barbara Bertini, cit., p. 31).

[44] Si veda tra l'altro Tatjana Prastalo, Death of a library, "Logos", 8 (1997), 2, p. 96-99; Sava Peic, The destruction of a nation's literary heritage: libraries in Bosnia and Hercegovina, with special reference to the National and University Library, "Alexandria", 10 (1998), 1, p. 77-84; Sava Peic - Aisa Telalovic, Sarajevo: coping with disaster, in Disaster and after: the practicalities of information service in times of war and other catastrophes, Proceedings of an international conference, University of Bristol, 4-6 September 1998, edited by Paul Sturges and Diana Rosenberg, London, Taylor Graham, 1999, p. 151-160; András Riedlmayer, Erasing the past: the destruction of libraries and archives in Bosnia-Herzegovina, "Middle East Studies Association Bulletin", <http://fpnew.ccit.arizona.edu/mesassoc/Bulletin/bosnia.htm>.

[45] Lorenzo Cremonesi, Il rogo dei libri ha risparmiato i titoli censurati, "Corriere della Sera.it", <http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/06_Giugno/22/biblioteca_bagdad.shtml>. Ma si veda anche Jean-Marie Arnoult, Les bibliotheques irakiennes en 2003: un nouveau chapitre de l'histoire interminable des desastres, "International Preservation News", 30, september 2003, p. 20-29.

[46] Al riguardo si rinvia all'ampia documentazione raccolta dall'American Library Association nelle pagine dal titolo Libraries and Hurricane Katrina, <http://www.ala.org/ala/cro/katrina/katrina.htm>, da cui desumiamo le informazioni che seguono. Ma si veda anche Beth Dempsey, Responding to disaster, "Library Journal" 130, Supplement, december 2005, p. 6-8;

[47] Al riguardo si rinvia al sito Rebuild New Orleans Public Library, <http://www.nutrias.org/>.

[48] Ibid.

[49] Alcuni aspetti relativi al passaggio dal formato cartaceo a quello elettronico (e i relativi problemi di conservazione) sono esplorati in L'eclisse delle memorie, a cura di Tullio Gregory e Marcello Morelli, prefazione di Giorgio Salvini, Roma-Bari, Laterza, 1994. Della vastissima letteratura tecnica sull'argomento citiamo soltanto Gregory S. Hunter, Preserving digital information, New York, Neal-Schuman, 2000; e Managing preservation for libraries and archives. Current practice and future developments, edited by John Feather, Aldershot, Asgate, 2004. Infine, ci permettiamo di rinviare al nostro Biblioteche e innovazione. Le sfide del nuovo millennio, Milano, Editrice Bibliografica, 2006, ed in particolare al capitolo quinto, La conservazione dell'informazione.

[50] Si pensi fra l'altro all'istituzione della "nuova" biblioteca di Alessandria, la cui valenza simbolica (oltre che reale, nel suo ruolo di vera e propria biblioteca nazionale egiziana) è quanto mai evidente. La pagina web della Bibliotheca Alexandrina è all'indirizzo <http://www.bibalex.org/>; un possibile confronto con l'antica biblioteca di Alessandria è disponibile al sito <http://www.aranciomeccanico.it/alexandria/>. Sull'argomento si veda tra l'altro Giuseppe Vitiello, Biblioteca di Alessandria: il simbolo e la realtà, "Bollettino AIB", 14 (2002), n. 10-11, p. 3-4, <https://www.aib.it/aib/editoria/n14/02-10vitiello.htm>.




«Bibliotime», anno IX, numero 3 (novembre 2006)

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