«Bibliotime», anno V, numero 1 (marzo 2002)


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Michele Menna

Analisi organizzativa di un sistema professionale:
il caso dei bibliotecari dell'Ateneo bolognese



"Le biblioteche non si fanno; crescono."
(A. Birrell)

1. Introduzione

Nella citazione sopra riportata, si scorge tutto l'interesse verso un mondo, quello delle biblioteche, istituzioni tra le più antiche che ormai da alcuni anni sono investite da processi di forte trasformazione tecnologica e relazionale (intesa nella duplice declinazione di servizio e utenza).

Ciò permette di evidenziare, seppur ad un primo livello intuitivo, la forte valenza organizzativa e culturale del cambiamento delle strutture bibliotecarie, soprattutto in uno scenario di riferimento che vede nell'informazione e, più in generale, nella conoscenza, una delle dimensioni qualificanti la società produttiva odierna.

Oggi una biblioteca si caratterizza per la presenza nello stesso ambiente di "spazi differenziati", sistemi di servizi informativi integrati sia elettronici che cartacei, possibilità di accesso a tutti i tipi di risorse (ereditate, di transizione, presenti e future), impiego delle nuove tecnologie digitali e multimediali.

Digital library, hybrid library, virtualizzazione dei prodotti, qualità dei servizi, "utente remoto", mercato dell'informazione, sono solo alcuni dei concetti chiave che concorrono a definire come tanti tasselli il nuovo mosaico.

Quanto detto, però, assume maggiore significato nel caso in cui l'attenzione si sposti, opportunamente, sulla figura del lavoratore dei servizi di biblioteca che, a fronte di tali processi di trasformazione, si trova in una delicata fase di transizione [1]. Più in particolare, è plausibile pensare che nel cambiamento della struttura interna della biblioteca, la configurazione professionale del bibliotecario, oltre che rafforzarsi, tenda a diversificarsi in una serie di profili definiti [2].

Proprio all'interno di quest'ultimo passaggio si colloca il presente lavoro [3], teso a riflettere e ad aggiornare il quadro conoscitivo relativo al processo di professionalizzazione dei "lavoratori" dei servizi di biblioteca e, più in particolare, dei servizi di biblioteca dell'Università di Bologna.

Ciò risulta ancor più evidente, nel caso dei servizi bibliotecari, se si considera che ogni specifico sistema professionale è costituito insieme da un'idea di servizio, da forme di organizzazione del lavoro e di istituzione sociale relative a soggetti dotati di elevate conoscenze, da un mercato e da un complesso di cultura e simboli.

Del resto, come ci ricorda Butera, il termine "professionista", da un punto di vista etimologico, deriva dal latino profiteor, dichiararsi in pubblico, ossia promettere un servizio a chi ne necessita. Professione e servizio sono saldamente associati. Servizio che, è bene chiarirlo dal principio, "consiste nella preparazione e nell'erogazione di attività per lo più immateriale, prestata da persone con l'ausilio di tecnologie, necessaria o utile al soddisfacimento di bisogni di persone singole, di organizzazioni, di collettività" [4].

Tale impostazione, d'altro canto, sembra trovare convergenza con quanto emerso negli ultimi anni, dove alcuni esempi del "nuovo" modello di biblioteca, in grado di utilizzare la varietà delle risorse informative e tecnologiche attualmente esistenti e orientato alla soddisfazione dei bisogni di un'utenza sempre più esigente e allargata, ottengono crescente consenso e considerazione nel mondo bibliotecario, specie quello universitario [5].

2. Alcuni modelli interpretativi per lo studio delle professioni

La questione lavoro, dopo alcuni anni di scarso interesse, è tornata in questi tempi al centro dell'attenzione da parte di diverse componenti della società (politica, economia e "società civile").

Al centro di questa attenzione c'è da un lato il problema della mancanza di posti di lavoro (soprattutto in alcune aree geografiche), con le inevitabili ripercussioni in tema di disoccupazione e di disagio sociale; dall'altro, il problema della profonda e radicale trasformazione del lavoro stesso legata, seppur in modo non esclusivo, alla ridefinizione degli spazi entro i quali esso si colloca: spazi senza confini per via di processi produttivi sempre più globalizzanti, in termini di mercati sempre più concorrenziali e di reti comunicative sempre più estese.

Rispetto a quest'ultimo punto, relativo alla trasformazione del lavoro, sembra esservi un ampio consenso sulle principali dinamiche che stanno caratterizzando le organizzazioni produttive e di servizi negli ultimi anni e i relativi effetti sul lavoro. Più nello specifico, al di là dei luoghi comuni, tre sembrano essere i punti qualificanti di un tale scenario:

  1. progressivo superamento della netta distinzione di ruoli tra chi dirige processi e chi li esegue, a favore di prestazioni che implicano un forte coinvolgimento da parte di un numero crescente di persone con relativo aumento dei livelli di discrezionalità, autonomia, impiego di creatività, know - how. In altre parole, si assiste ad una ridefinizione delle modalità di lavoro a partire da un approccio alle problematiche lavorative governato da più "aree" di intelligenza, compresa quella emotiva;
  2. rovesciamento del pluriennale e tradizionale rapporto tra organizzazione e individuo (nell'accezione di cliente/utente), perché oggi come mai i rapporti di conoscenza e di produzione si strutturano attraverso il concetto di rete e più precisamente di web (che letteralmente significa trama), in un modo di vivere on line che privilegia i rapporti orizzontali, potremmo dire paritetici, tra organizzazione e individuo, con le inevitabili ripercussioni sull'assetto strutturale e funzionale dell'organizzazione stessa [6];
  3. integrazione in atto tra tecnologie dell'informazione e delle telecomunicazioni, che influenza in modo se possibile ancor più determinante, le modalità di lavoro e la stessa forma organizzativa [7]. Le tecnologie di coordinamento, il groupware legato alla sempre maggiore diffusione di prodotti specifici, la possibilità di lavorare su reti interne ed esterne (intranet, ecc.), la semplice accessibilità al world wide web, stanno trasformando non solo le modalità di svolgimento delle attività, ma più in generale la stessa modalità d'essere di quell'area aziendale cosiddetta impiegatizia o degli uffici. Un tipico trend sembra quello della "virtualizzazione" degli uffici legata al possibile maggior ricorso al telelavoro, alla flessibilizzazione degli orari di lavoro, alla tendenza all'outsourcing dei sistemi informativi, alla necessità di lavorare in parallelo e non in sequenza [8].

In sintonia con questi cambiamenti, mutano le concezioni dominanti delle organizzazioni: le "logiche d'azione" organizzativa tendono a sostituirsi al principio di razionalità e i processi assumono maggiore centralità rispetto alle strutture [9]. Il lavoro umano di conseguenza assume un ruolo più centrale e molto diverso da quello precedente di derivazione taylorista - fordista; come l'operaio di massa ha rappresentato il paradigma della società industriale e del modello di divisione del lavoro, il lavoratore della conoscenza (knowledge worker) o "lavoratore intellettuale" [10] sembra costituire il nuovo paradigma di lavoratore nel passaggio alle forme di organizzazione post - burocratica [11].

In altre parole, "accanto alla crescente quantità di conoscenza inglobata nei diversi lavori, si va sempre più contraendo l'aspetto erogativo del lavoro, mentre aumentano le attività di diagnostica, progettazione e gestione" [12] assistendo di fatto ad un processo di "terziarizzazione" del mondo del lavoro che investe la quasi totalità delle professioni, sia nell'ambito del lavoro autonomo che dipendente [13].

Inoltre, a fronte dei cambiamenti e dei mutamenti in atto, si assiste ad evoluzioni delle "mappe professionali" le quali risultano caratterizzate da percorsi di professionalizzazione non lineari, e che prevedono altresì la nascita di nuove tipologie professionali che si formano dall'intreccio tra differenti forme di conoscenza disciplinare e contesti organizzativi di applicazione [14].

Proprio rispetto a questi ultimi aspetti, vale la pena approfondire la questione relativa ai processi di professionalizzazione che investono la società e le organizzazioni, riportando alcuni autorevoli contributi.

  1. Il primo contributo, per opera di Prandstraller [15], sottolinea la grande importanza assunta dal lavoro intellettuale e la precisa vocazione di quest'ultimo ad esprimersi attraverso il modello professionale. Tale vocazione fa sì che molteplici gruppi umani tendano a definirsi come professioni. All'interno della nozione di "professione" rientrano sia professionisti indipendenti, autonomi, sia professionisti che lavorano, come dipendenti, dentro le organizzazioni. Ambedue vanno definiti come professionisti, il che significa che sono persone dotate di abilità specifiche fondate su corpi teorici e un'autorità che deriva dal possesso delle relative conoscenze. Dunque non più poche professioni come in passato, ma numerose forme professionali grazie alla nascita di "nuove" professioni che trovano la loro ragion d'essere a partire da gruppi che emergono a livello di campi d'azione sociale dove fino a poco tempo fa non si notava l'esistenza di professioni. D'altro canto, come ricorda Prandstraller, la stessa sociologia delle professioni ha riconosciuto nel corso degli anni, soprattutto a partire dai primi studi degli anni '30 pubblicati in Inghilterra, un'attenzione crescente verso l'analisi delle nuove forme professionali, che progressivamente tendono a strutturarsi in veri e propri gruppi professionali dotati di riconoscimento e legittimazione sociale [16]. Turismo, grande distribuzione commerciale, sport, assistenza, cultura, telecomunicazione, ambiente, elettronica sono solo alcuni dei settori all'interno dei quali nascono nuove forme professionali, anche se non tutte hanno lo spessore cognitivo di quelle tradizionali, e dove il fenomeno professionale rivela una tendenza pragmatica legata all'esigenza ed alla volontà di adeguare le forme professionali alle istanze concrete della società. La fase neo-professionale cerca di dare una soluzione al problema della scarsa integrazione tra bisogni sociali e servizi professionali, che ha generato la crisi del professionalismo tradizionale soprattutto a partire dagli anni '60. Sullo sfondo di un'economia sempre più incentrata sui servizi propria del post - industriale, le professioni crescono e si articolano nella consapevolezza della sostanziale identità di fini generali tra movimento professionale e nuove esigenze delle società avanzate. La tendenza, ed anche una plausibile risposta al saggio di Wilensky del 1964 su The professionalization of everyone? [17], dunque, è verso una professionalizzazione di tutti.
  2. Il secondo contributo, non antitetico rispetto al primo e importante per inquadrare il processo di progressiva professionalizzazione sotto diversa angolazione, è stato elaborato da Sergio Bologna, il quale parla di lavoratori autonomi di seconda generazione [18]. Con questa definizione viene posta maggiore attenzione ai cambiamenti che investono l'intero sistema occupazionale: nel senso che, se per Prandstraller le professioni rappresentano un fenomeno a parte, per Bologna ci si trova di fronte ad un processo di cambiamento delle condizioni occupazionali caratterizzate da forte autonomizzazione del lavoro, e dove l'aumento delle attività di servizio non fa altro che accrescere e potenziare tale processo e ciò, questo è l'aspetto da evidenziare, con caratteristiche diverse: non tanto crescita di piccoli artigiani o imprenditori quanto piuttosto di nuove figure con posizioni lavorative caratterizzate da prestazioni sempre più qualificate, però più "precarie" (a partire da nuove tipologie contrattuali riconducibili ai cosiddetti lavori "atipici"). In altre parole, pur ravvisando elementi di professionalizzazione grazie a contenuti lavorativi maggiormente qualificanti, per questi lavoratori la collocazione e l'identificazione sociale (spesso dettata da precarietà lavorativa) rappresenta un elemento di elevata criticità.
  3. Il terzo contributo, elaborato da Butera a partire da diversi lavori [19], pone in evidenza l'opportunità di estendere il concetto di professione, solitamente associabile a quello di "professione liberale", recuperando il contenuto delle professioni aziendali o professioni delle organizzazioni.

Per professione Butera intende "la modalità responsabile e socialmente riconosciuta con cui una persona esercita un ruolo (o una serie di ruoli omologhi) in vista della gestione e dell'innovazione di processi definiti di servizio (professione come struttura produttiva). Tale modalità richiede definite abilità, competenze e regole deontologiche fondate su un insieme di teorie e tecniche conseguite attraverso un curriculum di studi e di esperienze legittimate da "corpi sociali" e/o dallo stato, che in un modo o in un altro certificano e autorizzano la persona ad esercitare la professione (professione come istituzione sociale).

Il concetto è applicabile, pur con le dovute differenze tra le due "forme" professionali, anche alle nuove professioni nelle organizzazioni che si caratterizzano per una crescente varietà di contenuti dei ruoli, di contesti tecnico - organizzativi e di struttura istituzionale delle professioni.

Chi sono, dunque, più in generale queste figure? "Spesso si tratta di tecnici o di manager senza responsabilità di strutture, appartenenti a categorie contrattuali molto diverse fra loro: dirigenti, quadri, impiegati. Le figure manageriali sono per lo più non gerarchiche, non tanto capi quanto coordinatori di attività, responsabili di programmi e progetti di innovazione e cambiamento. Knowledge workers sono certamente i professionals, ossia figure dotate di conoscenze tecniche strutturate e spesso certificate oltre che di significative esperienze anche di competenze applicative. Tra essi vi sono esperti di marketing, ricercatori, esperti legali e tributari, ecc. Knowledge workers sono anche i tecnici, ossia figure con formazione media, ma elevata esperienza pratica. Fra questi ricordiamo tecnici di progettazione, programmatori, tecnici di prodotto, ecc. Infine, knowledge workers sono anche gli operativi qualificati o operatori di processo di produzione di beni e servizi. Sono spesso figure a formazione medio-bassa: fra questi abbiamo conduttori di impianti, operatori di front line, ecc. In sintesi, le imprese, ma anche la pubblica amministrazione, sviluppano nuovi sistemi di ruoli, di professioni di organizzazione del lavoro, di sviluppo professionale, di carriera e di stratificazione: il baricentro è la configurazione e organizzazione del nuovo "knowledge work" (lavoro sapiente), ossia un lavoro che raccoglie, integra, sviluppa, crea conoscenza in tutti i campi in cui l'organizzazione è sfidata". Butera, a tal proposito, riprendendo una classificazione delle nuove professioni proposta nel 1987 (professionisti cosmopoliti, professionisti locali, tecnici e operativi qualificati), sostiene, alla luce delle ultime ricerche [20], che questa sia ancora valida al fine di ricomporre in un unico schema professioni nelle organizzazioni e professioni liberali.

In conclusione, al di là delle posizioni riportate, il quesito di fondo, meritevole di futuri sviluppi sia a livello teorico che operativo, sembra il seguente: cosa avviene all'interno di questi lavoratori della conoscenza?

Due a riguardo risultano essere gli aspetti principali da approfondire:

  1. se e come avviene, per il lavoratore della conoscenza, il passaggio da una posizione occupazionale a una posizione professionale;
  2. se il passaggio da occupazione a professione è caratterizzato da transiti verso specifiche "unità professionali" nuove o, piuttosto, se tale transito dà origine a delle famiglie di profili professionali.

3. La prospettiva d'analisi sociologico-professionale per lo studio del lavoro del bibliotecario

Prima di procedere con la descrizione della ricerca svolta, diventa importante chiedersi perché il concetto di professione, nelle sue declinazioni operative e gestionali, appare indicato per studiare la dimensione lavorativa del bibliotecario.

Ciò, in realtà, risulta abbastanza evidente se si considera che ogni specifico sistema professionale è costituito insieme da un'idea di servizio, da forme di organizzazione del lavoro e di istituzione sociale relativi a soggetti dotati di elevate conoscenze, da un mercato e da un complesso di cultura e simboli [21]. Tutti elementi che in maniera significativa contribuiscono a qualificare anche il sistema professionale bibliotecario, ma con un'attenzione particolare tesa a far emergere quello che, in modo forse riduttivo, si può definire "lo stato di avanzamento dei lavori".

Come affermava Goode nel 1961 [22], in parte ancora valido, i bibliotecari sono fra i gruppi occupazionali che stanno cercando di raggiungere i benefici di uno status professionale; all'acquisizione del ruolo di bibliotecario si arrivava senza uno specifico percorso formativo e per effetto di un reclutamento che privilegiava l'apprendimento sui luoghi di lavoro [23]. In effetti, come sottolinea Minardi "la figura del bibliotecario, nel corso degli anni, ha conosciuto una progressiva estensione ad una molteplicità di punti di servizio arrivando a costituire un vero e proprio "gruppo occupazionale" identificato in buona parte per il suo rapporto con l'organizzazione di appartenenza e con la conseguente posizione organizzativa ricoperta all'interno di un determinato ente (solitamente enti della Pubblica Amministrazione); tutto ciò, all'interno di un quadro dove i contenuti professionali e tecnici che andava sviluppando e consolidando rappresentavano un aspetto secondario" [24].

Oggi però, d'accordo con Minardi, si assiste ad un progressivo passaggio da una posizione meramente occupazionale a una posizione "professionale"; quest'ultima, caratterizzata dall'importanza data alla relazione diretta che il bibliotecario ha con le domande dell'utenza e con i vincoli e le regole delle organizzazioni complesse.

D'altra parte, tale considerazione sembra trovare convergenza laddove si sostiene che, sempre più, le caratteristiche e le modalità di funzionamento delle organizzazioni pubbliche centrano l'attenzione sul concetto di "dovere", con tutti i "derivati sul piano terminologico quali impegno, responsabilità e professionalità riconducibili allo stesso ambito semantico" [25].

In sintonia con tali considerazioni, alcune valide risposte stanno emergendo anche a livello di associazionismo professionale dove l'Aib (Associazione italiana biblioteche) ha costituito al proprio interno, nel settembre del 1998, una struttura denominata "Osservatorio lavoro" con l'intento di dare "una prima, parziale, risposta alle molte sollecitazioni e richieste dei diversi soci per una specifica attenzione ai problemi del lavoro legati al riconoscimento e al rispetto della competenza e della dignità professionale".

Cambia, dunque, la configurazione professionale del bibliotecario, ma perché? e come? Il perché, ma anche il come, vanno ricondotti al cambiamento della struttura interna della biblioteca e dello specifico contesto di riferimento, come sostenuto in apertura, rispetto ai quali la configurazione professionale del bibliotecario, oltre che rafforzarsi, è plausibile pensare che tenda a diversificarsi in una serie di profili definiti. Profili professionali che, detto in modo più compiuto, risultano influenzati dal moltiplicarsi dei centri di produzione, elaborazione e trasmissione di informazione, dalle forti potenzialità offerte dalla tecnologia e dal mutare dei rapporti con l'ambiente esterno (ridefinizione del concetto di utente, di spazio informativo - gratuito e commerciale - e dello spazio di mediazione).

E' ragionevole pensare, relativamente a quanto evidenziato, ad un contesto all'interno del quale "si generano famiglie di profili professionali che, nell'unità dei fondamenti conoscitivi e tecnologici di partenza, progressivamente si strutturano in veri e propri gruppi professionali che diventano al tempo stesso comunità di appartenenza e gruppi di interesse" [26].

4. I principali aspetti della ricerca: il lavoro sul campo per lo studio della professione del bibliotecario dell'Università di Bologna

Come anticipato in apertura, l'interesse della ricerca si è focalizzato nell'analizzare la posizione professionale in cui si trova attualmente il lavoratore dei servizi di biblioteca. Più in generale, la scelta dell'identificazione del ruolo professionale del lavoratore dei servizi di biblioteca è da ricercarsi principalmente nella complessità che caratterizza tale professionalità (coesistono in essa competenze gestionali, organizzative, relazionali oltre che contenutistiche e specialistiche) e nella sua attuale evoluzione sia in termini formativi, professionali e normativi. Quest'ultimo aspetto, nello specifico, trova oggi nel CCNL una possibile risposta nel consentire e accelerare oltre che la valorizzazione, anche il rafforzamento dell'identità professione del bibliotecario [27].

Tutto ciò, in primo luogo per via delle innovazioni tecnologiche in atto, le quali modificano l'ambiente dove si formano le domande d'informazione, consentendo l'accesso a nuovi soggetti/utenti per la loro fruizione gratuita, ma anche ponendo le condizioni per la strutturazione di un sistema di relazioni tra domanda e offerta d'informazioni nei termini di un vero e proprio mercato, dove l'informazione da bene "pubblico" diviene oggetto di transazioni private, commerciali, e dove come conseguenza più immediata si assiste ad una ridefinizione dei servizi erogati [28]; in secondo luogo, grazie alla connotazione organizzativa della biblioteca da intendersi come struttura di servizi, dove la dimensione professionale rappresenta la condizione di fondo per alimentare il concetto di servizio, attraverso un corretto e soddisfacente rapporto con l'utenza.

Più in particolare, nel momento in cui l'attenzione si focalizza sulla figura del bibliotecario universitario, emergono ulteriori elementi di interesse derivanti dal fatto che l'eventuale processo di maturazione professionale di questa figura rappresenterebbe una delle risposte più credibili ed efficaci alla richiesta, espressa nel mondo universitario, di rivolgere sempre più attenzione all'utenza attraverso il miglioramento della qualità dei servizi [29].

A tal riguardo, il modello della professione può essere uno strumento che aiuta nell'identificazione e nell'interpretazione di un possibile processo di transizione professionale e di cambiamento organizzativo, in quanto permette di analizzare i ruoli di riferimento, e tutto questo non tanto attraverso la definizione aziendale delle competenze che li caratterizzano (approccio top-down), quanto piuttosto mediante la percezione degli stessi role holder (approccio bottom-up).

Le ipotesi di ricerca che hanno orientato alla definizione del focus d'indagine, nel senso di un suo ampliamento a più profili di ruolo, considerati nel complesso di una famiglia professionale, nascono dunque dalla riflessione sul significato organizzativo e gestionale della famiglia professionale.

I recenti cambiamenti sul versante organizzativo sembrano infatti far emergere quale "riferimento gestionale", a fianco del singolo ruolo, la famiglia professionale o il sistema professionale aziendale [30].

D'altra parte, come osserva Comacchio [31], se l'identificazione di un sistema di professioni o comunità professionale appare coerente con alcune più recenti evoluzioni delle organizzazioni, l'identificazione di tale unità organizzativa non è un compito facile. Uno dei riferimenti plausibili per l'identificazione della famiglia professionale è quello relativo al sistema delle conoscenze, abilità, competenze e valori che accomunano un sistema di ruoli [32].

La ricerca in particolare, come in parte già ricordato, ha carattere conoscitivo, riconducibile ad un primo livello d'analisi, ed è finalizzata sostanzialmente ad acquisire attraverso un rilancio interpretativo alcune criticità del processo di professionalizzazione in atto; ciò grazie all'adozione di riferimenti gestionali più flessibili, più dinamici e più indicati per aggiornare la lettura in chiave formativa, organizzativa e normativa della professione del bibliotecario.

Al fine di acquisire una maggiore comprensione delle problematiche che caratterizzano il sistema bibliotecario in generale, e più in particolare quello universitario, si è ritenuto utile avviare la ricerca con un'indagine preliminare di sfondo articolata in due fasi:

  1. analisi degli scritti teorici e delle precedenti ricerche sul tema;
  2. colloqui in profondità: sono stati individuati, e successivamente intervisti alcuni soggetti in qualità di "osservatori privilegiati".

Le informazioni ricavate dall'analisi bibliografica e documentale e dai colloqui in profondità, hanno permesso di inquadrare meglio il contesto storico e operativo nel quale si inserisce la professione del bibliotecario universitario e di individuarne le specifiche problematiche.

L'obiettivo di fondo della ricerca è consistito nell'analisi del cambiamento del ruolo dei lavoratori dei servizi bibliotecari dell'Università di Bologna, nei processi di trasformazione organizzativa e mutamento tecnologico in corso e nella diagnosi dei nuovi, possibili, profili professionali e delle nuove competenze necessarie per operare organicamente in modelli organizzativi evoluti.

In effetti i significativi cambiamenti tecnologici, unitamente alla pressione esercitata dal mutato assetto del mercato concorrenziale del sistema universitario (migliore qualità dei servizi da offrire), impattano pesantemente anche sulle attività di front office e su quelle di back office delle biblioteche universitarie, ponendo in tal modo rilevanti sfide sia in termini di gestione delle attività di routine (tipicamente procedurizzabile e coordinabile tramite gerarchia) che in termini d'attività di miglioramento ed innovazione (tipicamente da gestire in un'ottica di progetto e di team) [33].

Più nello specifico, l'obiettivo di fondo è stato articolato in tre diversi momenti d'analisi:

  1. capire se e in che modo si possa parlare di famiglia professionale dei bibliotecari, all'interno della quale si strutturano gruppi di profili professionali simili; comprendere la differenziazione dei profili professionali a partire dallo studio degli specifici ruoli (gestionali, specialistici e operativi; di front office e di back office); tutto ciò, relativamente ad un primo quadro di sintesi mirante a definire una mappa riguardante l'architettura della famiglia professionale dei lavoratori dei servizi di biblioteca;
  2. conoscere quali sono le competenze (conoscenze e capacità) che costituiscono i punti di convergenza dei diversi ruoli sotto osservazione, quale la "matrice comune" di questi lavoratori della conoscenza che sono chiamati a gestire processi caratterizzati da elevata incertezza e ad alta intensità di conoscenze e informazioni;
  3. comprendere l'idea che i lavoratori dei servizi di biblioteca hanno rispetto al concetto di professione, e la relativa importanza che è attribuita ad aspetti legati alla formazione, al curriculum, alla deontologia professionale, alla carriera e alla socializzazione delle esperienze e delle conoscenze.

Più in generale, l'implicazione dell'analisi adottata, ha comportato il superamento del momento descrittivo del ruolo professionale formale sulla base d'informazioni ricavate da documentazioni di tipo giuridico, amministrativo e aziendale. Più in particolare, l'analisi ha permesso di passare dal piano del "ruolo professionale formale" a quello del "ruolo professionale agito"; ciò si è realizzato attraverso il coinvolgimento nella ricerca dello stesso soggetto d'analisi, del suo modo di vivere e percepire la professionalità e del suo modo di riferirsi al contesto in cui il ruolo stesso è esercitato.

A questo scopo, si è ritenuto opportuno condurre una ricerca di tipo qualitativo sulla base di interviste semi-strutturate, avvalendosi dell'utilizzo di una griglia di riferimento, vale a dire della presenza di alcune domande obbligatorie (domande chiave) all'interno di un colloquio. Piuttosto che ricorrere a una traccia di intervista dove sono segnalati alcuni temi che devono essere approfonditi, e dove la scelta delle domande e la specifica formulazione, anche adattata alle esigenze dell'intervistato, spetta all'intervistatore, si è preferito per ogni area di indagine individuare domande precise obbligatoriamente somministrate all'intervistato, al fine di puntualizzare meglio gli aspetti ritenuti centrali per l'indagine. Chiaramente, pur in presenza di un grado di strutturazione abbastanza forte, non ci si è avvalsi dell'utilizzo di un questionario costituito da un insieme di domande standardizzate, rigidamente predeterminate e poste in ordine non modificabile, ciò al fine di "operazionalizzare" un numero elevato di proprietà.

Nel caso specifico, l'approccio qualitativo ha garantito una comprensione più profonda dei vari comportamenti di ruolo così come sono emersi dalle esperienze degli interessati.

Tutte le interviste sono state condotte all'interno di un processo dove ci si è avvalsi del consenso anticipato delle persone individuate ai fini dell'analisi; ciò, a fronte di una lettera precedentemente inviata dove sono state riportate dettagliatamente le ragioni e le finalità dell'indagine. Inoltre, nella registrazione delle interviste non è stato utilizzato alcun supporto magnetico (registrazione audio) dato che, nel corso della definizione del lavoro, si è deciso di assecondare alcune riserve espresse in tal senso.

In particolare, per ogni intervista, è stata utilizzata la tecnica del probe di riepilogo. Mediante questa tecnica di "rispecchiamento" l'intervistata/o ha avuto la possibilità di ascoltare, attraverso le parole dell'intervistatore, quanto riportato (registrato manualmente) a partire dalle domande poste, e alla luce delle "discrasie" tra ciò che l'intervistato/a ha comunicato e ciò che è stato riportato, si è provveduto ad apportare i relativi chiarimenti e le necessarie correzioni.

La definizione delle aree tematiche affrontate (e delle relative domande individuate) nella strutturazione dell'intervista, è da ricondurre al concetto di professione elaborato da Federico Butera [34].

La ricerca si è svolta all'interno dell'Università di Bologna, coinvolgendo il personale operante all'interno del relativo sistema bibliotecario, nel periodo compreso tra settembre e dicembre 2000 [35].

Più nello specifico, l'individuazione dei tratti fondamentali delle strutture bibliotecarie partecipanti e dei soggetti coinvolti, risulta coerente con le assunzioni teoriche secondo cui anche il contesto dà luogo ad un'interazione con il soggetto da cui si generano i comportamenti (ruolo professionale agito). Inoltre, l'insieme di attività svolte all'interno delle biblioteche è vario ed articolato, e dipende da variabili situazionali che contraddistinguono la struttura stessa quali la dimensione, la complessità organizzativa e gestionale, il livello di strutturazione del servizio verso l'esterno e verso l'interno ed il grado di innovazione negli ambiti tecnologici .

Rispetto a quanto detto, il piano di selezione delle persone da intervistare, avendo come obiettivo quello di dare maggiore sistematicità nell'individuazione dei soggetti, ha cercato di rispondere all'esigenza di coprire la varietà delle situazioni e delle caratteristiche organizzative del sistema bibliotecario dell'Ateneo così come confermato dagli uffici di coordinamento centrali che, sulla base delle informazioni possedute, hanno provveduto a fornire i relativi nominativi.

Tale lavoro ha permesso di individuare 26 soggetti da intervistare che, a diverso titolo, hanno risposto alle esigenze sopra evidenziate e a quelle più specifiche riguardanti gli obiettivi della ricerca (es. caratteristiche socio - anagrafiche come l'età, l'anzianità lavorativa nel ruolo, ma soprattutto diversità di posizioni lavorative ricoperte in termini di responsabilità, coordinamento e contributo specialistico).

Per quanto concerne i principali risultati emersi a partire dagli obiettivi sopra richiamati è possibile evidenziare quanto segue:

Tutto ciò, lascia intendere che si è di fronte ad un processo di professionalizzazione abbastanza avanzato. Emerge, in altre parole, quell'idea di servizio che, riprendendo i suggerimenti di Butera e il significato etimologico di professione (dichiararsi in pubblico... promettere un servizio), rappresenta l'essenza di qualsiasi sistema professionale.

Si avverte, in modo significativo, una forte tensione valoriale nell'attribuire senso e significato al lavoro svolto in chiave professionale; questo a partire dall'idea di servizio resa centrale e supportata da diversi elementi qualificanti come: la considerazione del codice deontologico, gli stimoli a livello di associazionismo, un articolato rapporto con il concetto di carriera. Tali riscontri emergono a partire dalla testimonianza di tutti o quasi gli intervistati.

Certo non mancano delle criticità nel registrare compiutamente questo processo di professionalizzazione (nel senso di risposta organizzativa, professionalmente intesa, a dei servizi integrati rivolti all'utenza) che se da un lato sembra compiersi a partire dallo sviluppo e il consolidamento di alcune figure professionali (soprattutto quelle rivolte al coordinamento e all'innovazione), dall'altro stenta a consolidarsi per via di alcuni ostacoli.

Più nello specifico, oltre alla difficoltà di un reale rafforzamento del contributo gestionale da parte dei ruoli a responsabilità tecnica, sembra emergere una dimensione poco cooperativa e poco incentrata sul lavoro di gruppo. Inoltre è presente, soprattutto nella strutturazione dei servizi di front office, di "mediazione operativa", un ostacolo rappresentato da una qualificazione non sempre adeguata delle figure stesse che operano nei servizi di front office e che, sembra, stentano a riconoscersi e ad essere riconosciute in un servizio ad elevata valenza strategica.

Il personale operante in questo ambito, è plausibile immaginare, dovrà essere sicuramente sempre più qualificato per entrare compiutamente nei processi di lavoro caratterizzanti le strutture bibliotecarie, in quanto parte fondamentale del servizio; vero e proprio protagonista nei momenti della verità, per riprendere le affermazioni di Carlzon [37].

D'altra parte, un dato interessante è rappresentato dal fatto che le stesse persone operanti nei servizi di front office evidenziano segnali di consapevolezza e partecipazione al processo generale.

E' questa sicuramente una criticità, un'ambivalenza sottesa, che unitamente alla necessità di rivedere determinate situazioni di back office (da intendere sempre più come attività integrata e partecipata con il sistema bibliotecario nazionale), richiederanno in futuro sempre più attenzione da un punto di vista culturale e organizzativo.


Michele Menna, Servizio valutazione e sviluppo organizzativo -
Università di Bologna, e-mail: mmenna@ammc.unibo.it


Note

[1] A riguardo risultano stimolanti le riflessioni di Santoro il quale vede nelle biblioteche un luogo organizzativo-professionale potenzialmente pronto a porre un ordine alla elevata complessità presente nell'universo di informazioni rese disponibili ad un'utenza sempre più vasta e nuova, grazie allo sviluppo dell'information technology. In particolare è ravvisabile una capacità da parte dei bibliotecari nel trasformare tale complessità in biblioteca virtuale; quest'ultima è da intendersi come nuovo paradigma bibliotecario e "spazio pensato", fatto di nuove riflessioni, nuove metodologie e nuovi contenuti, e che vede nella biblioteca digitale o meglio nelle biblioteche digitali (digital libraries) la risposta, il "prodotto" di questo nuovo paradigma bibliotecario; la maniera con cui "le più recenti acquisizioni tecnologiche vengono impiegate per digitalizzare e immettere in rete una quantità assai elevata di risorse, organizzando in modo innovativo le informazioni elettroniche al fine di permettere un accesso quanto mai ampio alle conoscenze" (cfr. Santoro M., Biblioteche domani: il mutamento delle prospettive bibliotecarie all'alba del terzo millennio, in "Bollettino AIB", n. 3, 1998).

[2] Minardi E., Da occupazione a gruppo professionale: gli operatori dei servizi bibliotecari tra tecnologie dell'informazione e nuovi pubblici, in Giannini M., Minardi E. (a cura di), I gruppi professionali, "Sociologia del lavoro" n. 70 - 71, 1999.

[3] Il lavoro sintetizza e aggiorna i principali risultati emersi nell'ambito di una ricerca rientrante nel piano delle attività dell'Ufficio dirigenziale sviluppo risorse umane. I risultati integrali della ricerca sono riportati in un testo di prossima pubblicazione edito dalla CLUEB di Bologna. Un particolare e sincero ringraziamento va agli Organi del Sba di Bologna e ai bibliotecari intervistati che, con le loro preziose testimonianze, hanno contribuito alla realizzazione della ricerca.

[4] Butera F., Dalla sociologia delle professioni all'analisi dei gruppi professionali. Conversazione con Federico Butera e Gian Paolo Prandstraller, in Giannini M., Minardi E. (a cura di), I gruppi professionali, "Sociologia del lavoro" n. 70 - 71, 1999.

[5] E' quanto emerge da due interessanti contributi sul tema: Guastella S., Biblioteca digitale: esperienze e prospettive, in "AIB Notizie", n. 11, 1999; Ortigari A., Verso la biblioteca digitale, in "Bibliotime", n. 3, 1999.

[6] Celli G., Intervento in occasione del Convegno "E - people. Risorse e competenze per la new economy", Sala Convegni Rolo Banca, Bologna, 10 aprile 2000.

[7] Negroponte N., Essere digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995.

[8] Comacchio A., L'ufficio che cambia, Etas, Milano, 1999.

[9] Zan S. (a cura di), Logiche di azione organizzativa, il Mulino, Bologna, 1988.

[10] Il primo termine (knowledge worker) è stato introdotto da Drucker, mentre il secondo (lavoratore intellettuale) da Prandstraller (cfr. Drucker P., Aspettando l'avvento della nuova organizzazione, in "Harvard Business Review" (ed. italiana), n. 3, 1993; Prandstraller G.P., Dalla sociologia delle professioni all'analisi dei gruppi professionali. Conversazione con Federico Butera e Gian Paolo Prandstraller, in Giannini M., Minardi E. (a cura di), I gruppi professionali, "Sociologia del lavoro" n. 70 - 71, 1999).

[11] Butera F., Donati E., Cesaria R., I lavoratori della conoscenza: quadri, middle manager e alte professionalità tra professione e organizzazione, Franco Angeli, Milano, 1997.

[12] Consoli C., Benadusi L., L'emergenza della metodologia delle competenze nel pensiero teorico e pratico manageriale, in "Osservatorio Isfol", n. 5 - 6, 1999.

[13] Meghnagi S., Il problema, in Ajello A.M., Cevoli M., Meghnagi S., La competenza esperta, Ediesse, Roma, 1992.

[14] Butera F., Dalle occupazioni industriali alle nuove professioni: tendenze, paradigmi e metodi per l'analisi e la progettazione di aree professionali emergenti, Franco Angeli, Milano, 1987.

[15] Prandstraller G.P., (a cura di), Le nuove professioni nel terziario: Ricerca sul professionalismo degli anni '80, , Franco Angeli, Milano, 1990.

[16] Prandstraller G.P., Dalla sociologia delle professioni all'analisi dei gruppi professionali. Conversazione con Federico Butera e Gian Paolo Prandstraller, in Giannini M., Minardi E. (a cura di), I gruppi professionali, "Sociologia del lavoro" n. 70 - 71, 1999.

[17] Wilensky H.L., The professionalization of everyone?, in "American Journal of Sociology", n. 69, 1964.

[18] Bologna S., Fumagalli A., (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazione: scenari del postfordismo in Italia, Feltrinelli, Milano, 1997.

[19] I lavori sono quelli già citati a cui si aggiunge: Butera F., La transizione dal fordismo ad una economia basata sulle organizzazioni e sul lavoro della conoscenza, in Butera F., La Rosa M. (a cura di), "Sociologia del lavoro", n. 65, 1997.

[20] Ciò è quanto emerge in particolare dai risultati riportati in Butera F., Donati E., Cesaria R., 1997, op. cit.

[21] Butera F., 1987, op. cit.

[22] Goode W. J., The librarian: from occupation to profession?, in "The Library Quarterly", n. 31, 1961.

[23] Minardi E., 1999, op. cit.

[24] Minardi E., 1999, op. cit.

[25] Romei P., Appunti per una morale nelle organizzazioni pubbliche, in "Rivista Trimestrale di Scienza dell'Amministrazione", n. 2, 1991.

[26] Giannini M., Minardi E. (a cura di), I gruppi professionali, in "Sociologia del Lavoro", n.70 - 71, 1999.

[27] Su questo versante vanno segnalati gli utili e opportuni contributi di Agostini, a partire da alcune iniziative svolte dall'Osservatorio lavoro per il comparto Enti locali, tesi a far emergere compiutamente l'esigenza di mettere in agenda l'esame del riconoscimento del profilo del bibliotecario nel CCNL del quadriennio 2002-2005 (cfr. in particolare Agostini N., Valutazione individuale dei bibliotecari di ente locale: i risultati dell'indagine 2001 condotta dall'Osservatorio lavoro, in "AIB Notizie", n. 1, 2002).

Una puntuale e incisiva riflessione sui problemi organizzativi e normativi che hanno contraddistinto il mondo delle biblioteche universitarie viene da Martino (cfr. Martino L., I problemi del lavoro in biblioteca, Relazione presentata al Convegno Nazionale AIB, Roma, 16 - 19 maggio, 1999).

Per quanto concerne gli aspetti strettamente contrattuali, va detto che il CCNL del comparto Università (quadriennio normativo 1998-2001) contempla la definizione e il consolidamento nel tempo di un macrosistema di politiche del personale, incentrato su cinque sistemi innovativi: un sistema di incentivazione, un sistema di formazione e sviluppo, un sistema di valutazione delle prestazioni e dei risultati, un sistema di definizione e valutazione di posizioni, incarichi e funzioni, un sistema professionale (cfr. Paganelli N., Documento di sintesi sul Seminario CRUI, ARAN e CODAU, in <www.crui.it>, Roma, 2000).

Proprio quest'ultimo punto risulta essere quello di maggiore criticità: rispetto infatti al DPCM del 1981, il contratto propone un sistema di inquadramento professionale che, al di là degli automatismi della fase transitoria, comporta una ridefinizione complessiva del personale non più in base a profili determinati a livello nazionale, bensì per categorie e aree, all'interno delle quali le differenziazioni si effettuano sulla base dei diversi gradi di autonomia e di responsabilità che le diverse funzioni richiedono. Del resto, nel DPCM del 1981 (noto come "mansionario"), non venivano descritte le competenze professionali, ma, sostanzialmente, i compiti che circoscrivono l'ambito di attività e dove proprio quelle figure maggiormente investite da dinamiche - endogene ed esogene - di sviluppo della professionalità, a tutti i livelli, come nel caso dei bibliotecari, hanno dato i maggiori segni di insofferenza.

Pur comprendendo che le nuove modalità di inquadramento sono state delineate consapevolmente per favorire una maggiore flessibilità ed evitare irrigidimenti nella struttura organizzativa e gestionale, probabilmente però definire la professione per linee generali, rischia di risultare insufficiente a contenere le complessità del lavoro bibliotecario, mentre si rende sempre più necessario individuare dei ruoli professionali diversificati sulla base delle attività, delle competenze e delle conoscenze effettivamente sviluppate in questi ultimi anni.

La necessità di non configurare nuovi profili professionali in quanto potenziali di rischio in termini di rappresentazione statica della realtà (che può comportare anche un serio problema giuridico - a fronte di comportamenti di gestione del personale non sempre coerenti - traducibile nel rischio del risarcimento da del danno economico da parte delle Amministrazioni a favore di quei lavoratori che svolgono mansioni fuori o al di sopra di quelle specificate nel profilo), se per un verso risulta essere utile per una riflessione allargata circa il "vizio" di dare staticità e parzialità alla lettura delle diverse situazioni lavorative, per l'altro sembra non precludere affatto la necessità di diversificare e differenziare il lavoro svolto a partire dalla professionalità specifica della persona, contestualmente agli obiettivi strategici delle singole strutture e del singolo ateneo. Piuttosto, porsi il problema di definire il concetto di professione in quanto reale "riferimento gestionale", rappresenta un terreno d'indagine e d'azione molto stimolante, se supportato adeguatamente da contenuti coerenti d'indirizzo, non ultimo l'utilizzo coerente dei fondi per il trattamento accessorio, (opportunamente contrattati e concertati a livello "decentrato") e metodologie d'analisi adeguate. Ciò fornirebbe risposte efficaci, a partire dal binomio (peraltro imprescindibile) professione - qualità dei servizi erogati. Del resto, il contratto stesso, almeno per gli aspetti attinenti la gestione e lo sviluppo delle persone, sembra di fatto indicare che ci siano, realisticamente, le condizioni per il riconoscimento di un sistema professionale di tipo integrato (ruoli e famiglie). Individua delle aree professionali, riconosce il valore della formazione certificata e pertinente, qualifica la stessa formazione a partire dal sistema dei crediti (da un punto di vista metodologico - progettuale ciò comporta una strutturazione dei percorsi d'apprendimento a partire da specifiche unità di competenza). Inoltre, richiede l'individuazione di tipologie d'attività per le progressioni verticali, presuppone un sistema di classificazione più orientato alla valorizzazione della professionalità (sul modello broadbanding). Infine, consolida l'istituto delle posizioni, introduce organicamente il sistema di valutazione, consente la definizione di un assetto congruente delle responsabilità a partire dalle finalità istituzionali e indica, seppur a titolo esemplificativo, figure professionali per l'attribuzione di specifici e qualificati incarichi. Detto ciò, va registrata una certa criticità, seppur in un quadro di fisiologica resistenza al cambiamento prospettato, ad applicare coerentemente e congruentemente i diversi istituti in chiave gestionale (si assiste al riconoscimento del lavoro svolto essenzialmente in una logica di "certificazione" e di tutela della posizione lavorativa acquisita e non tanto di professionalità effettivamente profusa); ciò almeno in prima applicazione. Questo, d'altra parte, è quanto sembra emergere anche da una ricerca pubblicata di recente dall'Aran (cfr. Bordogna L., Contrattazione integrativa e gestione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni. I principali risultati della rilevazione 2001, in "aran newsletter", n. 6, 2001).

[28] Minardi E., 1999, op. cit.

[29] Sul tema della qualità dei servizi in particolare si possono segnalare alcuni interessanti e autorevoli contributi tra i molti apparsi in questi ultimi anni (cfr: Di Domenico G., Measuring quality in italiano: uno strumento per la valutazione delle biblioteche universitarie, in "Bollettino AIB", n. 3, 1999; Galluzzi A., Guide ai servizi, Regolamenti e Carte dei servizi. Un contributo alla riflessione, in "Bibliotime", n. 3, 2000; Lancaster F. W., Bibliotecari, tecnologia e servizio per il pubblico, in "Biblioteche Oggi", n. 4, 1999; Minetto S., Dai servizi nazionali alla carta dei servizi, Relazione presentata al Convegno Nazionale AIB, Roma, 16 - 19 maggio, 1999;. Solimine G., Carta dei servizi, obiettivo da non mancare, in "Biblioteche oggi", n.10, 1997).

[30] Come sottolineano Butera, Donati e Cesaria, le famiglie professionali e le professioni dentro l'organizzazione non vanno intese come nuove "divisioni aziendali", quanto piuttosto come possibili "nuovi riferimenti" che costituiscono una sorta di "forum formativo, sociale e produttivo" entro cui le persone possono collocare il proprio impegno e le proprie energie per contribuire all'innovazione, allo sviluppo delle conoscenze e all'apprendimento necessari per fronteggiare le sfide future (cfr. Butera F., Donati E., Cesaria R., 1997, op. cit.).

[31] Comacchio A., 1999, op. cit.

[32] Butera F., Donati E., Cesaria R., 1997, op. cit.

[33] Nonaka I., Come un'organizzazione crea conoscenza, in "Economia & Management", n. 3, 1994.

[34] A riguardo, Butera ha individuato tre principali dimensioni che connotano qualsiasi figura professionale, vecchia o nuova, regredita o evolutiva: a) il ruolo (compiti principali, relazioni e obiettivi); b) il contesto di riferimento (processi, tecnologia e organizzazione); c) la struttura della professione, ossia il modello professionale operante per caratterizzare e misurare i percorsi nel tempo di una carriera (es. requisiti professionali in termini di competenze, esperienza, riconoscimento sociale, deontologia, ecc.) (cfr. Butera F., 1987, 1997, op. cit.).

[35] Come emerge dalla esaustiva testimonianza riportata dalla d.ssa Laura Bertazzoni (Coordinatore generale del sistema bibliotecario dell'Università di Bologna) nel corso della ricerca, l'ateneo bolognese mantiene, per quanto attiene all'organizzazione bibliotecaria, tante biblioteche quante sono le strutture didattiche e di ricerca; in alcuni casi addirittura più biblioteche in una sola struttura, quando quest'ultima è articolata in più sezioni (ad esempio, i Dipartimenti nati dalla fusione di più Istituti hanno mantenuto tante sedi di biblioteca quante gli ex istituti, denominati appunto "sezione di…").

E' facile comprendere che in una simile pluralità di indirizzi, di diversità organizzative e disciplinari, ed essendo le biblioteche parti interne delle strutture didattiche e di ricerca, il rischio è quello di rispondere più al criterio di appartenenza che ad un'esigenza reale di servizio.

Per far fronte a tale situazione, nel 1989 è stato istituito il sistema bibliotecario d'Ateneo (Sba) al fine di: 1. tentare comunque di coordinare le attività; 2. concordare le acquisizioni; 3. applicare procedure e sistemi in grado di comunicare tra loro e con il "mondo esterno"; 4. razionalizzare ed ottimizzare le risorse necessarie e disponibili.

L'articolo 47 dello Statuto di Ateneo, in vigore fino all'agosto 2000 stabiliva infatti:"1. Il Sistema Bibliotecario di Ateneo, cui afferiscono le biblioteche e i centri di documentazione dell'Università di Bologna ha lo scopo di sviluppare ed organizzare in forme coordinate le funzioni di acquisizione, conservazione e fruizione del patrimonio bibliotecario e documentale, nonché il trattamento e diffusione dell'informazione bibliografica; 2. Il regolamento quadro dei servizi di biblioteca ne stabilisce anche le soglie minime adeguate di risorse e di servizi e costituisce un'articolazione del regolamento di organizzazione dell'Ateneo."

Il sistema bibliotecario, articolato in quattro grandi aree disciplinari (Biosfera, Scientifico - Tecnica, Umanistica e Sociale), e queste a loro volta in 18 settori tipologicamente più omogenei, a cui le strutture didattiche e di ricerca erano chiamate a aderire, inizialmente aveva come scopo principale quello di favorire e facilitare l'automazione di alcune procedure e servizi.

Nel corso degli anni si è verificato che il solo coordinamento ai fini dell'automazione non era sufficiente e che le esigenze di razionalizzazione, di contenimento della spesa e di offerta di maggiori e più efficaci servizi si rendeva sempre più pressante.

Si è provveduto così a disgiungere le competenze in quanto ad automazione e sperimentazione da una parte (attraverso la realizzazione di numerosi progetti innovativi) e coordinamento delle esigenze, delle attività, dei servizi e della distribuzione delle risorse dall'altra. Di conseguenza, si è aperto un processo, ancora in corso, che ha per ora portato all'approvazione di un testo statutario che dovrà condurre, per quanto gradualmente, ad una globale riorganizzazione del sistema nel suo complesso.

Il nuovo testo dell'articolo 47 dello Statuto (G.U. del 31.7.2000) stabilisce che:

  1. Il Sistema Bibliotecario di Ateneo è l'insieme coordinato delle strutture di servizio responsabili della conservazione, dello sviluppo, della valorizzazione e della gestione del patrimonio bibliotecario - documentale, nonché dell'accesso alle informazioni e ai documenti mediante la predisposizione di servizi appropriati. Apposita sezione del regolamento di organizzazione disciplina l'articolazione del sistema e fissa la tipologia delle biblioteche in base al livello di completezza dei servizi erogati.
  2. Nelle strutture bibliotecarie la responsabilità delle gestione, dell'organizzazione e della sicurezza delle attività, nonché della erogazione e della conduzione dei servizi è affidata a personale bibliotecario in possesso di adeguata qualifica e professionalità.
  3. Le linee di sviluppo scientifico di ogni struttura sono definite da un Responsabile scientifico coadiuvato da un Comitato la cui composizione è demandata al Regolamento di organizzazione.
  4. Il Sistema Bibliotecario di Ateneo è retto da un Comitato direttivo, composto da docenti, da rappresentanti degli studenti e da bibliotecari con responsabilità di livello adeguato. Il Comitato direttivo determina gli indirizzi e gli obiettivi del Sistema, orienta la distribuzione delle risorse e verifica i risultati della gestione.
  5. Il coordinamento delle attività di gestione e la trasmissione degli indirizzi formulati dal Comitato direttivo è affidata all'Ufficio tecnico centrale del Sistema Bibliotecario da definirsi nella sezione del regolamento di cui al comma 1.
  6. La Biblioteca Universitaria di Bologna è costituita come struttura speciale ed ha funzioni di biblioteca centrale di Ateneo. Il regolamento di organizzazione ne disciplina la direzione, la composizione degli organi ed il funzionamento.

Conformemente alle raccomandazioni di uno specifico gruppo di lavoro del Murst (oggi Miur) sui sistemi bibliotecari negli statuti e nei regolamenti, è stato posto l'accento sulla separazione dei compiti di indirizzo scientifici da quelli di gestione (come previsto dall'ex D. Leg.vo 29/93 oggi aggiornato con il D. Leg.vo n. 165/2001), rimarcando tra l'altro la duplice funzione di responsabilità delle biblioteche scientifica e tecnica, applicata fra l'altro fino dal momento dell'istituzione del Sba a Bologna.

In altri termini, anche per il Sba a Bologna un'esigenza risulta ormai inderogabile: quella del contenimento della spesa, a fronte di una aumentata quantità e qualità di servizi erogati.

La soluzione organizzativa, come risulta dalle indicazioni emerse (fornite dagli uffici di coordinamento del Sba), si caratterizza per un accorpamento (disciplinare o territoriale) delle biblioteche al fine di riuscire ad attuare nella pratica la "buona intenzione" del coordinamento delle acquisizioni, della valorizzazione delle risorse umane (attraverso un'attenzione crescente ai processi di selezione, formazione e riconoscimento delle professionalità presenti), tecniche e monetarie, della condivisione di beni e servizi.

[36] E' questo un aspetto di fondamentale importanza per comprendere il grado di maturità professionale di un determinato gruppo. In particolare una deliberata e consapevole concezione del servizio, come ricorda lo stesso Butera (cfr. Butera F.,1987, op. cit.; Butera F., 1997, op. cit.), conduce all'"invenzione di prodotti" sociali idonei a soddisfare bisogni individuali e collettivi, privati e istituzionali. In altre parole, sembra emergere quanto descritto da Maturana e Varela relativamente all'identificazione di due aspetti nei processi: uno oggettivo per il quale il processo è il trattamento di un qualcosa di concreto e uno soggettivo per il quale l'identificazione del processo, la differenziazione da altri processi e la loro gestione è il risultato dell'azione dell'osservatore (cfr. Maturana H.R., Varela F.J., Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Venezia, 1985). Ne deriva che la professione centrata sul processo esiste non solo perché esiste il processo, ma anche perché la stessa professione assume, consapevolmente, come proprio oggetto il controllo e la regolazione del processo in vista del raggiungimento di determinati risultati.

[37] Carlzon J., Moment of Truth, Ballinger, New York, 1987.



«Bibliotime», anno V, numero 1 (marzo 2002)


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