«Bibliotime», anno X, numero 2 (luglio 2007)

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Antonella De Robbio

Accesso Aperto e copyright: il copyright scientifico nelle produzioni intellettuali di ricerca *



Il copyright è l'anello della trilogia di Tolkien,
di inestimabile valore e che concede al suo possessore grande potere.
Lawrence Lessig di Creative Commons, è Frodo
con la speranza di riuscire a guidare i suoi sforzi in modo da condurre l'anello in un posto dove non sia distrutto ma trasformato positivamente.
Prendete un gruppetto di editori avari e questi sono Gollum,
di carattere conflittuale il cui spirito è divenuto nero, oscuro e severo
e ritagliato solo in funzione di ottenere il prezioso anello…"

(John Ober in Facilitating open access:
Developing support for author control of copyright
.
C&RL News", April 2006, v. 67, n. 4)

Il frastagliato mondo della proprietà intellettuale nelle università e negli enti di ricerca

Il progresso scientifico e tecnologico dipende dall'accessibilità delle produzioni intellettuali di ricerca e dagli usi possibili che ne derivano da parte delle comunità scientifiche, oltre che dalla disponibilità dei dati di tipo fattuale nei vari campi del sapere. Questo assioma vale per qualsiasi disciplina, sia che si tratti di matematica o di medicina, di meteorologia o di genetica, di storia o di fisica delle particelle. Ma quale è oggi l'ostacolo maggiore alla capacità di poter gestire e accedere a questa conoscenza? Il copyright sicuramente… oscuro concetto che sembra complicato (e di fatto lo è), ma se ben compreso, può essere benissimo controllato… e quindi gestito.

Le leggi sulla proprietà intellettuale, in particolare quelle sul copyright, hanno un notevole impatto nelle varie fasi - dalla creazione alla pubblicazione - delle produzioni di ricerca e didattiche, e sono un fattore fortemente critico, di grande ostacolo all'avanzare di nuova conoscenza a causa del rafforzamento delle tutele a svantaggio del diritto di accesso.

Aggiungiamo inoltre la scarsa consapevolezza dei docenti/autori sulle questioni che riguardano i loro diritti, o su quelle relative al costo delle pubblicazioni scientifiche a cui inviano il loro lavori, oltre alla mancanza di attenzione da parte degli amministratori dei nostri atenei rispetto alla gestione e al controllo dei diritti. Stiamo parlando di diritti che le istituzioni potrebbero vantare sui lavori prodotti al loro interno, proprio perché tali costi ricadono sul sistema della ricerca, mentre i profitti vanno altrove. La mancanza di questa consapevolezza da parte dei vari soggetti non aiuta a una corretta riallocazione delle risorse, e di conseguenza ci porta alla drammatica situazione economica che ben conosciamo, e che ci vede costretti ad acquistare e pagare a caro prezzo risorse auto-prodotte e a pagare anche il copyright quando se ne vogliono usare i contenuti.

Le due mission delle università, la ricerca e la didattica, sono entrambe pervase dalle dinamiche che scaturiscono dalla sfera della proprietà intellettuale. Da una parte la ricerca e i processi di disseminazione delle produzioni intellettuali, entro i circuiti di comunicazione scientifica, generano la necessità di un diritto che possiamo connotare come diritto di disseminazione, e che è più un diritto di accesso alla conoscenza che un diritto cosiddetto d'autore: un diritto di utente-autore, direi.

I processi correlati alla creazione dei contenuti per la didattica, d'altro canto, si rifanno a modelli più tradizionali, perché in quest'ambito parliamo più di un diritto di distribuzione dei materiali didattici, eccezion fatta per le nuove modalità di fruizione entro piattaforme e-learning, o per i lavori didattici di tipo collaborativi o creati con l'utilizzo di social software o per la stesura di dispense redatte tramite web-based application. Il principale scopo dell'insegnamento è creare conoscenza, quindi è indubbio che ricerca e didattica siano attività strettamente connesse perché nel ciclo produttivo della conoscenza scientifica alcuni anelli della catena si congiungono.

Il copyright scientifico è oggi in mani estranee

Il progresso scientifico e tecnologico dipende, come abbiamo detto sopra, dal controllo dei diritti di proprietà intellettuale nella ricerca, una delle zone chiave dove gli scienziati hanno da tempo ceduto agli editori il controllo del loro sistema di comunicazione.

Il copyright scientifico è una materia che dovremmo affrontare con passione e intelligenza. Il 90% delle produzioni intellettuali prodotte dal sistema ricerca internazionale è chiuso entro piattaforme editoriali con accesso a pagamento. Gli editori spesso richiedono agli autori di trasferire, in modo esclusivo, tutti i loro diritti come parte del contratto editoriale. In questo caso gli autori, a seguito della cessione dei propri diritti, sono costretti a dover chiedere un permesso e spesso anche a pagare per spedire una copia del proprio lavoro ai colleghi, o per distribuirne copie agli studenti, o per includerlo in un corso, per collocarlo sul proprio sito web, o anche solo per aggiornare una versione precedente.

I margini di profitto detenuti attualmente dagli editori commerciali sfiora anche il 50%, e questi sono soldi provenienti dalla ricerca pubblica che, se ritenuti dalle stesse istituzioni, potrebbero diventare un utile investimento alla ricerca; tutto ciò implica che il copyright che è un grande business.

I presupposti in merito alla questione dei diritti sulla ricerca pubblicata e creata dagli autori scientifici passano attraverso alcune considerazioni fondamentali:

Politiche istituzionali per la gestione del copyright scientifico

In ogni caso, sia che si tratti di ricerca sia che si tratti di didattica, le università italiane dovrebbero cominciare a muoversi - come succede in altri paesi - verso la stesura di politiche di gestione della proprietà intellettuale tese ad equilibrare gli interessi delle parti in causa, politiche che siano favorevoli al mondo accademico e non a vantaggio di soggetti terzi esterni all'istituzione. Purtroppo, ad esempio in ambito brevettuale, accade che interessi economici di soggetti terzi intervengano nella registrazione di brevetti a danno delle università, o nel secretare informazioni, dati o ricerche di interesse generale per interessi privati.

L'apertura in merito all'interoperabilità per lo scambio di dati è fattore ormai imprescindibile. I dati non dovrebbero essere proprietari, ma dovrebbero piuttosto essere davvero aperti e predisposti per venire ricombinati, esplorati e rielaborati agevolmente da parte delle varie comunità scientifiche: il metadata copyright è infatti un campo di grande interesse. Le istituzioni e i centri che si occupano di ricerca e che producono letteratura scientifica dovrebbero dotarsi di un corpo di politiche sulla proprietà intellettuale, da un lato volti a regolare in modo adeguato eventuali ricerche che rientrano nella proprietà industriale (marchi, modelli, brevetti…), dall'altra in grado di aiutare a gestire correttamente il copyright in tutti i suoi differenti diritti.

Ma fermiamoci alla sfera del copyright, senza sfiorare l'ambito dei marchi e dei brevetti, peraltro poco rappresentato nel mondo della ricerca italiano. Gli scopi delle politiche dovrebbero necessariamente riflettere la mission e la vision della stessa istituzione, nel rispetto della legge, la quale dovrebbe prevedere dei canali privilegiati per la ricerca e la didattica.

Inoltre, le politiche dovrebbero essere stilate in modo da soddisfare le esigenze delle differenti comunità che concorrono alla creazione della produzione intellettuale per l'ente. Le politiche dovrebbero individuare i ruoli di ciascuna figura coinvolta nel processo di creazione del bene informativo in relazione ai diritti, chiarendo come questi sono allocati entro la catena della comunicazione scientifica. Esse dovrebbero considerare il rapporto tra istituzione e personale docente in relazione alle opere prodotte: preprint, articoli, saggi, monografie, relazioni a convegni, dispense e materiale didattico, etc, e tra istituzione e studenti: tesi, tesi di dottorato, etc.

Infine, l'istituzione dovrebbe vegliare sulla cessione indiscriminata dei diritti a soggetti terzi, stabilendo regole chiare sul deposito entro gli archivi aperti istituzionali, imponendo la prassi dell'auto-archiviazione, che dovrebbe essere obbligatoria e non basata sulla buona volontà dei singoli. Ovviamente tutto questo implica prima di tutto una volontà precisa di agire in tale direzione, ma anche una massiccia azione di sensibilizzazione degli autori.

Negli Stati Uniti, alcuni esperti legali sostengono che la proprietà intellettuale di tutti i lavori prodotti entro gli atenei potrebbe essere reclamata dalle istituzioni accademiche in quanto tale materia potrebbe ricadere, secondo la legge statunitense che regola il copyright, sotto la dottrina nota come "the work-for-hire doctrine", ossia ciò che in Italia definiremmo come lavoro svolto nell'ambito di un rapporto di lavoro dipendente.

Ciononostante, alcune istituzioni accademiche, in particolare in Italia, sono ben lontane dal reclamare diritti sui lavori tradizionali come monografie, articoli di periodici o libri di testo, ma generalmente stanno tentando di farsi avanti per i diritti sul digitale, o solo quando risorse universitarie sono state utilizzate in modo considerevole nella creazione di un lavoro multimediale o per la formazione a distanza (software, e-books, dispense per i corsi).

Le università potrebbero assumere un ruolo molto più attivo, guidando le facoltà e le strutture in generale verso una gestione del copyright per i lavori scientifici di tipo tradizionale, ad esempio avvisando o richiedendo espressamente agli autori di ritenere certi diritti quando si pubblica un articolo su un periodico. Molte università straniere stanno attualmente revisionando e riesaminando le proprie politiche sulla proprietà intellettuale, in primo luogo intervenendo sugli investimenti nella creazione di opere multimediali digitali.

Alcuni istituti di ricerca, come l'Istituto Superiore di Sanità, includono clausole sul copyright direttamente nei contratti di lavoro del personale di ricerca. Diversi atenei negli Stati Uniti, ma anche nel Nord Europa, hanno sviluppato politiche formali per i diritti economici (copyright), in risposta alla crescente consapevolezza dell'importanza del diritto d'autore nella vita accademica dei propri autori. I detentori del copyright possono trasferire quindi alcuni o tutti i diritti ad un editore. Possono trattenere la proprietà, ma concedere licenze ad altri per esercitare uno più di questi diritti.

Le licenze sul copyright possono essere esclusive o non esclusive, per un periodo di tempo limitato o per l'intera decorrenza del diritto editoriale, che in Italia è fissato ad un massimo di venti anni, con o senza royalties, per il solo supporto cartaceo o per supporti vari, o per l'online. Insomma si può avere una miriade di differenti diritti definiti o limitati in numerose e possibili varianti.

A riguardo va citato il gruppo di lavoro sul copyright di Zwolle [1], che si è posto l'obiettivo di assistere i possibili stakeholders a raggiungere il massimo accesso alle produzione di ricerca senza compromettere la qualità né la libertà accademiche. Lo scopo del gruppo si è concretizzato con lo sviluppo di un insieme di principi che hanno lo scopo specifico di aiutare a gestire il copyright dei lavori scientifici, e con la messa a punto di una guida alle buone prassi sulle politiche del copyright nelle università, kit utile per ottimizzare e massimizzare l'accesso all'informazione scientifica.

Il gruppo di Zwolle [2] ha cercato di evidenziare, in una sorta di tavola pitagorica, le relazioni tra le parti coinvolte nel copyright accademico, i sette principali stakeholders (autori, università, editori, utenti, biblioteche, finanziatori, pubblica utilità) e i sette issue strategici (usi didattici, riutilizzazioni ruture, riconoscimento di produzioni quali beni intangibili: diritto morale, questioni economiche e finanziarie, questioni di accesso, questioni di qualità, questioni amministrative, gestione dei diritt) nei quali i sette stakeholder possono essere coinvolti.

Il controllo dell'Autore sulle proprie opere

L'autore spesso non sa che le leggi sul copyright gli riconoscono la proprietà esclusiva dei diritti, morali ed economici, diritti quest'ultimi che includono:

Questi diritti possono essere tutti o in parte trasferiti ad altri, ma è bene piuttosto trattenere la proprietà di questi diritti o attraverso una licenza di tipo open access, o attraverso una licenza non esclusiva, o modificando il contratto autore-editore, o facendo sottoscrivere all'editore un'addendum al contratto tradizionale, come spiegheremo meglio in seguito.

Abbiamo visto cosa dovrebbero fare le istituzioni. Ma cosa deve fare un autore per avere il controllo sulle sue opere? La riposta non è univoca, ma ci sono una serie di piccoli-grandi passi che un autore può fare:

In sintesi: indipendentemente o meno dal trasferimento del copyright l'autore dovrebbe cercare di usare la proprietà intellettuale e tutti i diritti conseguenti, al fine di assicurare termini di licenze che promuovano sia l'accesso aperto sia l'utilizzo dei lavori pubblicati dagli editori.

E' bene ricordarsi però di concedere all'editore - anche su base non esclusiva - quei diritti che sono necessari affinché il lavoro possa essere indicizzato entro i servizi di indicizzazione (banche dati del settore) noti come servizi "A&I".

Il deposito di una copia del proprio lavoro in un archivio aperto è un punto fondamentale per la costituzione di una massa critica di lavori di qualità disponibili alle altre comunità scientifiche. L'obiettivo è proprio quello di spostare la massa di produzioni intellettuali che risiedono in zone chiuse a pagamento verso zone ad accesso aperto. Analizziamo da vicino le fasi del processo di auto-deposito che coinvolge l'autore:

  1. l'autore crea il proprio lavoro;
  2. l'autore auto-deposita il pre-print nell'archivio istituzionale;
  3. l'autore lo spedisce all'editore;
  4. l'editore lo sottopone a referaggio;
  5. l'editore rifiuta o accetta il lavoro (ci possono anche essere numerosi passaggi tra i referee e tra i referee e l'autore);
  6. l'autore auto-deposita il postprint nell'archivio istituzionale;
  7. l'archivio crea/controlla i metadati sulla base dei metadati inseriti dall'autore;
  8. il servizio di harvesting raccoglie i metadati;
  9. l'utente finale ha accesso al lavoro.

Entrando nel vivo del self-archiving, va sottolineato che ad oggi molti editori permettono il deposito del post-print, a peer-review avvenuta, entro archivi istituzionali o disciplinari. Altri pongono delle condizioni, ad esempio un link alla risorsa a pagamento sul sito dell'editore, che offre la versione "di lusso" con una serie di optional aggiuntivi, e il divieto di deposito della versione con layout editoriale. Va detto però che recentemente si è notato che alcuni editori controcorrente e lungimiranti chiedono invece di depositare proprio la versione con layout editoriale e lo pongono come condizione.

La cessione dei diritti, il © Transfer Agreements

Una corretta gestione del copyright consente all'autore di mantenere il controllo sulle proprie produzioni intellettuali. Ciò è possibile solo se l'autore è consapevole di come funziona il © Transfer Agreements.

Solitamente avviene che gli editori richiedono agli autori la cessione dei diritti tramite contratti di tipo © Transfer Agreements, modalità che risulta essere il principale ostacolo in quanto inibisce in vari modi i processi di self-archiving. Da considerare inoltre che il momento in cui avviene il trasferimento dei diritti può essere determinante perché il 69% degli editori richiede la cessione del © prima del processo di refereeing e il 15% degli editori non restituisce all'autore i suoi diritti in caso di rifiuto del lavoro (dopo il refereeing). In tal modo il lavoro non può più essere sottoposto ad altra rivista e nemmeno riusato per altri scopi.

I contratti © Transfer Agreements risultano così distribuiti:

Il 45% degli editori giustifica forme di © copyright assignment in merito alla protezione contro possibili violazioni, che l'editore dice di garantire, alla gestione di permessi su diritti di terze-parti, all'ampia disseminazione (termine dubbio, se consideriamo il costo di periodici che mette in serie discussione una disseminazione); le ragioni legali infine appaiono una motivazione vaga e ingannevole, se consideriamo che l'81% degli editori non offre agli autori sostanziali strumenti per far valere i diritti morali, contrariamente a quanto invece affermano nelle loro giustificazioni.

La chiamata a ritenere il © è un dovere, perché di fatto l'editore non ha necessità di richiedere il © per pubblicare, ma potrebbe bastare solo una licenza non esclusiva. Gli autori invece necessitano del © per numerose ragioni, tra cui depositare negli archivi aperti, acconsentire usi a terze parti, pubblicare in altre sedi per scopi didattici (saggi, raccolte, antologie, convegni, etc.).

In ogni caso, l'accordo per il trasferimento dei diritti dovrà specificare esplicitamente il diritto all'auto-deposito; in caso contrario l'autore dovrà indagare direttamente presso l'editore. In casi di incertezza sulle clausole contrattuali, si può fare riferimento alla banca dati SHERPA, che elenca le politiche in merito all'auto-deposito negli archivi aperti.

Nei casi in cui un autore sottoscriva un accordo di trasferimento del copyright fortemente restrittivo, nel quale ad esempio si vieti esplicitamente l'auto-archiviazione del preprint e/o del post-print, l'autore è comunque incoraggiato all'auto-archiviazione di un file "corrigenda" affiancato al preprint già archiviato prima della sottomissione. In questo file l'autore potrà elencare tutti i cambiamenti sostanziali utili di modo che, unitamente al preprint, si possa comunque offrire all'utente una fruizione agevole del documento nel suo insieme, come fosse la versione post-print.

Alcuni periodici mantengono tuttora politiche di sottomissione assai restrittive, le quali stabiliscono che un preprint non sarà considerato ai fini della pubblicazione, e tanto meno per il processo di peer-review, se è stato precedentemente "reso pubblico" attraverso una qualsiasi forma di accessibilità online o anche in sede di convegno. Nata in contesto medico e adottata anche in altri settori, tale clausola è nota col nome di Regola di Ingelfinger, dal nome di Franz Ingelfinger, ex-editor del "New England Journal of Medicine". Questa regola è sostanzialmente una proibizione a priori di effettuare self-archiving, perché richiede all'autore la garanzia che il lavoro non sia stato precedentemente reso pubblico in altre sedi (convegni, siti web, depositi, altre pubblicazioni, etc.).

La Public Library of Science (PloS) ha suggerito di boicottare le riviste che applicano tale regola. Di conseguenza molti periodici stanno abbandonando tali clausole, com'è il caso ad esempio delle nuove politiche di "Nature", periodico che in precedenza adottava la Regola di Ingelfinger.

Per pubblicare un articolo gli editori necessitano solo di un'autorizzazione o di un permesso, non del completo trasferimento del copyright!

Copyright scientifico e contratti editoriali

Le linee guida Managing your copyrights di Create Change [4] tracciano tre possibili scelte o opzioni che un autore può trovarsi di fronte, secondo quanto suggerito da Scott Bennett, bibliotecario dell'Università di Yale [5]:

  1. Pratica corrente: trasferire la proprietà del copyright agli editori in cambio della pubblicazione. L'uso di questa opzione, anche se comune, è sfavorevole, perché permette agli editori di proibire o scoraggiare pesantemente molte ripubblicazioni e l'uso didattico dei lavori senza neppure consultare l'autore, e perché l'autore anticipa e impegna usi futuri. In pratica l'autore trasferisce all'editore tutti i diritti di copyright in modo esclusivo, per tutta la durata del copyright e per tutte le estensioni e i prolungamenti che potranno in seguito instaurarsi, cede i diritti di traduzione per edizioni in tutte le lingue, in tutte le forme e in tutti i supporti esistenti e conosciuti e quelli a venire.
  2. Gli autori possono ritenere per sé alcuni specifici diritti (ad esempio il diritto di ripubblicare un contributo in un libro, il diritto di fare copie a scopo istituzionale, etc.), tramite un accordo di trasferimento del copyright emendato con una clausola o nota del tipo: "I seguenti diritti vengono mantenuti dall'autore:
  3. La difficoltà nell'utilizzare questa seconda opzione risiede nel fatto che l'autore deve in questo caso anticipare che cosa intende fare in futuro con il suo lavoro, tenendo conto anche che le tecnologie ormai trasformano le pubblicazioni con una rapidità sorprendente.

  4. Gli autori possono ritenere per sé la proprietà dal copyright e cedere agli editori solo quei diritti che servono per pubblicare l'opera. In tal caso l'autore garantisce all'editore l'esclusività del copyright per la prima pubblicazione del materiale, e successivamente garantisce una licenza non esclusiva per altri usi per la durata del copyright in tutte le lingue e in tutti i media conosciuti. L'editore può includere una nota che dice © [Author's Name]: I lettori di questo articolo possono copiarlo senza il permesso del detentore del copyright, se l'autore e l'editore sono a conoscenza del fatto che le copie vengono fatte per uso didattico e no-profit.

E' subito evidente come la terza opzione sia quella a noi più favorevole, proprio perché le facoltà e gli autori accademici hanno la massima libertà nell'uso dei loro scritti e di quelli dei loro colleghi nel momento in cui rifiutano di concedere i diritti agli editori. In questo modo garantiscono agli editori licenze esclusive per la prima pubblicazione formale del loro lavoro (a stampa, digitale o in altra forma) e anche altri diritti non esclusivi per i seguenti scopi:

Vi possono essere alcune circostanze, ad esempio, in cui facoltà ed altri autori potrebbero voler limitare la durata di una licenza esclusiva per la prima pubblicazione formale o di un diritto non esclusivo per successive ripubblicazioni o per la creazione di opere derivate. E' però vero che il raggiungimento dell'opzione 3 non sempre è possibile, e che molta strada deve ancora essere fatta in termini di maturazione e di presa di coscienza da parte dei vari soggetti che compongono il complesso mondo dell'università o degli enti di ricerca.

Per questa ragione alcuni atenei statunitensi come la Cornell University [6] e, per l'Europa anche SPARC [7], propongono uno strumento nuovo, o meglio, quello che potremmo definire una via di mezzo tra l'opzione 2 e l'opzione 3, e cioè l'Addendum al contratto editoriale [8]. In altri termini, se fino ad oggi l'unica possibilità per un autore era quella di riscrivere un contratto editoriale da sottoporre all'editore o di proporre qualche emendamento [9], ora l'autore ha la possibilità di usare l'Addendum al contratto editoriale come uno strumento legale che modifica l'accordo contrattuale con l'editore, permettendo all'autore di mantenere i diritti chiave. Esempi di Addendum sono anche proposti da ScienceCommons [10] il nuovo progetto di CreativeCommons, orientato al mondo della comunicazione scientifica e proprietà intellettuale.

Conclusioni

Cercando di riassumere, possiamo dire che ci sono quattro caratteristiche essenziali nelle raccomandazioni e suggerimenti finora espressi:

  1. L'autore trattiene tutti i suoi diritti secondo quanto stabilito dalla legge sul copyright; Questo è essenziale per coltivare i valori sopra descritti.
  2. Il diritto di prima pubblicazione formale è autorizzato all'editore, che fa i propri interessi commerciali promuovendo l'interesse dell'autore a pubblicazioni prestigiose, ma al contempo agendo come fiduciario dell'autore entro un rapporto di quasi fidelizzazione tra l'autore e il suo editore. La licenza di pubblicazione formale non proibisce all'autore di utilizzare, se crede, una varietà di mezzi informali per far circolare il suo lavoro prima della pubblicazione formale, inclusa ad esempio la pubblicazione su un sito web personale o entro un archivio aperto, istituzionale o disciplinare che sia.
  3. I diritti non esclusivi concessi per altre attività permettono all'editore di perseguire affari importanti ma secondari (come servizi a valore aggiunto per l'indicizzazione), e allo stesso tempo consentono anche all'autore o ad altri di fare la stessa cosa. Questa libertà di compiere azioni alternative incentiva la competitività ed è efficace sotto il profilo dei costi.
  4. L'autore dovrebbe essere in grado di creare le condizioni per poter riutilizzare i diritti in altro modo, per favorire l'educazione e la cultura e soprattutto per semplificare la gestione del diritto. Usare l'Addendum è uno dei modi possibili.

Lo sviluppo di una società dipende dalla disponibilità di dati e di informazioni, e dall'accesso a una pluralità di fonti dai contenuti aperti e confrontabili, prodotte sia da soggetti pubblici sia da privati. Le responsabilità a cui tutti noi attori del sistema università e ricerca siamo chiamati sono molteplici e ormai inderogabili. Gli editori esercitano forti pressioni politiche con robuste azioni di lobbying sulle questioni correlate alla proprietà intellettuale, attività che le università invece non hanno ancora imparato a mettere in campo nelle sedi adeguate (pensiamo in primo luogo al Governo o alle Commissioni Europee). Le leggi sul diritto d'autore, in particolare in Italia dove vige l'istituto delle eccezioni ai diritti economici, non tengono conto né della ricerca né della didattica, come invece avviene nel modello del fair use statunitense. Inoltre le eccezioni concesse alle biblioteche o per uso personale sono state gravemente compromesse a causa delle accuse di pirateria mosse dal mondo degli editori commerciali a quello degli atenei. Manca totalmente un discorso politico serio sul copyright scientifico che conduca ad azioni concrete a supporto della ricerca.

Gestire il copyright può migliorare significativamente i valori del sistema educativo nel nostro Paese. Il controllo dei diritti di proprietà intellettuale nella ricerca è requisito ormai imprescindibile per il monitoraggio e il controllo dell'assetto economico del sistema della ricerca nazionale.

Antonella De Robbio, CAB Centro di Ateneo per le Biblioteche - Università degli Studi di Padova, e-mail: derobbio@math.unipd.it


Note

[*] Questo articolo costituisce il testo della relazione presentata alla Conference "Institutional Archives for Research: Experiences and projects in Open Access, Session 4. Opportunities and Services to develop", Roma, Istituto Superiore di Sanità, 1 dicembre 2006.

[1] Si veda il sito Copyright Management for Scholarship del progetto olandese SURF, <http://copyright.surf.nl/copyright/aboutus.php>.

[2] Le attività del gruppo di lavoro di Zwolle sono sponsorizzate dal JISC (Joint Information Systems Commitee), <http://copyright.surf.nl/copyright/zwollegroup.php>.

[3] Publisher copyright policies & self-archiving, <http://www.sherpa.ac.uk/romeo.php>.

[4] <http://www.createchange.org/archive/faculty/issues/controlling.html>.

[5] La posizione dell'Università di Yale in merito ad una gestione del copyright scientifico si trova all'indirizzo <http://www.library.yale.edu/~llicense/bennett.html>.

[6] Peter B. Hirtle, Author addenda: an examination of five alternatives, "D-Lib Magazine", 12 (2006), 11, <http://www.dlib.org/dlib/november06/hirtle/11hirtle.html>. Peter B. Hirtle è Tecnologo e responsabile per la proprietà intellettuale per i servizi delle biblioteche della Cornell University.

[7] <http://www.arl.org/sparc/author/>.

[8] Le linee guida di SPARC sull'uso dell'Addendum per l'autore e lo stesso Addendum sono stati tradotti in italiano dalla scrivente per gli autori delle università e centri di ricerca in Italia, e sono disponibili all'indirizzo <http://paduaresearch.cab.unipd.it/docs/SPARC_AUTHORRIGHTS2007-it.pdf>.

[9] Si veda modello MIT Copyright Amendment Form (Amendment to Publication Agreement), <http://libraries.mit.edu/about/scholarly/copyright-form.html>.

[10] ScienceCommons suggerisce tre possibili form per l'Addendum, disponibili a: <http://www.sciencecommons.org/projects/publishing/scaa-openaccess-creativecommons-1.0.pdf>; <http://www.sciencecommons.org/projects/publishing/scaa scaa-openaccess-publish-1.0.pdf>; <http://www.sciencecommons.org/projects/publishing/scaa scaa-openaccess-delay-1.0.pdf>.




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