«Bibliotime», anno XI, numero 1 (marzo 2008)

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Claudio Gnoli

Blopac semantici *



Andrea Marchitelli [<http://www.iskoi.org/doc/atipicheletture.htm>] ha suggerito il neologismo di "blopac", "una figura mitologica mezzo blog e mezzo opac". Si tratta di una sorta di fusione delle funzioni di informazione bibliografica svolte da un catalogo con le possibilità interattive tipiche dei blog. Esempio ne è "Atipiche letture", dove i bibliotecari con contratti atipici descrivono le loro letture professionali e di evasione non solo secondo gli standard catalografici (ISBD, Dewey, etc.), ma anche riproducendone la copertina, riassumendole e commentandole.

Questa simpatica applicazione va nella direzione del Web 2.0, popolato di blog, wiki, folksonomie e altri strumenti tutti caratterizzati dall'offrire una maggiore interattività e partecipazione agli utenti della Rete, non più solo passivi lettori ma adesso, almeno potenzialmente, anche coautori. Già diversi anni fa, del resto, una corrente di bibliotecari statunitensi aveva esortato i responsabili degli opac a prendere spunto dal modello di Amazon, andando al di là dei dati bibliografici canonici quali la casa editrice e l'altezza in centimetri, per mostrare informazioni più intuitive quali la copertina, una breve descrizione discorsiva, recensioni e commenti liberamente inseriti da chiunque.

Il problema di questi strumenti di indicizzazione aperta, come ha ricordato Michele Santoro nel suo recente articolo sulle folksonomie [<http://www2.spbo.unibo.it/bibliotime/num-x-2/santoro.htm>], è che mancano del controllo terminologico e sintattico che è invece necessario ad assicurare la coerenza, la precisione e il richiamo dei tradizionali sistemi di organizzazione della conoscenza. Il proliferare di parole-chiave attribuite da un grande numero di utenti diversi, che il sistema automatico può elencare solo in ordine alfabetico senza esprimere alcuna relazione di tipo sistematico, porta facilmente ad oltrepassare il limite di utilità, cioè il numero di unità informative che un utente è disposto ad esaminare una per una. Affinché l'informazione si possa usare, bisogna che sia strutturata.

Per la verità in Italia sono ancora pochi gli esempi di opac "arricchiti": un'utile rassegna è stata compilata da Giovanna Frigimelica [<https://www.aib.it/aib/editoria/n19/0507.htm3>]; spiccano per lo sforzo di proporre un'interfaccia di maggiore immediatezza il Sistema bibliotecario provinciale di Verona, il Catalogo dei beni culturali del comune di Trieste, l'archivio digitale di Incisioni e stampe della Biblioteca comunale "Panizzi" di Reggio Emilia. Per molti, un'ispirazione arriva dalla Fairfax public library, il cui opac suggerisce dei "good reading" e, a partire dalla scheda di un documento, i "nearby items on shelf", avvicinando così la base-dati bibliografica all'esperienza informale del passaparola e dell'esplorazione visiva degli scaffali.

Ma questi opac sono veramente arricchiti o, per usare una battuta di Maurizio Di Girolamo, soltanto dei parvenu? In altre parole, dietro l'apparente affabilità delle loro interfacce, si realizza anche un sostanziale miglioramento del servizio bibliotecario? "Nisi docet scaena nocet", recita uno dei motti affrescati sulle pareti del Collegio San Carlo, notato da Eugenio Gatto durante il seminario del 2002: se non serve ad insegnare qualcosa, la scenografia è dannosa, perché confonde l'attenzione con elementi irrilevanti. Insieme alla prima legge della biblioteconomia, "i libri sono fatti per essere usati", non dimentichiamoci della quarta: "non far perdere tempo al lettore"...

L'usabilità dei contenuti dei nostri cataloghi è valutata nell'ambito del progetto "Opac semantici" [<http://www-dimat.unipv.it/biblio/sem/>], che indaga la qualità degli accessi per soggetti e per classi in un vasto campione di opac italiani. Tra i parametri presi in considerazione, riguardano direttamente l'usabilità quelli relativi alla disponibilità di rinvii dai termini non preferiti del vocabolario, di equivalenti verbali per la ricerca e la visualizzazione classificata, di menù sistematici navigabili che sfruttino lo schema di classificazione adottato, di istruzioni alla ricerca semantica scritte in linguaggio non tecnicistico, di collegamento delle informazioni semantiche con la topografia della biblioteca, come all'ICTP di Trieste [<http://www-dimat.unipv.it/biblio/sem/w.jpg>], e con la segnaletica in loco, come previsto nel bel progetto di Andrea Fabbrizzi [<https://www.aib.it/aib/contr/fabbrizzi1.htm>].

Una delle ultime mode sul web è la ricerca "a faccette", che trae origine proprio da una sofisticata tecnica biblioteconomica. Purtroppo, la sua applicazione sulla rete è spesso molto parziale, in quanto per faccette si intendono dei semplici canali di accesso alternativi, privi di notazione e di ordine di citazione e quindi, di nuovo, poco utili per lo scorrimento sistematico di grandi quantità di voci. In molti casi inoltre le informazioni semantiche, che sono la sede originaria dell'analisi a faccette, vengono mescolate con informazioni descrittive, come accade nella recente "faceted search" di Jstor.

L'applicazione dell'analisi a faccette al contesto del web, compresi gli opac, è passata in rassegna dai recenti lavori di Kathryn La Barre [<"Knowledge organization", 34 (2007), n. 2, p. 78-90>], che osserva come in effetti "the participants in this study described the systems they designed and implemented as faceted systems, yet were largely unaware of the principles of facet analysis and faceted classification". D'altra parte, non è certo la tecnica in sé ad essere incompatibile con il web, come mostrano i più rigorosi esperimenti di Andrea Cuna per l'Arcidiocesi di Gorizia [<http://www.issrgo.it/istituto/>] e di Andrea Marchitelli e Susanna Dal Porto per il gruppo Biblioatipici [<http://www.iskoi.org/doc/biblioatipici.pdf>].

Possiamo dunque associarci interamente alle conclusioni di Kathryn La Barre nell'articolo già citato:

To better leverage some legacy subject access systems ... more (not less) should be done to process these records and corresponding authority files (e.g. thesauri and other controlled vocabularies) in a manner that allows optimal access through the faceted navigation and browsing features of new search and discovery systems ... some of the systems currently implemented in libraries are heavily influenced by the commercial and business applications that preceded them ... Now it is the time to question the assumptions that are embedded in these commercial systems that were primarily designed to provide access to the concrete items through descriptions in order to enhance profit. ... Data assigned to cultural objects, especially as they make use of name and subject authority data, are more complex and powerful than most metadata routinely assigned to commercial products.

Claudio Gnoli, Dipartimento di matematica - Università degli studi di Pavia, e-mail: gnoli@aib.it


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario " Il catalogo oggi: le norme catalografiche fra consolidamento e fluidità", Modena, 13 dicembre 2007.



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