«Bibliotime», anno XII, numero 1 (marzo 2009)

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Maria Gioia Tavoni

Introduzione alla Bibliografia *



Quando ho cominciato ad insegnare a Pisa, a.a. 1976-1977, la produzione di letteratura relativa alla disciplina, oggetto di questo intervento, era piuttosto asfittica. Inverare in un manuale l'insieme delle conoscenze offerte in uno dei primi corsi di Bibliografia attivati nelle università italiane era impresa non scontata. Chi aveva alle spalle una cultura francofona si appoggiava ad un classico già per l'epoca: i tre volumi della Malclès (Louise Noëlle Malclès, Les sources du travail bibliographique, preface de Julien Cain, Geneve, Droz, 1950-1958, 3v.). Chi al contrario era più ferrato linguisticamente, si ispirava ai testi usciti nel mondo anglosassone e in Germania: il Totok-Weitzel (Wilhelm Totok - Rolf Weitzel, Handbuch der Bibliographischen Nachschlagewerke, Frankfurt am Main, Klostermann, 1954), e il McKerrow (Ronald B. Mckerrow, An Introduction to bibliography for literary students, Oxford, Clarendon, 1928). Il nodo su cui si incentrava comunque il dibattito teorico, compreso il tentativo di spiegare il suo etimo attraverso un lungo percorso storico, era che la Bibliografia doveva essere considerata la scienza del libro. Ne derivava che la disciplina poteva essere intesa come:

a) scienza del libro come oggetto materiale;

b) dottrina dei repertori bibliografici, compilati per servire alla ricerca e allo sviluppo delle conoscenze.

Due assunti che hanno cominciato a convivere con difficoltà a seguito anche degli studi italiani che hanno aperto nuovi orizzonti ed hanno animato un dibatto ancora oggi non spento.

Erano anni in cui molte discipline, poi disgiunte in virtù di imperanti specialismi, erano ancora unite entro un sapere dagli orizzonti distesi su più ampi confini. La Storia era il grande alveo nel quale confluivano e trovavano ragion d'essere la Bibliografia e altre discipline, riunite spesso sotto la denominazione di "ausiliarie". Si definiva una condizione che accomunava biblioteche e archivi, così che l'Archivistica si connotava per la dizione di "Archivistica e scienze ausiliarie della storia", che comprendeva Paleografia e Diplomatica, sotto un comune denominatore: il documento. Ma vi erano unite anche la bibliografia e la biblioteconomia, insieme con la sfragistica, la cronologia e altro ancora, pescando nei rivoli dei puntelli della moderna storiografia.

Dove Bibliografia non era congiunta ad altro, essa si poneva come una disciplina omnicomprensiva: non aveva forse come cardine il libro nelle sue molteplici sfaccettature? Basti pensare come abbia tardato a imporsi nella sua separazione dal ceppo di origine perfino la Biblioteconomia, la quale ha poi formato con la Bibliografia un binomio quasi inscindibile nelle dizioni di molti insegnamenti di quell'epoca ed anche di decenni successivi.

Un breve accenno per dire come furono importanti i molti tentativi anche italiani di sciogliere il nodo che teneva unite alcune fra quelle che poi sono divenute dottrine autonome, e che hanno ora un proprio statuto e un proprio specifico campo di applicazione, così come appare soprattutto nelle facoltà e nei corsi di laurea rivolti ai beni archivistici e librari. Parallelamente la letteratura prodotta in Italia ha sancito questa separazione, come emerge dalla fondamentale Guida classificata alla Biblioteconomia (Milano, Bibliografica, 2007), diretta da Mauro Guerrini e da Gianfranco Crupi. Significativo comunque appare il fatto che, nella attuale organizzazione dei settori scientifico-disciplinari da parte del Ministero dell'Università, l'Archivistica, la Bibliografia e la Biblioteconomia risultano tenute ancora unite nel medesimo gruppo disciplinare: prerogativa propria dell'Italia, se si esclude la Francia dell'École nationale des chartes, che peraltro non è una facoltà universitaria. E la tendenza, dichiarata a chiare lettere nell'agenda politica del presente Governo, è quella ad ampliare sempre più il contenitore, in nome di ragioni che poco hanno a che vedere con progetti di ricerca e, più latamente, culturali, ma vedono nella contrazione del numero dei settori scientifico-disciplinari un mezzo per snellire il peso dell'organizzazione accademica italiana.

E l'Italia sembra adeguarsi ancora una volta a tendenze maturate nel contesto europeo, dove alcune discipline, come la Bibliologia e la Storia del libro, sono rientrate infatti per lo più all'interno del più grande raggruppamento di Storia della letteratura e della lingua nazionale, come ricorda anche il collega Simonetti in un suo recente libro (Carlo Maria Simonetti, Indici di storie letterarie, in Id., Osservazioni sul metodo bibliografico, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2004).

Ma per riprendere la narrazione, va precisato che alla Bibliografia restò non poco, anche limitandosi alla seconda accezione con cui oggi ancora la riconosciamo, seppure in un contesto completamente mutato. Ovvero, lo ripeto, la Bibliografia, intesa come dottrina dei repertori bibliografici, allestiti per servire alla ricerca e allo sviluppo delle conoscenze.

Fino agli anni Ottanta era sufficiente ripercorrere i canoni, come insegnava Luigi Balsamo (Luigi Balsamo, La bibliografia. Storia di una tradizione, Firenze, Sansoni, 1984), che hanno caratterizzato i secoli in cui si sono succeduti e moltiplicati gli strumenti con cui si è cercato di controllare e rendere fruibile la produzione editoriale pregressa e contemporanea, per avere saldo il concetto dei metodi che si erano venuti affinando. Per Alfredo Serrai, poi, che intraprendeva uno scandaglio delle fonti in varie dimensioni e nel contempo offriva il suo pensiero per riempire di contenuti lo statuto della Bibliografia, la disciplina doveva avere come principio l'organicità e la logica costruttiva, che già si rinvenivano fin dai primi secoli della sua storia. Non poteva e non doveva mai privarsi, infatti, della sistematicità e dell'ordine con cui si davano notizie che si intendevano organizzate.

Per chi insegnava, all'epoca dei testi di Balsamo e di Serrai, significava pertanto non lasciare cadere le parole nel vuoto: si potevano inverare gli assunti impliciti in quei testi e in quelli della letteratura anglosassone che se ne fece portavoce, dal momento che c'era un modo per chiarire agli studenti il percorso dai libri ai "libri sui libri". Il modo era rappresentato dalla miniera offerta, ancor oggi, dalle sale di consultazione delle biblioteche, meta di lezioni e visite in loco, a diretto contatto con gli strumenti di ricerca. Là gli studenti trovavano il senso ultimo della storia e delle teorie dibattute durante le conversazioni in aula; là si chiudeva il cerchio tra il percorso di affinamento delle loro conoscenze bibliografiche e il ritorno in termini di abilità acquisite anche al fine di stendere la dissertazione di laurea, in passato considerata il momento alto, non solo conclusivo, di un percorso di studi superiori.

Il tirocinio è pratica di quest'ultima riforma universitaria, ma la lezione sul campo è stata appannaggio della mia generazione, al punto che vi sono stati presidi di facoltà che pensavano che le nostre uscite con gli studenti verso la più vicina biblioteca pubblica fossero una scappatoia per ovviare alla lezione frontale. Anche questa è storia. Storia di chi ancora sottovaluta e stenta a comprendere quanto complessi siano i percorsi che portano alla maturazione di conoscenze da spendere entro laboratori molto speciali quali sono le biblioteche.

È giunta poi l'automazione che ha stravolto in parte le competenze acquisite. Non solo le biblioteche sono state e sono ancora in alcuni casi ibride: ibrido è divenuto anche il nostro insegnamento all'epoca in cui Internet ha creato uno spazio incommensurabilmente più ampio per reperire le informazioni relative ai libri e sui libri, per limitare il campo alla nostra applicazione. Alla sovrabbondanza di informazione si è andata contrapponendo una perdita di omogeneità dei risultati, una disomogeneità di fondo che ha creato una profonda frattura tra criteri e metodologia di ricerca e risposte pertinenti.

Questo nonostante la differenza rigorosa fra bibliografia e catalogo si fosse già scontrata con la compulsazione di repertori cartacei universali quali ad esempio il NUC (il National Union Catalog a cura della Library of Congress, catalogo del posseduto statunitense, ma per molti versi, per quanto riguarda la sua parte retrospettiva, anche recensione bibliografica dell'esistente). L'incontro-scontro già anticipato dai volumi del "catalogo-bibliografia" statunitense si amplificò davanti agli opac, ai metaopac e ai metamotori di ricerca bibliografica riversati nel web. Il rinnovato nesso "catalogo-bibliografia" scardinò così consolidati impianti, anche didattici, espressi in manuali divenuti in Italia quasi dei classici. Si pensi a quelli in auge negli anni Ottanta e Novanta, che nella milanese Editrice Bibliografica hanno trovato il loro miglior respiro nazionale, fra cui si segnala il Manuale più volte ristampato di Rino Pensato, steso in collaborazione con Franco Pasti (Manuale di bibliografia. redazione e uso dei repertori bibliografici, appendici e bibliografia in collaborazione con Franco Pasti, Milano, Bibliografica, 2007).

Nel web c'è stato fin da subito un gran rumore; il motore di ricerca oggi più consultato, Google, mira a indicizzare un numero di pagine enorme, le stesse che lo hanno tenuto a battesimo, dilatandole nelle sue più sofisticate amplificazioni. Lo studio agguerrito e meticoloso sulla rappresentatività della documentazione, da cui discendono anche gli opac formalizzati e standardizzati secondo i criteri più omogenei, viene a scontrarsi con la libera e non strutturata immissione dati, con riflessi evidenti sulla mentalità di chi si accinge a ricercare i dati, con nuove (e sottilmente insinuanti) forme di censura, tanto che la nuova frontiera su cui si infrange la riflessione bibliografica è quella del web semantico e della standardizzazione dei metadati. L'organizzazione dell'informazione post-coordinata, per richiamare un celebre manuale di biblioteconomia, oggi riprogettato da Giovanni Solimine e Paul Weston (Lineamenti di biblioteconomia, a cura di Paola Geretto, Roma, NIS, 1981; Biblioteconomia. Principi e problemi, a cura di Solimine e Weston, Roma, Carocci, 2007), è il principale sistema per immettere e ricercare dati, tanto che l'affermazione "se non è in Internet, non esiste" finisce per diventare assioma convincente.

E un rumore più minaccioso, quello che viene dagli interessi economici e commerciali che si nascondono dietro alle banche dati e ai più sofisticati dispositivi di information retrieval, si avverte sempre più in sottofondo. Sopravviverà la Bibliografia alle speculazioni e alle crisi finanziarie in cui sono coinvolti (e travolti) i grandi gruppi editoriali, per lo più multinazionali?

Se questa è un'incognita e una sfida che si apre per la più attuale bibliografia, non sarà possibile procedere se si trascurano i principi che hanno dato origine agli impianti tradizionali della disciplina. Basterà a proposito ricordare una frase di Alfredo Serrai (Alfredo Serrai, Il cimento della bibliografia, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2001) che non ha perso nulla della sua attualità: "Nessun dispositivo informatico può trascurare l'esigenza primaria che si disponga di un sistema ordinato e coordinato delle nozioni e dei documenti; e sarebbe grave colpa supporre che una rete di offerte e di richieste possa automaticamente esonerare dalla progettazione, dalla costruzione e dall'aggiornamento di appositi impianti strutturativi".

C'è dunque un gran bisogno di far ordine - anche solo con il mappare l'esistente - e di creare accessi intelligenti, per non perdersi nel diluvio delle offerte informative. Questo, a mio avviso, deve essere l'imperativo di questi anni. Un sistema "ordinato e coordinato" che derivi tuttavia dal metodo e dall'uso critico della ragione, anche bibliografica, in un'epoca, come quella che viviamo, d'imperante informatizzazione.

Maria Gioia Tavoni, Dipartimento di Italianistica - Università di Bologna, e-mail: mariagioia.tavoni@unibo.it


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario La bibliografia nel mondo digitale, Modena, Biblioteca della Fondazione San Carlo, 16 dicembre 2008.




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