«Bibliotime», anno XIII, numero 3 (novembre 2010)

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Giuseppe Mazziotti

Biblioteche digitali appese a un filo: la ragnatela dei diritti d'autore *



1. Introduzione: diritto d'autore, tecnologie digitali e biblioteche

Le biblioteche svolgono da sempre un ruolo fondamentale per la diffusione della cultura. Servizi quali il prestito, la libera consultazione e la fotocopia di opere dell'ingegno favoriscono la moltiplicazione del numero di fruitori di tali opere e incoraggiano lo studio e la produzione di nuove opere da parte degli stessi utenti, nella loro potenziale veste di autori "successivi".

Con l'avvento delle tecnologie digitali, gli archivi gestiti dalle biblioteche non comprendono più soltanto i volumi intesi in senso fisico; si estendono anche, e in misura sempre più significativa, a tutti quei materiali e documenti che ogni biblioteca tecnologicamente avanzata ormai converte o acquisisce direttamente in forma immateriale attraverso l'accesso a beni o servizi quali riviste in formato elettronico, libri elettronici (e-books), banche dati, etc. L'oggetto principale dell'attività divulgativa delle biblioteche ha conosciuto quindi un processo di inesorabile espansione che dilata il concetto stesso di "biblioteca" fino ad abbracciare luoghi diversi dai tradizionali spazi di archiviazione e consultazione di opere letterarie e audiovisive.

Sono ormai da considerarsi biblioteche a tutti gli effetti anche le cosiddette biblioteche digitali, [1] la cui regolamentazione dal punto di vista giuridico, soprattutto per ciò che concerne il diritto d'autore, richiede un approccio specifico basato sul presupposto tecnico e normativo che qualsiasi utilizzazione di un'opera digitale implica la riproduzione (anche solo temporanea) dell'opera stessa. Ogni utilizzazione permessa da una biblioteca ai propri utenti, con riguardo ad opere protette in formato digitale, chiama dunque in causa il diritto d'autore che, com'è noto, per ragioni di incentivazione economica della creazione e di tutela del lavoro creativo impone restrizioni alla riproduzione di opere senza l'autorizzazione dei rispettivi titolari dei diritti.

La tecnologia digitale, in sintesi, conferisce al diritto d'autore una centralità mai rivestita prima da questa disciplina; ciò perché qualsiasi utilizzazione di un'opera in formato digitale e qualsiasi forma di comunicazione di tale opera al pubblico presuppone, tecnicamente, la riproduzione dell'opera stessa e quindi richiede – salvi certi casi di riproduzione transitoria o accessoria, eseguita all'unico scopo di consentire la trasmissione in rete tra terzi con l'intervento di un intermediario - un'autorizzazione da parte dei titolari di diritti d'autore. Nel digitale, in altre parole, non c'è e non può esserci uso o forma di comunicazione che prescinda dalla realizzazione di una o più copie dell'opera che s'intende semplicemente sfogliare o trasmettere ad un amico per uso personale.

Da ciò consegue che il diritto d'autore dell'era digitale, rimasto essenzialmente immutato nelle sue connotazioni essenziali rispetto all'era analogica, nonostante gli importanti interventi normativi operati a livello internazionale, comunitario e nazionale, crei restrizioni non solo alla tradizionale riproduzione in copie di un'opera, ma anche all'uso personale dell'opera, alla sua comunicazione tra utenti (si pensi alla comunicazione cosiddetta peer-to-peer), oppure alla relazione intercorrente tra un divulgatore istituzionale di contenuti, qual è una biblioteca, e i propri fruitori.

2. L'impatto del diritto d'autore comunitario sulle attività delle biblioteche

Come accennato sopra, è il diritto d'autore, in tutte le varianti conosciute nelle diverse tradizioni giuridiche, a creare i maggiori problemi di legittimità all'effetto moltiplicatore della conoscenza innescato dalle classiche attività della biblioteca. Sia nei sistemi di derivazione francese, in cui il droit d'auteur mira innanzitutto a tutelare la personalità dell'autore, sia nei sistemi di common law, in cui il copyright protegge l'interesse economico sotteso alla commercializzazione dell'opera dell'ingegno in copie, l'obiettivo della diffusione libera (e cioè non a pagamento) della cultura è perseguito attraverso varie tecniche normative volte a limitare l'oggetto del diritto d'autore e le restrizioni da questo generate.

Il riferimento corre alla durata limitata dell'esclusiva garantita dal diritto d'autore (70 anni post mortem autoris, sia nell'Unione Europea sia negli Stati Uniti); alla dicotomia che distingue l'idea, che non è mai oggetto di protezione, dalla sua espressione concreta, che è invece proteggibile se un'opera è effettivamente originale; e alle eccezioni o limitazioni al diritto d'autore, che escludono dall'oggetto e dalle restrizioni create dal diritto d'autore certe tipologie di utilizzazioni delle opere protette ritenute meritevoli di tutela e di una condizione di sostanziale libertà.

Nella categoria delle eccezioni o limitazioni al diritto d'autore (un tempo definite "utilizzazioni libere") rientrano fattispecie normative che hanno storicamente permesso alle biblioteche, pubbliche e private, di sviluppare le proprie attività in modo legittimo e senza pregiudicare irragionevolmente gli interessi economici degli autori delle opere protette.

Tra queste fattispecie è ben nota, da un lato, la forma di licenza legale che definisce le condizioni d'esercizio dell'eccezione di copia privata, nel limite del quindici per cento di ciascun volume o fascicolo di periodico, all'interno dei locali delle biblioteche. Tale licenza legale è contenuta nell'articolo 68, comma 3, della Legge 633/1941 sul diritto d'autore (d'ora in poi "LDA").

Dall'altro lato, sono oggetto di un dibattito sempre più acceso le condizioni di esercizio del prestito al pubblico, disciplinate dall'articolo 69, comma 1, della stessa LDA, secondo cui il prestito eseguito dalle biblioteche e discoteche dello Stato e degli enti pubblici, a fini esclusivi di promozione culturale e studio personale, deve ritenersi permesso nella misura in cui riguardi esemplari a stampa delle opere (esclusi gli spartiti e le partiture musicali), fonogrammi e videogrammi contenenti opere cinematografiche o audiovisive, o sequenze di immagini in movimento, a condizione che siano decorsi almeno ventiquattro mesi dal primo atto di esercizio del diritto esclusivo di distribuzione da parte dei titolari di tale diritto.

Nel caso delle fotocopie effettuate per uso personale dell'utente, la disposizione dell'articolo 68, comma 5, prevede che agli autori, a fronte di tale attività non autorizzata, spetti un compenso in forma forfetaria, ottenuto mediante un pagamento effettuato ogni anno da ciascuna biblioteca alla Società Italiana Autori ed Editori (SIAE), secondo le modalità prescritte dall'articolo 181-ter LDA.

Nel caso del prestito effettuato da biblioteche dello Stato e di enti pubblici, invece, l'articolo 69, nella formulazione successiva all'attuazione nell'ordinamento italiano della Direttiva CEE 92/100, [2] prevedeva che le forme di prestito individuate dall'articolo 69 non fossero soggette al pagamento di alcun compenso e che, quindi, potessero ritenersi libere e gratuite. Su questo punto, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea ai sensi e per gli effetti dell'articolo 226 del Trattato che istituisce la Comunità Europea, è intervenuta di recente una pronuncia della Corte di Giustizia Europea che, al pari di simili pronunce emanate nei riguardi di altri Stati membri, ha condannato l'Italia, ritenendo la previsione dell'articolo 69, comma 1, LDA, in contrasto con l'articolo 5, comma 3, della Direttiva 92/100, il cui disposto è oggi contenuto nell'articolo 6, comma 3, della Direttiva 2006/115/CE. [3]

Secondo tale disposizione, gli Stati Membri hanno facoltà di esonerare alcune categorie di istituzioni dal pagamento della remunerazione prevista a favore degli autori nel caso in cui, tenendo conto dei loro obiettivi di promozione culturale, gli Stati emanino un'apposita eccezione – quale l'articolo 69 LDA - al diritto esclusivo di prestito. Secondo la Corte di Giustizia, esonerando tutte le biblioteche pubbliche dal pagamento del compenso spettante agli autori per il prestito gratuito al pubblico di esemplari di opere a stampa e di fonogrammi e videogrammi distribuiti da più di ventiquattro mesi, il legislatore italiano ha violato il principio (prima sancito dall'articolo 5 della Direttiva 92/100, poi ribadito dall'articolo 6 della Direttiva 115/2006) secondo cui l'esenzione dal pagamento di una congrua remunerazione a favore degli autori può essere prevista dalle legislazioni degli Stati membri solo a favore di alcune categorie di istituzioni che esercitano attività di prestito pubblico, non a favore di tutte.

Il legislatore italiano ha reagito a tale pronuncia della Corte di Giustizia con uno stanziamento, nella legge finanziaria del 2007, [4] di tre milioni di euro (finanziati per l'80% dallo Stato e per il restante 20% dalle Regioni) per far fronte alla contestuale modifica dell'articolo 69, comma 1, LDA. Nel testo attualmente vigente, tale disposizione non fa più alcun riferimento alla gratuità del prestito e, dunque, presuppone il pagamento di una remunerazione per il legittimo svolgimento di tale attività a favore del pubblico da parte delle biblioteche. A meno di voler far gravare direttamente sugli utenti l'onere del pagamento di tale remunerazione, sarà lo Stato italiano (con un'eventuale compartecipazione di enti pubblici quali le Regioni) a finanziare, anno per anno, la costituzione di un fondo da cui prelevare la remunerazione in oggetto.

Il quadro giuridico delle eccezioni e limitazioni applicabili alle attività delle biblioteche è completato dal secondo comma dell'articolo 69 LDA e dal disposto dell'articolo 71-ter. La prima delle due disposizioni, di notevole importanza, sancisce che per i servizi delle biblioteche, discoteche e cineteche dello Stato e degli enti pubblici è consentita la riproduzione, senza alcun vantaggio economico o commerciale diretto o indiretto, in un unico esemplare, dei fonogrammi e videogrammi contenenti opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini in movimento, siano esse sonore o meno, esistenti presso le medesime biblioteche, cineteche e discoteche.

Nel mondo digitale, tale eccezione al diritto di riproduzione ha l'effetto di rendere libera da parte delle istituzioni suddette la riproduzione di materiali ancora protetti dal diritto d'autore (per il mancato compimento del termine di protezione di 70 anni post mortem autoris) per finalità di primaria importanza quali, per esempio, la realizzazione di copie di riserva (back-up) del materiale esistente presso biblioteche, discoteche e cineteche pubbliche.

Infine, è da ricordare come, in sede di attuazione dell'articolo 5, comma 3, lettera n), della Direttiva 2001/29/CE, il legislatore italiano abbia introdotto un'ulteriore eccezione al diritto d'autore per una particolare attività divulgativa resa possibile dalla gestione di reti telematiche e di terminali da parte di biblioteche e altri istituiti di istruzione. [5]

Secondo il disposto dell'articolo 71-ter, è "libera la comunicazione o la messa a disposizione destinata a singoli individui, a scopo di ricerca o di attività privata di studio, su terminali aventi tale unica funzione situati nei locali delle biblioteche accessibili al pubblico […] limitatamente alle opere o ad altri materiali contenuti nelle loro collezioni e non soggetti a vincoli derivanti da atti di cessione o da licenza." Tale utilizzazione, esclusa dall'oggetto del diritto di comunicazione al pubblico spettante agli autori, è da considerarsi a tutti gli effetti un'utilizzazione libera, non essendo prevista alcuna forma di pagamento di compenso a favore degli autori.

3. Inadeguatezza dell'attuale impianto normativo e alcune proposte di policy

L'impianto normativo brevemente passato in rassegna nel paragrafo precedente appare a dir poco inadeguato alla realtà odierna delle biblioteche, che fanno un uso sempre più massiccio di tecnologie digitali per l'archiviazione e la messa a disposizione degli utenti di opere protette dal diritto d'autore. La vicenda della condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia Europea per l'applicazione scorretta dell'eccezione al diritto di prestito in favore delle biblioteche pubbliche, di cui all'articolo 69, comma 1, LDA, è prova inquietante del disinteresse e della superficialità con cui il legislatore italiano ha inteso trattare questioni di primaria importanza per lo sviluppo di una seria politica d'incentivazione della divulgazione culturale e del progresso scientifico.

E' evidente che tali obiettivi possono essere perseguiti seriamente solo mediante il riconoscimento e la tutela effettiva, anche e soprattutto nel mondo digitale, di veri e propri "diritti culturali" a favore di istituzioni e soggetti qualificati quali le biblioteche e i loro utenti, le cui attività rivestono tuttora un'importanza primaria per la diffusione della cultura e della scienza, promuovendone il progresso. Incorrendo in una condanna scontata da parte della Corte, a fronte di un'interpretazione grossolana dell'articolo 5 della Direttiva 92/100, il legislatore italiano ha sostanzialmente rinunciato ad operare scelte e distinzioni tra diverse tipologie di biblioteche.

Tali scelte di politica legislativa avrebbero potuto (e potrebbero ancora) dare un senso profondo alla disposizione comunitaria in questione. L'esenzione di tutte le biblioteche pubbliche dalla corresponsione del compenso in un momento in cui si era ormai persa, in sede di negoziazione della Direttiva 92/100, la battaglia politica per la gratuità del prestito, ha finito per ignorare le assai diverse esigenze e i "meriti" delle varie tipologie di biblioteche pubbliche. [6]

E' evidente che il bisogno di incoraggiare il processo d'innovazione culturale e scientifica attraverso lo strumento della gratuità del prestito di materiale protetto è assai più stringente quando il prestito è effettuato nell'ambito di biblioteche di università e altri centri di istruzione e ricerca. In tali contesti, gli utenti - professori, ricercatori, studenti - sono spesso gli autori di domani e assai più probabile è l'eventualità che il prestito di opere protette sfoci nell'effettiva produzione di nuove opere e di nuova conoscenza.

Più sfumata potrebbe invece risultare tale necessità - secondo una valutazione discrezionale di uno Stato, quale l'Italia, che è sovrano in materia di politiche culturali - con riguardo ad altre tipologie di biblioteche pubbliche in cui siano archiviate e messe disposizione opere in pubblico dominio, oppure in relazione a biblioteche, cineteche e discoteche nelle quali prevalga, tra gli utenti, il fine dell'intrattenimento su quello dello studio e della ricerca.

Un esempio della prima di tipologia è dato dalle tante biblioteche e dagli archivi storici in cui sono custoditi e concessi in prestito e in visione al pubblico esemplari a stampa di opere non più protette dal diritto d'autore, per la scadenza del termine di protezione dei 70 anni post mortem autoris. Un esempio della seconda tipologia di biblioteche è dato dalle biblioteche generaliste (per esempio, le biblioteche comunali), che assolvono una funzione di prima informazione a favore di un pubblico vasto, divulgando opere e contenuti appartenenti a generi assai eterogenei e perseguendo, in prima battuta, obiettivi diversi dall'incoraggiamento dello studio e della ricerca (quali, per esempio, l'intrattenimento o l'informazione su temi di attualità).

Una lacuna altrettanto grave dell'impianto normativo attuale è costituita dalla difficoltà di applicazione di alcune tra le disposizioni sopra richiamate a nuove forme di utilizzazione di opere protette, che diventano ogni giorno più comuni e rilevanti per le biblioteche. Per esempio, non è chiaro se e in che misura l'eccezione di copia privata di cui all'articolo 68, comma 3, LDA e la libertà di riproduzione in un unico esemplare, senza alcun vantaggio economico o commerciale, garantita ai servizi delle biblioteche pubbliche dall'articolo 69, comma 2, LDA, siano applicabili nel caso in cui lo strumento di riproduzione adoperato dalla biblioteca o dall'utente sia lo scanner che, dando luogo a una riproduzione digitale, espone la copia dell'opera a rischi di successive utilizzazioni illecite maggiori di quelli creati dalla copia analogica.

Altrettanto arduo è il giudizio riguardante l'applicabilità dell'articolo 71-ter a fattispecie in cui materiali protetti dal diritto d'autore siano messi a disposizione di singoli individui, per finalità di ricerca o di attività privata di studio, non su terminali collocati fisicamente all'interno di biblioteche accessibili al pubblico (come testualmente previsto dalla disposizione), bensì attraverso reti e archivi informatici gestiti da biblioteche cui possano accedere, in modalità remota (cioè all'esterno dei locali delle biblioteche), utenti qualificati e identificabili attraverso un codice o una password personale.

E' interessante poi notare che l'applicazione dell'eccezione al diritto d'autore di cui all'articolo 71-ter è da escludersi, tanto nella sua applicazione letterale quanto in una sua auspicabile interpretazione estensiva, nel caso in cui la comunicazione delle opere attraverso terminali sia espressamente vietata da clausole contenute in atti di cessione o licenza stipulati con i titolari di diritti d'autore. Si pensi, per esempio, al caso di licenze di accesso remoto a interi repertori di riviste online, spesso regolate da legislazioni diverse da quella italiana e sottratte alla relativa giurisdizione in virtù dell´applicazione di clausole contrattuali imposte da grandi editori aventi la propria sede al di fuori dell'Unione Europea.

4. Considerazioni conclusive

Alla fine di questa breve ricognizione delle norme applicabili al prestito e a certe tipologie di riproduzione e di comunicazione al pubblico di opere protette da parte delle biblioteche e dei propri utenti nel mondo digitale, per ragioni di economia espositiva sembra più opportuno formulare qualche proposta di policy che soffermarsi su interventi normativi puntuali.

Pur in presenza di una legislazione comunitaria dettagliata, che ha l'effetto di restringere in modo considerevole gli spazi di manovra degli Stati membri, ciascuno Stato, Italia compresa, mantiene una certa discrezionalità e autonomia nella applicazione di limitazioni del diritto d'autore che trovino il proprio fondamento nel perseguimento di obiettivi di politica culturale.

Ciò per due motivi. Il primo è dato dal fatto che le norme di diritto d'autore comunitario non disciplinano in modo dettagliato certe fattispecie di utilizzazioni libere che sono, pertanto, lasciate al libero apprezzamento degli Stati membri. L'articolo 6, comma 3, della Direttiva 2006/115, riguardante la possibile esenzione da compenso per il prestito praticato da alcune istituzioni pubbliche, è un esempio chiarissimo di tale tipo di fattispecie "aperta".

Il secondo motivo è costituito dalla possibilità per ciascuno Stato di raggiungere, con interventi operati al di fuori del diritto d'autore, obiettivi di politica culturale che il diritto d'autore dell'era digitale mette evidentemente a repentaglio. E' il caso, ad esempio, del diritto d'accesso a opere protette da copyright. Potrebbe rientrare in questo tipo di interventi una norma nazionale che preveda che tutte le opere protette da diritto d'autore che siano il frutto di ricerche finanziate da denaro pubblico, in ambito scientifico e culturale, debbano essere depositate e messe a disposizione, non solo dagli autori e dagli editori ma anche su iniziativa di biblioteche come quelle universitarie, in conformità a schemi predeterminati di licenze che garantiscano l'accesso libero e gratuito (open access) a tali opere a beneficio della collettività.

Su tale fronte è attivo ormai da tempo lo European Scientific Council che, con le linee guida emanate da ultimo il 17 Dicembre 2007, ha auspicato che sia ulteriormente ridotto il periodo standard di sei mesi che intercorre, per ora, tra la pubblicazione di opere e informazioni create o ricavate attraverso il finanziamento di progetti di ricerca da parte dello stesso Council per mezzo di canali tradizionali, quali le riviste scientifiche a pagamento, e la pubblicazione "aperta" di tali opere e informazioni in apposite banche dati liberamente accessibili. [7]

Infine, affinché le misure appena descritte risultino davvero efficaci, è di fondamentale importanza che esse siano concepite e strutturate in modo flessibile, per consentirne un rapido adattamento agli scenari sempre nuovi dischiusi ogni giorno dallo sviluppo tecnologico. La ricerca ha già messo a disposizione e perfezionerà sempre più, nel prossimo futuro, strumenti calibrati di gestione dei diritti d'autore (il pensiero va a sistemi, oggi invisi alla maggior parte degli utenti, di digital rights management, meglio conosciuti con l'acronimo "DRM") il cui uso generalizzato, in certi contesti, potrebbe far divenire realtà ciò che oggi, nel mondo digitale, sembra impossibile, e cioè il raggiungimento di un effettivo equilibrio tra la protezione degli interessi privati di autori ed editori e la tutela degli interessi pubblici e diffusi delle biblioteche e dei propri utenti. [8]

Giuseppe Mazziotti, Faculty of Law - University of Copenhagen, e-mail: Giuseppe.Mazziotti@jur.ku.dk


Note

[*] L'articolo è apparso in una prima versione con il titolo Tecnologie digitali e diritti culturali: quale ruolo per le biblioteche?, in Diritto e tecnologie digitali per la valorizzazione e l'accessibilità delle conoscenze, a cura di A. Maggipinto e G. D'Ammassa, Atti del Convegno 19-20 ottobre 2007, Milano, Nyberg, Milano, 2009, p. 81-88.

[1] Un progetto esemplare di biblioteca digitale è quello intrapreso recentemente dalla Direzione Generale per i beni librari, gli istituti culturali e il diritto d'autore del Ministero per i beni e le attività culturali, <http://www.librari.beniculturali.it/genera.jsp>.

[2] Direttiva 92/100/CEE del Consiglio, 19 novembre 1992, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale, "Gazzetta Ufficiale" n. L 346 del 27/11/1992, p. 61-66. L'Italia ha dato esecuzione alla Direttiva con il D. Lgs. 16 novembre 1994, n. 685.

[3] Commission of the European Communities v. Italian Republic, C-198/05, Judgment of the Court (Sixth Chamber) of 26 October 2006. E' bene ricordare che la Direttiva 2006/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, "Gazzetta Ufficiale" n. L 376 del 27/12/2006, p. 28, ha meramente riorganizzato le disposizioni della Direttiva 92/100 e le modifiche a queste apportate da direttive successive, senza introdurre alcuna innovazione sostanziale.

[4] Legge n. 296/2006, "Gazzetta Ufficiale" del 27/12/2006.

[5] Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, Gazzetta Ufficiale n. L 167 del 22/06/2001, p. 10. La direttiva ha trovato attuazione nell'ordinamento giuridico italiano con il D. Lgs. 9 Aprile 2003, n. 68, "Gazzetta Ufficiale" n. 87 del 14/4/2003.

[6] E' importante ricordare che, prima dell'emanazione della Direttiva 92/100, il principio di gratuità del prestito praticato dalle biblioteche pubbliche non era mai stato messo in discussione nella tradizione giuridica italiana che, sul punto, si scontrava con le tradizioni di altri Paesi della Comunità Europea quali i paesi scandinavi, l'Olanda, la Germania e il Regno Unito.

[7] ERC Scientific Council Guidelines for Open Access – 17 December 2007, disponibile alla pagina <http://erc.europa.eu/pdf/ScC_Guidelines_Open_Access_revised_Dec07_FINAL.pdf>.

[8] Sul tema del contemperamento degli interessi contrapposti dei detentori di diritti d'autore e degli utenti, cfr. Giuseppe Mazziotti, EU Digital Copyright Law and the End-User, Springer Verlag, 2008.




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