«Bibliotime», anno XIV, numero 1 (marzo 2011)

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Giovanni Galli

La RSI bibliotecaria. Ma, perché? Inquiniamo, forse? No, però... *



Abstract

In the case of Italian Public Library services, CSR is not a means to recuperate social legitimacy but it may be a means to increase consensus. Italian librarians have not to put on place a new professional idol, but they must practice a system of accountability, in spirit of truth and humility.

Ringrazio gli amici dell'Aib e della Fondazione San Carlo per avere ancora una volta ritenuto che io potessi dare un utile contributo alla riflessione che meritoriamente, anno dopo anno, essi ripropongono sulla biblioteca nel mondo attuale. Ed in particolare ringrazio il nostro moderatore Leombroni per avermi garbatamente messo in guardia dai rischi dell'età (di servizio, beninteso) ormai avanzata. Cercherò di guardarmene/vene.

La riflessione sul rapporto che intercorre fra "biblioteca" e "società", nella quale essa agisce, ha fatto oggi riapparire la compresenza ed il possibile conflitto fra i due noti modelli di biblioteca, quello della biblioteca di studio e quello della biblioteca pubblica. E' un tema classico, declinato in cento modi, compresa la negazione del suo presupposto ma, a quel appare dalla discussione odierna, mai abbastanza studiato e definito. Impossibile e forse superfluo qui riesaminare il "ruolo sociale" dell'una e dell'altra tipologia di biblioteca: lo si è fatto cento volte, ça suffit. E' indiscutibile, almeno, che entrambe ne abbiano uno, non fosse che per il fatto che esistono. A cosa servono le biblioteche? Che Dio ci scampi dal voler rispondere a questa domanda, almeno in questa sede. A me importa far osservare che una cosa è il "ruolo sociale" ed un'altra la "responsabilità sociale" di una istituzione qualsiasi, e quindi anche della nostra.

Domandiamoci: perché una istituzione – pubblica o privata che sia – titolare di un certo ruolo sociale (di cui essa stessa avrà e fornirà una qualche rappresentazione), perché essa dovrebbe avere, o credere di avere, una "responsabilità sociale"? Responsabilità per cosa e nei confronti di chi?

Credo che questo problema nasca a metà degli anni '70 e riguardi prima di tutto l'industria manifatturiera, della cui responsabilità "sociale e ambientale" si comincia a parlare dal momento in cui si comincia a ritenere la produzione di ricchezza (a prescindere dalla sua distribuzione) ragione insufficiente di legittimazione sociale. La cosiddette "esternalità negative", primo fra tutti l'inquinamento atmosferico, diventano fattori negativi imputati all'industria, che deve giustificarsi e trovare forme risarcitorie.

Dimostrare che queste negatività sono contenute, ovvero che comunque si lavora per contenerle, ovvero ancora che ci si offre di bilanciarle con opere di utilità sociale: ecco la nuova condizione legittimante dell'operare economico, che non ritiene più sufficiente render conto alla proprietà del rendimento del capitale, ma sente di dover rendere conto a tutta la comunità dei cosiddetti portatori di interessi se non del bene, almeno del non troppo grande male che produce. La Responsabilità Sociale d'Impresa (RSI) [1]: una nuova strategia di marketing, che riguarda l'azienda e non più solo il prodotto. Una strategia che partecipa della vicenda ciclica dell'economia (e del suo pensiero riflesso, i.e. : liberismo e interventismo pubblico, ieri e l'altro ieri) e rende conto, quindi, non solo alle proprie convinzioni ma anche (e io dico: soprattutto) alle esigenze del ciclo.

Non dissimile (e forse derivata da quella precedente, privata) la vicenda evolutiva della Pubblica Amministrazione, di cui negli ultimi decenni si affievolisce il ruolo autoritativo e cresce dapprima quello di produttrice di servizi e poi quello di distributrice di risorse e accreditamenti. Lo schema ideal-tipico della legittimazione politica della PA democratica (ottengo voti promettendo servizi, offro servizi, ottengo voti: potremmo dire una forma nobile di voto di scambio) lentamente perde funzionalità (qualcuno potrebbe dire: se mai l'ha avuta… va bene, diciamo allora che il voto di scambio diventa sempre meno nobile). I servizi pubblici perdono legittimazione e cercano mezzi per riconquistarla. Il metodo della RSI può servire allo scopo. Non dirò altro sulla RSI, di cui diffusamente hanno detto i relatori di oggi.

Non vorrei mai, invece, che il mio discorrere sembrasse troppo scettico nei confronti della RSI: piuttosto vorrei ricondurre questa pratica al mondo sublunare degli interessi confliggenti, delle alleanze strategiche, del marketing. E' giusto, no?

Orbene, per applicare questo schema dell'RSI ai casi nostri bibliotecari, occorrerebbe supporre che le biblioteche abbiano ultimamente perduto legittimazione e debbano in qualche modo recuperarla. Per dirla con una battuta: le biblioteche da qualche tempo inquinano, ma non sono poi così cattive, tant'è che commerciano in quote di emissione! Scherzo, ma a dire il vero nelle nostre biblioteche l'inquinamento acustico è diventato veramente alto, col fatto che da noi più che leggere si socializza!

Seriamente: io non credo che negli ultimi quarant'anni le biblioteche pubbliche italiane abbiano perso legittimazione sociale, semmai non ne hanno conquistata abbastanza. Ciò che gli serve è un marketing tradizionale per accreditare il loro prodotto. Ma non nego che analoghi risultati possano essere ottenuti anche con gli strumenti della RSI, che può aiutarci ad accrescere il grado del nostro consenso. Ne abbiamo bisogno? Direi di sì, visto che siamo inchiodati al famoso 11% di impatto (media fra Catanzaro e la Val Seriana) e non ci muoviamo di lì.

Vorrei però che badassimo, noi bibliotecari italiani, a non fabbricarci un altro idolo, un po' del tipo della Carta dei Servizi, cui abbiamo sacrificato quindici anni fa. Siamo infatti noi bibliotecari italiani portati a ricoprire tutte le parti in commedia: oltre a fare la parte del produttore di servizi (che solum è nostra e che noi nascemmo per lei), facciamo volentieri anche quella del committente politico dei servizi, forse perché nessun politico se ne cura. Ma facciamo anche volentieri quella degli utenti. Qualcuno di voi ha mai conosciuto un utente cui sia anche minimamente importato della Carta dei Servizi? Eppure abbiamo continuato a sostenerlo a muso duro per dieci anni. Io stesso ho scritto che la Carta dei Servizi poteva essere uno strumento di miglioramento in quanto sollecitava la pressione dell'utente-cliente sul servizio: non mi sono accorto che una cosa del genere sia mai successa (anche se mi sembra ancora una buona idea, a dire il vero).

Se concepiamo il marketing strategico come un modo di posizionarci ed accreditarci "con successo in un mercato" (dove le virgolette segnalano nel nostro caso un uso analogico dei concetti) allora, come già detto, la pratica della RSI ne fa parte. Legittimamente, ma anche utilmente: la trasparenza e la credibilità ci giovano.

Siamo dunque entrati nel decennio della RSI? Foss'anche vero, che non sia la RSI il nostro nuovo vitello d'oro! O almeno: non usiamo troppo incenso per adoralo! Anche perché inquina, l'incenso, beninteso!

PS

Non ditelo in giro: ma sto facendo anch'io un bilancio sociale!

Giovanni Galli, Istituzione Biblioteche - Comune di Parma, e-mail:

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario "Verso una responsabilità sociale delle biblioteche", Modena, Teatro della Fondazione Collegio San Carlo, 14 dicembre 2010.

[1] Potremmo definire la RSI in accordo con Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde: Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 18.7.2001 (presentato dalla Commissione) (COM(2001) 366 definitivo) (letto oggi 28.3.2011 all'indirizzo <http://www.csspd.it/download/ALLEGATI_CONTENUTI/csrgreenpaper_it.pdf>): "Il concetto di responsabilità sociale delle imprese significa essenzialmente che esse decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e rendere più pulito l'ambiente. Nel momento in cui l'Unione europea si sforza di identificare valori comuni adottando una Carta dei diritti fondamentali, un numero sempre maggiore di imprese riconosce in modo sempre più chiaro la propria responsabilità e la considera come una delle componenti della propria identità. Tale responsabilità si esprime nei confronti dei dipendenti e, più in generale, di tutte le parti interessate all'attività dell'impresa ma che possono a loro volta influire sulla sua riuscita. Tale evoluzione è il riflesso di ciò che si aspettano in modo sempre più deciso i cittadini europei e le parti interessate ad una trasformazione del ruolo delle imprese nella nuova società in trasformazione. Tale visione concorda con il messaggio fondamentale della strategia di sviluppo sostenibile adottata dal Consiglio europeo di Göteborg, nel giugno 2001, secondo la quale nel lungo termine la crescita economica, la coesione sociale e la tutela dell'ambiente vanno di pari passo". Una nuova Weltanschauung, parrebbe, ma anche il marketing strategico per taluni è una nuova Weltanschauung.




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