«Bibliotime», anno XVI, numero 1 (marzo 2013)


Precedente Home Successiva



Gli esperti siamo noi



Un tema tra i più frequentati nel dibattito odierno è senz'altro quello del rapporto fra il mondo delle biblioteche e le innovazioni tecnologiche, che hanno profondamente trasformato l'organizzazione e la vita stessa di queste strutture, e che non cessano di provocare continui e spesso tumultuosi cambiamenti nell'universo documentario.

Se dunque è indubbio che le tecnologie hanno acquisito una posizione centrale nella riflessione e nella pratica professionale, è interessante chiedersi se i principali attori che si muovono su questo scenario, e cioè i bibliotecari, siano stati effettivi protagonisti nell'assoggettare ai propri fini queste tecnologie, o se abbiano assunto un ruolo per così dire subordinato rispetto ad altre categorie, sentendosi in ritardo nella realizzazione di una serie di compiti e servizi, e quindi dando vita ad una affannosa rincorsa alle innovazioni.

Se infatti guardiamo al recente passato, possiamo notare come l'avvento delle reti ed in particolare del World Wide Web abbia dato vita a un grandioso tentativo di organizzazione dei contenuti che, per certi versi, è sembrato replicare le tradizionali attività esplicate dalle biblioteche nel corso dei secoli: un tentativo condotto però non dai bibliotecari ma da altre figure professionali, che si sono ingegnate a censire una quantità enorme di contenuti, a dar loro un'etichetta che ne consentisse la ricerca e il reperimento, e a individuarne il posto che potevano occupare in determinate serie tassonomiche.

E' avvenuto insomma che i professionisti dell'informazione e della conoscenza siano stati surrogati da nuove schiere di esperti che, senza nulla sapere di quanto si praticava nel chiuso dei back offices, hanno esercitato in maniera assai disinvolta funzioni finora esclusive dei bibliotecari. E così, per cercare di dar ordine al caotico mondo delle reti, sono state messe in campo attività di catalogazione descrittiva (in forme approssimative, come si è detto, e lontane da qualsivoglia standard), di catalogazione semantica (anche qui sulla base di categorie del tutto arbitrarie e spesso fantasiose), e di classificazione del nuovo scibile presente su Internet: tentativi che, sia per la mancanza di solidi requisiti scientifici, sia per la vastità, mutabilità e volatilità dei materiali da trattare, sono spesso finiti nell'incompiutezza e nel nulla.

Ma non per questo i bibliotecari hanno rallentato la corsa al recupero di un patrimonio che sembrava esser stato loro sottratto, e a ciò hanno affiancato una strenua ricerca di contenuti, strumenti e attività appartenenti ad altre realtà professionali: una corsa che se per alcuni versi ha arricchito la compagine bibliotecaria di una quantità di stimoli e suggestioni, per altri versi ha prodotto risultati contraddittori, in quanto non sempre è possibile adottare comportamenti e pratiche operative che sono di pertinenza di informatici, sociologici o esperti di management.

I bibliotecari dunque si trovano di fronte a una situazione duplice, perché da un lato si sentono investiti di una serie di funzioni che derivano dal loro illustre passato, mentre dall'altro sono alle prese con una quantità di innovazioni senza di cui queste funzioni appaiono prive di vitalità e di sostanza. Non è dunque un caso se il recente convegno delle Stelline abbia avuto come tema portante quello delle "biblioteche in cerca di alleati", un termine quest'ultimo quanto mai appropriato nel momento in cui testimonia non certo la supremazia, ma nemmeno la subordinazione del mondo bibliotecario rispetto ad altre realtà.

E una conferma della rincorsa che i bibliotecari sono costretti a compiere verso modalità e contenuti che paiono esser loro sfuggite di mano proviene dal brillante contributo di Laura Testoni pubblicato sul numero corrente di Bibliotime. L'autrice infatti, dopo aver esaminato i concetti di digital curation e di content curation, si sofferma in particolare su quest'ultimo, rilevando come esso sia "davvero familiare per un bibliotecario", ed abbia "evidenti somiglianze con molte attività abituali per la professione, soprattutto per chi presidia i servizi informativi ed il reference (disseminazione selettiva dell'informazione, abstracting, indexing ecc.). Tuttavia non nasce né si sviluppa in ambito bibliotecario, forse perché, a parere di chi scrive, i bibliotecari non sono particolarmente abili a valorizzare quello che già fanno" (corsivo nostro).

Difatti, prosegue l'autrice, la nozione di content curation "nasce e prende piede nell'ampia platea dei knowledge workers della rete, tra i bloggers, nelle redazioni dei giornali online, nella progettazione di servizi di e-commerce. Non casualmente, poi, rimbalza verso i bibliotecari, che registrano come questa 'nuova professione' sia nelle loro corde, e permetta loro di uscire dalle biblioteche per esercitare altrove le loro competenze professionali".

Se dunque per tornare ad essere "esperti" occorre questo gioco di rimbalzi, o se è necessario trovare degli alleati per esplicare al meglio le proprie funzioni, è un interrogativo che anche gli altri contributi presenti sull'attuale numero di Bibliotime possono aiutare a sciogliere. E ciò a partire dall'ampio lavoro di Nunzia Bellantonio e Raffaella Modestino, relativo a una speciale metodologia di rappresentazione grafica di processi legati alle attività documentali, per arrivare all'analisi di Iryna Solodovnik, che mette in luce gli elementi di natura sociale e semantica finalizzati alla ricerca e alla valutazione dei contenuti nei repository ad accesso aperto, senza trascurare l'indagine Francesca Di Donato e Susanne Müller, in cui viene preso in esame il progetto di biblioteca digitale volta a creare un'edizione critica ad accesso aperto della corrispondenza del grande storico dell'arte Jacob Burckhardt.

E in una realtà così ricca di innovazioni, che le biblioteche si sforzano di far proprie per continuare ad esplicare il proprio ruolo a servizio degli utenti, sia consentita una menzione particolare al contributo di Rossano De Laurentiis sull'impiego dei due principali schemi di classificazione otto-novescenteschi (ossia la CDU e la CDD) presso il fondo librario delle Officine Galileo di Firenze, che è anche un'ulteriore opportunità di riflessione sulla vicenda di questi grandi sistemi di organizzazione delle conoscenze.

Ricordiamo infine che con il corrente numero si conclude la pubblicazione degli atti del convegno Nilde-Acnp tenutosi nei mesi scorsi a Bari, e che forniscono un apporto assai rilevante nella definizione di nuovi percorsi - concettuali e operativi ad un tempo - per l'intera comunità dei bibliotecari.

Michele Santoro




«Bibliotime», anno XVI, numero 1 (marzo 2013)


Precedente Home Successiva