«Bibliotime», anno XVIII, numero 1 (marzo 2015)

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Michele Santoro

Per una storia delle classificazioni bibliografiche. Parte prima. Introduzione. Le origini: Mesopotamia e Egitto



Abstract

First part of a larger essay which will be published in subsequent issues of 'Bibliotime', this article deals with the conceptual assumptions of classification and the relationship between classification and knowledge, also through examples in the anthropological, biological and cognitive fields. Then, it examines the relationships between philosophical-scientific and bibliographic classifications. Finally, it focuses on the origins of the classification, which occurred in Mesopotamia and Egypt since the third millennium B. C.

1. Introduzione

A cosa - e a chi - può essere utile oggi una storia delle classificazioni, ed in particolare di quelle bibliografiche? I bibliotecari sono ancora interessati a un discorso del genere? Gli ordinamenti sistematici hanno ancora un valore nell'epoca dei motori di ricerca, delle ontologie e del web semantico? Ed i principi che ne sono alla base rispondono ancora ai criteri di funzionalità e di efficacia che li hanno informati, e che hanno dato loro una così ampia diffusione nel corso dei secoli?

Nel presente lavoro non si forniranno risposte - se non indirette - a questi interrogativi, perché gli obiettivi che esso si pone sono diversi: ripercorrere l'itinerario storico delle classificazioni bibliografiche sulla base di due presupposti, che prevedono da un lato l'analisi dei requisiti concettuali (ma anche epistemologici e cognitivi) delle classificazioni, dall'altro l'inserimento del percorso diacronico in una cornice squisitamente biblioteconomica.

Alla luce di ciò, sarà allora possibile riprendere un tema che in molti hanno già esplorato, [1] e i cui risultati costituiscono l'imprescindibile fondamento della nostra indagine. Un'indagine che vedrà la luce in più parti, pubblicate su numeri successivi di "Bibliotime": la prima - ossia la presente - si soffermerà sui principi generali della classificazione, oltre che sui suoi aspetti gnoseologici e culturali, per poi proseguire con un excursus storico-biblioteconomico sulle origini della classificazione, manifestatesi in Mesopotamia e in Egitto a partire dal terzo millennio a. C. I capitoli seguenti affronteranno il lungo intervallo che va dal mondo antico all'età moderna.

1.1. Presupposti concettuali della classificazione

Possiamo dunque intraprendere il nostro percorso con una rapida premessa di ordine concettuale. Cominciamo col dire che classificare significa distinguere, ripartire, dividere: è un'attività che viene esercitata quotidianamente, in tutti i contesti e in tutte le situazioni. La classificazione avviene a vari livelli, in maniera più o meno consapevole, ogni qualvolta associamo - o dissociamo - le impressioni ricevute dal mondo esterno, i concetti, gli oggetti ed ogni manifestazione del reale. Nelle parole di Vilma Alberani,

in ogni istante, quando parliamo, quando pensiamo, usiamo il concetto di classe e continuamente classifichiamo idee e oggetti, cioè li raggruppiamo e separiamo tramite un processo mentale di astrazione, che ci permette di fare tali raggruppamenti secondo il grado di somiglianza esistente tra loro e di separarli secondo il loro grado di dissomiglianza. La somiglianza o la dissomiglianza è la caratteristica o principio di divisione. [2]

La classificazione quindi si manifesta nel momento in cui trasformiamo insiemi più o meno indistinti in nuovi insiemi (a cui si è convenuto di dare il nome di classi) che risultano decisamente più ordinati e omogenei: come ha scritto Mario Augusto Bunge, "la classificazione è il modo più semplice per discriminare simultaneamente fra gli elementi di un insieme e di raggrupparli in sottoinsiemi, cioè di analizzare e sintetizzare". [3]

In altre parole, il processo di classificazione permette di realizzare elenchi di oggetti o concetti che vanno a raggrupparsi a seconda del loro grado di somiglianza o di affinità, distinguendosi da oggetti o concetti aventi proprietà o requisiti differenti. Le immagini che seguono lo mostrano con evidenza:

Figg. 1-2: Dall'indistinzione alla classificazione

In termini più rigorosi, Alfredo Serrai afferma che

la conoscenza, in quanto distinzione di un oggetto fra altri oggetti, richiede necessariamente non solo la separazione di un discreto da un continuo; ma per evitare che il procedimento di distinzione prosegua all'infinito, senza che ne derivi una struttura significante più economica della differenziazione e della elencazione di tutti i discreti possibili, tale distinzione diventa un processo di individuazione degli oggetti rispetto a uno schema di individuazione. Un processo siffatto è un processo di classificazione, ossia di assimilazione di oggetti ritenuti sufficientemente analoghi da avere una identificazione comune. [4]

L'atto del classificare dunque non produce soltanto classi più o meno omogenee di oggetti o di idee ma, all'interno di ciascuna classe, un ordinamento dei suoi componenti a seconda del grado di somiglianza o di affinità. Ne consegue che la classificazione non dà vita soltanto a insiemi di cose o concetti a scopo di localizzazione o di identificazione, ma a un ordinamento razionale che consente, sulla base delle affinità e delle differenze, di individuare le relazioni che intercorrono fra gli oggetti o i concetti presi i considerazione.

Perché ciò si verifichi, è necessario che i membri di una classe condividano almeno una caratteristica che i membri di altre classi non posseggono: il che equivale a dire che la ripartizione di determinati oggetti o concetti e la loro assegnazione a una classe deve avvenire sulla base di una singola caratteristica, ossia di un singolo principio di divisione alla volta. Di norma, tale ripartizione procede dal generale allo specifico, partendo da grandi aree di soggetto e suddividendole utilizzando una caratteristica, cioè un singolo principio di divisione, per volta.

Siamo di fronte ai principi della classificazione elaborati dalla logica formale, che prevedono la ripartizione della totalità del sapere in classi via via meno ampie fino ad arrivare a concetti individuali, cioè non più divisibili. Secondo tali principi, il processo della classificazione si sviluppa attraverso una "divisione del genere in specie, detto secondo la formula tradizionale, della divisione logica per genus et differentiam". [5] Nei termini della logica formale, i generi e le specie rappresentano gli aspetti estensionali di una classificazione, mentre le differenze ne costituiscono l'intensione (o comprensione). [6]

Si arriva così al metodo di divisione dicotomica, che dà vita a classi mutuamente escludentisi in quanto fondate sul possesso o sul non possesso di una determinata qualità, come esemplificato dal celebre 'albero di Porfirio':

Fig. 3: L'albero di Porfirio

Ma perché una classificazione rispetti a pieno i principi della logica formale, osserva ancora Serrai, la divisione "deve procedere senza salti dal genere alla specie immediatamente subalterna, le specie complementari devono escludersi a vicenda, e nella loro totalità devono essere uguali al genere dal quale derivano". [7]

Ora, è evidente che questi criteri sono applicabili solo teoricamente ai sistemi di classificazione: come infatti spiega Serrai, "non ci sono classificazioni scientifiche che soddisfino a queste condizioni, in quanto non esistono proprietà che differenzino rigorosamente e definitivamente l'uno dall'altro gli oggetti di una certa complessità". Analogamente le classificazioni bibliografiche "rimangono tutte al di fuori delle garanzie offerte dai metodi della classificazione dicotomica", [8] essendo le proprietà rappresentate nei documenti altrettanto complesse di ogni altro fenomeno del reale, e quindi non riconducibili ai presupposti sopra indicati.

1.2. Pervasività della classificazione

Nonostante le difficoltà derivanti dai principi della logica formale, è incontestabile che la classificazione sia connessa ad ogni manifestazione della realtà, e risulti essenziale in ogni attività conoscitiva. Lo ha rilevato in modo assai incisivo Georges Perec nel suo Pensare/classificare quando, riguardo ai due termini che danno il titolo al suo libro, si chiede esplicitamente: "Che cosa significa la barra di divisione? Che cosa mi si domanda alla fine? Se penso prima di classificare? Se classifico prima di pensare? Come classifico ciò che penso? Come penso quando voglio classificare?". [9]

Le risposte a questi interrogativi sono molteplici: il filosofo americano John Dewey, ad esempio, non ha dubbi nell'affermare che "la conoscenza è classificazione", [10] mentre per altri studiosi la classificazione viene a trovarsi "nel punto d'incontro di diverse dimensioni conoscitive, a metà strada fra pensiero empirico e pensiero scientifico", spesso costituendo "il punto d'approdo" o "il condensato di una teoria", e rivelando sempre la "solidarietà tra pensiero e linguaggio". [11] Difatti, osserva ancora Serrai,

una separazione fra conoscenza e classificazione equivarrebbe a una separazione tra linguaggio e denotazione del linguaggio, o, meglio ancora, tra linguaggio e percezione psichica e intellettuale di quegli elementi della realtà ai quali si applica il linguaggio. I nomi che attribuiamo agli aspetti e alle parti della realtà o, quel che è lo stesso, i modi intitolati di categorizzare aspetti e parti della realtà, corrispondono sul piano delle idee alla costituzione di un numero di classi, o concetti, che riducono la molteplicità molto numerosa del reale ad un insieme più maneggevole di concetti. [12]

Ma, nella sostanza, in cosa si esprime il rapporto tra classificazione e conoscenza? Nel ribadire che tale rapporto può non essere univoco o correlato a una determinata teoria, Fernando Gil riprende la distinzione di Bunge fra "classificazioni preteoriche, fondate sopra similarità estrinseche e superficiali, e classificazioni teoriche", e riconosce che "il progresso consiste nel passaggio da quelle a queste". [13] Alla luce di ciò, lo studioso può individuare alcune "situazioni caratteristiche" in grado di illustrare tale passaggio: [14]

1) Le classificazioni costituiscono una prima determinazione degli oggetti del sapere, contribuiscono a fissare il fatto. Fu questo il principale apporto recato alla classificazione biologica di Linneo, grazie alla quale divenne possibile tracciare delle frontiere fra le specie, fino allora erratiche e aggrovigliate. Fra le conseguenze di tale classificazione va annoverato lo sviluppo dell'evoluzionismo.

2) La fissazione del fatto è accompagnata dalla spontanea determinazione di analogie o correlazioni apparenti. Queste potranno risultar false, ma avranno fornito una prima veduta teorica, anche qualora si trattasse di oggetti 'inclassificabili' (se ne esistono).

3) Analogie di questo tipo possono tuttavia rivelarsi esatte, e le classificazioni contribuiscono direttamente alla conoscenza scientifica quando puntano alla determinazione di relazioni che formeranno la base di una teoria. Certamente tali classificazioni non saranno che un aspetto della teoria definitiva, e in generale esse vi si trovano riformulate, ma la loro portata non è ora esclusivamente euristica.

4) La classificazione costituisce lo scopo della teoria, ovvero quest'ultima si esprime, nella sua forma compiuta, in una classificazione. La situazione è abituale in matematica e anche in tutti quei casi in cui le classificazioni presentano un fondamento matematico cospicuo, sovente di tipo seriale o combinatorio. La teoria insomma si mostra inscindibile dalla classificazione, e quest'ultima si rivela la conoscenza stessa. Così, con la tavola di Mendeleev, «la scienza chimica si trasforma, muta statuto, prende a funzionare da sé, realizza una sorta di 'autoproduzione'. L'invenzione non consiste più nello scoprire un ordine interno, ma l'ordine stesso si trasforma in invenzione, in metodo che moltiplica il sapere». [15]

E per tornare all'idea di pervasività della classificazione, basterà pensare che le facoltà classificatorie non sono esclusive del genere umano: difatti "le attività di classificazione sono profondamente radicate nella filogenesi, costituendo esse una condizione primaria della sopravvivenza delle specie animali. Gli animali classificano il loro ambiente naturale a seconda che vi si trovi o no nutrimento, i loro concorrenti, i loro partner sessuali, i loro nemici, le loro prede, ecc". [16] Fra gli altri, il premio Nobel Jacques Monod ha rilevato che gli animali sono senza dubbio "capaci di classificare oggetti o relazioni fra oggetti secondo categorie astratte, soprattutto geometriche". [17] Nelle parole di Fernando Gil,

classificare è dunque un fondamento capitale del pensiero. A partire da Durkheim e Mauss l'antropologia lo ha ampiamente mostrato; Lévi-Strauss, per esempio, ha messo in evidenza come, per il pensiero totemico, gli animali siano 'buoni', non da mangiare ma da pensare - cioè da classificare [...]. Il biologo Simpson - seguito da Mayr - chiama classificazione zoologica una disposizione degli animali in gruppi a partire dai rapporti tra loro esistenti [...]. In questi termini, il carattere apparentemente intermedio delle classificazioni (a cavallo tra la conoscenza scientifica e l'individuazione del dato, tra l'empirico e il trascendentale, il fatto e l'essenza, l'uno e il molteplice) rappresenta in realtà un'onnipresenza che scaturisce piuttosto dalla loro posizione conoscitivamente dominante: propriamente le classificazioni sono concrezioni del pensiero categoriale. [18]

In particolare, il lavoro di Émile Durkheim e Marcel Mauss sulle 'classificazioni primitive' ha segnato una tappa importante nell'analisi del pensiero classificatorio che, nei casi esaminati dai due studiosi, risulta strettamente legato alle strutture e ai rapporti sociali. [19] Difatti le classificazioni che hanno luogo presso i popoli primitivi

non sono eccezionali, non presentando soluzione di continuità con le prime classificazioni scientifiche. Al pari di queste, sono «sistemi di nozioni gerarchizzate», gruppi non isolati ma correlati e aventi uno «scopo puramente speculativo». Esse sono dirette a «unificare la conoscenza e a costituire una prima filosofia della natura». Ma allo stesso tempo sono sociali; gli uomini classificavano le cose perché erano divisi in clan, e le forme di classificazione si basavano sulle divisioni della società. [20]

La tabella seguente, riferita al popolo Zuñi del Nuovo Messico, mostra con chiarezza queste modalità di classificazione: [21]

Regioni

Clan

Colori

Regioni di

Animali da preda

Stagioni

Elementi

Nord

Gru o pellicano, urogallo o centrocerco, bosco giallo o leccio

Giallo

Forza e distruzione

Leone della montagna

Inverno

Vento, brezza o aria

Ovest

Orso, coyote, erba di primavera

Blu

Pace ('cura di Orso guerra')

Orso

Primavera e sue brezze umide

Acqua

Sud

Tabacco, mais, tasso

Rosso

Caldo, agricoltura, medicina

Tasso

Estate

Fuoco

Est

Daino, antilope, tacchino

Bianco

Sole, magia e religione

Lupo bianco

Fine dell'anno

Terra, semi, gelate che portano i semi a maturazione

Zenit

Sole (estinto), aquila, cielo

"Venato di colori come il gioco della luce tra le nubi"

Diverse combinazioni di queste funzioni

Aquila

 

 

Nadir

Rana o rospo, serpente a sonagli

Nero

Talpa predatrice

 

 

Centro

Ara (pappagallo), il clan del centro perfetto

"Tutti i colori simultaneamente"

 

 

 

 

Fig. 4: Tavola di corrispondenze del popolo Zuñi

Per parte sua, Claude Lévy-Strauss "richiama l'attenzione sulla complessità delle classificazioni, delle tassonomie, delle classi di vocaboli che appaiono nei linguaggi delle società 'semplici', e critica l'opinione […] secondo cui questi sistemi siano soltanto mezzi per soddisfare 'bisogni'." [22] Per lo studioso infatti "l'universo è oggetto di pensiero almeno nella stessa misura in cui è un mezzo di soddisfazione di bisogni", e ciò significa che «la classificazione, in quanto opposta alla non classificazione, possiede un valore a sé stante, quale che sia la forma che può assumere». [23]

Lévy-Strauss pertanto individua nei meccanismi logici di natura binaria - o, se si vuole, dicotomica - il criterio principe con cui poter "classificare e ordinare il mondo": egli infatti costruisce una serie di "categorie mediante un sistema bipolare di opposizione o contrasti (caldo versus freddo, crudo versus cotto, destra versus sinistra, ecc.)", e alla luce di ciò esplora "alcuni temi nodali nell'agire umano, quali i sistemi di parentela e il pensiero mitico". [24]

Questi esempi di ambito antropologico riaffermano, se ancora ve ne fosse bisogno, la "posizione conoscitivamente dominante" della classificazione in ogni dominio del reale: una posizione che è stata ampiamente riconosciuta dal principale studioso dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza, e cioè Jean Piaget, che ha fornito un contributo essenziale all'analisi dei processi classificatori in campo biologico, epistemologico e cognitivo.

Alla base dei suoi lavori sulle facoltà classificatorie nel bambino, ad esempio, c'è il riconoscimento di una stretta interdipendenza fra i diversi campi del sapere; ciò porta Piaget a prendere le distanze dalle "classificazioni scientifiche lineari, statiche e quindi sterili", per dare invece il suo consenso "a un sistema 'circolare', alla 'dialettica senza fine' costituita appunto dal sistema delle scienze, in cui la logica si salda alle discipline psico-sociologiche, e in cui le scienze dell'uomo trovano punti di contatto con le scienze della natura". [25]

E proprio la psicologia infantile è l'ambito in cui Piaget delinea una vera e propria "ontogenesi delle classificazioni". [26] Per lo studioso svizzero infatti

vi sono tre stadi principali nella costruzione delle classificazioni. Dapprima il fanciullo opera delle 'collezioni figurali' senza distinguere l'oggetto spaziale e la classe. Egli riconosce delle relazioni di somiglianza, ma le applica soltanto a oggetti che si presentano in successione o a coppie di oggetti, senza innalzarsi al rapporto parti/tutto. Il fanciullo si mantiene aderente al percepito, «procede per gradi, dimenticando ciò che ha appena fatto e non prevedendone il seguito». Successivamente le collezioni cesseranno di essere soltanto figurali, e la distinzione fra 'alcuni' e 'tutti' - ossia il concetto di classe - viene ricavata a poco a poco. Ma non si arriva immediatamente a un'ordinata stratificazione delle unità classificate […]. A un secondo stadio, le «collezioni consistono in piccoli aggregati fondati sulle sole rassomiglianze, pur restando giustapposte le une alle altre senza essere ancora comunque incluse in classi più generali» [...]. Il terzo e ultimo stadio è raggiunto con la conquista, piuttosto difficile, del concetto di inclusione e quindi di gerarchizzazione. Riassumendo l'intero svolgimento, Piaget concluderà che, senza conoscere le strutture logico-matematiche delle classificazioni, «il soggetto tende spontaneamente a costruire delle forme che sono loro progressivamente isomorfe». [27]

Ma sono i complessi rapporti fra la dimensione organica e quella cognitiva che diventano oggetto di un'indagine di vasto respiro, che prende in considerazione gli aspetti classificatori presenti ad ogni stadio sia dell'organizzazione biologica sia di quella cognitiva. [28] In questo contesto, Piaget si sofferma su ciò che definisce 'strutture ad incastro', cioè forme o strutture elementari che istituiscono tra loro rapporti di tipo gerarchico, e che si ritrovano tanto nei tradizionali procedimenti di classificazione quanto nelle strutture organiche propriamente dette.

Secondo Piaget infatti i principi delle classificazioni logiche corrispondono a determinati incastri tra insiemi di individui. Ad esempio, è noto che le classificazioni includono la specie 'gatto domestico' A nel genere 'gatto' B, a sua volta inserito nella famiglia dei 'felini' C, e così via. Ma incastri analoghi si possono riconoscere anche nello sviluppo embrionale di ciascun individuo, dal momento che "l'embrione di un qualunque gatto domestico presenta dapprima i caratteri comuni a tutti gli esseri viventi (organismo unicellulare), poi quelli degli animali, poi solamente dei vertebrati, dei mammiferi, ecc., fino ai caratteri particolari c dei felini, b dei gatti e a dei gatti domestici". [29]

Sulla base del fatto che i caratteri a, b, c... (che corrispondono alla ripartizione in specie A, genere B, famiglia C, ecc.) sono caratteri ereditari, Piaget ritiene che

gli incastri di strutture devono necessariamente interessare l'organizzazione del genoma, dal momento che l'organizzazione genetica è realizzata dallo sviluppo embrionale e dalle interazioni epigenetiche. Del resto, anche nel processo di assimilazione fisiologica ogni individuo opera una serie di discriminazioni la cui natura riguarda molto da vicino gli incastri classificatori. L'organismo infatti assorbe certe sostanze e ne rigetta delle altre; successivamente, queste sostanze assimilate vengono suddivise in quelle da ritenere e in quelle da espellere secondo una precisa gerarchia di scelte. In altre parole, l'incastro classificatore dei caratteri, tanto genetico quanto embriogenetico, sembra prolungarsi nei meccanismi stessi degli scambi fisiologici con l'ambiente. [30]

A sua volta questa assimilazione di tipo organico o fisiologico dà vita ad una assimilazione squisitamente funzionale, e ciò segna il passaggio dagli aspetti biologici a quelli propriamente comportamentali. Difatti,

in ogni atto comportamentale è possibile trovare delle attività di classificazione. A livello percettivo, un oggetto è identificato in relazione a degli schemi d'azione anteriori e ciò comporta evidentemente una classificazione. Questo carattere lo si ritrova anche nell'esercizio dell'istinto come nel caso delle scelte dei cibi, dei partners sessuali o dei materiali di costruzione per un nido, una tana, ecc. L'elaborazione delle stesse abitudini appare come una 'famiglia di gerarchie di abitudini' che conduce alla formazione di schemi d'azione più o meno incastrati. [31]

Lo stadio finale è quello che vede la comparsa del pensiero, ed è qui che "la classificazione diventa intenzionale e soprattutto riflessiva": [32] essa infatti costruisce una serie di sistemi "non più immanenti all'azione ma risultanti da attività classificatrici intraprese in modo cosciente", che comprendono le classificazioni filosofiche e scientifiche propriamente dette. La conclusione di questo percorso è dunque che "la classificazione sembra trovarsi in ogni struttura dell'organizzazione, e ciò testimonia un rilevante isomorfismo strutturale tra il biologico e il cognitivo". [33]

1.3. Classificazioni del sapere e classificazioni bibliografiche

Ora, è opportuno chiedersi se il fatto che la classificazione sia coestensiva alla conoscenza, e che si ritrovi in tutti gli ambiti biologici e cognitivi, possa costituire la base del bisogno di dar ordine ai fenomeni del reale attraverso criteri di individuazione e differenziazione. Quel che è certo è che, nel corso dei secoli, il pensiero classificatorio si è manifestato in una pluralità di modi, e ha dato vita a una quantità di schemi, tassonomie e sistemi - sia di tipo filosofico e scientifico che bibliografico - al fine di ricondurre la molteplicità del reale a insiemi più definiti e compatti.

E per quanto riguarda l'ambito documentale, è utile ricordare che la presenza di criteri classificatori è stata registrata fin dall'antichità. Nel corso del tempo tali criteri hanno subìto notevoli trasformazioni, dovute non solo al variare dei supporti e alla crescita delle raccolte, ma anche al modificarsi degli orientamenti culturali, filosofici e scientifici, mantenendo tuttavia costante l'obiettivo di garantire un'idonea disposizione ed un agevole recupero dei documenti.

Un'indagine diacronica sulle classificazioni bibliografiche costituirà dunque il seguito di questo lavoro. Fin d'ora però ci sembra opportuno esaminare i rapporti che esse hanno intrattenuto con le classificazioni filosofiche e scientifiche ossia, per dirla con Serrai, con quei sistemi che risultano caratterizzati "da un inquadramento onnicomprensivo della realtà a partire da alcuni principi teoretici fondamentali di ordine metafisico, logico, gnoseologico, psicologico, scientifico"; che tendono "al massimo grado di globalità, coerenza ed eleganza formale"; che aspirano "alla completezza" e pretendono "alla certezza, all'immutabilità e alla verità assoluta". [34]

Gli scopi a cui puntano le classificazioni bibliografiche sono più pragmatici, essendo volti a ripartire in maniera idonea i documenti presenti nelle biblioteche, raggruppando quelli di contenuto affine ed evidenziando le relazioni all'interno dei gruppi così costituiti, in modo da favorirne la localizzazione ed il recupero.

Se questi sono gli obiettivi, occorre tuttavia chiedersi su quali basi vengono concepiti e realizzati i sistemi di classificazione bibliografica: se cioè derivano da preesistenti schemi filosofici e scientifici, adattandone l'ambito concettuale ad esigenze squisitamente bibliotecarie, o se invece mantengono una loro autonomia, basandosi su presupposti del tutto originali e specifici.

Si tratta di questioni di grande rilievo, su cui molti studiosi si sono soffermati con attenzione. [35] Fra questi Alfredo Serrai, il quale non ha dubbi nel sostenere la netta filiazione degli schemi bibliografici da quelli filosofici e scientifici. Difatti, scrive l'autore, per i compilatori di sistemi di classificazione bibliografica è inevitabile "fare riferimento ad uno schema complessivo, della realtà o delle conoscenze della realtà, quale rappresentazione adeguata e dinamica della realtà. Supporre che le classificazioni bibliografiche non abbiano rapporti strettissimi con la classificazione delle scienze, ed entrambe non dipendano, come il memorizzare e l'indagare, dalla concezione dell'organizzazione complessiva dell'universo semantico, è semplicemente un errore". [36]

Una posizione analoga è sostenuta da Maria Teresa Biagetti, la quale sottolinea come gli schemi bibliografici, "pur rispondendo al carattere essenzialmente pratico della funzione bibliotecaria, hanno in genere rispecchiato, nel corso dei secoli, lo stato delle classificazioni filosofiche". Difatti

la distinzione spesso operata tra le classificazioni della conoscenza e le classificazioni bibliografiche ha trovato giustificazione nella innegabile differenza esistente tra il carattere multi-dimensionale della conoscenza e il carattere uni-dimensionale della classificazione bibliografica; la stessa differenza esiste tra il pensiero e la comunicazione (multi-dimensionale il primo e uni-lineare la seconda), e la frattura deve infatti essere colmata, all'atto della comunicazione, attraversa una trasformazione che il pensiero deve subire; ma questa frattura [...] non ha nulla a che vedere con il processo della classificazione e la trasformazione avviene nell'ambito della comunicazione, indipendentemente dalla presenza della biblioteca. [37]

In ambito bibliotecario, per contro, sono stati in molti coloro che hanno affermato l'autonomia dei sistemi bibliografici rispetto a quelli filosofici e scientifici: a partire da E. Wyndam Hulme il quale, fin dal 1911, ha sostenuto che le classificazioni documentarie devono essere fondate sui documenti stessi, in base al principio della literary warrant o garanzia bibliografica, che autorizza la creazione di nuove categorie all'interno di uno schema bibliografico solo se esiste una sufficiente letteratura su quegli argomenti. Siamo di fronte ad un criterio di primaria importanza, che consente di "distinguere le classificazioni bibliografiche da quelle teoretiche (logiche, metafisiche, epistemologiche)", [38] in quanto riconosce che

la base per una classificazione bibliografica deve essere la letteratura esistente e realmente pubblicata piuttosto che i concetti e le idee astratte della conoscenza generale. Le classificazioni bibliografiche hanno come compito la classificazione del materiale di biblioteca più che la classificazione dell'umana conoscenza in se stessa. Pertanto l'introduzione di una classe o di una intestazione relativa a un soggetto nella struttura di una classificazione deve essere basata sul criterio dell'esistenza di una certa letteratura su quel soggetto. [39]

A parere di Hulme quindi l'ordinamento categoriale deve avvenire secondo una procedura 'induttiva', sulla base delle affinità, somiglianze o differenze che i documenti presentano, senza tenere conto della coincidenza o meno dei raggruppamenti che ne derivano con le classificazioni filosofiche o scientifiche.

Ma se il principio della literary warrant ha costituito un elemento distintivo degli schemi bibliografici (al punto da venire rigorosamente codificato nella Classificazione Decimale Dewey), ciò non ha impedito a Henry Evelyn Bliss, nei primi decenni del Novecento, di creare una classificazione documentaria che fosse in sostanziale accordo con la concezione scientifica e culturale del suo tempo, anche se non modellata o dedotta da schemi preesistenti. [40]

Secondo Bliss infatti l'ordinamento che sta alla base di una classificazione bibliografica non può essere una mera derivazione degli ordinamenti filosofici, culturali e scientifici, ma deve porsi in una sorta di corrispondenza biunivoca con essi: "una classificazione bibliografica", scrive in modo esplicito, "è virtualmente una classificazione del sapere e del pensiero, e viceversa una classificazione del sapere è già pronta per essere una classificazione bibliografica". [41] Come precisa lo stesso Bliss, è importante delineare con chiarezza tale relazione, "perché spesso è stata negata o distorta dai bibliotecari". [42]

Da ciò discendono due importanti questioni: come allineare una classificazione bibliografica all'ordinamento del sapere esistente; e fino a che punto di complessità essa si può spingere, visto che il suo scopo è quello di organizzazione in modo efficace le conoscenze a vantaggio di precisi interessi scientifici ed educativi. [43]

Le risposte che, al termine di un lungo percorso di elaborazione e di studio, Bliss fornisce a tali interrogativi vengono a costituire i pilastri della sua Bibliographic Classification, e che egli condensa nei tre principi dell'ordine naturale, della gradazione nella specialità e del consenso scientifico e educativo. [44]

In primo luogo, infatti, Bliss sostiene l'esistenza di un vero e proprio ordine della natura, concepito non come semplice somma delle sue componenti ma come «un sistema di parti interrelate»; ciò si traduce in una visione estremamente dinamica della realtà e dei suoi fenomeni, che possono essere riconosciuti e mappati direttamente in uno schema di classificazione. Peraltro, prosegue l'autore, una classificazione che rifletta l'ordine della natura mantiene una sostanziale stabilità: essa infatti non ha bisogno di drastiche trasformazioni perché cambiamenti importanti nelle grandi aree del sapere si verificano solo di rado.

Il secondo, fondamentale principio è quello della gradazione nella specialità, che ribadisce la subordinazione dello specifico al generale, ed affronta l'argomento della classificazione delle essenze scientifiche in termini di generalità decrescente e di complessità crescente. Ciò implica il riconoscimento di una corrispondenza fra l'ordine delle scienze così come è riportato dai sistemi di classificazione e l'ordine della natura, di cui il principio della gradazione nella specialità è il più importante corollario.

Il terzo e decisivo principio è quello del consenso educativo e scientifico: in seguito a una serrata analisi dei sistemi di classificazione del sapere - dalla Grecia antica al ventesimo secolo - Bliss può affermare che esiste un evidente consenso della comunità scientifica riguardo all'organizzazione della conoscenza e al suo inquadramento in specifici ambiti disciplinari. In linea con i due principi prima enunciati, lo studioso si dice convinto «che il sistema di conoscenza che si riflette in questo consenso è correlativo all'ordine persistente della natura». Difatti l'analisi su come è organizzata e come si sviluppa la conoscenza - nelle università e nelle scuole, nei programmi di studio e di ricerca, nelle società scientifiche e professionali, ecc. - rende esplicito il concetto di consenso scientifico ed educativo, al punto che Bliss può trasferirlo nell'ordinamento delle classi principali della sua classificazione. [45]

La vasta indagine di Bliss tuttavia non sembra costituire una tappa definitiva nel dibattito sui rapporti fra schemi filosofico-scientifici e schemi documentari perché, a ben guardare, si tratta di un'operazione piuttosto autoreferenziale: lo studioso infatti è "consapevole dell'arbitrarietà di quelle classificazioni bibliografiche che si sviluppano seguendo ordinamenti esclusivamente pratici senza tener conto dell'organizzazione della conoscenza", ma allo stesso tempo realizza il suo schema "tenendo presenti i principi teorici su cui si basava il sistema delle scienze da lui precedentemente elaborato". [46]

In conclusione, possiamo notare che una sintesi dei diversi punti di vista è stata tentata da Eric de Grolier, il quale ammette l'influenza delle classificazioni scientifiche su quelle bibliografiche, ma precisa che tale influenza si manifesta in maniera "diffusa e, in generale, con un lungo ritardo", poiché "le classificazioni documentarie sono ampiamente condizionate dall'evoluzione sociale, dalle concezioni ideologiche e dalle caratteristiche culturali e politiche del momento". [47]

2. La classificazione in biblioteca

La classificazione dunque trova un suo speciale utilizzo nelle biblioteche, al di là del fatto che gli schemi bibliografici possano essere più o meno influenzati da quelli filosofici e scientifici. Applicare un sistema di classificazione ai documenti di una biblioteca, infatti, significa raggruppare tali documenti sulla base di determinati criteri, che per lo più sono di tipo contenutistico, ma possono anche essere legati al periodo storico, all'ambito geografico o agli aspetti formali del documento. La ripartizione, come si è visto, avviene di norma in modo gerarchico, dividendo gli argomenti più vasti e generali in insiemi via via più ristretti, fino a ottenere soggetti talmente specifici da non ammettere ulteriori suddivisioni: un procedimento che risulta funzionale a un'adeguata distribuzione e ad un vantaggioso recupero dei documenti.

Non è un caso infatti se la ripartizione 'concettuale' dei documenti viene immediatamente replicata nell'ordinamento dei documenti stessi sugli scaffali, e ciò costituisce uno straordinario valore aggiunto, poiché la sequenza classificata non solo agevola l'identificazione ed il recupero, ma permette un'esplorazione pressoché esaustiva degli argomenti desiderati, consentendo di individuare documenti affini o in qualche modo collegati a quelli che interessano il ricercatore. [48]

2.1. Prospettiva storiografica

Appare dunque evidente che il rapporto fra l'ordinamento sistematico delle conoscenze e la disposizione fisica dei documenti - o, se si vuole, tra classificazione e collocazione - è un aspetto cruciale del nostro discorso. Come si è accennato (e come si vedrà di seguito), tale rapporto è andato incontro a radicali mutamenti, essendo influenzato tanto dalla componente materiale, rappresentata dai supporti in uso nelle diverse epoche storiche, quanto da quella intellettuale, inevitabilmente soggetta al variare degli indirizzi cognitivi, epistemologici e culturali.

E per far emergere questa pluralità di elementi, ci sembra utile inquadrare il discorso in una duplice prospettiva, di carattere storico da un lato e biblioteconomico dall'altro. Difatti un approccio diacronico - che metta in luce gli aspetti socioculturali e stricto sensu documentali della vicenda bibliotecaria - si può utilmente incrociare con un'analisi di natura biblioteconomica, tesa a esaminare le procedure e le tecniche che di volta in volta sono state impiegate dalle biblioteche. Ne risulta una vera e propria 'storia della biblioteconomia', il cui obiettivo è appunto l'indagine dei procedimenti e dei metodi che, nel corso del tempo, le biblioteche hanno posto in essere per realizzare i propri fini istituzionali.

Si tratta di una prospettiva che è stata attentamente esplorata anche nel nostro paese: [49] a cominciare da Daniele Danesi, il quale ha osservato come non siano mancati gli studiosi che hanno affrontato tematiche biblioteconomiche inserite in una robusta cornice diacronica [50]. Ma ciò che rende complesso il discorso, continua l'autore, è la presenza di una vasta mole di studi relativi alla storia delle biblioteche, un campo d'indagine che ha illustri tradizioni, ma che appare frequentato più da bibliografi e da storici di professione che da bibliotecari e che, a differenza della storia della biblioteconomia, gode di una "dignità riconosciuta di disciplina", laddove quest'ultima "esiste solo come biblioteconomia". [51]

Poiché sono molteplici le contiguità, le intersezioni e sovrapposizioni fra le due branche disciplinari, per Danesi è dunque necessaria una più chiara definizione della storia della biblioteconomia, dei suoi presupposti teorici e dei suoi campi di applicazione, che si estendono ben oltre "la storia delle tecniche biblioteconomiche" e "l'applicazione pratica di queste tecniche e dei principi che le sottendono". [52]

Una decisa riformulazione dei due ambiti concettuali è stata tracciata da Alfredo Serrai, [53] il quale ha messo in luce come sia proprio l'analisi delle relazioni intercorrenti fra la biblioteca e i documenti che essa vuol mettere a disposizione a divenire oggetto di studio della storia delle biblioteche: a parere dell'autore infatti l'obiettivo di questa disciplina si esplicita non più o non solo nella tradizionale indagine sulla costituzione, conservazione e distruzione delle raccolte, ma nella ricerca sui metodi, le procedure e le tecniche che consentono la fruizione di queste raccolte da parte dell'utenza.

In tal senso, prosegue Serrai, la storia delle biblioteche diviene "storia delle entità e dei processi bibliotecari, in quanto vengono riferiti e commisurati all'adempimento degli obiettivi e delle funzioni bibliotecarie, quali si sono manifestate in un dato periodo o in singole particolari condizioni". [54] Dunque la storia delle biblioteche viene a situarsi alla confluenza del duplice ma concomitante percorso della storia della bibliografia e della storia della biblioteconomia, se è vero che essa "da un lato consiste nell'accertamento delle soluzioni bibliografiche avanzate in merito a problemi culturali e scientifici, o più generalmente ideologici, connessi con la creazione di una particolare struttura documentaria, dall'altro si cimenta nella determinazione e nella valutazione dei dispositivi, escogitati o adottati, per rendere agevolmente consultabile una concreta raccolta libraria". [55]

In un successivo intervento, Serrai ha precisato che la storia delle biblioteche attinge ad una sua autonomia laddove si presenti come storia di una specifica disciplina, "e cioè di una scienza che risulta caratterizzata da proprie peculiari, ed inconfondibili, strutture teoretiche"; tale disciplina "non può essere che la biblioteconomia, considerata nella sua totalità, videlicet nella sua competenza bibliografica e nella sua competenza gestionale e logistica". [56]

In quest'ottica, continua lo studioso, l'indagine storiografica non si limita ad affrontare la mera vicenda evenemenziale, cioè le caratteristiche esteriori o contingenti dei diversi istituti bibliotecari, ma si rivolge a questioni di notevole rilievo bibliografico e biblioteconomico, diventando "sia il riepilogo critico delle teorie e delle presenze bibliografiche, concepite anzitutto quali realtà intellettuali di dominio pubblico, sia la sintesi storica delle soluzioni tecniche che sono applicate nella conduzione gestionale e catalografica delle biblioteche". [57]

Ora, ci sembra evidente che adottare questo punto di vista significa porsi in una prospettiva più ampia, in grado di guardare tanto alle 'realtà intellettuali' di ordine bibliografico quanto alle procedure e alle tecniche di natura biblioteconomica: una prospettiva, insomma, che può costituire un'interessante chiave d'accesso alle vicende bibliotecarie, specie se applicata a uno studio sui criteri di classificazione impiegati dalle biblioteche per l'ordinamento dei documenti.

Le note che seguono intendono esplorare questa dimensione, ed associare le consolidate acquisizioni della storia delle biblioteche [58] ad analisi di tipo squisitamente biblioteconomico. Tale percorso vedrà quindi un excursus sui principali metodi di classificazione adottati nelle biblioteche, il quale non potrà andare disgiunto dall'analisi dei presupposti culturali, filosofici, scientifici e finanche cognitivi da cui sono questi influenzati, a conferma della pluralità e ricchezza di connotazioni che da sempre distingue questo tema. [59]

2.2. Le origini: la Mesopotamia

È proprio alle origini della civiltà, manifestatesi in Mesopotamia a partire dal terzo millennio a. C., che si ritrovano non solo le prime apparizioni del pensiero classificatorio ma anche (per quanto al termine di un lungo cammino) i segni della sua presenza all'interno delle biblioteche.

Come hanno sottolineato in molti, [60] è d'importanza cruciale il fatto che la nascita del pensiero classificatorio coincida con l'avvento delle prime forme di scrittura: i lavori di Jack Goody, ad esempio, hanno dato un forte risalto "all'influsso della scrittura sulle operazioni conoscitive", [61] e quindi agli aspetti di natura classificatoria che a queste sono collegate. Ma come vedremo, l'evoluzione verso uno statuto classificatorio solido ed efficace sarà tutt'altro che lineare, configurandosi invece come un percorso contraddittorio e fitto di ostacoli, che solo nelle epoche più tarde troverà una sua migliore definizione.

Per descrivere questo itinerario occorre allora partire dalla prima forma di scrittura, quella cuneiforme elaborata dai Sumeri intorno al 3000 a. C., e dal primo, eccellente materiale scrittorio, la tavoletta d'argilla: eccellente perché altamente duraturo e resistente agli incendi e alle altre calamità. Su questo supporto infatti sono state registrate una quantità di informazioni, per lo più di natura amministrativa, che fin dagli inizi hanno assunto la forma di vere e proprie liste.

Si tratta di un aspetto assai rilevante, che non solo differenzia queste civiltà dalle precedenti culture orali, ma che consente un radicamento - e per così dire un approfondimento - del pensiero proprio grazie ai criteri elencatori che caratterizzano le liste.

Il ruolo essenziale giocato da questi primi tipi di descrizione e di elencazione è stato ampiamente riconosciuto dagli studiosi, al punto che, ai primi del Novecento, è sorta una specifica branca del sapere definita Listenwissenschaft, il cui scopo era proprio quello di studiare e interpretare le enumerazioni contenute nelle migliaia di tavolette di argilla rinvenute in Mesopotamia. E che si tratti di un momento decisivo nello sviluppo del pensiero lo ribadisce Jack Goody quando scrive che

la lista fa assegnamento sulla discontinuità più che sulla continuità; dipende dalla posizione fisica, dalla collocazione materiale; può leggersi in diverse direzioni, sia lateralmente che verso il basso, cioè dall'alto in basso e da sinistra a destra; ha un chiaro inizio e una precisa fine, cioè una delimitazione, un bordo, come un pezzo di tessuto. Soprattutto essa favorisce la sistemazione delle voci in modo ordinato per numero, per suono iniziale, per categoria ecc. E l'esistenza di limiti, esterni e interni, dà alle categorie maggiore visibilità, rendendole al tempo stesso più astratte. [62]

Sarebbe tuttavia sbagliato ritenere che queste liste fossero strutturate secondo precisi criteri sistematici: molti studiosi infatti hanno osservato che i procedimenti classificatori del vicino Oriente antico dimostrano una profonda insufficienza concettuale, essendo in gran parte privi di quei principi logici capaci di dar vita a ben definite strutture classificatorie. [63]

Tra gli altri, Mario Liverani ha messo in evidenza alcuni di questi 'anelli mancanti': in primo luogo "il principio della scomposizione degli oggetti in elementi semplici, ben affermato dalla filosofia greca (si pensi ai quattro elementi acqua-aria-terra-fuoco) e a cui ci ha abituato la moderna chimica; ma questo principio non è per nulla affermato nell'antico Oriente, se non ad un livello del tutto embrionale". In secondo luogo "il principio dell'ordinamento scalare per genere e specie (del tipo al quale la sistemazione di Linneo ci ha abituato in botanica e zoologia)", e di cui "potrà individuarsi qualche applicazione sporadica". Infine "il principio della classificazione binaria che, per quanto attestato, risulta "poco significativo" per una sua applicazione in forma sistematica. A ciò si contrappone invece "il carattere 'aperto' della classificazione, che non raggiunge mai la completezza definitiva, essendo sempre possibile aggiungere un ulteriore termine alla lista", e ciò rappresenta un'evidente "imperfezione classificatoria". [64]

L'attività di classificazione, prosegue dunque l'autore, "consiste sostanzialmente in un'attività di nomenclatura", se è vero che per i popoli del vicino Oriente antico il nome "non era qualcosa di arbitrario, di convenzionale", ma "di strettamente compenetrato alla cosa da essa designata, sicché conoscenza del nome equivaleva al possesso intellettivo della cosa stessa". [65] Quindi, conclude Liverani,

l'elencazione cumulativa resta il procedimento principale di classificazione nell'antico Oriente e, nonostante i vari espedienti posti in atto per dotarla di una sua compiutezza, mantiene le sue caratteristiche fondamentali, che ne costituiscono anche i limiti operativi maggiori: quella di essere aperta, suscettibile di aggiunte, e quella di non avere al suo interno un ordine sistematico complessivo. [66]

Tuttavia è lo stesso Liverani a individuare almeno un ambito dove queste carenze sono meno evidenti, ed in cui il "procedimento classificatorio acquista una funzionalità più precisa: si tratta del settore legislativo", nel quale "la spartizione binaria della realtà offre un agevole meccanismo per prevedere ogni fattispecie possibile. Molto spesso infatti un 'articolo' di legge è costruito in maniera caratteristica: data un'ipotesi di base, le conseguenze di carattere giudiziario sono presentate come bipartite a seconda del verificarsi di una o dell'altra di due condizioni secondarie contrapposte". [67]

Se è dunque possibile riconoscere un'evoluzione verso un pensiero classificatorio più maturo, è allora utile chiedersi se proprio questa evoluzione possa portare a un ordinamento di tipo classificato nelle biblioteche della Mesopotamia: è infatti evidente che l'applicazione di criteri sistematici ai documenti di una raccolta richieda una consapevolezza assai maggiore di quella esaminata finora, perché presuppone non solo un chiaro disegno sistematico, ma anche una visione più precisa dell'universo dei fenomeni.

E se si vuole esplorare questa ipotesi, si può allora far ricorso alle ricerche effettuate dagli storici delle biblioteche i quali, nonostante le difficoltà derivate dalla precarietà delle fonti e dalla difficoltà di analisi dei documenti, si sono più volte soffermati sulla realtà documentaria del vicino Oriente antico. [68]

Nel far ciò, è possibile riconoscere una sorta di evoluzione nell'ordinamento di queste raccolte, al di là del fatto che gli studiosi le definiscano ora come archivi (essendo composte in prevalenza da documenti amministrativi), ora come vere e proprie biblioteche, laddove contengano anche opere di carattere religioso, letterario o scientifico.

Procedendo dunque cronologicamente, possiamo partire dalla collezione ritrovata ad Ebla e costituita da circa 2000 tavolette databili fra il 2300 e il 2250 a. C. Si tratta per gran parte di materiali contabili, accanto ai quali sono stati reperiti elenchi di parole, documenti con espressioni bilingui, formule rituali e testi mitologici: di questi ultimi in particolare è stata accertata la comune provenienza "dal ripiano superiore della parete nord della stanza", per cui si è potuto dedurre "che questo scaffale fosse la biblioteca di consultazione degli scribi di palazzo, collocata tra gli altri documenti relativi alla vita di corte". [69]

E se ad Ebla è possibile riconoscere una forma sia pur rudimentale di ordinamento, per trovare dei criteri più specificamente biblioteconomici bisogna guardare alla raccolta rinvenuta a Nippur e risalente al 2000 a. C. circa. In due tavolette ivi presenti, infatti, sono elencati una serie di "testi della letteratura sumera: vari miti, inni, lamentazioni"; il fatto che siano "elenchi relativi a un'unica raccolta" ha fatto pensare ad un vero e proprio catalogo, "seppur di tipo primitivo", ma che ha costituito comunque "un grande passo avanti verso la sistematizzazione delle raccolte". [70]

"Due ulteriori passi avanti", afferma Lionel Casson, sono stati "l'introduzione di un sistema migliore per catalogare i testi e l'aggiunta di note identificative alle tavolette. Entrambi questi progressi furono compiuti entro il XIII secolo a. C., come dimostrano i ritrovamenti di Hattusa, che fu capitale dell'impero ittita fra il XVII e il XVIII secolo a. C.". [71] Fra le numerose tavolette di questo sito, ve ne sono alcune che comprendono "versioni ittite di cicli epici sumeri e babilonesi. In alcuni casi la superficie posteriore dell'ultima tavoletta del testo reca incise poche righe che identificano l'opera, più o meno come oggi il frontespizio: il colophon". [72]

Si tratta, prosegue Casson, di un'innovazione di particolare importanza: essa infatti ha permesso l'allestimento di cataloghi "molto più progrediti rispetto ai semplici elenchi di Nippur", in quanto vi sono riportate una serie di "voci bibliografiche dettagliate":

ogni voce inizia con il numero di tavolette di cui è composta l'opera registrata, proprio come nei cataloghi odierni è indicato il numero dei volumi di una pubblicazione in più volumi. Quindi l'opera è identificata per mezzo di un titolo, che può essere tratto dalla prima riga del testo o da una descrizione concisa del contenuto, e infine viene indicato se la tavoletta in questione è l'ultima dell'opera o meno. A volte sono inseriti anche il nome dell'autore o degli autori, e altre utili informazioni. [73]

Tale sviluppo non riguarda soltanto un ambito che definiremmo di catalogazione descrittiva, ma attiene assai da vicino a un'organizzazione di tipo classificato, se è vero che le informazioni presenti nei colophon venivano impiegate per segnalare tavolette di contenuto simile. Ciò è confermato dallo studio di Mogens Weitemeyer, che parla di vere e proprie 'serie' di documenti affini:

quando le tavolette costituivano una serie, il colophon di ciascuna tavoletta indicava il nome della serie (la prima riga della prima tavoletta) e il numero della tavoletta nella serie. Così, il colophon ci dà informazioni indirette sulle tecniche di ordinamento delle biblioteche. La formazione di queste serie era abbastanza naturale per le opere di poesia religiosa. Per quanto riguarda le opere di matematica e di astrologia, i testi per la pratica degli auspici, le liste di segni, etc., il motivo per la creazione di queste serie deve essere stato il desiderio di raccogliere tutta la letteratura su uno stesso soggetto in un'opera unitaria. In molti casi, possiamo immaginare che le tavolette erano scritte o copiate nella biblioteca, allo scopo esplicito di essere collocate nella biblioteca stessa. Infatti la formazione delle serie riflette il desiderio sia degli scribi sia degli utenti (o dei bibliotecari) di raccogliere in un unico luogo tutta la letteratura sullo stesso soggetto. [74]

Un'analoga disposizione si può riconoscere nella biblioteca fondata da Tiglath-Pileser I, "uno dei più grandi governanti assiri, il cui regno durò quasi quarant'anni, dal 1115 al 1077 a. C.". [75] In questa raccolta infatti sono state rinvenute diverse tipologie di materiali, in particolare opere relative alla pratica degli auspici, ma anche "una serie di testi di consultazione: liste di vocaboli, di piante e alberi, di animali, dèi, nomi di luoghi, testi astronomici, tavole di moltiplicazione. Si sono ritrovati anche alcuni inni e addirittura un catalogo di composizioni musicali le cui voci bibliografiche riportano anche gli strumenti cui erano destinati". [76]

Se dunque, con il passare dei secoli, è possibile individuare una più precisa organizzazione dei documenti, ciò trova il suo culmine nella più importante collezione del vicino Oriente antico, ossia la biblioteca allestita nel palazzo reale di Ninive dal re assiro Assurbanipal, che ha regnato anch'egli per un quarantennio, dal 668 al 627 a. C. Difatti la raccolta costituisce "un vero e proprio tesoro che annovera, tra l'altro, più di un centinaio di esempi di testi professionali di vario tipo, nonché l'epopea di Gilgamesh e quella del mito della Creazione, la maggior parte delle opere letterarie della Mesopotamia di cui siamo a conoscenza". [77]

Ma ciò che per noi più conta è che questa raccolta "può essere legittimamente definita come la prima biblioteca formata in modo sistematico in Mesopotamia". [78] Diversi autori infatti ritengono che le tavolette, poste all'interno di vasi di terracotta ordinatamente allineati su scaffali, fossero distribuite in base a un preciso ordine nelle diverse stanze del palazzo; un'etichetta posta sulle tavolette identificava il vaso, lo scaffale e la sala in cui erano collocate, mentre una sorta di catalogo elencava il posseduto di ciascuna sala. [79] Come scrive Richard Hyman,

le descrizioni del contenuto e i segni di collocazione erano presenti su etichette poste sul lato esterno delle tavolette. Le tavolette in serie erano identificate dal titolo della serie e numerate come parte della serie. Ogni serie di tavolette riportava in alto la riga conclusiva della tavoletta precedente, e in basso la prima riga della successiva, un sistema simile alle segnature dei libri a stampa. I cataloghi, probabilmente classificati, fornivano un accesso bibliografico. Almeno alcuni di essi erano incisi sulla parete o sulla porta d'ingresso della stanza che conteneva le opere su quegli argomenti. Per ogni opera, le voci del catalogo includevano il titolo o la prima riga, il numero di righe sulla tavoletta, e il numero di tavolette per un'opera con più unità. [80]

Gli studiosi tuttavia hanno opinioni diverse sui criteri di ordinamento della biblioteca. Secondo Francis Miksa, per quanto i testi fossero "raccolti sistematicamente, collazionati, trascritti (spesso in più copie) e organizzati, non esistevano divisioni del sapere nel senso moderno del termine". [81] A parere di Šamurin invece sarebbero riconoscibili alcune grandi categorie, ossia diritto, grammatica, scienze naturali, geografia, storia, matematica, astronomia, magia, dogmi e religioni, saghe e leggende. [82] Più dettagliatamente, Michael Harris scrive che

una stanza conteneva tavolette relative alla storia e al governo, compresi gli accordi con i governanti subalterni, le biografie degli ufficiali e le liste dei re. In questa stessa stanza vi erano tavolette con informazioni sui paesi confinanti, copie di lettere da e per gli ambasciatori del re in altri paesi, e ordini di ufficiali militari. Un'altra divisione della biblioteca era di tipo geografico, con descrizioni di città e regioni, fiumi e montagne, insieme a liste di prodotti commerciali disponibili per ciascuna area. Una divisione riguardava le leggi e le sentenze, mentre un'altra conteneva registrazioni commerciali, compresi i contratti, gli atti, le fatture di vendita e simili. Elenchi di natura fiscale, insieme a calcoli di tributi dovuti dalla nobiltà, costituivano un'altra divisione. Un'importante sala era riservata alle tavolette contenenti miti e leggende, cioè la base della religione assira; essa includeva i racconti del Diluvio, le liste degli dèi, i loro attributi e le loro realizzazioni, oltre agli inni e alle preghiere ad essi dedicati. Rituali, preghiere e incantesimi rappresentavano un'importante suddivisione di questo gruppo. Un'altra divisione della biblioteca di Assurbanipal era costituita da opere di scienze e pseudoscienze: astronomia e astrologia, biologia, matematica, medicina e storia naturale. [83]

2.3. Le origini: l'Egitto

Alla luce di quanto esaminato, è opportuno chiedersi se la biblioteca di Assurbanipal soddisfi realmente ai criteri richiesti per un'adeguata organizzazione sistematica (e se quindi risponda ad uno sviluppo significativo del pensiero classificatorio), o se invece gli studiosi hanno guardato ad essa con occhi troppo moderni, attribuendo a un'istituzione di un'epoca ormai lontana caratteristiche proprie del nostro tempo.

Lo stesso interrogativo si pone quando ci accingiamo ad esplorare la realtà documentaria dell'antico Egitto: anche in questo caso infatti siamo in presenza di un'attitudine classificatoria che si traduce nella compilazione di liste, e anche qui non mancano attestazioni relative a raccolte documentarie organizzate con criteri sistematici.

Per quanto riguarda il primo punto, sappiamo che già intorno al 2500 a. C. erano presenti un numero considerevole di liste, in particolare di tipo lessicale, contenenti "voci raggruppate sotto differenti classi" e che, a parere degli studiosi, rappresentano «i primi passi in direzione di un'enciclopedia». [84]

In epoca più tarda - cioè intorno al 1100 a. C. - si assiste alla memorizzazione, da parte degli scribi, di alcune di queste liste, e ciò avviene attraverso la ripartizione degli elementi in esse presenti "entro categorie adeguate", poiché si pensava che «il solo memorizzare gli scritti su queste cose in categorie avesse già qualcosa a che vedere con la conoscenza e la memorizzazione dei fenomeni». [85] Si tratta infatti di liste che, pur derivando da modelli sumeri, "si rapportavano più direttamente al mondo; benché talvolta se ne parli come di glossari, non sono serie di parole classificate alfabeticamente, ma «cataloghi di cose ordinate secondo la loro specie»". [86]

E sono proprio i lessici onomastici a fornire un'immagine assai interessante dei criteri di elencazione - o di classificazione - dell'antico Egitto: ci riferiamo in particolare al Ramesseum, risalente al periodo dal 2150 al 1540 a. C. circa, e l'Amenopè, databile intorno al 1100 a. C., entrambi oggetto di un memorabile studio di Alan Gardiner negli anni Quaranta del Novecento. [87]

Il primo è costituito da una lista di parole accompagnate da due sezioni, nelle quali "brevi linee verticali danno le intestazioni classificatorie", mentre "la formalità della sistemazione è ancor più posta in rilievo dal fatto che il testo era racchiuso da linee parallele tracciate longitudinalmente in alto e in basso". [88]

Ma è con il lessico di Amenopè che si verifica un progresso assai significativo, perché con le sue oltre 600 voci [89] ci fornisce una quantità di informazioni sui criteri sistematici elaborati nel periodo: difatti "nel presentare questa lista l'autore non si limitava a enumerare, ma classificava, con intestazioni che spesso contrassegnavano l'inizio di categorie nuove". [90] Riportiamo di seguito le categorie principali:

I Intestazione introduttiva.

II Cielo,acqua, terra (nn. 1-62).

III Persone, corte, uffici, occupazioni (nn. 63-229).

IV Classi, tribù, e tipi di essere umano (nn. 230-312).

V Le città dell'Egitto (nn. 313-419).

VI Edifici, loro parti e tipi di terra (nn. 420-473).

VII Terreni agricoli, cereali e loro prodotti (nn. 474-555).

VIII Bevande (nn. 556-578).

IX Parti d'un bue e tipi di carne (nn. 579-610).

Siamo di fronte a uno sviluppo assai rilevante, se è vero che in quest'opera "l'autore si proponeva una sorta di «classificazione razionale», «una sistemazione dal superiore all'inferiore (II, III) e dal generale al particolare (III, IV, V, IX)», mentre l'elenco delle città dell'Alto Egitto segue un ordine da nord a sud". [91] Nelle parole di Giovanna Zaganelli,

risulta evidente come la classificazione permetta non solo la costituzione di chiari confini tra un territorio semantico e l'altro, quindi, in sostanza, di una mappatura del mondo ('catalogo dell'universo'), ma come essa comporti anche una messa in discussione delle classi per il fatto stesso di metterle insieme e gerarchizzarle: 'il cielo' include, per esempio, 'il sole', 'la luna', 'le stelle', 'le costellazioni' (come Orione e Orsa Maggiore), ma allarga il proprio ambito anche alla 'tempesta', per poi continuare con 'il mattino' e 'l'oscurità' e poi 'la luce' e 'l'ombra'. Possiamo notare anche un percorso di tipo gerarchico che parte dall'alto, con divinità e re, per poi scendere progressivamente verso il basso con l'umanità e le cose terrene; ma è riscontrabile anche una suddivisione che procede dal generale al particolare. Esistono poi anche altri tipi di raggruppamenti che nascono dalla combinazione/contrapposizione delle categorie, come 'luce' e 'buio' o 'ombra' e 'luce'. [92]

Fig. 5. La terza categoria della lista di Amenopè, nella trascrizione di Alan Gardiner

Si può dunque ritenere che, intorno al 1100 a. C., il pensiero classificatorio dell'antico Egitto acquisisca una maggiore solidità, e dunque una capacità di ripartizione di oggetti e fenomeni di gran lunga superiore a quella rilevata in Mesopotamia. Ma se ora ci spostiamo in ambito bibliotecario, [93] vediamo che anche in questo caso manca un riscontro diretto fra questa evoluzione e i tentativi di organizzazione sistematica delle biblioteche.

Diversi autori [94] infatti attestano l'esistenza di criteri di tipo classificato applicati alle raccolte, costituite per lo più da rotoli di papiro ma anche, specie per i periodi più antichi, da tavolette d'argilla. È noto peraltro che nelle biblioteche dell'antico Egitto i rotoli fossero disposti in vasi o cofani collocati all'interno di nicchie o su scaffali secondo un ordine rispondente a precisi criteri di organizzazione. Ad esempio, scrive John Sperry,

tra i reperti associati con le famose Lettere di Tel-el-Amarna, un archivio di corrispondenza diplomatica di Amenhotep III (1411-1375 a C.) e Amenhotep IV (1375-1358 a C.), c'era un piccolo ex-libris in ceramica, che si ritiene essere un'etichetta relativa a una cassa di libri che formava una parte della biblioteca reale. L'ex-libris è sorprendentemente simile ai suoi equivalenti moderni, in quanto elenca il titolo del libro, oltre che i nomi e i titoli del suo proprietario e di sua moglie. Si ipotizza che questa piccola piastra di ceramica fosse fissata alla cassa di legno in cui era contenuto il libro. [95]

Da queste e altre circostanze appare evidente che le biblioteche dell'antico Egitto avessero metodi di organizzazione per molti versi simili a quelli mesopotamici, anche se per trovare forme più esplicite di ordinamento classificato si dovrà attendere fino al III-II secolo a. C. Risale infatti a questo periodo la biblioteca del tempio di Horus a Edfu dove, secondo alcuni osservatori, le iscrizioni sulle pareti costituivano una sorta di catalogo delle opere contenute in 34 casse ripartite sistematicamente. [96]

Come scrive infatti Richard Hyman, "la maggior parte degli studiosi ritengono che le liste di rotoli incise tra il 200 e il 300 a. C. fossero effettivamente un catalogo della raccolta". Questa ipotesi sarebbe confermata dal fatto che "i rotoli erano elencati in due registri, di cui il secondo comprendeva soltanto opere sulla magia", e da ciò alcuni autori hanno dedotto che vi fosse una "classificazione logica alla base di tale ordinamento". [97]

Fra questi vi è senz'altro Eric de Grolier che, in un'indagine quantitativa volta a determinare la corrispondenza fra le classificazioni bibliografiche e la coeva produzione documentaria, ha parlato del catalogo di Edfu come della prima library classification, una classificazione cioè funzionale all'organizzazione dei documenti in biblioteca. [98] Altri invece, pur confermando l'idea di una distribuzione tematica dei documenti, hanno escluso la possibilità di un preesistente piano di classificazione. [99]

In termini più equilibrati, Hyman rileva che il catalogo era ripartito in base alle casse che contenevano i rotoli, e che

alcuni elementi di collocazione, simili a segnature, erano già usati da coloro che avevano registrato nelle iscrizioni le opere classificate per soggetto. Gli antichi Egizi riponevano i rotoli di papiro in vasi di terracotta o in custodie di pelle o anche in cilindri metallici, a cui era fissata l'etichetta con il titolo. Questi rotoli erano conservati in casse o sugli scaffali. Anche se non abbiamo certezze sull'esatto ordinamento dei rotoli, la loro disposizione, considerando le testimonianze, non era casuale. [100]

E se alla luce di questi elementi vogliamo arrivare ad una conclusione, del tutto provvisoria e che quindi necessita di ulteriori approfondimenti, possiamo guardare alle strutture documentarie della Mesopotamia e dell'Egitto come ad un primo banco di prova verso l'individuazione di modelli sistematici più definiti. Possiamo infatti pensare (specie per le epoche più tarde e con l'avvento di un pensiero classificatorio più maturo) che anche le istituzioni bibliotecarie abbiano perfezionato i loro metodi di ripartizione, per dar vita a realtà - come la grande biblioteca di Alessandria - in cui "tutto il sapere del mondo" può essere raccolto e ordinato con criteri più solidi ed efficienti.

Michele Santoro,Biblioteca Interdipartimentale di Matematica, Fisica, Astronomia e Informatica - Università di Bologna, e-mail: michele.santoro@unibo.it


Note

Le traduzioni da testi stranieri sono nostre; in alcuni casi le citazioni dei brani riportati sono state leggermente modificate.

[1] Cfr. in particolare Alfredo Serrai, Le classificazioni. Idee e materiali per una teoria e per una storia, Firenze, Olschki, 1977; Vilma Alberani, Classificazione, in Documentazione e biblioteconomia. Manuale per i servizi di informazione e le biblioteche speciali italiane, a cura di Maria Pia Carosella e Maria Valenti, presentazione di Paolo Bisogno, Milano, Franco Angeli, 1989, p. 171-246; Francis Miksa, Classification, in Encyclopedia of library history, edited by Wayne A. Wiegand and Donald G. Davis, New York and London, Garland Publishing, 1999, p. 144-153; Ernesto Milano, Le classificazioni bibliografiche. Note per una storia, in La biblioteca pubblica. Manuale ad uso del bibliotecario, a cura di Maurizio Bellotti, Milano, Edizioni Unicopli, 1985, p. 179-203. Si vedano inoltre W. C. Berwick Sayers, A manual of classification for librarians and bibliographers, London, Grafton & Co., 1926; Arthur Maltby, Sayer's manual of classification for librarians, 5. ed., London, André Deutsch - A Grafton Book, 1975. Si ricorda infine Evgenii I. Šamurin, Geschichte der bibliothekarisch - bibliographischen Klassifikation, Leipzig, Veb Bibliographisches Institut, 1964-1967, 2 v. (trad. dal russo di W. Hoepp).

[2] Vilma Alberani, cit., p. 171.

[3] Mario Augusto Bunge, Scientific research, Berlin, Springer, 1967, v. I, p. 75.

[4] Alfredo Serrai, cit., p. VIII.

[5] Ibid., p. XVII.

[6] Fernando Gil, Sistematica e classificazione, in Enciclopedia Einaudi, v. 12, Torino, Einaudi, 1981, p. 1027. Con più precisione, Vilma Alberani scrive che ogni concetto "ha una sua comprensione, definita come il complesso di caratteristiche che contiene in se stesso, e una sua estensione, cioè un numero di esseri o di oggetti che esso raggruppa. È chiaro che quanto maggiore è la comprensione di un concetto, tanto minore ne è la sua estensione (Vilma Alberani, cit., p. 172).

[7] Alfredo Serrai, cit., p. VIII.

[8] Ibid.

[9] Georges Perec, Pensare/Classificare. Traduzione di Sergio Pautasso, Milano, Rizzoli, 1989, p. 137.

[10] Citazione desunta da Derek Langridge, Classifying knowledge, in Knowledge and communication. Essays on the information chain, edited by A. J. Meadows, London, Library Association - A Clive Bingley Book, 1991, p. 1.

[11] Fernando Gil, cit., p. 1024-1025.

[12] Alfredo Serrai, cit., p. VIII-IX.

[13] Fernando Gil, cit., p. 1040.

[14] Ibid.

[15] Ibid., p. 1040-1041. La citazione fra virgolette basse è tratta da François Dagognet, Tableaux et langages de la chimie, Paris, Seul, 1969, p. 97-98.

[16] Fernando Gil, cit., p. 1025.

[17] Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Milano, Mondadori, 1976, p. 147.

[18] Fernando Gil, cit., p. 1025-1026.

[19] Emile Durkheim - Marcel Mauss, Primitive classification, translated from the French and edited with an introduction by Rodney Needham, Chicago, The University of Chicago Press, 1992.

[20] Jack Goody, L'addomesticamento del pensiero selvaggio, Milano, Franco Angeli, 1981, p. 68. Le citazioni presenti nel brano riportato sono tratte dal citato lavoro di Durkheim e Mauss.

[21] La tabella è tratta dal citato volume di Jack Goody a p. 69.

[22] Ibid., p. 13.

[23] Ibid. La citazione fra virgolette basse è tratta da Claude Lévy-Strauss, Il pensiero selvaggio, traduzione di Paolo Caruso, Milano, Il saggiatore, 1971.

[24] Lévy-Strauss, Claude, in Treccani.it, Enciclopedia on line, <http://www.treccani.it/enciclopedia/claude-levi-strauss/> .

[25] Maria Teresa Biagetti, L'elaborazione delle classificazioni concettuali attraverso i contributi di Piaget e Bliss, "Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell'Università di Roma", 19-20 (1981), p. 45.

[26] Fernando Gil, cit., p.

[27] Ibid., p. 1028-1029. Le citazioni fra virgolette basse sono tratte da Jean Piaget - Barbel Inhelder, La genesi delle strutture logiche elementari: classificazione e seriazione, presentazione di Lydia Tornatore, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 427; 422.

[28] Per questa analisi ci basiamo sul saggio di Salvatore Marzo, Le relazioni tra l'organico e il cognitivo, in Salvatore Marzo - Sandra Giardini - Iolanda Fabbri, Dal biologico al cognitivo. Breve introduzione all'opera di Jean Piaget, a cura di Alessandra Farneti, Bologna, Pitagora, 1983, p.57-102.

[29] Ibid., p. 77-78.

[30] Ibid., p. 78.

[31] Ibid., p. 79.

[32] Ibid.

[33] Ibid.

[34] Alfredo Serrai, cit., p. XXXV- XXXVI.

[35] Si veda ad esempio Piero Innocenti, Appunti per la storia della classificazione, "L'Indicizzazione", 4 (1989) 6, p. 47-63; Id., Tassonomie a confronto ideale. Ancora sulla storia della classificazione e sulla storia delle biblioteche: diari di scavo, "Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari", 6 (1992), p. 221-256; Franco Minonzio, Storia della classificazione e storia delle scienze, "Biblioteche oggi", 6 (1988) 4, p. 113‑122.

[36] Alfredo Serrai, cit., p. XXVII.

[37] Maria Teresa Biagetti, A proposito di classificazioni delle scienze e di classificazioni bibliografiche, "Accademie e Biblioteche d'Italia", 49 (1981), 3, p. 179.

[38] Rossella Caffo, Analisi e indicizzazione dei documenti. L'accesso per soggetto all'informazione, Milano, Editrice Bibliografica, 1988, p. 26. Si veda anche Garanzia bibliografica, in Manuale/dizionario della biblioteconomia e delle scienze dell'informazione. Parte I: Indicizzazione e recupero semantico dell'informazione, a cura di Vilma Alberani, con la collaborazione di Sofia Enrica Amicarella, Annarita Barbaro, Monica Zedda, Roma, Associazione Italiana biblioteche, 2008, p. 109-110. La nozione di literary warrant è definita in E. Wyndham Hulme, Principles of book classification, "Library Association Record", 13 (1911); 14 (1912).

[39] Rossella Caffo, cit.

[40] Fra le principali opere di Bliss si segnalano: The organization of knowledge and the system of the sciences, New York, Henry Holt & Co., 1929; The organization of knowledge in libraries and subject-approach to books, 2. ed., New York, The H. W. Wilson Company, 1939;A system of bibliographic classification, 2. ed., New York, The H. W. Wilson Company, 1936;A bibliographic classification extended by systematic auxiliary sche­dules for composite specification and notation. In four volumes. Vols. I-II. Introduction An­ terior Tables and Systematic Schedules. Classes A-K. The Sciences, 2. ed., New York, The H.W. Wilson Company, 1952. Ad esse va aggiunta la seconda edizione della sua classificazione curata da Mills e Brougton: Bliss Bibliographic Classification. Second Edition, edited by Jack Mills and Vanda Broughton with the assistance of Valerie Lang, London, Boston, Butterworths, 1977.

[41] Henry Evelyn Bliss, A Bibliographic Classification, cit., p. 3.

[42] Ibid.

[43] Ibid., p. 4.

[44] Per l'analisi che segue si rinvia in particolare a Douglas John Foskett, Classification, in Handbook of special librarianship, 4. ed. by W. E. Batten, London, ASLIB, 1975, p. 153-197; Id., Classification and indexing in the Social Sciences, 2nd ed. London, Butterworths, 1974; Antony C. Foskett, The subject approach to information, 4. ed., London - Hamden, Clive Bingley - Linnet Books, 1982, trad. it. Il soggetto, traduzione di Leda Bultrini, Milano, Editrice Bibliografica, 2001.

[45] Cfr. D. J. Campbell, A short biography of Henry Evelyn Bliss (1870-1955), disponibile online all'indirizzo <http://www.blissclassification.org.uk/Class1/introduction.pdf>, da cui sono desunte le citazioni riportate tra virgolette basse.

[46] Maria Teresa Biagetti, A proposito di classificazioni delle scienze e di classificazioni bibliografiche, cit., p. 182.

[47] Eric de Grolier, Le système des sciences et l'évolution du savoir, in Conceptual basis of classification of knowledge, edited by Jerzy A. Woiciechoswski, New York, Saur, 1971, p. 58.

[48] Al riguardo cfr. Richard J. Hyman, Shelf access in libraries, Chicago, American Libraries Association, 1982.

[49] Per il mondo anglosassone si veda almeno Selected readings in the history of librarianship, edited by John L. Thornton, London, The Library Association, 1966. Un inquadramento più ampio è fornito da Joanne E. Passet, Historiography of library history, in Encyclopediaof library history, cit., p. 260-262.

[50] Daniele Danesi, Dalla storia delle biblioteche alla storia della biblioteconomia, "Bollettino d'Informazioni AIB", 25 (1985) 2, p. 155.

[51] Ibid.

[52] Ibid., p. 156. Acute considerazioni sulla "autonomia ed eteronomia della storia della biblioteca" si trovano in Piero Innocenti - Marielisa Rossi, La biblioteca e la sua storia. osservazioni su metodo e clavis bibliografici per una storia della biblioteca in Italia, "Biblioteche oggi", 5 (1987), 2, p. 25-47. Si veda anche Marco Santoro, Storia della biblioteca o storia delle biblioteche?, in Libri edizioni biblioteche tra Cinque e Seicento, con un percorso bibliografico, Manziana, Vecchiarelli, 2002, p. 35-50.

[53] Alfredo Serrai, La storia delle biblioteche: un concetto da riformare, "Il Bibliotecario", 22 (1989), p. 188.

[54] Ibid.

[55] Ibid.

[56] Alfredo Serrai, La "disciplinarietà" di Storia delle Biblioteche, "Il Bibliotecario", 33/34 (1992), p. 204.

[57] Ibid, p. 205. Successivamente l'autore è ritornato sul tema, sostenendo che il precedente approccio da lui delineato "ora non basta più", in quanto ritiene che la "Storia della Biblioteconomia" sia "già sufficientemente agguerrita per rispondere almeno alle esigenze di un confronto se non a quelle di una valutazione", e di conseguenza propone di far rientrare l'intera tematica nell'ambito più complessivo - e da lui prediletto - della "Storia della Bibliografia" (Alfredo Serrai, Racemationes bibliographicae, Roma, Bulzoni, 1999, p. 23).

[58] Tra la quantità di titoli sulla storia delle biblioteche segnaliamo il fondamentale Handbuch der Bibliothekswissenschaft, fondato da Fritz Milkau, a cura di Georg Leyh, 2. ed., Wiesbaden, Harrasowitz, 1953-65, 3 v. Si veda inoltre il capitolo relativo alla storia delle biblioteche di Totok-Weitzel, Manuale internazionale di bibliografia, parte II, Bibliografie speciali: biblioteconomia e scienza dell'informazione, edizione italiana aggiornata a cura di Piero Innocenti, Milano, Bibliografica, 1977, p. 168-175. Notizie utili sono reperibili in Edward Edwards,Memoirs of libraries, including a handbook of library economy, London, Trubner & Co., 1859, 2 v.; e nel più recente Fred Lerner, The story of libraries. From the invention of writing to the computer age, New York, The Continuum Publishing Company, 1998. Di taglio più metodologico il volume di James G. Ollé, Library history, London, Clive Bingley - Munich, K. G. Saur, 1979. Assai importante è la già citata Encyclopaedia of Library History a cura di Wayne Wiegand e Donald G. Davis. In ambito italiano cfr. almeno la voce Biblioteca, in Enciclopedia Italiana, vol. VI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930, p. 942-969. Infine, ricordiamo i quattro volumi dell'Histoire des bibliothèques françaises (Paris, Promodis, 1989) che, per quanto relativi ad un solo ambito territoriale, forniscono una serie di informazioni di notevole rilievo.

[59] Si veda ad esempio il contributo di Giovanni Di Domenico, L'organizzazione delle raccolte in una biblioteca universitaria, "Culture del testo", 1 (1995), p. 35-47, mentre in una specifica prospettiva di storia della biblioteconomia sembra collocarsi l'ampio studio di Giovanni Solimine, Struttura dello spazio e tipologia dei servizi: analisi storica e prospettiva della lettura e della consultazione in biblioteca, "Il Bibliotecario", 2 (1998), p. 41-91.

[60] Ricordiamo fra l'altro Walter Ong, La presenza della parola, Bologna, Il Mulino, 1970; Id.,Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Bologna, Il Mulino, 1986); Erich A. Havelock,Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone, introduzione di Bruno Gentili, Roma-Bari, Laterza, 1983; Id.,Dalla A alla Z: le origini della civiltà della scrittura in Occidente, Genova, Il Melangolo, 1987; Jack Goody, L'addomesticamento del pensiero selvaggio, cit.; Id., La logica della scrittura e l'organizzazione della società, Torino, Einaudi, 1988; Id., Il potere della tradizione scritta, Torino, Bollati Boringhieri, 2002).

[61] In particolare L'addomesticamento del pensiero selvaggio, da cui è tratta la citazione sopra riportata (p. 90).

[62] Ibid., p. 97

[63] Cfr. Fernando Gil, cit.; Mario Liverani, La concezione dell'universo, in L'alba della civiltà. Società, economia e pensiero nel vicino Oriente antico, Torino, Utet, 1976, v. 3, Il pensiero, p.

[64] Mario Liverani, cit, p. 500-503.

[65] Ibid., p. 502.

[66] Ibid., p. 509.

[67] A titolo di esempio, Liverani cita il seguente passo: "Un uomo sorpreso in casa di un muškēnum, dentro la casa, di giorno, pagherà 10 sicli d'argento; se è sorpreso dentro la casa di notte, morrà, non vivrà" (ibid., p. 509-510).

[68] Fra le molte fonti disponibili si rinvia a James W. Thompson, Ancient libraries, Berkeley, University of California Press, 1940; Alfred Hessel, A history of library, New Brunswick, The Scarecrow Press, 1955; James Thompson, A history of the principles of librarianship, London, Bingley, 1977; Michael H. Harris, History of libraries in the Western world, Metuchen-London, The Scarecrow Press, 1984 (ediz. riveduta di E. D. Johnson, History of libraries in the Western world, 3. ed. 1976); Gerald E. Max, Ancient Near East, in Encyclopedia of library history, cit., p. 23-31; Lionel Casson, Biblioteche del mondo antico, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2003.

[69] Lionel Casson, cit., p. 13.

[70] Ibid., p. 14.

[71] Ibid.

[72] Ibid.

[73] Ibid., p. 15.

[74] Mogens Weitemeyer, Archive and library technique in Ancient Mesopotamia, "Libri", 6 (1956), 3, p. 227.

[75] Lionel Casson, cit., p. 18.

[76] Ibid., p. 18.

[77] Ibid., p. 19. Sulla biblioteca di Assurbanipal si veda, tra l'altro, l'omonima voce di Wikipedia all'indirizzo <http://it.wikipedia.org/wiki/Biblioteca_di_Assurbanipal>, con ampia bibliografia.

[78] Lionel Casson, cit., p. 19.

[79] Al riguardo si veda il citato volume di Michael H. Harris a p. 17. Si rinvia inoltre ai lavori già ricordati di Edwards, Šamurin e Weitemeyer.

[80] Richard J. Hyman, cit., p. 7.

[81] Francis Miksa, cit., p. 144.

[82] Evgenii I. Šamurin, cit., p. 7.

[83] Michael H. Harris, cit., p. 17.

[84] Jack Goody, L'addomesticamento del pensiero selvaggio, cit., p. 99. La citazione è desunta da Alan H. Gardiner, Ancient Egyptian Onomastica, vol. I, London, Oxford University Press, 1947.

[85] Jack Goody, L'addomesticamento del pensiero selvaggio, p. 117; la citazione tra virgolette basse è tratta da C. H. Kraeling - R. M. Adams, City invincible, Chicago, 1960, p. 104.

[86] Jack Goody, L'addomesticamento del pensiero selvaggio, cit, p. 118; la citazione è desunta da Alan H. Gardiner, cit., p. 5.

[87] Cfr. Alan H. Gardiner, cit.

[88] Jack Goody, L'addomesticamento del pensiero selvaggio, p. 118.

[89] Gli studiosi tuttavia sono convinti che in origine le voci dovessero essere molte di più, e cioè circa 2000 (cfr. Jack Goody, L'addomesticamento del pensiero selvaggio, p. 119).

[90] Ibid.

[91] Ibid., p. 120; la citazione è tratta dal citato volume di Gardiner a p. 38.

[92] Giovanna Zaganelli, La bibliografia e l'organizzazione del sapere, in Giovanna Zaganelli - Andrea Capaccioni, Catalogare l'universo. Approcci semiotici alla bibliografia, con un saggio di Ross Atkinson, Torino, Testo&Immagine, 2004, p. 14. Dallo stesso lavoro, a p. 19, è tratta l'immagine che segue.

[93] Oltre ai testi di storia delle biblioteche sopra citati, si rinvia a Ernest Cushing Richardson, Some old Egyptian librari ans, New York, Charles Scribner's Sons, 1911; John A. Sperry, Egyptian libraries: a survey of the evidence, "Libri", 7 (1957), 2-3, p. 145-155.

[94] Cfr. tra l'altro i citati volumi di James W. Thompson e Richard Hyman.

[95] John A. Sperry, cit., p. 148. Per ulteriori informazioni sulle Lettere di Amarna si rinvia all'omonima voce di Wikipedia, all'indirizzo <http://en.wikipedia.org/wiki/Amarna_letters>.

[96] Si rinvia in particolare Richard Hyman, cit., p. 7. Sulla biblioteca si veda anche anche History of the Library: the House of Books in ancient Egypt, in Digital Egypt for Universities, <http://www.ucl.ac.uk/museums-static/digitalegypt/writing/library/anceg.html>.

[97] Ibid.

[98] Eric de Grolier, Classification as cultural artefacts, in Universal classification. Subject analysis and ordering system. Proceedings 4th International Study Conference on Classification Research, Augsburg, 1982. Frankfurt, Indeks Verlag, 1982, v. 1, p. 23.

[99] Evgenii I. Šamurin, cit., p. 10;

[100] Richard Hyman, cit., p. 8. Peraltro l'autore rileva che "gli Egiziani avevano anche biblioteche specializzate per soggetto. Ad esempio, nella biblioteca del tempio di Ptah a Menfi sono state ritrovate soltanto opere di medicina" (ibid).




«Bibliotime», anno XVIII, numero 1 (marzo 2015)

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