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LE NUOVE LINEE GUIDA IFLA-UNESCO
Per le biblioteche pubbliche: quale modello di biblioteca?

Relazione di Giorgio Lotto, Commissione nazionale biblioteche pubbliche dell'AIB, direttore della Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza (Venerdì 13 giugno 2003, Biblioteca comunale, Sala degli affreschi, Via Roma 55, Trento)

Il testo al centro di questa analisi, pur avendo come oggetto le biblioteche, le public libraries in particolare, e pur essendo indirizzato a chi rispetto a tali biblioteche ha doveri di responsabilità, non può dirsi un testo di biblioteconomia. Non è, quantomeno, uno dei tanti saggi che alimentano questa disciplina.

Trattandosi di un testo per "addetti ai lavori" potrà oltretutto sembrare strano trovarvi una serie di espressioni scontate, potremmo parlare addirittura di una serie di banalità. Vi si trovano, per esempio, frasi del tipo: "Le biblioteche pubbliche devono essere ben gestite e organizzate". O ancora: "I livelli di illuminazione dovrebbero essere conformi a standard internazionali o nazionali". O anche: "L'impianto elettrico dovrebbe essere moderno ...".

Se si aggiunge che il testo in questione è il frutto di un lungo lavoro della Sezione Biblioteche pubbliche della Federazione che raccoglie le Associazioni nazionali delle biblioteche, la cosa potrà sembrare davvero poco comprensibile.

Tale presunta incomprensibilità da parte del nostro ipotetico e sprovveduto lettore, tuttavia, se pur ci fosse, sarebbe solo conseguenza di una errata modalità interpretativa. Il compito di un documento ufficiale, espressione di una realtà sopra le parti, riconosciuta come tale, non è, infatti, quello di analizzare una problematica in ogni suo aspetto, quanto quello di presentare indicazioni autorevoli sulla stessa.

L'autorevolezza della fonte da cui provengono è ciò che rende importanti le linee guida dell'IFLA, è il senso stesso del loro essere che le rende la "stella polare" per le biblioteche pubbliche di tutto il mondo. Date queste premesse, qualche riflessione sui precedenti di tale documento non pare inopportuna.

Un confronto con le edizioni precedenti
Le nuove Linee guida, preparate dal Gruppo di lavoro presieduto da Philip Gill per la Sezione Biblioteche pubbliche dell'IFLA e pubblicate in edizione originale nel 2001, uscite lo scorso anno in edizione italiana a cura della Commissione nazionale biblioteche pubbliche dell'AIB, non rappresentano il primo pronunciamento dell'IFLA in materia.

I primi documenti risalgono al periodo 1956-1958. Si trattava di standards, indicazioni delle esigenze minime per garantire un servizio efficiente. L'AIB, collegandosi a questi documenti, presentò nel 1965 il volumetto La Biblioteca Pubblica in Italia. Compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e di funzionamento, definito come il primo documento organico dei bibliotecari italiani sulla biblioteca pubblica.

Tali standards furono rivisti dall'IFLA con un lavoro che iniziò proprio nel 1965 e sfociò nell'edizione del 1972. Renato Pagetti, in qualità di presidente AIB, li diffuse in Italia nel 1973 tramite una pubblicazione dal titolo La biblioteca pubblica nel mondo. Documenti dell'Unesco e della FIAB.

La "puntata" successiva è del 1986, anno in cui l'IFLA pubblica, come sempre a cura della Sezione Biblioteche pubbliche, le Guidelines for public libraries. L'AIB lo diffonde nel 1988. La versione si presenta con un titolo che solleva qualche critica per via del vocabolo scelto per tradurre il termine inglese "guidelines": Raccomandazioni per le biblioteche pubbliche. L'ultimo documento, dunque, che in originale si intitola The public library service: IFLA/Unesco guidelines for development, è l'ultimo atto di una riflessione pluridecennale sul tema.

L'evoluzione di questa riflessione presenta alcune costanti come anche alcuni cambi di indirizzo. Va segnalato prima di tutto il mantenersi del riferimento al Documento Unesco sulle biblioteche pubbliche: quello del '72 e, per le ultime guidelines, quello del '94. Non si tratta peraltro di una particolarità visto che lo stesso comportamento è stato tenuto nella formulazione delle School Library Guidelines. L'intento evidente è quello di supportare, con una sintesi di esperienze sul campo, enunciazioni di principio di elevato valore sociale.

Non è rimasta costante, invece, la dimensione del testo: il testo IFLA nell'evolversi è divenuto molto più corposo a testimonianza dello sviluppo che ha interessato l'intera materia negli ultimi decenni, come può testimoniare, peraltro, la proliferazione editoriale in quest'ambito anche a livello nazionale.

Sempre per quanto concerne le variazioni da registrare, macroscopica risulta quella tra standards e guidelines. I primi sono il nocciolo del pronunciamento datato 1972, le seconde caratterizzano, invece, l'intero enunciato delle due edizioni successive.

Il concetto di standard aveva a monte l'idea di una sostanziale uguaglianza tra le biblioteche pubbliche delle più diverse parti del pianeta. Conseguentemente la preoccupazione nel definire il servizio risultava di tipo quantitativo più che qualitativo, funzionale a dimensionarlo sulla grandezza della comunità da servire.

Le guidelines sono sostenute dall'idea di una diversità tra le strutture bibliotecarie pubbliche determinata, prima ancora che dalla dimensione, dalle caratteristiche sociali e culturali della comunità di riferimento. Viene spontaneo collegare questa diversa impostazione all'impianto teorico derivante dall'evoluzione degli studi sui sistemi di qualità dei servizi nel quale la qualità, appunto, viene identificata come user satisfaction.

Nelle guidelines il ruolo della comunità locale è molto meno passivo rispetto all'attività della biblioteca di quanto non avveniva negli standards. Ciò deriva anche da una diversa impostazione presentata nel merito dall'edizione del Manifesto UNESCO di riferimento. Quella del '72 segnalava infatti in chiusura e cautamente che le esigenze presenti nella comunità intese come gruppi di lettura ed attività ricreative venissero rappresentati nel patrimonio librario e nelle attività della biblioteca. Peraltro la biblioteca stessa era generalmente definita come "lo strumento base per mettere a disposizione di ognuno le testimonianze del pensiero dell'uomo, delle sue scoperte e della sua creatività". Ben diversamente nell'edizione del 1994, come è ben noto, la biblioteca pubblica "è il centro informativo locale che rende prontamente disponibile per i suoi utenti ogni genere di conoscenza e informazione" dove quell'espressione "locale" ha certamente un valore ben più ampio di quello prettamente geografico. Ad evitare ogni eventuale dubbio residuo, Ph. Gill nella sua presentazione a Il servizio bibliotecario pubblico dichiara con decisione quasi epigrafica: "la biblioteca pubblica è un servizio su base locale che soddisfa i bisogni della comunità locale e opera nel contesto di quella". Non è chi non veda che tra il mettere a disposizione di ognuno le testimonianze del pensiero dell'uomo ed il soddisfare i bisogni della comunità corre un abisso. Ma il ruolo strumentale della public library rispetto alla comunità locale era maturato già da prima. Arthur Jones, curatore delle Guidelines dell''86 affermava che questa attenzione nel Regno Unito era iniziata già nel corso degli anni Cinquanta del Novecento ed arrivava a parlare di "presenza bibliotecaria intesa come contributo all'efficienza economica della comunità".

Potremmo anche affermare che le guidelines appaiono più fiduciose di un adeguato livello professionale da parte dei bibliotecari ai quali non intendono insegnare il lavoro, ma offrire strumenti per meglio svolgerlo. Interessante, a questo proposito, appare la soluzione adottata nelle Guidelines dell''86 dove ai suggerimenti vengono affiancate liste di controllo. Per esempio, ai suggerimenti relativi all'addestramento del personale viene fatta seguire una "lista di controllo delle informazioni di base indispensabili a ogni componente del personale" con la quale si ricorda al responsabile della biblioteca di far sì che i collaboratori abbiano ben presenti "gli obiettivi del servizio bibliotecario", le "conoscenze generali sulla situazione del sistema bibliotecario nel proprio paese", ecc.

In realtà la contrapposizione tracciata tra standards e guidelines non va letta in termini così perentori come si è qui voluto presentare per renderne più leggibili le differenze. Basti dire che gli standards IFLA si proponevano dichiaratamente come base per la formazione di standards nazionali e che le Guidelines non hanno rinunciato a riproporre gli standards. Ed a chi ritenesse, dopo quanto sopra detto, gli standards suggerimenti devianti va ricordato che, senza dubbio, essi hanno inciso e incidono molto di più per la loro sinteticità sui responsabili dei servizi bibliotecari di quanto non siano o siano state in grado di fare le Guidelines.

La nuova proposta
In questo quadro apparentemente contraddittorio nel quale, da un lato appare chiara l'opportunità di linee guida rispettose delle esigenze locali, dall'altro sembra evidenziarsi una costante "voglia di standards" quali scelte hanno guidato, dunque, il recente pronunciamento IFLA? Il sottotitolo (Linee guida IFLA/Unesco per lo sviluppo) lascia immediatamente intendere, come detto, che la filosofia di fondo è quella delle Guidelines. Tuttavia Elena Boretti nella premessa all'edizione italiana chiarisce che "l'attenzione si pone sul percorso del fare, piuttosto che sulla descrizione di ciò che deve essere". E Luca Ferrieri precisa che "la soluzione è stata quella di rispondere al bisogno reale (quello di possedere elementi concreti per progettare e valutare servizi bibliotecari) con strumenti che evitassero però il rischio di appiattimento, contabilizzazione, strumentalizzazione che tavole di numeri e di indicatori avrebbero comportato". Con una metafora potremmo dunque dire che questo nuovo pronunciamento IFLA si propone per tutte le figure interessate alle biblioteche pubbliche (dal bibliotecario all'amministratore locale, dal cittadino al politico) come un vangelo piuttosto che come le tavole dei comandamenti. E come i vangeli le recenti linee guida presentano una serie di parabole. Si tratta di esemplificazioni tratte dalle esperienze raccolte in tutto il mondo.

E' così che, per citare solo il caso della diffusione dell'attività della biblioteca nella comunità, si vengono a conoscere, tra l'altro, l'uso di bibliobarche in Norvegia e in Indonesia, degli asini in Perù e dei cammelli in Kenia.

L'arricchimento rappresentato dalle esemplificazioni è stato possibile grazie alla maggiore partecipazione alla stesura del nuovo testo, rispetto a quelli che l'hanno preceduto, da parte delle diverse Associazioni nazionali bibliotecarie. La cosa è risultata possibile grazie alla maggiore facilità di dialogo garantita dallo sviluppo registrato dalla tecnologia della comunicazione negli ultimi anni. Ne è derivata una maggiore rappresentatività della situazione mondiale che rende, se possibile, ancora più autorevole, quindi più affidabile il testo messo a punto dal gruppo di lavoro guidato da Philip Gill.

Malgrado questa illustrazione delle esperienze in atto, dato atto che l'impostazione di fondo è rimasta quella delle guidelines, ci si potrebbe chiedere se c'era realmente la necessità di riscrivere il testo del 1986.

Elena Boretti scrive che "il bisogno di una nuova edizione era stato sentito soprattutto per i grandi cambiamenti introdotti nel settore dell'informazione e della comunicazione". Nel suo tour italiano del novembre 2002 che l'ha visto intervenire in convegni a Firenze e a Vicenza, Philip Gill ha potuto precisare quali cambiamenti il Gruppo di lavoro IFLA abbia ritenuto maggiormente incidenti sulla situazione alla quale oggi le public libraries si trovano a far fronte. Gill ha così fatto riferimento a:

- la globalizzazione
- la grande capacità di spostamento della gente (società multiculturale)
- la rivoluzione della comunicazione (aspetti tecnologici)
- l'aumento esponenziale delle informazioni disponibili
- il gap esistente tra chi sa e chi non sa fruire della tecnologia digitale (digital devide)
- l'obbligo della formazione continua
- l'indispensabilità di alti livelli qualitativi del servizio

Gill ritiene che le risposte delle nuove Guidelines a queste istanze del nostro presente, in sostanza le modalità con le quali la biblioteca pubblica può far fronte a questi mutamenti sociali, si articolino in passaggi già ben presenti nelle nostre riflessioni professionali:

- un ancor più stretto legame con la comunità locale
- l'apertura a fasce più ampie di popolazione: lo sviluppo tecnologico deve portare ad un reale maggior impatto della biblioteca sulla popolazione
- l'essere sempre più strumento di cambiamento, garantendo libertà di pensiero, mancanza di censure e di pressioni indebite
- una maggior attenzione agli utenti: ogni scelta gestionale dovrebbe derivare dal porsi nelle vesti di quest'ultimi
- il "giocare" le risorse in ambito di cooperazione e stabilendo con chiarezza le priorità degli interventi
- il coinvolgere il pubblico nell'uso sempre più frequente delle fonti digitali
- l'enfatizzare maggiormente l'aggiornamento del personale, l'attività di marketing e di promozione del servizio.

Alcune riflessioni di tono diverso su questa impostazione di Gill e dell'IFLA vanno sicuramente fatte. Va sottolineato, intanto, agganciandosi all'ultimo dei punti elencati da Gill, che la parte più innovativa delle nuove Guidelines è rappresentata dal capitolo VI dedicato alla gestione ed al marketing. Esso delinea una biblioteca molto "aggressiva" nei confronti di una comunità da conquistare, con una figura di direttore più rivolta all'esterno dell'istituzione di quanto non lo fosse un tempo.

Peccato che la figura di direttore non sia presente tra i profili professionali di una biblioteca così come elencati nel capitolo precedente.

Un apprezzamento al gruppo di lavoro IFLA va, peraltro, anche per il rilievo di primo piano garantito allo sviluppo delle raccolte, cui è riservato il IV capitolo, nonché per la maggior attenzione prestata alla promozione della lettura.

Andando all'inizio della lista di Gill, da quell'"ancor più stretto legame con la comunità locale" credo dovremmo trarre spunto per una riflessione sulla reale visibilità e sulla reale considerazione della biblioteca pubblica nel nostro Paese. E' indubbiamente difficile parlare di ciò in prospettiva univoca. La biblioteca pubblica negli ultimi 40 anni circa ha trovato infatti un suo "posto al sole" in molte aree della Penisola; se pur esiste è, invece, considerata poco più che un dispendio di denaro pubblico o un supporto doposcolastico in parecchie altre zone d'Italia. E appaiono imbarazzanti, anche se suscitano dubbi le modalità di rilevazione, i dati AIB-ISTAT recentemente pubblicati sulle public libraries italiane (in www.aib.it/aib/cen/q0106a/q0106a.htm). Pur tuttavia va detto che un salto di qualità potrà essere ottenuto sicuramente centrando sempre di più la domanda anche inespressa della comunità di riferimento, ma anche cercando in questa stessa comunità l'ufficializzazione di un ruolo che non può essere negato o considerato di terza fila nel contesto della "società dell'informazione". Questo significherebbe un passo avanti in quello sviluppo delle nostre biblioteche indicato come il fine delle guidelines già nel titolo dell'ultima edizione. E non è un caso se uno dei più importanti appuntamenti annuali dei bibliotecari italiani, quello delle "Stelline" a Milano, nel 2002 lo si è voluto dedicare al "Comunicare la biblioteca".

Un approfondimento critico sulla biblioteca pubblica strumento di cambiamento, così come configurato dal testo dell'IFLA e sostenuto da Gill, viene invece dal già citato Luca Ferrieri. Ferrieri ritiene che da questo punto di vista non si tratti tanto dell'omissione di un argomento da parte del documento IFLA in questione, quanto di una "messa tra parentesi dello spirito del tempo". Più esplicitamente egli afferma che le nuove guidelines dimenticano di rilevare i rischi che la globalizzazione comporta nel settore informativo, per le biblioteche in particolare. Cita il General Agreement on Trade in Services, l'accordo per la privatizzazione dei servizi pubblici della World Trade Organization, le nuove forme di controllo che non salvaguardano la privacy del lettore, le onerose royalties sul diritto d'autore divenuto ormai diritto d'editore.

Ancora un appunto. Riguarda la cooperazione. Nessuna indicazione dalle linee guida viene sul tema dello sviluppo della gestione coordinata dei servizi. Nessuna sintonia viene espressa con quell'istanza, spesso espressa negli ultimi anni, di effettuare un salto di qualità passando dalla fase della cooperazione alla fase dell'integrazione. Impostazione, quest'ultima, che meglio permette alle piccole realtà bibliotecarie di far fronte ad una domanda sempre più complessa e ad un mercato dell'informazione sempre più articolato, difficile da "controllare" con le magre risorse delle singole biblioteche pubbliche. Il paragrafo 3.7 mantiene alle public libraries la caratteristica di monadi in un mondo in cui rischiano di annegare e rispetto al quale tendono a difendersi mettendo in campo la sola, scontata "arma" del prestito interbibliotecario, dimenticando, tra l'altro di accreditare tutte le esperienze che sono andate oltre con successo in molte parti del mondo sul piano della gestione delle raccolte come anche del reference di rete, ecc.

L'edizione italiana
Gli appunti qui avanzati alle nuove guidelines non intendono ridurne la portata di autorevole punto di riferimento per lo sviluppo dell'attività bibliotecaria in ogni nazione. Con questa convinzione la Commissione Nazionale Biblioteche pubbliche dell'A.I.B. ha approntato lo studio e la traduzione in lingua italiana del testo inglese uscita nell'ottobre del 2002. Che l'impegno fosse convinto e non di basso profilo lo testimoniano anche i numerosi e qualificati collaboratori coinvolti nell'impresa e la meticolosa attenzione posta nel garantire il mantenimento del valore semantico delle singole espressioni o vocaboli inglesi rilevabile da una lettura attenta.

La scelta di corredare le guidelines, già arricchite nell'edizione originale di alcune importanti appendici (Il Manifesto IFLA/Unesco, la legge finlandese sulle biblioteche, una carta dei servizi all'utente inglese, standards per gli edifici bibliotecari canadesi e spagnoli), con ulteriori documenti evidenzia ulteriormente l'intento A.I.B. di approfittare di questa occasione per creare un irrinunciabile strumento di lavoro per il bibliotecario italiano.

Per questo ulteriore arricchimento la Commissione Nazionale Biblioteche pubbliche ha puntato su documenti internazionali come la Dichiarazione sulle biblioteche e sulla libertà intellettuale e il Manifesto per Internet della stessa IFLA, ma anche su documenti italiani. Si parte dal classico ma sempre valido Codice deontologico del bibliotecario per passare alle leggi regionali sulle biblioteche pubbliche, ad alcune statistiche prese da fonti A.I.B. e I.C.C.U. ad una bibliografia tematica nonché a 11 schede con foto di alcuni recenti edifici bibliotecari realizzati in Italia. Chiudono il tutto un glossarietto inglese-italiano e un doveroso indice analitico.

Questo impegno A.I.B. si affianca, peraltro, al progetto IFLA condividendo l'obiettivo di fondo: non si tratta di dare certezze ai bibliotecari, ma strumenti per servire meglio. Un servizio impostato quindi non sulla disciplina bibliotecaria, per quanto arricchita di esperienze qualificate e supportata da elaborazioni matematiche, ma sull'utenza. E non un'utenza standard, quella descritta in letteratura, quanto l'utenza vera di ogni biblioteca, quella che entra fisicamente o potrebbe entrare in ogni biblioteca. Quell'utenza che forse oggi, come operatori, per migliorare ulteriormente la qualità del servizio, siamo chiamati a riscoprire non negando il valore degli strumenti matematici di ricerca, ma, recuperando la capacità di un dialogo diretto e andando oltre la freddezza dei numeri.

Giorgio Lotto


Copyright AIB 2003-08-25, ultimo aggiornamento 2003-11-14 a cura di Mauro di Vieste
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/taa/rellotto.htm


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