[AIB] AIB. Sezione Toscana. Bibelot, n. 1 (2000)

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L'intervista allo storico Paul Ginsborg, pubblicata sull'ultimo numero di "Bibelot", ha suscitato notevole interesse da parte di numerosi bibliotecari, non solo toscani. Mentre invitiamo i lettori a intervenire ancora sul tema del dibattito "cultura del servizio/cultura della conservazione nelle biblioteche italiane", pubblichiamo due interventi giunti in redazione

Pubblica lettura o conservazione?, di Carlo Maria Simonetti | Barboni in biblioteca, di Lucia Chimirri


PUBBLICA LETTURA O CONSERVAZIONE?

Carlo Maria Simonetti, Docente di Bibliografia e Biblioteconomia, Università di Firenze

Ho letto con grande interesse l'articolo-intervista del collega ed amico Paul Ginsborg pubblicato sull'ultimo numero di "Bibelot", dove le sue riflessioni si concentrano su due funzioni fondamentali, «cultura di servizio» e «cultura di conservazione», necessarie perché una biblioteca possa definirsi 'organismo vivente'. I due corni del problema tuttavia non possono essere separati, ma riuniti nella formula endiadi «servizio e conservazione». Le biblioteche britanniche e americane hanno una tradizione (e una organizzazione) bibliotecaria molto diversa da quella italiana che distingue i due paesi di lingua inglese per le numerose reti di biblioteche, ad uso pubblico, dedicate esclusivamente al servizio della lettura ed allestite con adeguati spazi e dotate di idonei fondi librari a carattere generale per svolgere tale compito. Basti pensare agli Stati Uniti d'America che, non avendo una biblioteca nazionale per ovvie ragioni storiche, hanno tuttavia costruito una grande biblioteca collettiva (la più grande del mondo per volumi posseduti), la Library of Congress di Washington, la quale coordina il patrimonio bibliografico di oltre cinquecento biblioteche del paese; inoltre i lettori americani possono utilizzare trentamila biblioteche pubbliche. Si deve inoltre considerare che le maggiori biblioteche angloamericane appartengono alla grandi università e sono private. Al contrario in Italia e in Europa prevalgono le biblioteche dello Stato che conservano principalmente fondi relativi alla loro storia nazionale oppure del territorio in cui furono allestite e da ciò deriva la maggiore attenzione riservata al 'servizio' nelle istituzioni bibliotecarie angloamericane, mentre una particolare enfasi è dedicata alla 'conservazione' nelle biblioteche europee. La cultura di servizio si dimostra anche con la pubblicazione a stampa dei cataloghi generali delle biblioteche nazionali, dei loro fondi antichi, oppure di cataloghi collettivi, come ha fatto la Library of Congress. Ad avviare questa attività di servizio per i lettori del pianeta sono state la Gran Bretagna e la Francia le quali, sul finire del secolo diciannovesimo, iniziarono la pubblicazione dei cataloghi del British Museum (oggi British Library) di Londra e della Bibliothèque Nationale di Parigi. Mentre l'Italia su questo versante non ha mai dato un contributo significativo, tranne un tentativo avviato, all'inizio degli anni Sessanta di questo secolo, purtroppo arrestatosi dopo venticinque anni di lavoro alla lettera «B». Il nostro paese è un caso anomalo in Europa, poiché (sempre per ragioni storiche) conta su due biblioteche nazionali centrali di cui quella fiorentina è la più antica. Il loro principale ruolo è quello della tutela, della conservazione e della crescita del patrimonio culturale italiano. Purtroppo la Nazionale di Firenze e quella di Roma devono rispondere, a livello locale, a pressioni non sempre legittime che le costringono a prestare un servizio di lettura che stravolge il loro compito istituzionale di conservazione della memoria a stampa del paese. Esigenze di opportunità da parte degli enti locali, tranne la Regione toscana, fanno sì che a Firenze (né altrove) non vi siano biblioteche di pubblica lettura. Inoltre la Nazionale di Firenze ha l'onere della compilazione della Bibliografia nazionale, che distoglie bibliotecari specializzati da altri compiti istituzionali che dovrebbero comprendere anche la pubblicazione di cataloghi di fondi speciali e soprattutto quello generale. In altre nazioni, come ad esempio l'Inghilterra, la redazione della Bibliografia nazionale è affidata alla cura di una agenzia privata.

Il caso della «Querini Stampalia» a Venezia, menzionato da Ginsborg, per l'apertura sino a tarda sera è sì 'straordinario', giacché si tratta di una biblioteca la cui gestione è a conduzione privata. Per ritornare sulla cultura di servizio ricordo di aver preparato, nei lontani anni Sessanta, gli esami universitari e la tesi nella sala di consultazione della Nazionale fiorentina, frequentata da numerosi professori della Facoltà di Lettere (tra i quali i miei maestri), ma anche da un barbone (o forse un agiato professionista caduto in disgrazia) che con acribia ricopiava con la matita l'Enciclopedia Italiana su spessi quaderni a righe rosse con la copertina nera. Era il tempo in cui non esisteva l'uso dissennato della fotocopiatrice, pertanto si riassumevano i passi ritenuti più importanti su schede o calepini con il vantaggio di avere un proprio archivio di citazioni e di segnature di libri. Il personale della sala partecipava alle ricerche degli utenti, tanto che uno di loro mi procurò, per la tesi di laurea, molte schede che aveva raccolto negli anni sul mio tema. Lo spirito di 'servizio' era elevato negli impiegati della Nazionale per una forte motivazione personale dovuta alla consapevolezza di lavorare in un luogo dove si custodiva cultura ed era frequentato da utenti che ne contribuivano la crescita. Con il passare del tempo, soprattutto in séguito alla disastrosa alluvione del 1966, la Nazionale fiorentina ha visto un calo, sempre più consistente, di presenze qualificate dei docenti universitari che prima la frequentavano, sostituite da una miriade di studenti che vi accedevano per il prestito e per leggere i loro libri. Tale fenomeno ha varie motivazioni. Provo a spiegarne alcune che hanno fatto sì che una biblioteca nazionale sia diventava (o fatta diventare) una biblioteca di pubblica lettura. Il notevole ritardo della consegna alla Nazionale delle copie d'obbligo, pervenute alle prefetture per il diritto di stampa (basta leggere le annate della «Bibliografia Nazionale Italiana», dagli anni Settanta in poi) hanno ingessato l'aggiornamento delle raccolte moderne, mentre quelle antiche attenderanno vari anni dal risorgere (con il restauro) dai danni provocati dal fiume Arno che già si era portato via un numero, mai precisato fino ad oggi, di preziose unità bibliografiche. Detto in altre parole, per alcuni anni, è stato difficile studiare nella Nazionale sia il presente che il passato. Intanto i docenti universitari optavano per le biblioteche specializzate di Accademie o di Istituti culturali che si erano rafforzati per l'attenzione a loro dedicata sia dallo Stato che dalla neonata Regione toscana: luoghi in cui, tra l'altro, si poteva accedere con più familiarità dovuta a una burocrazia meno rigida di quella delle biblioteche statali. Si deve aggiungere che lo sviluppo (oppure l'immissione di sovvenzioni pubbliche), tra gli anni Settanta e Ottanta, da parte degli enti locali e statali a favore dei fondi di ricerca abbia promosso un'editoria dedicata alle pubblicazioni finanziate direttamente dalle università, così molti docenti universitari al di sopra di una certa soglia non hanno avuto difficoltà ad accrescere le proprie biblioteche private, perché in pratica i libri arrivavano prima nelle loro dimore che nelle biblioteche; nel caso di qualche dimenticanza da parte dell'autore (in genere sponsorizzato) i libri si potevano ottenere comunque direttamente dalla Casa editrice, senza passare dalle librerie. La ricerca e lo studio qualificato si allontanano dalle biblioteche statali. Le iscrizioni alle università aumentavano in ragione della liberalizzazione, le biblioteche universitarie non erano (e non sono) attrezzate ad accogliere masse di studenti che ricorrono al prestito e chiedono spazi per la lettura. Questa industrializzazione dell'università di massa (in altre parole l'obbligo per le facoltà umanistiche di trovare materiali 'originali' per un numero sempre crescente di tesi di laurea) ha riversato sulla Nazionale un'altra alluvione: quella dei laureandi spesso impreparati per la complessità della ricerca bibliografica. Dove la Biblioteca Vaticana, subordina l'accesso ai giovani ricercatori al possesso di una lettera di presentazione di un professore e, nel modulo che si deve compilare per frequentare quelle sale, il lettore viene avvisato che in caso di evidente incapacità ad usare il catalogo a schede verrà espulso, mentre la BNCF deve accettare tutto e tutti! In fine l'automazione entrata nelle biblioteche, a partire dalla metà degli anni Ottanta, ha notevolmente rallentato le procedure di catalogazione causando la stratificazione di libri non presenti nei cataloghi ed un duplice sistema di consultazione dei medesimi: cartaceo per i libri ingressati fino al 1984 circa e per gli anni successivi quello elettronico. La decisione di non aggiornare i cataloghi cartacei con le tradizionali schede ha creato notevoli disfunzioni nella fase della ricerca, perché il catalogo tradizionale ha centinaia (o migliaia) di cassette suddivise per le lettere dell'alfabeto e ogni singola lettera è suddivisa in diecine di cassette, per cui è possibile ad un numero imprecisato di utenti di usare contemporaneamente il catalogo. Di contro la tastiera del computer può essere maneggiata da un solo utente che la può privatizzare per ore quando deve fare ricerche complesse, oppure la semplice acquisizione di una segnatura di collocazione per più nomi di autori; inoltre la ricerca in linea richiede più tempo di quella tradizionale. Se i terminali sono abilitati anche alla ricerca via Internet la questione si complica. Ipotizzando che cento utenti entrino in biblioteca insieme, e tutti si dirigano verso la sala cataloghi con dieci quesiti da risolvere al catalogo elettronico la BNCF si paralizzerebbe, perché non ci sono cinquanta postazioni. Al contrario preoccupa constatare che quelle scatole grigie e azzurre presenti nella sala dei cataloghi sono usate da quattro gatti (tra i quali spesso chi scrive e il collega Leandro Perini), mentre quelli ad uso multimediale sono sempre occupati. Ciò dimostra che in BNCF il passato interessa molto meno della contemporaneità. È d'obbligo dunque una riflessione: non sarebbe meglio fare due biblioteche, una storica per la ricerca e la conservazione affidata magari ai preti ed un'altra modernissima multimediale e di servizio con salottini per conversare sul futuro dell'ipertesto e, naturalmente, per tè delle cinque gestita dalle dame della Croce Rossa, sotto la presidenza di Bill Gates?


BARBONI IN BIBLIOTECA

Lucia Chimirri, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

Vorrei che il professor Paul Ginsborg chiarisse una frase della sua intervista pubblicata sul numero di settembre-dicembre di "Bibelot" che mi ha lasciata perplessa.

Il professor Ginsborg nell'intervista afferma, fra l'altro, che alla Library of Congress ha studiato "accanto addirittura a dei barboni".

Cosa vuole dimostrare con questa affermazione il professore, il livello di democrazia delle biblioteche pubbliche statunitensi?

Sappia che nessuno mai si sognerebbe qui in Nazionale o altrove in Italia di mettere in dubbio la radicata democrazia delle istituzioni degli Stati Uniti.

Non so se la Biblioteca Nazionale di Firenze sia frequentata o meno da barboni. So che fra i requisiti richiesti agli studiosi non rientrano la qualità della lana del cappotto e la lunghezza della barba. E poi da sempre qui abbiamo una tradizione di frequentazione con i barboni: il nostro stesso eruditissimo fondatore Antonio Magliabechi, per la sua trasandatezza e per il suo tenore di vita sarebbe oggi considerato nella opulenta America proprio un barbone. Suggerisco allora al professor Ginsborg, per misurare il grado di democrazia esistente nella nostra biblioteca e in generale in Italia, di fare una piccola inchiesta personale: interrogare cioè il vicino di tavolo nelle sale di lettura, in autobus, nelle sale di attesa degli uffici pubblici, chiedendo "scusi lei è un barbone?"


Copyright AIB 2000-05-28, ultimo aggiornamento 2000-06-05 a cura di Vanni Bertini
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/toscana/bibelot/b0001f.htm


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