Vorrei iniziare ringraziando il Salone e la Biblioteca Querini Stampalia
per aver curato questo particolare seminario che si svolge ancora
una volta sotto il nome di Angela Vinay, che fu presidente della
nostra Associazione, come lo è stata Rossella Caffo ora qui al mio
fianco: come vedete si tratta dunque di un’Associazione particolarmente
impegnata rispetto all’attuazione nella società italiana di una
rete di servizi bibliotecari adeguata alle esigenze di cui si è
parlato lungamente stamattina.
Mi piace ritornare proprio ad Angela Vinay perché noi
ci troviamo oggi a misurarci con delle sfide che sono in parte più
complesse di quelle che lei affrontò all’inizio degli anni ‘80 insieme
a molti di noi, tra cui ricordo Giovanna Merola. Era il primo vero programma
nazionale di infrastrutture tecnologiche. Le biblioteche italiane
aderirono con grande entusiasmo, forse addirittura quasi con una forma
di irresponsabilità rispetto alla misura sconvolgente della sfida
che ci trovavamo di fronte; eppure molti risultati oggi sono già
stati raggiunti rispetto agli obiettivi che ci si poneva allora.
Ora diciamo che il lavoro è più complesso per noi perché
abbiamo moltissimi soggetti in campo: anche dalle analisi e dalle elaborazioni
che Madame Iljon ci ha esposto stamattina, avrete notato infatti che siamo
usciti da tempo dalla dimensione della biblioteca e della professione bibliotecaria
per sé, e che le biblioteche hanno affrontato ormai un mare
tempestoso come quello del confronto con tutto il resto della società
economica, della società civile, della società dell’educazione,
perfino delle strutture preposte all’ordine pubblico, dove possiamo dare
un contributo enorme al miglioramento della qualità del tessuto
sociale riducendo la necessità di investimenti nella sicurezza.
Oggi ci sono però per noi anche delle condizioni di facilità
che allora non c’erano. Quando si cominciò a lavorare ad SBN
non esisteva una strategia tecnologica consolidata, ma ognuno faceva come
credeva, in quanto non esistevano programmi significativamente affidabili
ed evoluti che rispondessero alle nostre esigenze di gestione del servizio:
quindi abbiamo dovuto inventarci tutto, dalla configurazione delle macchine
ai software che abbiamo letteralmente scritto, e questo è stato
un lavoro enorme che oggi non è più necessario fare. Quindi
il nostro compito è per molti aspetti divenuto più complesso,
ma per molti altri ha assunto una natura di notevole facilità.
Raccogliendo il senso di quanto è stato detto fin qui questa mattina,
direi anzi che la vera sfida di questo prossimo programma di sviluppo della
multimedialità sta nella sua diffusione, che sarebbe molto opportuno,
come ho detto nel corso di molti seminari dell’Unione Europea cui sono
stato invitato, sostenere fin d’ora; allo stesso modo sarebbe stato necessario
che anche il Servizio Bibliotecario Nazionale fin dall’inizio avesse cominciato
a diffondersi in modo capillare così com’era negli auspici e nel
progetto.
Le tecnologie infatti sono come i comportamenti, le forme di gestione
della salute e dell’ambiente: se queste non si stratificano le une sulle
altre, diventa difficile sostenere l’ultima quando prima non c’è
stato nulla. La professione non si fa in due giorni, le abitudini
degli utilizzatori non si costruiscono in pochi momenti: si tratta di percorsi
e processi molto complessi dal punto di vista della ricaduta nel tessuto
sociale, se è vero, come ci viene detto, che noi andiamo a far parte
della sfida della nuova Europa sociale, della nuova cittadinanza europea.
Sono ormai in gioco cose molto più rilevanti del puro e semplice
sviluppo di qualche tecnologia qua e là e, se questo è il
quadro in cui ci troviamo ad operare, noi in Italia dobbiamo cominciare
veramente a fissare dei termini che non possono e non debbono essere più
essere considerati con leggerezza come spesso è accaduto in passato.
Abbiamo già vissuto una vicenda di grosse disponibilità
finanziarie, come quella dei giacimenti culturali, nella quale ci sono
stati i mezzi e le risorse, ma i risultati non sono stati assolutamente
all’altezza di quanto era auspicabile. Anche allora la questione si arricciò
attorno a una poca, bassissima chiarezza rispetto al rapporto tra
le iniziative che si mettevano in moto e l’effettiva fruibilità
dei loro risultati. è veramente divertente leggere, per commentarle,
le procedure di acquisizione all’interesse pubblico del bene rinveniente,
cioè di ciò che risultava dall’investimento. L’interesse
pubblico del bene rinveniente era in alcuni casi, per esempio, il fatto
di avere costituito un archivio: era assolutamente irrilevante che fosse
utilizzabile da chicchessia, l’importante era che esistesse un oggetto
da consegnare in una stanza di qualche ministero. Questo non deve mai più
succedere, perché ne va della nostra credibilità internazionale,
e noi come Associazione non siamo certo disposti a tacere di fronte a questo
tipo di comportamenti.
Da parte nostra consideriamo assolutamente urgenti alcune evoluzioni
della concezione della biblioteca. Le abbiamo ribadite in più sedi
e io continuo a ribadirle, cosa che per quanto mi riguarda è pesantissima,
perché detesto ripetermi, ma partecipando ormai a un seminario
o un convegno ogni tre giorni non farlo diventa veramente una sfida impossibile;
d’altra parte è necessario ribadirle perché si incontrano
ogni volta persone diverse, anche se purtroppo è rarissimo incontrare
a questi tavoli qualche reale interlocutore. Tra noi infatti penso che
siamo tutti d’accordo, ma qui ancora una volta il Sottosegretario, per
ragioni sicuramente legittime, non è potuto essere presente, e il
Presidente della Commissione Cultura della Camera, per ragioni altrettanto
legittime, ha dovuto assentarsi: speriamo comunque che il messaggio li
raggiunga in qualche maniera. Ma anche tra noi forse conviene che alcune
cose le continuiamo a dire, perché non è sempre tutto chiaro
e definito, e in particolare due sono le questioni fondamentali che riguardano
la biblioteca in Italia.
La prima è l’ambiguità del concetto di bene culturale,
così come è venuto gestendosi in questi ultimi 10-15 anni,
per cui non è rilevante la funzione del servizio e della struttura
quanto la conservazione del suo contenuto: voi sapete bene che questo nega
alla radice il senso della nostra professione, in quanto la conservazione
nella biblioteca è stata concepita fin dalle origini
per essere in funzione dell’uso e non per il culto dell’oggetto,
che è un comportamento culturale certamente legittimo ma non
può essere la nostra unica missione.
La seconda questione è la necessità di superare
la divisione tra informazione povera e informazione ricca: nella cultura
professionale italiana infatti il concetto di pubblica lettura si è
venuto materializzando in forme pauperistiche, assistenziali, quasi di
supporto a presunte miserie o a presunte povertà, che in realtà
non esistono più. Quando leggere era difficile anche per la scarsa
disponibilità di mezzi nacquero le biblioteche popolari, molte delle
quali organizzate dalle Società di Mutuo Soccorso che facevano le
biblioteche per i lavoratori. Allora veramente comprare un libro per un
operaio rappresentava un’impresa; oggi però non è
più questo il problema. Il problema reale è quello
che è stato rappresentato da Madame Iljon, e da Rossella Caffo per
quanto riguarda l’Italia: la biblioteca oggi infatti serve solo se entra
a far parte dell’insieme dei supporti necessari a vivere la propria
cittadinanza in modo globale, cioè di tutto quanto è connesso
all’accesso ai documenti, all’utilizzo delle informazioni, o meglio ancora
all’appropriazione di queste informazioni. Perché molto spesso,
e oggi finalmente il dibattito lo sta chiarendo, non è la disponibilità
della risorsa informativa che cambia la società, anzi la può
addirittura peggiorare: infatti possiamo già trovare nei nostri
cittadini l’effetto di un rifiuto della sovrabbondanza, una
forma di anoressia culturale per cui alla fine si dice basta, l’informazione
è troppa, è indifferenziata, è inutile. Questo è
un vero problema, una sfida per la biblioteca come luogo in cui si
vive la dimensione dell’acquisizione di conoscenza con il sostegno di tutti
i supporti professionali necessari; qui noi possiamo giocare un ruolo veramente
insostituibile, e il salto di civiltà ci vede protagonisti
attivi. Là dove le biblioteche funzionano in questo modo, vi assicuro
che i risultati si riflettono anche nella qualità del comportamento
dei cittadini: ciò non significa che nessuno scrive più sui
muri, o che tutti raccolgono prodigiosamente le carte da terra, però
il tasso di comportamenti irregolari o comunque dannosi per la collettività
si riduce naturalmente.
Questo processo si è già verificato in una serie di altri
fenomeni di sviluppo che spesso trascuriamo di osservare: pensate
per esempio a cos’era il comportamento verso la propria salute e quella
altrui degli abitanti non solo di questo paese ma di tutta Europa, di tutto
il mondo (e di gran parte del mondo lo è ancora), prima
che la medicina e le questioni della salute fossero ampiamente diffuse
a livello di conoscenza e di consapevolezza. Oggi anche l’ultimo dei nostri
pensionati sa come prendere le aspirine e sa come gestire la differenza
tra un antibiotico e un sulfamidico. La cultura dell’uso delle risorse
informative non ha però questo livello di dimestichezza nei nostri
cittadini, per cui avviene che ancora si segua un percorso poco corretto:
il Ministero della Pubblica Istruzione lancia questo megapiano di
diffusione delle tecnologie nelle scuole, ma non lo porta nella biblioteca
della scuola o comunque non ci costruisce intorno una biblioteca, visto
che non esiste altra forma di acquisizione seria e critica di conoscenza
e di competenza che non sia una organizzazione strutturata e professionalmente
guidata. Lo porta invece nella sala dove si insegna informatica,
dovere magari qualcuno ancora costringe questi poveri bambini a perdere
il loro tempo con vecchi programmi di insegnamento degli elementi di questa
disciplina. Il vero nodo per il salto di civiltà qui in Italia (ma
anche in molti altri paesi d’Europa le cose vanno più o meno come
da noi) è quello di diffondere la competenza sull’acquisizione
dei mezzi che portano a sapersi muovere nei percorsi della conoscenza così
come i nostri anziani sanno ormai gestire le aspirine e i sulfamidici.
Lo stesso è accaduto per le questioni ambientali: vent’anni fa il
nostro rapporto con l’ambiente era estremamente povero dal punto di vista
della capacità culturale di saperlo apprezzare, conoscere e rispettare,
e i mutamenti sono avvenuti solo perché c’è stata una fortissima
campagna di fertilizzazione della conoscenza.
Ora tutto questo è per dire che non esistono scorciatoie: qui
in Italia c’è stato un grande equivoco, in quanto si credeva che
per il fatto che una, o due, o tre, o dieci, o venti biblioteche partecipavano
a un programma di ricerca della DGXIII, solo per questo il nostro
paese avesse già fatto il salto di qualità in assoluto su
tutto il territorio nazionale. Ma i programmi dell’Unione Europea devono
essere in primo luogo delle forme di marketing di modelli che si rendono
sempre più necessari per dare unità ai comportamenti sul
territorio: un territorio fatto da 15, 16 nazioni, con lingue diverse,
culture diverse, storie diverse, dove non ci sono slogan e bandiere comuni,
dove non si cammina tutti sulla stessa strada. Proprio in questi giorni
si sta diffondendo in tutte le edicole un libriccino su come si potrà
gestire la questione lira/euro: è evidente dunque la consapevolezza
che non si gestiscono i fenomeni di massa se non si impattano le questioni
con strategie di massa. Allora, come dicevo, non c’è scorciatoia,
e noi dobbiamo assolutamente adottare questo criterio e questa logica.
Nelle relazioni che sono passate prima di me molte cose sono già
state dette: si è parlato del rapporto con i sistemi di produzione
di contenuti culturali, editoria, stampa ecc., dei rapporti delle
biblioteche con il sistema educativo, dal libro bianco di Delors
al libro bianco di Cresson e così via. Non ritorno su quanto è
già stato ampiamente sottolineato, ma noi in Italia abbiamo
in questo campo la possibilità di fare qualcosa di più di
quello che si può fare altrove, perché pur con tutte
le sue contraddizioni il nostro rimane sempre uno dei più bei paesi
del mondo, anche per la nostra fortissima capacità di differenziarci
e di cogliere la ricchezza di queste differenze, per il fatto che abbiamo
una storia così ricca e così tormentata. Quindi noi potremmo,
invece di rincorrere sempre i progetti di Madame Iljon e della Commissione
Europea, dedicarci a delle missioni che solo noi forse possiamo svolgere.
Come abbiamo già detto a Napoli, per esempio, dobbiamo smettere
di essere o di sentirci l’ultima carrozza dell’Unione, perché in
un’area particolare come il Mediterraneo possiamo essere invece la locomotiva
di una nuova corsa, che è necessaria alla sopravvivenza dell’Unione
stessa. Se questi fenomeni di cui stiamo parlando qui, e che giustamente
in questa sede si affrontano come obiettivo dell’Italia e dell’Europa,
non saranno affrontati anche sull’altra sponda del Mediterraneo,
da quei paesi si continuerà necessariamente a emigrare qui per non
restare fuori da un percorso legittimo verso la qualità della vita
e il miglioramento dei diritti e delle condizioni esistenziali
e culturali. E siccome noi come Associazione professionale aderiamo alle
più importanti organizzazioni internazionali non governative, come
IFLA e EBLIDA (o governative come l’UNESCO), non facciamo questi ragionamenti
da funzionari ma da soggetti interlocutori della politica, senza volerne
prendere il posto ma esercitando il nostro diritto e dovere di rappresentare
queste nuove istanze.
Sul piano nazionale c’è qualcosa che stiamo facendo e che è
da ricordare in una sede come questa, in cui si parla delle tecnologie
e del loro rapporto con la biblioteche. Quando siamo stati chiamati, prima
ad aiutare a scriverlo, poi a promuoverlo, abbiamo aderito al piano
d’azione Mediateca 2000, e lo abbiamo voluto chiamare appositamente piano
d’azione e non progetto. Abbiamo aderito perché abbiamo creduto,
e ne siamo ancora convinti, che i suoi contenuti possano produrre proprio
una azione comune tra comuni, province, regioni, privati, associazioni,
editori, altri settori di gestione di conoscenza, musei, teatri, cinema
e quant’altro per portare insieme a un livello di tendenziale eccellenza
i loro comportamenti i loro modi professionali nell’affrontare questo tipo
di problematiche. In questo modo si potrà creare quell’infrastruttura
globale di cui ci parlava Madame Iljon, che è prevista nella proiezione
del 5. Programma quadro di sviluppo tecnologico dell’Unione Europea, ma
era già contenuta come obiettivo nel 4. Programma. Questa infrastruttura
in Italia dobbiamo costruirla noi, non possiamo aspettare che ce
la costruiscano a pezzettini quei pochi soggetti che parteciperanno comunque
ai piani di ricerca. La fase attuale è quella della concreta distribuzione
e diffusione sul territorio, altrimenti perderemo ulteriormente il treno:
il piano d’azione, come diceva Rossella Caffo, è partito con
un primo blocco di 21 poli, che nei prossimi mesi cominceranno a realizzare
corsi per giovani già con un alto livello di scolarizzazione
da indirizzare sui servizi.
In parallelo noi come Associazione professionale abbiamo una serie
di proposte, con le quali mi avvio a chiudere il mio intervento. Innanzitutto
stiamo lavorando alla definizione di alcuni strumenti di base, che
ci consentiranno anche di liberarci di quell’ambiguità che
come abbiamo visto investe ancora ampiamente la biblioteca: al Congresso
di Napoli è stato approvato il codice deontologico del bibliotecario
italiano, che è quindi già a disposizione e dovrebbe essere
applicato da tutti noi, mentre la prossima riunione del Comitato
Esecutivo presenterà la bozza per l’Albo professionale, che verrà
approvato al Congresso di Genova della primavera prossima. Si tratta di
due strumenti importanti per la visibilità e il superamento di un
grado di indeterminatezza di questa professione che ha danneggiato noi
come professionisti, le biblioteche in quanto servizi e quindi di riflesso
tutti i cittadini italiani.
La seconda operazione in cui siamo impegnati è la scrittura
di una legge quadro, non più una delle vecchie leggi sull’ordinamento
delle Biblioteche Nazionali, ma una legge quadro molto semplice dove
si dicono le cose che ci stiamo dicendo, cioè i principi fondamentali
su cui si basa la ragion d’essere di un servizio come il nostro:
la biblioteca è un diritto, in quanto fa parte degli strumenti
di una qualità sociale che è ormai acquisita a livello europeo
e l’Italia non può essere da meno.
Questi sono oggi i nostri percorsi all’interno della professione, e
se riusciremo a raggiungere questi obiettivi entro la primavera prossima
potremo dire di aver fatto notevoli progressi, almeno per la costruzione
degli strumenti: poi ognuno li dovrà utilizzare nella sua realtà.
Per quanto riguarda invece le proposte concrete al Governo, riprendo
esattamente, riassumendole, quelle che abbiamo consegnato ufficialmente
a Napoli davanti a qualche centinaio di testimoni. Esse sono sostanziali
dal punto di vista dei comportamenti che realmente si possono mettere in
atto insieme alle misure dell’Unione Europea; non può infatti
esistere lo sviluppo di un nazione che non sia dentro le politiche
stesse di quella nazione: gli sviluppi non si importano, ma si costruiscono
perché sono introiettati, fanno parte delle scelte. Ciò significa
che noi, per esempio, abbiamo suggerito di usare la stessa tattica della
rottamazione, dalla quale si sono avuti vantaggi enormi dal punto
di vista fiscale oltre che occupazionale. Abbiamo suggerito cioè
di prevedere incentivi che non seguano i lunghi iter burocratici ai quali
siamo abituati: non c’è nulla da inventare, perché tutto
ciò che serve fa già parte della disponibilità diffusa
di risorse e di mezzi. Occorre semplicemente promuovere una massa critica
di investimenti in risorse umane e materiali tali da rendere adeguate le
infrastrutture alla dimensione del traffico di attività desiderato.
Ogni Comune può venire autorizzato o incentivato a investire subito
nel miglioramento dei suoi servizi di biblioteca quando li ha, o nel realizzarli
quando non li ha, altrimenti succederà ancora una volta che quelli
che non li hanno dovranno aspettare il 2000 solo per cominciare a ragionarci
sopra. Ma il 2000 si aspetta per portare le tecnologie del 2000 nelle biblioteche
che ci saranno, non per costruirle, altrimenti non si comincia mai.
Questa è la prima delle nostre proposte fondamentali;
la seconda è quella di agire sulla legislazione urbanistica
per inserire questi servizi negli standard di base del tessuto di un quartiere
e di una città, così come è previsto che ci siano
le fogne, un certo tipo di impianti elettrici, i telefoni ecc. Noi proponiamo
che questa diventi una delle questioni contemplate dall’urbanistica, sia
dal punto di vista culturale sia dal punto di vista legislativo.
L’Italia poi, forse quasi nessuno lo sa e io per questo lo ripeto,
ha adottato nel 1991 la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e della
gioventù, che riguarda gli esseri umani da 0 a 18 anni, quindi
uno dei settori chiave sui quali si investe per lo sviluppo di una nazione.
Ebbene non lo sa nessuno, noi invece lo proclamiamo ad alta voce perché
è già legge, e finalmente qualche giorno fa a Torino il Ministero
per gli Affari Sociali ha proposto una serie di interventi che, guarda
caso, citava tra le misure per attuare i diritti dell’infanzia e
della gioventù non solo la realizzazione di biblioteche, ma
la loro apertura persino in orario serale. Vedete dunque come nello stesso
Governo ci sia chi deve essere addirittura convinto della legittimità
di aprire una biblioteca, e chi invece sa raccogliere e recepire precise
istanze. Un’altra cosa molto interessante che è stata recepita
(e dico così sia perché abbiamo avuto in passato, e manteniamo
costantemente, contatti con quel Ministero, sia perché sono state
usate quasi le stesse parole che avevamo usato nel nostro documento
di Napoli) è il fatto che il Ministero della Pubblica
Istruzione consideri un credito formativo da accampare da parte dello studente
l’acquisita competenza nella gestione degli strumenti della conoscenza.
In sostanza saper usare una biblioteca, saper consultare una base dati,
saper maneggiare Internet, la posta elettronica e quant’altro è
una qualità che viene premiata, per esempio, all’esame di maturità,
all’interno di quei venti punti che alla fine il Senato ha approvato come
quota destinata ai crediti formativi: e a ragione, poiché saper
crescere culturalmente, apprendere ad apprendere, come dice Madame Cresson
nel suo Libro bianco sull’educazione, ritengo sia una capacità
fondamentale.
Un secondo gruppo di questioni che abbiamo posto è quello della
realizzazione delle strutture dei servizi, e tra queste anche il nuovo
rilancio di SBN, così come è, per quello che è ancora
valido, e nella revisione che l’ICCU ha già commissionato e per
cui ci sono studi in corso di pubblicazione per le parti evolutive.
Un terzo settore è quello dell’incentivazione alle persone.
Anche qui diciamo che il nostro dibattito è stato utile, perché
ha contribuito a far crescere una cultura diffusa, e il ministro Veltroni
forse anche per merito nostro ha portato così all’Unione Europea
la proposta che i prodotti legati alla diffusione del sapere, e comunque
alla parte “software” degli esseri umani di questo continente, abbiano
un trattamento fiscale particolarmente favorevole: noi a Napoli parlavamo
appunto di azione mirata delle imposte sui prodotti e sui servizi legati
all’investimento sull’intelligenza, e quindi su libri, CD, video,
computer, abbonamenti a Internet, incentivi nelle tariffe telefoniche per
i servizi basati su collegamenti telematici, come per esempio quelli per
le reti civiche che sono oggi uno strumento formidabile anche per la diffusione
dei servizi di biblioteca.
Questo punto in particolare è in questi giorni oggetto di stretta
investigazione tra noi e il Ministero delle Poste, perché
pare che ci sia ancora qualche ruggine normativa che rallenta di molto
la chiarezza sulla legittimità di aprire e di dare al pubblico
l’uso di postazioni Internet da parte di una biblioteca, in quanto questa
funzione di puro e semplice strumento per leggere dei documenti non
è riconosciuta nella legge postale, e quindi viene considerata come
una prestazione a terzi di un servizio telefonico, che ha invece per contratto
la regola di essere individuale, cioè limitato al soggetto
che ha stipulato il contratto stesso. Ci sono già state ispezioni
in diverse biblioteche: non voglio qui creare allarme, me se dovesse
succedere anche a voi non spaventatevi. Vi preannuncio anzi che, se qualcuno
dovesse subire oltraggio da qualche ispettore postale, l’Associazione si
ergerà ferocemente in difesa della libertà di impiego
della rete nei servizi bibliotecari; altrimenti dovremmo dire che il Ministro
per i Beni Culturali, nonché Vicepresidente del Consiglio, quando
ha lanciato Mediateca 2000 non si è preoccupato di verificare se
era legittimo promuovere questo tipo di programma.
Abbiamo proposto poi di estendere il concetto dei crediti formativi
alla questione del recupero dei carcerati, problema che non è
molto sentito in generale né è molto sentito in particolare
dalle biblioteche, mentre sicuramente vedrebbe nell’apporto dei nostri
servizi una delle chiavi più significative per promuovere il recupero
dell’individuo a una socialità piena e consapevole. Là dove
le cose si fanno, i risultati si vedono, e sono già stati rilevanti
anche in alcune carceri italiane, dove le biblioteche hanno lavorato in
rapporto con l’Associazione o con gruppi di volontari. La nostra proposta
è di estendere anche alla legislazione penale il premio rispetto
all’acquisizione di competenze relative alla capacità di crescere
e di conoscere, conseguendo così due vantaggi: fornire ai reclusi
un motivo importante per impegnarsi (significherebbe uscire qualche mese
o qualche anno prima) e soprattutto attrezzarli all’intelligenza e alla
consapevolezza.
Un’ultima serie di proposte è legata allo sviluppo della professionalità
degli addetti del settore. Oltre alle cose che dicevo prima relativamente
al riconoscimento della professione, all’interno di questa legge di cui
stiamo aiutando a stendere delle bozze per la discussione proponiamo che
sia dato sostegno alle imprese che lavorano nel nostro campo. Voi sapete
che c’è ormai una consistente, non ancora massiccia ma comunque
interessante, quantità di professionisti che lavorano con noi e
per noi in rapporto di collaborazione professionale, individuale
o aziendale, e questo nella mentalità della pubblica amministrazione
è sempre stato guardato con molta diffidenza. Quando facciamo i
contratti con loro li trattiamo esattamente (salvo qualche rara eccezione)
come quelli che fanno qualsiasi altra fornitura, mentre invece il
rapporto pubblico-privato, a partire da questo livello fino al rapporto
con l’editoria, l’impresa editoriale ecc. può svilupparsi ampiamente.
L’Associazione in questo campo ha intenzione di lavorare molto, perché
non è scritto da nessuna parte che il professionista dell’informazione
debba per forza essere un pubblico dipendente, e in questo senso è
necessario ci sia una forte consapevolezza. A Venezia voi avete l’esempio
della gestione sostanzialmente privatistica di una grande biblioteca come
la Querini Stampalia, che è gestita appunto nella forma della fondazione.
Nel diritto italiano essa può quindi usufruire di tutti i comportamenti
tipici dell’impresa privata, cosa che per noi significherebbe risolvere
radicalmente una delle questioni che si sono evidenziate nel dibattito
sulla riforma del Ministero per i Beni Culturali, cioè l’acquisizione
di autonomia delle strutture bibliotecarie. Infatti il dover soggiacere
ai ritmi, alle forme di comportamento dell’amministrazione amministrativa
non è compatibile con le esigenze, i tempi e le necessità
di reazione veloce rispetto ai mutamenti che invece in un mondo come il
nostro sono assolutamente indispensabili.
Questo pacchetto di proposte nel suo insieme vuol essere un contributo
al rilancio dell’economia e dei consumi qualificati ed ecocompatibili,
mettendo a valore un’energia che non costa niente, cioè l’intelligenza;
è questa poi una delle più sane forme di incentivazione all’industria
editoriale, sia per i prodotti tradizionali che per quelli dell’editoria
elettronica.
Io mi fermerei qui, e vorrei concludere ricordando quanto ha fatto
l’Associazione i questi anni nel consolidarsi come supporto scientifico
e ambasciatrice sostitutiva rispetto all’Unione Europea: ricordo che una
delle prime iniziative, anzi la prima in assoluto fatta con Madame Iljon,
si chiamava EUROPLAN e l’abbiamo realizzata con l’AIB a Ravenna, dove c’era
il più visibile insediamento SBN. Quindi l’Associazione,
che non è solo da oggi un interlocutore riconosciuto dall’Unione
Europea, ha intenzione di approfondire questa sua missione nella convinzione
che siano sempre più le organizzazioni di questo tipo (che nascono
cioè dalla società civile e praticano e diffondono cultura
ed etica professionale) a costituire un soggetto importante nello
sviluppo della cultura nazionale ed europea, e quindi dello sviluppo
economico e sociale del nostro paese e dell’Europa nel suo insieme. Grazie.