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"11. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
L'economia della cooperazione bibliotecaria

Le biblioteche e l'economia: la malattia dei costi, l'innovazione tecnologica, lo sviluppo della nuova industria culturale

di Marco Causi

Dipartimento di Economia, Università degli Studi Roma Tre

Non è da poco che l'economia si occupa di biblioteche. Ci sono studi che risalgono agli anni '60, e in particolare definirei fondamentale il lavoro di William Baumol, economista noto per avere significativamente contribuito alla nascita dell'economia della cultura. Baumol ha scritto sulle biblioteche in varie occasioni: nella prima metà degli anni '60, nella prima metà degli anni '70 e infine nel 1983[1].

Quest'ultimo contributo appare di grande interesse, in quanto già coglie il processo di inversione indotto dalla nuova ondata tecnologica. Attraverso l'analisi dei dati delle biblioteche americane, Baumol calcola il costo unitario dei servizi bibliotecari utilizzando diversi indicatori di output. Gli interventi di Solimine e di Bertoni a questo Seminario Angela Vinay hanno dimostrato che siamo molto vicini anche in Italia ad analisi di questo tipo, e fanno sperare che sia possibile (forse integrando le due linee di lavoro) iniziare a vedere anche da noi un'indagine sui costi unitari comparabile con quelle presenti nella letteratura degli altri paesi. Baumol, in particolare, mostra come il costo unitario dei servizi bibliotecari, che era sempre cresciuto lungo gli anni '50 e '60, cominci invece a declinare durante gli anni '70, e interpreta questi dati, correttamente, in connessione agli effetti della rivoluzione tecnologica allora appena cominciata. Conclude con una raccomandazione di strategia aziendale per le biblioteche: nonostante il costo degli investimenti nelle nuove tecnologie - un costo relativo che allora era molto più elevato di oggi - alle biblioteche conviene affrontare la difficile conversione tecnologica, poiché i risparmi futuri sui costi di gestione e sull'aumento dell'offerta di servizi sono di amplissima rilevanza.

Baumol ha in mente il modello, che lui stesso ha contribuito a costruire, della crescita non bilanciata. Il famoso esempio, che tutti certo conoscono e qui ancora una volta voglio ricordare, prende spunto dallo spettacolo dal vivo. Quanto costa produrre dal vivo un quartetto di Vivaldi[2]? Costa la retribuzione da dare a 4 musicisti per un'ora e un quarto circa di esecuzione, più le prove. Possiamo ridurre questi costi? No, perché è molto difficile in questo settore risparmiare sul tempo. La produttività oraria di un'orchestra da camera non ha nulla a che vedere con la produttività oraria dei settori beneficiari del progresso tecnologico. La produzione di una Fiat Punto richiede oggi molte meno ore di lavoro di quante ne richiedesse la produzione di una Fiat 127 vent'anni fa. Ma per suonare il nostro quartetto servono oggi esattamente le stesse ore di lavoro di quelle che erano necessarie nel Settecento, e dobbiamo presumere che la retribuzione da corrispondere agli orchestrali non sia rimasta ferma a quella di trecento anni fa, ma si sia evoluta più o meno in linea con quelle dell'intera economia, influenzate e guidate dalle retribuzioni dei settori trainati dagli aumenti di produttività. Inevitabilmente lo spettacolo dal vivo, poiché non è influenzato dal progresso tecnico, vede i suoi costi relativi, e cioè riferiti ai costi degli altri beni e servizi che invece ne beneficiano direttamente, in continua ascesa.

Lo spettacolo dal vivo, insomma, diventa sempre più caro, al pari di tutte le produzioni e i servizi per i quali si verifica un aumento della produttività del lavoro inferiore a quello dei settori dove si concentra l'innovazione tecnologica. Questo significa che la società non si può più permettere, a lungo andare, questo tipo di produzioni e di servizi? Assolutamente no, conclude Baumol: se la società lo desidera, ad esempio se si tratta di consumi necessari, è perfettamente possibile mantenere in vita produzioni e servizi a bassa crescita della produttività relativa. Basta che i benefici del progresso tecnologico, una volta realizzati nei settori al alta crescita della produttività, siano redistribuiti a vantaggio anche di altri settori. Ciò avviene, tipicamente, attraverso la mano pubblica e le diverse forme possibili di sussidio alle organizzazioni che operano in settori a produttività relativa declinante. In fondo, non sono le dinamiche relative della produttività a determinare le dinamiche della domanda: non è detto che la domanda dei beni a produttività crescente relativamente a quella dei beni a produttività declinante sia destinata ad andare all'infinito. Se resta una domanda - e quindi, se si vuole, un'utilità - dei beni a produttività declinante, è socialmente efficiente sussidiare queste produzioni.

Le indicazioni del modello di Baumol per i gestori, le imprese, le istituzioni che operano nei settori strutturalmente caratterizzati da produttività declinante sono ovvie. È appunto da queste indicazioni che nascono fin dagli anni '60 negli Stati Uniti quegli studi che Solimine stamattina ricordava. I gestori delle istituzioni "intrappolate" nel gap strutturale di produttività devono infatti responsabilizzarsi per monitorare strettamente l'efficienza organizzativa delle loro strutture e l'evoluzione dei costi unitari dei servizi. Ciò non tanto perché siano costretti a trovare un prezzo di mercato - dato che in molti casi le componenti collettive, pubbliche o meritorie di questi consumi rendono difficile definire un prezzo di mercato di equilibrio di un servizio bibliotecario o museale - quanto perché in qualche modo diviene loro dovere, per mantenere l'offerta, dimostrare alla collettività di produrre a costi minimi, giustificando le richieste di sussidio sulla base dei costi tecnicamente necessari ed evitando che i trasferimenti pubblici diventino un sostegno nascosto all'inefficienza o a rendite di posizione. In questo secondo caso, infatti, alla lunga quegli stessi trasferimenti potrebbero essere negati.

E' così che inizia la tradizione dei sistemi di valutazione e di monitoraggio, non soltanto nelle biblioteche ma all'interno di tutte le istituzioni culturali. Si tratta di strumenti che non devono essere concepiti come mezzi per assoggettare queste istituzioni a modelli organizzativi incompatibili con il tipo di servizi che esse offrono. Al contrario, si tratta di strumenti che, ben calibrati sui tipici modelli di decisione e di gestione delle istituzioni culturali, rappresentano un'arma formidabile per evitare che l'offerta culturale si impoverisca e per fare acquistare (e mantenere) alle organizzazioni che la producono la reputazione e la credibilità necessarie a competere sul mercato della redistribuzione pubblica delle risorse.
A 35 anni di distanza dalla diagnosi di Baumol e a 17 anni di distanza dalla prognosi leggermente più ottimistica sulla riduzione dei costi unitari dei servizi bibliotecari negli Stati Uniti, la letteratura internazionale sembra convergere sull'idea che la rivoluzione dell'informazione e delle comunicazioni stia offrendo alle biblioteche la straordinaria possibilità di liberarsi dalla "malattia dei costi"[3]. Come sempre, all'ottimismo tecnologico si contrappone il pessimismo cosmico, e né l'uno né l'altro sono in grado di darci risposte empiriche certe. Se riusciremo a spostare la discussione dall'ideologia alla concretezza (e anche all'aridità) dei numeri, potremo fare qualche passo in avanti e capire fino a che punto lo spostamento della frontiera tecnologica, e la sua inattesa pervasività, possano modificare la posizione strutturale del settore che qui ci interessa.

Non c'è dubbio tuttavia che i pochi dati aggregati a nostra disposizione sono incoraggianti e sembrano testimoniare che anche in Italia è in corso l'inversione di tendenza sui costi unitari evidenziata da Baumol per gli Stati Uniti. Utilizzando i dati raccolti dall'AIB, è possibile notare che nell'insieme delle biblioteche pubbliche italiane fra il 1991 e il 1997 (tab. 1):
 

Tab. 1 - Indicatori delle biblioteche pubbliche italiane - Numeri indice 1997 su base 1991=100

                 

Indicatori di output, di input e di costo

           

Volumi posseduti

   

133,9

         

Utenti iscritti

   

128,8

         

Prestiti

   

159,2

         

Personale in servizio

   

103,1

         

Bilancio totale (prezzi correnti)

 

137,7

         

Bilancio totale (prezzi costanti)

 

110,1

         

Indicatori di output per unità di input di lavoro

         

Volumi/Personale

   

129,9

         

Utenti/Personale

   

125,0

         

Prestiti/Personale

   

154,4

         

Indicatori di costo unitario dei servizi (a prezzi costanti)

       

Bilancio/Volumi posseduti

 

82,2

         

Bilancio/Utenti

   

85,5

         

Bilancio/Prestiti

   

69,2

         

Elaborazioni su dati AIB, Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane, Roma, AIB. 2000.

Abbiamo dunque tre dati molto interessanti: un buon aumento della domanda; un significativo aumento della produttività; una riduzione di entità inferiore, ma molto sensibile, dei costi unitari. E' bene sottolineare che linee di tendenza simili non emergono in altri settori di offerta culturale. Fra il '91 e il '97, ad esempio, nei musei il pubblico non è aumentato allo stesso ritmo, né la produttività e i costi unitari hanno mostrato le dinamiche virtuose che si evidenziano invece nelle biblioteche. Si noti tuttavia che il costo totale del sistema bibliotecario pubblico è comunque in aumento. L'attenuazione della "malattia di Baumol" non significa la sua scomparsa e il sistema bibliotecario chiede una quantità crescente di redistribuzione attraverso la mano pubblica. In cambio, sembra poter offrire un aumento più che proporzionale dei suoi servizi e la soddisfazione di un volume di domanda che cresce più della spesa pubblica.
 
Di fronte a questi dati dobbiamo registrare un'incertezza interpretativa, che potrebbe essere sciolta solo con analisi più accurate. La riduzione dei costi unitari suggerisce che questo è un settore che beneficia dell'innovazione tecnologica molto più di quanto avevamo supposto, o fosse comunque prevedibile, 15 anni fa. In particolare, si noti che gli indicatori di output utilizzati si riferiscono a servizi "tradizionali" e che con ogni probabilità la quantità di servizi bibliotecari offerti risulterebbe in crescita ancora più accentuata qualora (e quando) potremo utilizzare indicatori più direttamente connessi con la nuove tecnologie (consultazione elettronica, contatti con banche dati digitali ecc.). In ogni caso, sembra che i nuovi strumenti di collegamento fra utenti e biblioteche non spiazzino i tradizionali, ma siano semmai complementari. Sembra che entrambi siano da collegare in ultima analisi all'aumento della domanda di istruzione e di conoscenza.

Tuttavia, la riduzione dei costi unitari è anche effetto diretto dell'aumento della domanda. La separazione delle due cause (effetto di scala ed effetto di innovazione) può essere compiuta solo con analisi di tipo microeconomico. A questo proposito non può essere escluso che il settore delle biblioteche, pur beneficiando di un rilevante incremento di domanda, non abbia ancora raggiunto un assetto ottimale dal punto di vista tecnico, e cioè della dimensione di scala efficiente delle unità produttive. Se guardiamo ai dati forniti da Bertoni, sembra evidente che esistano problemi di efficienza statica ben distinti dai problemi di efficienza dinamica su cui finora mi sono soffermato, segnalati dal fatto che, perlomeno nel sistema bibliotecario universitario, in questo momento non sembra ancora essersi stabilita una dimensione tecnica efficiente, e che la dimensione media delle unità bibliotecarie dovrebbe aumentare. Tecniche più sofisticate di analisi, di tipo microeconomico, andrebbero utilizzate per approfondire questa linea di ricerca, come ad esempio la DEA (data envelopment analysis)[4].

A questo stadio dell'analisi, in conclusione, e al netto dei probabili problemi di efficienza statica, abbiamo due possibili linee interpretative. La prima enfatizza l'impatto delle nuove tecnologie e la possibilità che esse offrono di soddisfare una domanda crescente. In questa interpretazione, la domanda cresce in conseguenza dell'aumento dell'offerta, reso possibile dall'attenuazione - se non dal tendenziale superamento - della "malattia di Baumol".

La seconda enfatizza la crescita dei costi totali e colloca l'evoluzione della domanda su una dimensione diversa. La domanda potrebbe crescere per fattori esogeni, ed eventualmente per effetto proprio della rivoluzione informatica, che aumenta - per il pubblico dei consumatori - le possibilità di consumo. Intorno a molti beni che in modo diretto o indiretto sono collegati ai consumi attivati dal sistema delle biblioteche si stanno costruendo in questi anni mercati sempre più ampi. La domanda di informazione può assumere, su questi mercati, un modello di consumo additivo (più se ne consuma, più se ne vuol consumare, un po' come le droghe). La moltiplicazione dei prodotti dell'industria culturale (i cosiddetti "contenuti") riempie le biblioteche e le reti.

Le biblioteche, che sono porte d'accesso alle reti e al tempo steso loro snodi fondamentali (ma solo su alcuni mercati!) inseguono l'aumento della domanda. Da un lato, ciò implica la necessità di incrementare, nel complesso, il volume di offerta e le risorse del servizio bibliotecario, nonostante il suo recupero di efficienza dinamica. Dall'altro lato, non si può nascondere il fatto che, dal punto di vista strategico, questo servizio sta combattendo una battaglia per la sopravvivenza, confrontandosi con nuove configurazioni degli snodi di incontro, e di intermediazione, fra domanda e offerta di conoscenza.


[1] Questi scritti sono raccolti, insieme agli altri contributi di Baumol sull'analisi delle attività culturali, nel volume di R. Towse (ed.), Baumol's Cost Disease. The Arts and other Victims, Edward Elgar, Cheltenham (UK) and Northamptom (MA, USA), 1997, pp. xvii+527.
[2] L'esempio originario di Baumol, in verità, cita Schubert e l'Enrico IV. Per omaggio alla città che ospita il nostro Seminario, mi sono permesso un'innocua modifica veneziana del modello di Baumol. Cfr. W.J. Baumol and W.G. Bowen, On the performing arts: the anatomy of their economic problems, "American Economic Review", n. 2, vol. 50, May, 1965, pp. 495-502.
[3] Cfr., ad esempio, C.L. Borgman, From Gutemberg to the Global Information Infrastructure. Access to information in the networked world, MIT Press, Cambridge (MA) and London, 2000, pp. xviii+324.
[4] Per una recente applicazione, cfr. K.R. Sharma, P. Leung and L. Zane, Performance Measurement of Hawaii State Public Libraries. An Application of Data Envelopment Analysis (DEA), "Agricultural and Resource Economics Review", n. 2, vol, 28, October 1999, pp. 190-198.


Copyright AIB, 2000-02-03, ultimo aggiornamento 2000-02-15 a cura di Marcello Busato
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay11/causi00.htm


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