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"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera digitale

PROGETTI E STRATEGIE

Dibattito


Claudio Chetta
Vorrei chiarire che quando parlo di manager mi riferisco ad ogni settore di attività, e intendo qualcuno dotato della capacità non solo di gestire la propria esperienza e specificità, ma anche di comprendere cosa sia un'impresa. Perciò anche in questo contesto spero di poter trovare la prossima volta una folta schiera di manager bibliotecari con cultura d'impresa. Questo è il modo di vedere mio, e di quanti la pensano come me.
Per quanto riguarda il concetto di ricavo (anche questo è un mio concetto, peraltro condiviso da molti), la differenza tra entrata e ricavo è che l'entrata si presume mi venga data comunque, mentre il ricavo esige da parte mia una contropartita. Quando poi parlo di impresa riferendomi all'impresa pubblica, intendo sottolineare che anche se è di proprietà del pubblico rimane sempre un'impresa, e come tale non va finanziata solo per il fatto di esistere. Di conseguenza un manager di un'impresa pubblica deve comunque fare i conti con il concetto di ricavo. Questo significa che anche un manager bibliotecario con cultura d'impresa quando progetta la sua attività deve pensare a quali prodotti e servizi produce la sua impresa, chi li compra e a chi li pagherà; e i clienti più importante potranno essere proprio nel settore pubblico, il Comune, la Provincia, la Regione, lo Stato, il Ministero per i Beni Culturali.
Racconto un episodio che potrà far comprendere meglio quale sia l'impatto di un manager che passa da un'impresa privata in un'azienda pubblica. La Regione Lombardia nel 1977 mi aveva dato l' incarico di una consulenza per un ospedale, dove mi sono trovato a cercare di capire come fosse composto il sistema delle entrate e delle uscite. Il fatto era che la Regione pagava comunque tutti i costi, che alla fine di ogni anno qualcuno giustificava con una relazione delle attività svolte; si partiva dunque da un cifra data per certa in entrata, e si andava a spiegare le motivazioni delle uscite. La logica dell'impresa era così perfettamente capovolta. Quando ho chiesto ad un primario dove prendesse le informazioni sulle prestazioni erogate, mi ha risposto che andava a memoria. Partendo da questa situazione, nella Regione Lombardia abbiamo emanato una norma che ha sconvolto i manager pubblici e che prevede il pagamento sulla base di un elenco mensile dettagliato delle prestazioni (chi le ha prescritte, chi le ha erogate e con quale tipologia di erogazione), secondo un preciso prezzario in corrispondenza di informazioni esatte e corrette. Abbiamo terrorizzato il sistema, solo dicendo delle cose ovvie: anche se chi paga è un soggetto pubblico, l'attività prodotta va certificata in un modo imprenditoriale.
Lo stesso mi sembra che abbia detto il Direttore della Fondazione Querini Stampalia: la mia attività è quella di dare gratuitamente l'accesso a un servizio pagato dal Comune; io produco il servizio e qualcuno lo paga, e nulla vieta che questo qualcuno sia un ente pubblico che lo acquista per i cittadini. Anche questa è cultura d'impresa.
Spesso ci chiediamo nel nostro lavoro se arriveranno o no i finanziamenti; un manager con cultura d'impresa dovrebbe chiedersi invece se riuscirà a farsi pagare da qualcuno i servizi che produce. I migliori nel fare progetti per trovare finanziamenti - e lo dico con un poco di cattiveria - sono gli universitari, perché i progetti-fotocopia presentati ad ogni istanza, ad ogni istituto, servono solo per prendere le risorse e non per produrre qualcosa. Purtroppo spesso anche i progetti più belli, come quello della visita virtuale alla Galleria degli Uffizi, vengono abbandonati una volta ottenute e esaurite le prime risorse; ma l'impresa non è un progetto che inizia e finisce, è un sistema che deve rimanere nel tempo. È a questo che l'imprenditore, in questo caso il manager d'impresa, sia pubblica che privata, deve pensare.
Non è poi vero che il Ministero dei Beni Culturali si trovi stretto in una morsa di tagli e di spese: infatti è l'unico Ministero, grazie al Ministro Urbani, che è riuscito a farsi attribuire più risorse dell'anno scorso. Abbiamo presentato al Consiglio dei Ministri un progetto, sostenendo che in questo settore non si poteva tagliare ma incrementare, in presenza del più grande patrimonio culturale e del più basso tasso di finanziamento pubblico del mondo. Così sulla Legge finanziaria dell'anno scorso ci è stato dato il 3%, di tutte le spese per le infrastrutture che saranno destinate ai beni culturali: si parla perciò di circa 4000 miliardi delle vecchie lire in più del bilancio precedente. È chiaro ora che ci vorranno circa sei o sette mesi per avere la piena disponibilità della cifra e per poterla far entrare in gioco sulle diverse destinazioni; ma per le biblioteche digitali abbiamo già ottenuto, sulla base di azioni dai capitoli esistenti, altri 5 milioni e 600 mila Euro. Un altro milione e mezzo di Euro abbiamo avuto per il progetto ABSIDE, e stiamo procedendo nel mettere insieme risorse - circa 50 miliardi di vecchie lire - per il grande portale della cultura, cercando di orientare in questa direzione progetti finanziati all'Università.
È evidente che ciò che è stato fatto fino ad oggi aveva questa filosofia: faccio un progetto, ottengo le risorse e realizzo qualcosa; non mi importa se non si reggerà, quando sarà finito cercherò di farne un altro. Ora però dobbiamo smetterla di pensare a un progetto che serve solo ad acquisire finanziamenti e dobbiamo pensare a costruire un progetto di impresa: al nostro cliente, sia esso pubblico o privato, dobbiamo chiedere un contratto che garantisca la fornitura di un certo servizio per un certo numero di anni. Se, per esempio, al mio cliente interessa che io costruisca un grande deposito per la conservazione di testi preziosi, deve garantirmi un contratto che mi consenta anche di gestirlo per dieci, quindici, vent'anni, altrimenti diventa inutile. Lo Stato può finanziare soltanto sulla base di un progetto d'impresa dettagliato e incontestabile. Io stesso sto cercando disperatamente di far capire ai dirigenti del Ministero che, se sono state tagliate del 7, 8, 10% le spese di funzionamento, la risposta non può essere quella di spegnere la luce ma deve essere presentato un progetto di dettaglio economico inequivocabile.
Se si vuole che questa Fondazione di 6000 mq resti aperta e funzioni, serve una certa quantità di denaro per l'energia elettrica, per il riscaldamento etc. Non ci sono i soldi? Allora qualcuno deve dire che cosa bisogna chiudere, ma non si possono lasciare le cose nella genericità. Se quest'anno viene tagliato l'8% sulle spese di funzionamento, si presuppone che prima si imbrogliasse per quell'8% in più. Questo peraltro era anche possibile, e chi lo faceva veniva premiato: infatti l'anno successivo comunque avrebbe avuto la stessa cifra, mentre chi onestamente aveva risparmiato sarebbe stato penalizzato con una riduzione. È evidente che in questo tipo di cultura qualcosa non quadra.
Un vero manager si rifiuta di essere responsabile di un'impresa al di fuori di una logica corretta. Se mi chiedessero di fare il Direttore di questa Fondazione, sapendo che per farla vivere è necessario pagare il personale, gestire la struttura e conservare i testi, accetterei soltanto se avessi la certezza di poter disporre di risorse adeguate. Un imprenditore può operare infatti solo a fronte di obiettivi chiari e di risorse precise.
Su questo sono d'accordo con Riccardo Ridi: è un problema di testa. Bisogna cambiare, ma mi rendo conto che non è facile, perché la struttura è enorme ed è imbrigliata così da trent'anni. Speriamo, grazie al contributo di tutti, di arrivare prima o poi ad un sistema diverso, in cui non ci si rivolga più al settore pubblico solo per avere del denaro presentando dei progetti, ma lo si veda come un cliente al quale offrire l'acquisto di servizi.
Vi auguro buon lavoro, rinnovando l'auspicio di ritrovarci qui l'anno prossimo con un lungo elenco di manager bibliotecari con cultura d'impresa.

Riccardo Ridi
Ma se il Ministero ha aumentato il bilancio, se c'è spazio per finanziare iniziative come ABSIDE che si allargano al di là degli obbiettivi standard della biblioteca, se c'è denaro per il portale del turismo e della cultura, allora mi domando: c'è proprio bisogno che gli Archivi di Stato si inventino dei progetti innovativi per sopravvivere oppure è una funzione di qualsiasi stato degno di questo nome quella di mantenere comunque, anche in essenza di progetti particolari, almeno la memoria dei documenti storici per le generazioni future? Che senso ha tagliare le spese della corrente elettrica e del telefono agli Archivi di Stato per poi dilapidare denaro in progetti quanto meno discutibili come quelli che ho citato nel mio intervento?

Claudio Chetta
Ribadisco che questo è ovvio. Il problema è che il sistema di contabilità dello Stato non favorisce oggi questa logica di impresa, perché è una contabilità di tipo finanziario, fatta per capitoli di spesa, che dà la possibilità al Ministero del Tesoro di tagliare i fondi in modo generalizzato. Io sono il primo a dire che questo sistema è sbagliato, e questa mia opinione personale è peraltro condivisa da molti che con me stanno cercando di cambiarlo; tuttavia non è facile, perché per cambiare il sistema bisogna rifare le leggi, ridisegnare il bilancio, ridefinire le responsabilità prevedendo la possibilità di licenziare quando sia necessario e di incentivare quando sia opportuno.
La mia esperienza viene dal settore sanitario, dove molti ospedali non riescono ad assumere dei tecnici per i loro sistemi informatici perché il contratto nazionale prevede uno stipendio tre volte inferiore a quello del mercato. È chiaro dunque che molte cose che vanno cambiate: la difficoltà è che sono ancora troppo radicate per cambiarle in tempi brevi.

Rossella Caffo
Vorrei riallacciarmi a quello che è emerso nel corso della tavola rotonda per dire che appunto stiamo cercando, proprio nell'ambito del progetto MINERVA, di dare una serie di risposte.
Innanzitutto il sito web di MINERVA che ha l'obbiettivo di diventare un punto d'informazione e di servizio per tutti quelli che operano in questo settore; poi i repertori di fondi digitalizzati e di progetti di digitalizzazione, che rappresentano una linea di attività di MINERVA a livello elevato, nella prospettiva di rendere questi repertori interoperabili a livello europeo, definendo un set minimo di metadati da poter condividere e lasciando specificità e specializzazioni nell'ambito dei repertori nazionali.
Un'altra linea di lavoro che stiamo portando avanti è quella di mettere a disposizione dell'utenza, quindi delle singole istituzioni, tutta una serie di indicazioni, di linee guida, di strumenti di supporto per raccogliere correttamente la sfida digitale. L'aggiornamento dello studio della Biblioteca Digitale tocca una serie di argomenti che noi avevamo già intenzione di affrontare, e quindi sarà reso disponibile sul sito di MINERVA.
E ancora è emersa la necessità di fare riferimento alle persone, di contattare le istituzioni, di conoscere i progetti; le nostre pubblicazioni contengono una quantità di informazioni, e tutte saranno messe a disposizione sul sito per costituire un punto di partenza da arricchire progressivamente con la collaborazione di tutti.
È stata la Commissione Europea che ci ha segnalato l'esigenza di capire che cosa gli stati membri stavano facendo in questo campo, e questa è stata un'occasione importante e significativa per noi, perché noi stessi non sappiamo quello che si sta facendo nei nostri paesi.. Grazie a questo input della Commissione Europea siamo stati quasi costretti a realizzare, o a cercare di realizzare, degli strumenti che ci consentono prima di tutto di conoscere quello che stiamo facendo in Italia, poi di renderlo visibile anche a livello europeo.

Maurizio Lunghi
Farò solo qualche breve commento. Sono d'accordo che la nuova frontiera digitale, o meglio la nuova frontiera della società del futuro, sfida anche gli archivi, le biblioteche, i musei e tutto il mondo della cultura a non essere succubi o dominati dalle nuove tecnologie, ma a sfruttarle in modo intelligente ed efficace. Importante è la capacità di rinnovare l'approccio mentale: Chetta ne parlava relativamente all'impresa, ma io ne parlerei in generale; anche Ridi invitava a rivedere tanti aspetti, fino al rapporto stesso col cittadino. Con le nuove tecnologie il rischio forte non è secondo me quello di non avere finanziamenti, ma quello di rimanere fuori dalla società dell'informazione: e se l'archivista intende continuare a comportarsi come nel Nome della rosa, evidentemente rimarrà fuori dalla società dell'informazione. Quindi conservazione e archiviazione non possono essere fini a se stesse, perché un aspetto della cultura è anche la capacità di creare sinergie, la capacità di essere vissuta: l'arte e la cultura sono tali e importanti in quando riescono ad essere fruiti attivamente dai singoli cittadini e dalla società nel suo insieme.
La Commissione Europea ha da tempo posto l'accento sulla possibilità di creare servizi, i famosi e-services o electronic services, riferiti a contenuti aggiuntivi a quelli oggi disponibili. Potrei fare molti esempi di servizi che non sono possibili con i contenuti correnti delle biblioteche tradizionali, ma possono essere immaginati, elaborati, realizzati solo con le nuove tecnologie. La National Library australiana da tempo vende riproduzioni stampate on-line, e se lo fa evidentemente ne ha un ritorno; noi digitalizziamo archivi, li teniamo cinque anni e poi li buttiamo... Purtroppo ci sono effettivamente degli archivi che hanno immagini bellissime e contenuti straordinari, ma restano invenduti perché il mercato si rivolge ai soliti noti: questo è un mancato guadagno. Così, se i nuovi servizi vanno da un lato a riposizionare gli istituti culturali nei confronti della società, con una funzionalità più potente e un ruolo più forte, dall'altro persiste comunque il rischio di rimanere emarginati. Questi nuovi servizi dovrebbero non solo consolidare la posizione degli istituti culturali, ma possibilmente anche produrre qualche ritorno. Non intendo dire con questo che bisogna vendere i manoscritti o il Partenone, ma che in qualche modo bisogna creare un meccanismo che induca dei ritorni anche economici e commerciali.
Congratulazioni infine per il progetto della BEIC, che mi sembra molto interessante, e che per molti aspetti riflette il modello al quale anche noi lavoriamo; vi ho intravisto forse alcuni pericoli, sui quali sarebbe stimolante potersi confrontare in modo più approfondito.

Giorgio Busetto
Vorrei solo replicare su un punto. Io non ho detto che il Ministero ha diminuito il proprio bilancio, perché ho fatto un discorso riferito alle disponibilità per la cultura, una sorta di immaginario consolidato dei bilanci pubblici sulla cultura: il mio ragionamento cercava di spiegare perché, partendo dal debito pubblico, arriviamo ad avere una riduzione delle poste disponibili per la cultura. Posso fare un esempio concreto: la Fondazione Querini Stampalia riceve meno denaro dal Ministero per i beni e le attività culturali, ancorché il Ministero abbia nelle poste del proprio bilancio maggiori disponibilità. Il problema è nel modo in cui le spende.
A questo proposito devo dire che il criterio della riduzione a percentuale delle poste disponibili è ovvio e necessario, se l'impianto del bilancio dello Stato rimane quello attuale. Io però ho provato a prendere in mano questo bilancio e l'ho trovato assolutamente illeggibile: non si capisce infatti in che modo vengano effettivamente spesi i denari, né perché ci siano così tanti denari disponibili e così pochi denari davvero spendibili, con un gioco dei residui nel disallineamento tra competenza e cassa che complica ulteriormente la questione. Ma certamente è il meccanismo che è sbagliato e fallimentare, nel senso che non posso avere la rigidità di un sistema per capitoli in cui i capitoli sono lontani dal centro di costo: deve essere cioè proprio il responsabile del centro di costo quello che provvede alla riallocazione delle risorse in corso di esercizio, con un sistema costruito sul budget e non un sistema finanziario per capitoli, altrimenti non c'è alcun possibile incentivo a riqualificare la spesa facendo delle economie, ma c'è al contrario l'incentivo a spendere fino all'ultima lira, per paura che l'anno successivo la posta venga ridotta. È quindi la radice del sistema che è sbagliata, e lo sarà finché sarà mantenuta l'attuale struttura gerarchica del Ministero, con l'attuale assegnazione dei servizi, con l'attuale sistema dei direttori generali, complicato ora ulteriormente dai sovrintendenti regionali; e questa non è una critica alla destra, perché questo Ministero lo ha rifatto la sinistra, oltre a tutto rimettendo nel baraccone le stesse persone.
Sono convinto che il governo cadrà, ma proprio per queste considerazioni: non passerà cioè la prossima finanziaria, perché tra obblighi europei e conseguenti problemi di restrizione della spesa salteranno le compatibilità e alla fine, saltando le compatibilità di bilancio, salteranno anche le compatibilità politiche. Questa è la mia diagnosi e la mia previsione: penso e dico che a novembre questo governo cadrà, e che comunque, con queste condizioni e questa impostazione di bilancio, anche se fosse un altro governo cadrebbe lo stesso.
Approfitto per fare ancora un'annotazione. Così come viene presentato, il digitale ripropone il vecchio tema della biblioteca universale, della biblioteca di Babele, di tutti quei giocattoli con cui ci siamo sempre divertiti da Alessandria in poi, e quindi risolleva il solito problema del come muoversi, cioè del catalogo e delle competenze del bibliotecario. Siccome queste cose le abbiamo già viste tutte, siamo abbondantemente attrezzati anche per affrontare la questione del digitale; direi soltanto che è un peccato che in generale i denari si spendano ancora molto male, proprio perché non siamo riusciti negli ultimi decenni a intervenire significativamente sulla ridefinizione del sistema, delle competenze e dei poteri: in questo modo il dato di fatto è che chi governa la biblioteca non ha in realtà il potere di governare la biblioteca.

Claudio Chetta
Sottoscrivo la diagnosi, e ricordo però che per trent'anni comunque il governo che ha costruito questo sistema non è caduto. Mi auguro che ci sia dato il tempo per poterlo modificare.

Claudio Leombroni
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Copyright AIB 2004-07-12, ultimo aggiornamento 2004-10-05 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay14/dibattito03.htm


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