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Desiderio Chilovi

Le biblioteche universitarie

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- Ci sono delle biblioteche universitarie in Italia?...

- No.

Una volta c'erano; ma allora i bisogni dell'insegnamento superiore erano diversi e minori dei presenti; le nuove opere letterarie e scientifiche, scarse; e molto limitato il numero di coloro che si recavano alle biblioteche. È soltanto per conservare un glo- rioso ricordo, che, da noi, si dà ancora il nome di biblioteche universitarie ad alcune biblioteche, alle quali tutto manca per esserlo: libri, ordinamento, locali e, persino, un legame qualsiasi che vincoli questi istituti alla Università.

La biblioteca non è, come taluno forse crede ancora, un semplice magazzino in cui è riposto, e debitamente registrato, in una specie d'inventario chiamato catalogo, un numero più o meno grande di libri, custoditi alla meglio, da alcuni impiegati; e dove chi vuole può andare a leggere.

No. I libri per se stessi non costituiscono una biblioteca; sono i materiali primi, indispensabili per averne una.

La biblioteca deve poter accompagnare chi studia in tutto il cammino che vorrà fare: è una istituzione che quando cessa l'insegnamento della scuola, subentra e ne prende il posto. Ma per far questo non basta provvederla di libri e collocarli in bell'ordine negli scaffali. Chi presiede alla biblioteca deve, con occhio vigile e previdente, seguire i progressi continui della scienza e così scegliere ed acquistare, secondo un fine prestabilito, i libri più necessari; deve, da ultimo, render tutti i libri posseduti dalla biblioteca, siano pure centinaia di migliaia, prontamente e facilmente accessibili ai lettori a seconda dei vari bisogni.

Una biblioteca poi, particolarmente addetta ad un istituto letterario o scientifico, ha un cómpito preciso. La sua via è tracciata; non può, e non deve abbandonarla, nè distrarsi dai suoi lettori per attendere ai bisogni di un pubblico diverso da quello che le fu assegnato.

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La biblioteca universitaria è ai nostri giorni, molto più che nei passati, non solo un sussidio continuo, ma un complemento indispensabile all'insegnamento compartito dalla cattedra. Il professore non può abbracciare e comprendere nelle sue lezioni tutto quello che vorrebbe insegnare: egli stesso è costretto a raccomandare al discepolo di chiedere aiuto, consiglio, maggiori notizie e schiarimenti ai libri; di cercare ed esaminare gli autori che sostengono o combattono le teorie e le dottrine da lui insegnate. E questi libri la biblioteca deve averli pronti; ed il professore essere sicuro che lo scolare troverà questi libri. In una solenne occasione il professore di chimica generale Giorgio C. Caldwell faceva giustamente osservare, che il professore di una Università, il quale non possa disporre di una buona biblioteca - non solo per i propri bisogni, ma anche per potervi mandare i suoi discepoli a ricercare da loro stessi il vero, tra i ricordi a stampa del passato e del presente - deve sempre considerare il proprio insegnamento come seriamente incompleto (seriously incomplete).

Ora per quanto fosse manifesta ed evidente quella trasformazione notevole nell'insegnare, essa, da noi, passò come inavvertita rispetto alle biblioteche, e nessun provvedimento fu preso per metterle in grado di potere adempiere bene il nuovo loro ufficio. «Que l'on ne l'oublie pas», diceva il bibliotecario Jules Cousin; «la question spéciale des bibliothèques universitaires demande à être examinée dès maintenant, avec le plus grand soin. Car ce qu'on ne peut nier, c'est que notre enseignement supérieur est entré, de notre temps, dans une nouvelle voie; et qu'il tend de plus en plus à se transformer et à se revivifier au souffle de l'esprit moderne».

L'urgenza di provvedere la biblioteca di libri, a seconda di questi nuovi e mutati bisogni, come pure la necessità di adattare a nuovi fini i locali della biblioteca, crebbero e crescono ogni giorno; ma in Italia per le tristi e dolorose vicende politiche della prima metà del secolo e per la poca importanza che si è data a tutto quanto concerne le biblioteche, negli ultimi quarant'anni nulla si è fatto; ed ogni cosa è rimasta presso a poco come era nel secolo decorso. Impossibilitate a provvedere ai bisogni dell'insegnamento universitario moderno, esse si videro costrette a supplire anche ai desiderî di altri lettori.

E per queste ragioni non si sa più che cosa sia una biblioteca universitaria; perchè ne porti il nome; e in che essa differisca dalle altre. Anzi, ad un paio di tali biblioteche, di Torino e di Palermo, fu tolto addirittura il nome di universitarie. La cosa passò inosservata; il nome non significava più nulla!...

I lamenti che si fanno qui per le biblioteche universitarie si

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potrebbero con grande facilità ripetere, sotto molti altri aspetti, anche per quelle che hanno destinazione diversa; perchè da noi la biblioteca non è ancora considerata come parte integrante ed attiva nel sistema della nostra istruzione pubblica; si considera solo come un magazzino di libri.

Negli Stati Uniti invece, dove in questi ultimi venti anni la biblioteca ha raggiunto una efficacia che prima non si sognava, tutto l'insegnamento, dall'infimo gradino della scuola elementare al più alto, trova il suo principale sostegno, il suo compimento e il suo perfezionamento nella biblioteca. E i resultati ottenuti nel volger di pochi anni sono tali, da recar meraviglia nella vecchia Europa. È impossibile, scriveva in questi ultimi giorni, nella Library, un bibliotecario inglese, ritornare col pensiero al 1889; ed avendo sempre presente quello che in Inghilterra e in America si giudicava essere il vero cómpito di una biblioteca, non rimanere ora fortemente meravigliati di fronte ai progressi enormi ottenuti nel suo ordinamento, e ancor più nell'affermare quello che ciascuna biblioteca deve essere.

Ma non è questo il momento opportuno per parlare delle nostre biblioteche considerate nel loro insieme, quantunque questo esame sarebbe molto istruttivo. Qui basta accennare che fra di loro non esiste ancora un accordo: che le nostre biblioteche pubbliche, appartenenti allo Stato, non sono in modo alcuno collegate a quelle di altri enti diversi, quasi non avessero comune l'intento e il dovere di far progredire gli studi e promuovere la cultura nazionale.

Il poco che per le nostre biblioteche è stato pensato e fatto in tanti anni di libertà, non esce dalla cerchia ristretta delle trenta biblioteche pubbliche governative. I ministri Bargoni e Bonghi, e poi l'on. Ferdinando Martini, mentre era segretario generale della istruzione pubblica, cercarono di dare a queste biblioteche un assetto più razionale; ma nell'opera loro, bene incominciata, furono interrotti.

Rispetto alle biblioteche governative minori, e alle altre che non dipendono dal Governo, nulla si è fatto se si toglie la facoltà data, dall'on. Martini, alle biblioteche governative, di concedere, entro certi limiti, e sotto certe condizioni, i libri in prestito alle biblioteche comunali. Questo atto lodevolissimo è il primo, anzi l'unico, col quale il Governo riavvicina le une alle altre, mostrando l'obbligo loro di aiutarsi a vicenda. Ma è poco! e fu una vera fatalità che, per le biblioteche non governative, non fossero effettuate le idee, che più volte ho udite esporre di viva voce all'onorevole Bonghi.

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Vi fu un momento, nel 1882, in cui il Parlamento stesso si mostrò preoccupato di tali condizioni anormali, e nominò una Commissione d'inchiesta; la quale, coi suoi consigli, avrebbe potuto decidere e stabilire l'ordinamento futuro delle nostre biblioteche. Ma la Commissione iniziò i propri lavori, non li continuò; non presentò il risultato delle indagini fatte nè al Parlamento nè al paese; e i provvedimenti da prendersi si aspettano ancora.

Questo stato incerto e d'abbandono delle nostre biblioteche in generale, spiega pur troppo come anche le Universitarie non siano più tali, bensì biblioteche omnibus; con le quali si vorrebbe riparare a tutto mentre non possono contentare nessuno.

Tornando al nostro discorso, se si consulta il regolamento in vigore (articolo 7) si avverte che «le biblioteche universitarie sono costituite non solo dai libri esistenti entro la biblioteca, ma ancora da quelli che trovansi presso i gabinetti, i laboratorî, le cliniche, i musei e gli altri istituti o scuole speciali dipendenti dall'Università», e che «hanno per obbligo: a) di porgere ai discenti il necessario sussidio a quelli studi che si compiono nell'Università stessa; b) di offrire agli insegnanti gli istrumenti alla ricerca, nelle condizioni presenti della scienza che essi professano».

Abbiamo dunque una biblioteca principale e comune per gli studi che si compiono nelle Università, e diverse librerie speciali.

Ora, prima di ogni altra cosa si deve notare che in Italia l'ingresso alla biblioteca principale di una Università è libero a tutti, ai giovani, ai vecchi, ai professori e agli scolari, ai dotti, ai semidotti e anche ai fannulloni, purchè abbiano oltrepassato il sedicesimo anno di età... Non è come in altri paesi dove un estraneo, per poter frequentare queste biblioteche, deve chiedere e ottenere il permesso dal Rettore dell'Università. In Francia, per esempio, l'articolo 15 del regolamento delle biblioteche universitarie è molto chiaro:

«Sont admis de droit dans les salles de lecture:
«1° Les membres du corps enseignant;
«2° Les étudiants de toutes les Facultés à quelque école qu'ils appartiennent, sur la présentation de leur carte d'étudiant.
«Sont admises, en outre, les personnes munies d'une autorisation délivrée par le Recteur».

Questo lasciare aperta a due battenti, come si fa da noi con licenza eccessiva, la porta della biblioteca universitaria farebbe almeno supporre una sovrabbondanza di libri tale, da potere appagare i bisogni e i desiderî di chiunque, cominciando dal libro che contiene le più graziose e geniali creazioni della fantasia e terminando con le opere nelle quali si studiano le più gravi e più ardite speculazioni scientifiche.

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Ma non è così!

I loro scaffali possono essere stivati con libri, ma essi non sono quelli proprio necessari all'insegnamento universitario. Con l'aiuto d'una simile libreria si potrà forse scrivere la storia di una scienza nei tempi trascorsi, ma essa non rispecchierà il pensiero moderno, la sua incessante produttività ed il continuo progredire dello spirito umano. Tolti i libri annoverati come classici in qualsivoglia materia, che vi devono essere perchè si possono ancora studiare in una Università, restano ben pochi libri pubblicati nella seconda metà del nostro secolo.

Se, per un caso strano, vi fosse qualcuno che dubitasse di questa deficienza di opere, o meglio, se qualcuno volesse accertarsi fino a qual punto essa giunga, senza andare per le lunghe, basterà - trascurando la grande scarsezza di opere italiane e di Riviste scientifiche più necessarie, e per le quali soltanto occorrerebbe, al dire di un dotto bibliotecario tedesco, per una grande Università un assegno annuo di 25000 lire - basterà, dico, consultare un documento ufficiale, e precisamente, la tabella statistica dei libri stranieri moderni acquistati o ricevuti in dono dalle biblioteche governative, inserita nel Bollettino della biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, stampato nel dicembre 1899.

Là si riscontra, che a Torino, per la Facoltà giuridica della sua insigne Università, le opere moderne straniere entrate nella biblioteca durante il 1899 furono 63 (sessantatre), mentre quelle del 1898 ascesero in tutte a 56 (cinquantasei). Queste 63 opere, (non saprei dire quante sono scritte in francese, in inglese o in tedesco) devono rappresentare per 20 insegnanti e per i giovani che assistono alle loro lezioni, gli studi fatti durante l'anno, le osservazioni raccolte, i resultati ottenuti presso le altre nazioni civili del mondo, nelle discipline seguenti: fonti, storia e filosofia del diritto, istituzioni di diritto romano, diritto e procedura civile e penale, diritto canonico, costituzionale, internazionale, amministrativo, commerciale, legislazione civile, legislazione comparata, economia politica, finanza, statistica...

In mezzo alla marea sempre più crescente di nuovi libri che da tutte le parti ci innonda, anche senza comprendervi le pubblicazioni di documenti ufficiali e di statistiche, si resta trasecolati pensando che queste sessantatre opere dovrebbero contenere in sè il fiore di tutto quello che in queste discipline diverse si è studiato e stampato in un anno nel mondo civile. Pare di essere risaliti ai bei tempi nei quali l'abate Bignon, bibliotecario della Reale, ora Nazionale, di Parigi, in una sua lettera del 28 marzo 1726, faceva istanza perchè il Re destinasse alla biblioteca un assegno

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speciale per acquistare libri stampati all'estero «et cet article mérite d'autant plus de considération, que dans le cours d'une année il ne s'imprime au plus en France, qu'une vintaine de volumes grands ou petits qui puissent être d'une véritable utilité au sçavans, au lieu que dans le reste d'Europe, il s'en imprime bien le double; qu'il est honteux de n'avoir pas dans une bibliothèque telle que celle du Roy...».

La mancanza dei libri necessari all'insegnamento universitario e l'insufficienza degli assegni accordati per l'acquisto di nuovi libri sono lamentate non solo in Italia, ma anche altrove. Di recente, nella Tägliche Rundschau di Berlino (25 gennaio 1900) si osservava che con le ultime innovazioni introdotte nell'insegnamento universitario della giurisprudenza, lo studio del diritto civile germanico acquistava nuova e grandissima importanza. Ora i giovani che vogliono essere ammessi al primo esame di giurisprudenza, sono costretti a presentare due lavori sul diritto civile, scritti da loro, e poi giudicati dal professore. È evidente che essi dovranno studiare il nuovo diritto civile germanico nelle sue fonti, negli scritti e nei commenti che intorno al medesimo furono già pubblicati in questi ultimi anni. L'egregio scrittore crede che la sola biblioteca universitaria di Berlino abbia le principali opere o memorie necessarie, in tutte 500 almeno, opere e memorie che alle altre biblioteche universitarie tedesche mancano.

So benissimo che in tanta miseria di libri molti professori per salire degnamente la loro cattedra si procurano con gravi sacrifici personali, a proprie spese, le opere più necessarie che la biblioteca dovrebbe avere per loro; e che il regolamento dichiara, alla pari degli apparecchi e delle macchine per lo studio della fisica, strumenti necessari alle loro ricerche nelle condizioni presenti della scienza. So pure, per averlo io stesso costatato, che, al bisogno, molti professori prestano, con liberalità mai abbastanza lodata, i loro libri agli scolari più solleciti d'imparare. Ma non si può ragionevolmente fare assegnamento in cotesto disinteresse, in cotesta liberalità; non si può ammettere che gli scolari manchino di libri giudicati necessari perchè la lezione riesca pienamente proficua.

Il nostro insegnamento superiore non può e non deve restare segregato, neppure in parte, dal pensiero moderno delle nazioni civili. L'Italia ha da trar profitto degli studi fatti altrove, come altrove si trae profitto dei nostri; e deve offrire, come fece gloriosamente in passato, a tutto il mondo i risultati delle proprie indagini e delle proprie scoperte.

Per le scienze sperimentali la cosa procede in modo molto

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diverso. Esse, lasciata da parte la biblioteca universitaria come se non esistesse, perchè mancante delle opere e Riviste le quali sarebbero necessariamente utili anche al loro esercizio, si aiutano come possono colle librerie speciali esistenti nei gabinetti e musei relativi. Però questo spartimento di mezzi, sotto un aspetto, senza alcun dubbio, necessario e molto vantaggioso all'insegnamento stesso, presenta, così come è praticato da noi, alcuni inconvenienti; e ciò, perchè la biblioteca comune e le librerie speciali percorrono ciascuna la loro via senza darsi pensiero delle altre, senza mettersi fra di loro d'accordo, senza aiutarsi reciprocamente.

La biblioteca universitaria si crede esonerata dall'acquistar libri nelle discipline che hanno già una libreria speciale. C'è, si dice, chi ci pensa! Ma il professore destina gli scarsi assegni all'acquisto dei libri più necessari agli studi e alle ricerche che, in un dato momento, si fanno nel suo laboratorio o gabinetto. E sta bene! Non potrebbe adoperarsi altrimenti; perchè, come stanno le cose, nessuno si troverebbe in grado di supplirlo nel farne una scelta migliore. Se poi ricercasse e acquistasse anche i libri per studi o per investigazioni diverse, da farsi in seguito da altri, egli farebbe... il bibliotecario e non il professore!

In questo modo, però, la libreria di un laboratorio o di un gabinetto non potrà mai rappresentare per intiero e nella sua continuità la storia e lo svolgersi di una scienza; nè rispecchiare tutto il pensiero che la informa e le dà vita; ma lo indicherà sempre in modo frammentario e a sbalzi, non sarà mai la biblioteca di una determinata scienza.

È la biblioteca comune, la biblioteca universitaria che, anche sulle indicazioni stesse del professore, dovrebbe supplire a queste manifeste mancanze della libreria speciale, per segnare, sia pure a grandi linee, ma con esattezza, il sentiero luminoso percorso da una scienza. Le librerie speciali non sono librerie che devono stare sospese in aria, e vivere da sè. Esse sono una parte della grande biblioteca e se, entro il confine a loro assegnato, devono possibilmente conformarsi alle esigenze degli studi che si fanno, sono e devono essere sempre collegate fra di loro, e tutte insieme costituire la biblioteca universitaria; la quale, se da parte sua attende in modo particolare alle scienze morali e politiche, non deve per questo trascurare le scienze sperimentali. Altrimenti, se si continua di codesto passo, si accumulano qua e là libri sopra libri, ma le lacune saranno un giorno tali e tante da non permettere più di fare, se non con sacrifici grandissimi, certi studi, specialmente nei rami di una scienza che non ha un insegnamento cattedratico particolare. Vi è di più! Se si continua così, se la

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biblioteca universitaria non vuole o non può adempiere all'ufficio suo, mancheranno anche tutte le opere costose le quali, trattando, per la natura loro, materie diverse, nessuna libreria speciale vuole o può acquistare a proprie spese. Fra tante opere di questo genere, potrei ricordare, per meglio spiegarmi, i viaggi di esplorazione, nei quali si trovano notizie, osservazioni e memorie talvolta importantissime, non solo per lo studio della geografia, della geologia, dell'antropologia, della zoologia, della botanica, ecc., ma anche per ciò che riguarda il culto della divinità, la storia e la filosofia, ecc.

Un altro guaio sta in questo: che per solito il direttore del laboratorio o del gabinetto considera, nell'uso, le opere da lui acquistate col pubblico denaro, come cosa quasi propria. Certo egli le ha comperate per averle a mano, ma ciò non esclude che sia desiderabile che, potendo, riescano utili anche agli altri. A questo fine fu tentato, ma inutilmente, di far registrare queste opere nel Bollettino delle opere straniere pubblicato dalla biblioteca Vittorio Emanuele di Roma, affinchè gli scienziati di tutta l'Italia sapessero almeno dove alcuni di questi libri si potrebbero consultare: mentre così non possono neppure essere richiesti in prestito dalle altre biblioteche governative, mentre forse nella libreria speciale stanno dormendo sotto la polvere!

E qui giova fare un'osservazione d'una grave importanza per la cultura italiana. I libri scientifici non si trovano da noi che nelle biblioteche dei gabinetti, ecc., e sono, come ho detto, raccolti, non con larghezza di idee, ma secondo il denaro che si può spendere e secondo i momentanei bisogni dell'insegnamento. Le grandi biblioteche per scarsità di mezzi, anche se volessero, non potrebbero acquistare questi libri. Ora che cosa succede? Che se uno scienziato italiano fa studi diversi da quelli che si insegnano dalla cattedra dell'Università, non trova libri per sè; se poi studia materie insegnate dalla cattedra ed egli non è nelle buone grazie del professore, oppure combatte addirittura le teorie o le dottrine da lui esposte, allora egli è certo di non potersi valere nemmeno dei libri esistenti nei gabinetti. Si sarebbe in qualche modo provveduto alla scienza ufficiale, ma il lettore cortese converrà che non basta!

Da una migliore intelligenza fra la biblioteca comune e le librerie speciali si avrebbe quest'altro vantaggio; che la biblioteca universitaria potrebbe, come di recente ha fatto quella universitaria di Berlino, inviare i suoi impiegati a queste librerie speciali per compilarne con la necessaria esattezza bibliografica i cataloghi; potrebbe inoltre, ogni dieci o venti anni, ricevere da queste librerie tutte quelle opere che il direttore del gabinetto o

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laboratorio giudicasse non essere più per lui costantemente necessarie. Oramai, come ho detto, è a tutti noto che nello studio delle scienze sperimentali, eccettuati i libri che fanno testo, si consultano solo di rado opere stampate da oltre 50 anni. Il gabinetto si sbarazzerebbe di questi libri inutili per lui, sicuro di poterli riavere ad ogni richiesta; mentre conservati nella biblioteca universitaria per il loro valore storico potrebbero essere sempre studiati. In tal modo si manterrebbero entro giusti limiti le librerie speciali, evitando che col continuo aumentare si trasformassero in vere biblioteche.

Ma ad onta di tutti questi inconvenienti, e di altri ancora che qui non importa indicare, io sono convinto che in questo momento in Italia le librerie speciali siano, più delle altre biblioteche, utili agli studiosi. Esse hanno almeno dei frequentatori, siano pur pochi, i quali si dedicano ad uno studio particolare; esse sanno a che cosa e a chi devono servire, esse hanno un avviamento, chiaro, fermo, sicuro.

Non è così della biblioteca universitaria. Essa non vive come ho detto per i suoi professori e per i suoi studenti, trascina una vita stentata, distribuendo libri ad una folla promiscua di studiosi, di lettori e di... chiamiamoli dilettanti.

E a proposito di questa distribuzione di libri, fra la nostra biblioteca universitaria e le librerie speciali, si nota una grande diversità. Nel dare i libri, si possono seguire due sistemi diversi. Attenendosi a quello ordinario, da alcuni chiamato autocratico, i libri sono sempre indicati e richiesti dal lettore, e presi e consegnati a lui dai distributori, oppure, per fare una notevole economia, da inservienti assistiti da un sottobibliotecario: in ogni modo da un impiegato. Seguendo invece l'altro sistema, detto liberale, e immensamente più gradito dai lettori, si accorda, entro limiti più o meno ristretti, libero accesso agli scaffali, se non a tutti i lettori indistintamente, a una parte di coloro che sono ammessi alla biblioteca. L'estensione di questa facoltá a tutti i lettori fu già sperimentata con esito felice, in alcune piccole biblioteche; ma là tutto era predisposto a questo fine.

In questo caso non è più l'impiegato che va a prendere il libro domandato dal lettore che aspetta; è invece il lettore che, anche senza servirsi del catalogo, cerca e sceglie negli scaffali il libro che più gli piace, mentre l'impiegato aspetta che glielo porti per poterglielo, se è necessario, regolarmente consegnare.

È al di sopra di ogni dubbio il grandissimo profitto che ne ritrae lo studioso dal vedere, sfogliare ed esaminare, togliendoli a suo talento dagli scaffali, tanti libri, che si riferiscono ai suoi

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studi prediletti; e per questo il desiderio del lettore di accedere agli scaffali è vivo e giustificato. Certo una ammissione generale dei lettori agli scaffali, come è quella della quale si parlava poc'anzi, presenta per una grande biblioteca gravi difficoltà, e forse così grandi che non saranno mai superate; quantunque l'edifizio ideato per una grande biblioteca da Federico Guglielmo Poole, con un seguito di sale diverse di studio, possa considerarsi come un avviamento alla soluzione di questo difficile problema. Da noi le difficoltà sono tali da non rendere possibile neppure un'ammissione agli scaffali limitata a certe persone, come può fare, per esempio, la biblioteca Reale di Berlino (Regolamento, § 34, 35); o come all'Università di Gottinga, dove l'esimio bibliotecario Dziatzko calcolava che in un anno si consultassero, a questo modo, circa diciottomila volumi. In tutta Italia il più che si è potuto ottenere sotto questo aspetto fu, dove i locali lo consentivano, di formare delle piccole librerie di consultazione (enciclopedie, dizionari, ecc.) accessibili ai lettori, a somiglianza di quella grande che esiste nella sala di lettura del British Museum. E niente più!

Detto questo occorre notare che nelle nostre Università sono in vigore tutti e due questi sistemi. La biblioteca principale distribuisce i libri a richiesta, e considera e tratta i professori e gli studenti presso a poco come qualunque altra persona estranea. Nelle librerie speciali invece, il professore, i suoi aiuti e gli studenti degli ultimi corsi, non disturbati da estranei, possono con più o meno facilità recarsi in persona agli scaffali, esaminare i volumi che a loro più talentano; in una parola essi si sentono padroni di tutti i libri là riuniti. Questo stridente contrasto, mentre toglie a chi fa studi di scienze sperimentali ogni voglia di frequentare la grande sala di lettura, è, sotto più rispetti, dannosissimo anche a coloro che frequentano le Facoltà di scienze morali e politiche, perchè, non trovando nella biblioteca aiuto e agevolezze, la frequentano quasi unicamente per leggere i libri di testo che non vogliono acquistare. E il bibliotecario non può fare altrimenti. Fra le molte e diverse cause che glielo impediscono non ultima è la pessima collocazione dei libri e la ristrettezza dei locali. Molte biblioteche si videro, solo per questa ristrettezza, costrette a collocare i loro libri negli scaffali alla rinfusa, suddivisi per formato, invece di dar loro, come per il passato, un ordine sistematico qualunque. Come potrebbe il lettore, con una simile disposizione dei libri, accedere agli scaffali, quando gli stessi impiegati per ritrovare qua e là un libro qualunque hanno sempre bisogno delle indicazioni del catalogo?

Tutte le nostre biblioteche indistintamente risentono le tristi

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conseguenze dei loro locali edificati nel secolo passato. Ai giorni nostri per l'accrescersi della suppellettile letteraria e scientifica essi furono semplicemente ingranditi, senza tener in alcun conto le mutate condizioni e i nuovi bisogni di questi istituti. E questo gravissimo errore di volere ingrandire dei locali che non possono adattarsi alle nuove esigenze della biblioteca (errore che per le sue irreparabili conseguenze dovrebbe essere evitato con qualunque sacrifizio), si ripete ancora. Un nuovo esempio lo abbiamo a Napoli. Fra i nuovi istituti scientifici che si dovranno costruire per quella grande Università si è anche pensato alla biblioteca; ma essa sarà semplicemente ampliata, e non sorgerà nuova dalle fondamenta. Così essa potrà contenere un maggior numero di scaffali e di libri, ma non avrà mai i locali di cui abbisogna; non avrà mai un ordinamento razionale nei suoi servizi; non sarà mai una vera biblioteca universitaria.

Del resto è molto tempo che i locali delle nostre biblioteche furono severamente giudicati. Nel 1877 il signor Vincenzo Quesada, bibliotecario di Buenos Ayres, reduce da un viaggio fatto in Europa per visitarvi le principali biblioteche, scriveva nella sua relazione: «La Italia, que possée esplendidos templos de valor fabulosos, no cuenta una sola biblioteca, entre las 27 de l'Estado, cuyo edificio sea apropriado à sus fines. Construidos con objetos diversos se han utilizado como ha sido possible» (I, pag. 532).

Ma fino a questo punto ho considerato la biblioteca universitaria come un istituto aperto a tutti. Sbarazzate invece dai lettori che non appartengono alla Università, e fra questi ammessi unicamente coloro che eccezionalmente sono muniti di regolare permesso, dobbiamo ora aver sempre presente che la biblioteca è il laboratorio della parte più numerosa degli studenti della Università; di quelli cioè che sono ascritti alle Facoltà di giurisprudenza, di lettere e filosofia, per le quali non si fabbricano ancora edifizi speciali; di quelle scienze il cui insegnamento non richiede strumenti, macchine, esemplari e persino il cadavere dell'uomo, ma unicamente dei libri.

La lezione data dalla cattedra potrà forse bastare all'insegnamento professionale, poichè in quello si spiegano ed annunziano i resultati ultimi ottenuti in una scienza; ma è addirittura insufficiente per quei giovani che si vogliono consacrare puramente ad una parte speciale di una scienza; a coloro che per alta intelligenza saranno chiamati a farla un giorno progredire. La lezione detta dall'alto della cattedra ha una efficacia molto diversa da quella del libro. Nel libro si può, volendo, fermarsi e meditare ogni singola parola; si può rileggere quello che si è già letto, si

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può, al bisogno, chiedere aiuto e consiglio ad un altro libro. Alla lezione pubblica non si può far ripetere quello che non si è potuto udire, quello che si è frainteso, quello che si è scordato. La viva parola del maestro infiamma e lascia desiderio profondo e inestinguibile di sapere nell'animo e nella mente dello scolare, quando è ispirata all'alto fine che una scienza si propone, ai molti doveri che essa accenna; quando è risposta ad una domanda fatta; quando spiega quello che lo studente non ha saputo o non ha potuto capire; quando chiarisce le oscurità e i dubbi della sua inesperienza. È nelle sale della biblioteca universitaria, in mezzo ai libri, che il professore potrebbe e dovrebbe ritornare, discorrendo familiarmente, sull'argomento della sua lezione, o sulle traccie, talvolta fuggevoli, lasciate dall'insegnamento orale; è la che g!i sarebbe dato di ammaestrare a viva voce l'alunno nell'arte non facile di rinvenire le fonti e saperle studiare; come pure in quella ancor più difficile di servirsi accortamente del libro e di non distrarre e disperdere la propria energia in letture inutili. Così fa il professore di scienze naturali quando guida od educa negli esperimenti la mano ancora inesperta o mal destra del giovane. È là soltanto, in mezzo ai libri, che il professore potrebbe e dovrebbe avviare ed assistere il giovane in quelle speculazioni geniali alle quali si sente più attratto e nelle quali l'insegnante, dalla cattedra, non può essergli nè guida nè maestro. Più volte la parola del professore, detta senza pretesa alcuna d'insegnare, ha efficacia maggiore di una lezione! È in questi discorsi, che il professore può meglio che nella scuola scoprire ed apprezzare le doti della mente e le particolari attitudini del giovane che, altrimenti, conosce forse appena di nome.

In Italia, quasi senza accorgerci di questa grande trasformazione che si compieva e si compie, intorno a noi, la biblioteca via via si staccò dalla sua Università; si mostrò sempre più indifferente all'insegnamento, e, scarsa di mezzi, incerta su quello che doveva essere, non si curò dei bisogni dei suoi lettori. Quale meraviglia se enorme è la diversità che si riscontra fra le nostre biblioteche universitarie e quelle fra le straniere che meglio rispondono al loro fine? Quanto è manchevole e insufficiente il sussidio da noi offerto, con questi istituti, all'insegnamento dei professori, agli studi dei loro discepoli!

Per dare al lettore una idea di così incredibile differenza citerò qui una di queste biblioteche straniere: la biblioteca Cornell, perchè sorta da poco tempo, non obbligata a custodire dei cimeli o dei libri per antichità introvabili, non fuorviata da vecchie consuetudini, ha potuto, con larghezza di mezzi, francamente e liberamente adattarsi ai bisogni dei suoi lettori. Ecco la sua breve, ma gloriosa storia.

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Il Governo degli Stati Uniti, volendo imprimere nuova e rigogliosa vita all'insegnamento superiore, aveva, nel luglio 1862, ceduto gratuitamente ai diversi Stati dell'Unione, vasti terreni.

Per approfittare della liberale concessione, il vecchio, austero e benefico quacquero, Ezra Cornell, offriva 500000 dollari per la fondazione di un istituto nel quale chiunque potesse, come egli desiderava, trovare l'insegnamento che stimava più necessario per dedicarsi poi a qualunque ricerca scientifica. Il nuovo istituto doveva sorgere a Ithaca, nello Stato di Nuova York, dove Ezra Cornell, arrivato povero nella sua gioventù, si era dato alla meccanica ed aveva menato vita molto laboriosa e stentata fino al momento in cui il professore Morse inventò il suo telegrafo. A lui egli si associò per costruire la prima linea telegrafica di prova fra Washington e Baltimora. Riuscito felicemente quel primo impianto, ne seguirono altri che a lui fruttarono onori e ricchezze; ma della ricchezza usò sempre a beneficio d'altri e largamente.

Così, in grazia di Ezra Cornell, sul dolce declivio di una collina dominante la piccola città d'Ithaca e dalla quale si ammira e si gode uno dei più pittoreschi panorami del mondo, nell'ottobre 1868, venne inaugurata l'Università che porta il nome di lui. Ma allora sui terreni che appartengono alla Università (University Campus), non si vedevano che poche case, fra le quali uno stabilimento idroterapico che nei primi anni servì di sede provvisoria all'Università. Presentemente più di venticinque grandiosi edifizi furono, col mezzo di ricche offerte private, eretti dalle fondamenta e destinati ai diversi istituti scientifici dell'Università. Fra questi, uno degli ultimi, fu quello assegnato alla nuova e definitiva sede della biblioteca universitaria.

Da poco istituita, la biblioteca crebbe rapidamente, e conta già più di 200000 volumi e 30000 opuscoli. Ma non è il numero grande dei volumi raccolti, che dà una importanza notevolissima a questa biblioteca, considerata già fra le migliori universitarie. È la cura grandissima con cui i libri moderni furono scelti e messi insieme, cominciando da quelli comperati in Europa e donati alla biblioteca dallo stesso Ezra Cornell; è l'idea predominante di offrire in dono o acquistare per gl'insegnanti e per i discepoli, come strumenti di studio, i libri stessi già scelti ed adoperati con amore intelligente da coloro che in una qualche disciplina erano saliti in grande rinomanza. Fra le librerie private che hanno concorso a formare la nuova biblioteca universitaria basterà qui ricordare i 6000 volumi di filologia latina e greca appartenenti a Carlo Anthon, l'erudito editore del Classical Dictionary; le 1500 opere di matematica di Guglielmo Kelly; i 3000 volumi sulla storia inglese di Goldwin

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Smith; le 5000 opere e i 4000 opuscoli di storia americana dell'illustre storico Jared Sparks, raccolta che comprende manoscritti, stampe, disegni, ecc., e lettere autografe di Washington, Franklin, Lafayette, e d'altri; i 2000 volumi per lo studio della filologia orientale e comparata di Francesco Bopp, della Università di Berlino; i 600 volumi per lo studio delle credenze popolari e della storia e letteratura russa regalati da Eugenio Schuyler; i 13000 volumi per la letteratura e storia tedesca di Federico Zarncke, già professore all'Università di Lipsia e direttore del Literarisches Centralblatt, generosamente acquistati per la biblioteca da Guglielmo H. Sage; la libreria legale di oltre 20000 volumi offerta per onorare la memoria del preside Boardman e quella splendida di storia e di scienze sociali (20000 volumi) offerta, e continuamente arricchita, dall'illustre storico e diplomatico Andrea Dickson White, primo rettore e quasi fondatore di questa Università, alla quale aveva già precedentemente donato 1200 opere d'architettura.

Non basta! A queste ricche collezioni, ciascuna delle quali abbraccia buona parte di un ramo dello scibile, bisogna aggiungere le raccolte di libri intorno ad un particolare soggetto, come, per esempio, quella di Samuele J. May sulla schiavitù e la sua abolizione in America, e i 1500 volumi in lingua romancia raccolti nell'Engadina dall'eminente bibliografo Willard Fiske, che da alcuni anni dimora fra noi, ospite molto gradito. Egli fu il primo bibliotecario di questa nascente biblioteca, che sotto la sua sopraintendenza, dal 1868 al 1883, arrivò a possedere 70000 volumi.

Gli Italiani poi devono essere specialmente grati al signor Fiske per avere promosso in America lo studio ed il culto di Dante, donando a questa biblioteca una ricchissima ed invidiata collezione di edizioni della Divina Commedia, di traduzioni fattene in molte lingue e di una grande quantità di scritti su Dante o intorno ai suoi tempi. In tutto sono circa 4000 stampati, dei quali si pubblica ora il catalogo.

Da tutti questi doni preziosissimi apparisce evidente come è in tutti grande la convinzione che la biblioteca è necessaria alla Università e che tutti si industriano a renderla sempre più ricca e più utile.

In quanto al nuovo edificio di questa biblioteca, senza parlare delle librerie speciali che hanno la loro sede nei diversi istituti scientifici, basterà dire che potrà contenere, senza bisogno di ulteriori possibili ingrandimenti, 450000 volumi, e che offre a 220 lettori una gran sala comune, un'altra sala, pure comune, è per la lettura dei giornali letterari e scientifici, ed una terza gran sala destinata alle conferenze, nella quale possono star sedute

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comodamente 900 persone. A queste grandiose aule furono aggiunte altre sette sale (seminary rooms), riservate allo studio della filosofia, della storia d'Europa, di quella d'America, delle lingue classiche, della lingua e letteratura inglese, del francese e del tedesco, e delle scienze politiche e sociali.

Queste sale riservate della biblioteca sono il vero laboratorio intellettuale per chi studia scienze morali e politiche. Là gli scolari che si dànno a particolari ricerche sono assistiti dai loro professori. In quanto ai libri, dei quali ciascuna di queste sale è riccamente provveduta, si possono ripartire in tre classi distinte: quelli inamovibili che formano le librerie di consultazione; quelli che il professore desidera che là siano provvisoriamente riuniti durante il corso delle sue lezioni, e finalmente quei libri che lo studioso ha bisogno di avere sempre pronti per ragione delle ricerche speciali che fa. Nell'anno 1895-96, per esempio, queste librerie di consultazione si accrebbero di 826 volumi, e in queste sette sale di studio vennero trasportati dai magazzini della biblioteca 2004 volumi, là temporaneamente collocati per ordine dei professori, o per desiderio degli alunni. Così gli studiosi non hanno a loro disposizione, dopo averne fatta richiesta, solo un numero di volumi molto limitato dal regolamento (in Italia 2 opere o 4 volumi al più), ma tutti i libri necessari; essi possono liberamente servirsi di tutte queste opere, e là possono ancora avere qualunque altro libro della biblioteca. Non basta! Agli studenti graduati, il bibliotecario può dare per un tempo limitato il permesso di accedere agli scaffali (Cards of admission) di una determinata sezione di opere, e previa raccomandazione del professore, anche agli scaffali dell'intiera biblioteca.

Questi provvedimenti dimostrano nel loro insieme con tutta evidenza quanto è grande l'aiuto che nei loro studi la biblioteca offre ai giovani; ma la parte molto importante che si vuole assegnata alla biblioteca per raggiungere gli alti fini che l'Università si propone, si rivela in modo ancor più chiaro nell'ordinamento stesso dato alla direzione suprema dell'Università. Perchè tanta ricchezza di libri sia rettamente usata, perchè i nuovi acquisti fatti dai professori, e le facilitazioni accordate ai lettori siano sempre in perfetta armonia colle lezioni che si dànno, e affinchè le librerie speciali degli istituti non vivano isolatamente, ma unite concorrano a render più completo l'insegnamento, e perchè possa essere vera fonte di potenza intellettuale, è necessario che il bibliotecario abbia nel corpo insegnante un posto autorevole. E perciò egli fa parte ex-officio del Consiglio superiore di direzione e di vigilanza della Università (Board of Trustees) come ne fanno parte, ad egual titolo, il rettore della Università, il governatore di Nuova York, ecc.; e così pure ex-officio fa parte del Comitato esecutivo (Executive Committee) assieme al rettore; quasi a dimostrare che come al rettore spetta l'onore di rappresentare l'Università e sorvegliarne l'insegnamento, il bibliotecario viene a lui associato per accertarsi che i libri posseduti o che si acquistano assecondino sempre con unità di propositi l'insegnamento impartito dalla cattedra.

E quindi bene a ragione, e con giusto orgoglio, nel discorso solenne col quale s'inaugurava il nuovo edificio di questa biblioteca universitaria (ottobre 1891), si poteva pubblicamente affermare che agli studenti, per poter continuare con risultati felici le loro libere ricerche, si offrivano in quella biblioteca comodità ed agevolezze non ancora superate in alcun altro paese del mondo; e nel 1893, il signor E. H. Woodruff, bibliotecario della «Stanford University», poteva additare al Congresso di Chicago quell'edifizio come l'esempio più perfetto che si avesse sul modo di adattare tanta ricchezza ed abbondanza di suppellettile letteraria e scientifica al fine più utile di chi studia, facendo per di più notare che l'edifizio di quella biblioteca era forse la prova materiale più evidente e più caratteristica per dimostrare la grande diversità che correva tra l'insegnamento universitario presente e quello del passato.

Così utili e desiderate innovazioni trovarono subito, come era naturale, imitatori. Anche di recente, nel nuovo edifizio inaugurato per la biblioteca universitaria di Princeton, New Jersey, oltre alle due grandi sale comuni, vi sono quindici sale speciali di studio, destinate alle scienze storiche, filosofiche e filologiche.

In Italia l'inadattabilità dei locali ai bisogni recenti delle biblioteche universitarie reca, nessuno oserà metterlo in dubbio, danno gravissimo all'insegnamento. Ora le maggiori cure rivolte all'istruzione pubblica superiore sono quelle di provvedere alla costruzione di nuovi palazzi per gli istituti scientifici. Inalziamo pure, se ciò è necessario, per tutta Italia, questi templi sacri alla scienza, ed auguriamoci che da ogni dove vi accorrano i fedeli ad ascoltare religiosamente gli insegnamenti che là si daranno. Ma non per questo si dovrebbe dimenticare che vi sono altri bisogni, e che i libri ai quali è affidato il pensiero delle passate generazioni, e che devono ispirare quello della presente, sono le pietre fondamentali, sulle quali deve inalzarsi e riposare tutto l'edificio del pubblico insegnamento.

Si sa, e si vede benissimo, quanto sia giusta l'osservazione, fatta nel Centralblatt für Bibliothekswesen da Adolfo Langguth, che le scienze naturali, considerate per lungo tempo dagli altri

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scienziati come tante Cenerentole, e trattate quindi duramente in particolar modo dagli uomini di lettere, prendono ora la loro rivincita e il sopravvento, e vogliono per sè tutti gli assegni straordinari che il paese può accordare alla pubblica istruzione superiore. Ma se dei milioni spesi, e non devono essere pochi, a fabbricare nuovi palazzi per gli istituti di scienze fisiche e naturali, se ne fosse destinato anche uno solo a migliorare la suppellettile letteraria e scientifica delle pubbliche biblioteche governative, è certo che non sarebbe stato speso male, nè inutilmente; come pure è certo che non si sciuperebbero i denari destinati a procurare alle biblioteche universitarie locali tali da metterle in grado di potere adempiere l'ufficio loro, non solo verso i professori, ma anche di fronte al più gran numero degli studenti ascritti ad una Università.

Ma io credo che questo stato di cose cesserà presto. Il progetto di dare alle nostre Università piena libertà in fatto di amministrazione interna, di disciplina, di ordinamento didattico, sarebbe provvidenziale anche a queste biblioteche. Una Università senza biblioteca propria non si può immaginare, perchè tutti gl'insegnamenti ne soffrirebbero e l'insegnamento universitario delle scienze morali e politiche andrebbe sempre più decadendo, e sarebbe ogni giorno più difettoso e manchevole. Tutto il mondo civile lo può attestare. Il bisogno per i professori e per gli studenti di avere una buona biblioteca è manifesto, come è evidente che il nuovo Consiglio accademico solo potrà e saprà dare questa desiderata unità di intenti alla sua biblioteca principale e alle sue librerie speciali. Esso solo saprà riordinarle nel miglior modo a profitto degli studi e secondo le speciali esigenze dell'Università. La fama stessa dell'Università dipende da questo, perchè, come diceva uno dei più illustri bibliotecari dei nostri giorni, Guglielmo Federico Poole, della «Newberry Library», nel suo discorso (The University Library and the University Curriculum) a proposito delle biblioteche americane, «una volta la rinomanza di una Università dipendeva esclusivamente dalla fama professionale dei suoi insegnanti, ora invece, prima di darne un giudizio, si vuole conoscere anche la ricchezza, l'indole e l'ordinamento della sua biblioteca».

Giova sperare che le nostre Università, ricuperata l'autonomia, che avevano in passato, daranno a queste loro biblioteche un avviamento più rispondente ai nuovi bisogni del loro insegnamento e che si stringerà nuovamente quel legame intimo e necessario che esisteva una volta, e che deve esserci, tra le Università e la loro biblioteca. Essa rivivrà allora una vita nuova, e tale da poter infondere con virtù maggiore, nelle giovani menti, la dottrina dei nostri valorosi insegnanti.

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Allora soltanto, come giustamente fu osservato da altri, la biblioteca potrà essere il centro luminoso dal quale irradia la vita intellettuale delle Università su tutto il paese.

Che la biblioteca debba direttamente dipendere nelle sue funzioni dalla Università, e non dal Ministero, è cosa ammessa da tutti. E su tale proposito basterà ricordare un brano della circolare diretta, il 20 novembre 1886, dal ministro dell'istruzione pubblica francese ai rettori delle Università, perchè questa idea vi è espressa in modo reciso: «La bibliothèque universitaire Étant un établissement affecté aux besoins communs de l'ensemble des Facultés doit nécessairement se trouver placée sous votre autorité immédiate. Le personnel de la bibliothèque vous est directement subordonné; de vous relève tout ce qui touche à l'administration, à la comptabilité, à la discipline intérieure».

Che la biblioteca ritorni alla sua Università non è soltanto un desiderio manifestato più volte, ma è anche un vecchio lamento!

Nei primi giorni del 1880, son già passati vent'anni, Michele Lessona, rettore dell'Università di Torino, rispondendo ad una lettera aperta inviatagli dai Topi della Biblioteca, e stampata nella Gazzetta Piemontese, scriveva: «Una volta la biblioteca dipendeva dalla Università, ma oggi non è più così: il rettore non ha il diritto di scrivere una lettera al bibliotecario, cioè ha il diritto di scrivere una lettera, come ogni altro uomo che sappia o abbia un segretario; ma il bibliotecario ha il diritto di non rispondere. Un bibliotecario che abbia il diritto di non rispondere avrebbe molto torto a rispondere.

«La biblioteca ora si chiama Nazionale, il bibliotecario corrisponde direttamente con il Ministero e si dà tanto pensiero del rettore della Università, quanto pensiero si danno loro, Signori Topi, dei gatti morti nella seconda metà del secolo passato».


Fonte: Chilovi, Desiderio. Le biblioteche universitarie. «Nuova antologia», n. 687 (1º agosto 1900), p. 468-485.
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