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Luigi De Gregori

Biblioteche

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La «pubblica lettura» - Biblioteche di una volta e biblioteche d'oggi - Biblioteche di studio e biblioteche «per tutti» - Necessità di nuovi edifici - L'esempio americano - L'Associazione dei bibliotecari italiani.

Gl'Indiani di Giava e di Sumatra si lamentarono un giorno che a loro si fosse insegnato a leggere, ma niente si desse da leggere. Si pensò allora a creare anche nelle Indie olandesi le biblioteche circolanti. Ma che cosa far circolare, se in nessuna delle lingue locali esistevano libri stampati? E allora si creò anche la letteratura. Si raccolsero racconti popolari, si tradussero opere d'Occidente, si cominciarono a distribuire libri dalle biblioteche, a venderne dalle librerie. Oggi la sete del leggere e dell'acquistar libri s'è fatta tanta laggiù che le spese per le biblioteche pubbliche sono quasi tutte ricoperte dal ricavato della vendita dei libri. E queste biblioteche sono già in numero di 2800 e si chiamano, nella lingua del paese, «il giardino delle belle lettere». La gran sete si spiega con la lunga siccità. Né deve recar meraviglia che il progresso fatto nei diversi paesi del mondo dalla organizzazione della «publica lettura» sia quasi in ragione inversa del loro grado di anzianità civile. Ma fa sempre un certo effetto constatare che noi, con la Francia, la Spagna ed altri paesi di latina nobiltà, soltanto adesso cominciamo ad occuparci d'un istituto che lontano da noi fiorisce da un pezzo. Il lettore ha capito che non si parla qui delle grandi biblioteche statali o d'altri enti le quali sono mèta di ricercatori e di studiosi: di queste non manchiamo, e se talvolta non rispondono neppur esse ai loro fini, n'è causa la promiscuità delle funzioni che sono costrette a esercitare come biblioteche di studio e insieme come biblioteche per tutti. Ma è di queste seconde che dobbiamo occuparci, prima perché è tempo d'averle anche noi, poi per salvare quelle altre, meglio tardi che mai. Ma è proprio vero che manchiamo di biblioteche popolari? Le statistiche ci dicono invero che esistono in Italia non meno di 10.000 biblioteche tra piccole comunali, scolastiche, militari, parrocchiali, di Fasci, di Dopolavoro, di Balilla, di Combattenti ecc. ecc. Ma sono pari al loro compito? Lasciamo andare che nella maggior parte dei casi il titolo di biblioteca è eufemistico (cento o duecento libri male assortiti e non rinnovabili non fanno biblioteca); lasciamo andare che di queste così dette biblioteche non sono «per tutti» quelle che portano una etichetta di categoria: ma, insomma, sono tali da appagare il bisogno generale del leggere, suscitarlo, diffonderlo largamente come è desiderabile in una grande nazione civile, nel secondo quarto del secolo XX? Purtroppo dobbiamo rispondere di no: perché quando le medesime statistiche ci mostrano il numero totale dei lettori e quello dei volumi letti

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in un anno da 43 milioni di italiani, allora le illusioni cadono; e guardando le percentuali dobbiamo riconoscere che non solo restiamo molto al disotto delle grandi nazioni con le quali vantiamo altre parità, ma anche di molte più piccole. Eppure, in mezzo alle varie competizioni del mondo moderno, nessuno mette in dubbio che la preminenza o almeno la conservazione del proprio rango è riservata a quei popoli che sono più sviluppati intellettualmente. Ora per questo sviluppo intellettuale, che è altra cosa dall'intelligenza naturale che Dio ci ha largita, bisogna metterselo in testa, è assai più da confidare nell'azione della Biblioteca che in quella della Scuola. La Scuola, più che insegnare, insegna a imparare, e quando riesce a accendere il gusto dell'imparare lo accende, generalmente, per ciò che ci attira fuor della scuola e per gli anni che verranno dopo la scuola. Allora entra in azione la pubblica biblioteca, la «biblioteca formativa», come è chiamata in Germania (Bildungsbibliothek), l'«Università di tutti», come è intesa in America. Assai, dunque, più vasto, più alto, più fecondo è il compito degli istituti che noi desideriamo: e perché rispondano dobbiamo dar loro una figura, una dignità, un'attrattiva che oggi sono lontani dall'avere.

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Come è fatta una moderna biblioteca pubblica? II lettore che s'aspetta una elencazione bibliografica si rassicuri: non sono i libri la... prima necessità. La biblioteca, anche etimologicamente, è il contenente, e da questo bisogna cominciare, cioè dall'edificio. Sia grande o piccola quanto richiede la sua clientela, ma la biblioteca deve essere costruita come biblioteca. Ne conoscete modelli in Italia? Quasi sempre, al contrario, troverete la stanza dei libri fra i locali di scarto di un palazzo comunale o di una scuola media, d'un Circolo cittadino o d'una Casa del Fascio. È la tradizione: la biblioteca ammessa appena nel margine d'un'altra istituzione, non mai viva di vita propria. Ciò che ne paralizza le facoltà di sviluppo, ne dirada i proseliti, la fa fallire allo scopo 1. Pensiamo invece a una bella sala luminosa che s'apra a tutti sulla via, in tutte le ore del giorno e della sera, che attiri il passante già con la dignità del suo aspetto esteriore, gli offra l'ospitalità confortevole e il riposo silenzioso in mezzo al trambusto cittadino: non lo obblighi, in cambio del po' di conforto che viene a chiedere a un libro, a salire e scendere scale, aspettare in piedi, perder tempo e pazienza, sentir freddo l'inverno, caldo l'estate: lo abitui insomma a considerare la biblioteca un rifugio ideale del corpo e dello spirito. Questa è la pubblica biblioteca moderna. - Ma questa non è una biblioteca, è un pubblico circolo di lettura - rispose un vecchio architetto a un bibliotecario che gli spiegava a qual nuovo concetto dovesse informare i piani d'una biblioteca. L'istituto della biblioteca, che s'è trasformato profondamente, suppone, dunque, una trasformazione formale che poi agisce direttamente sulla sostanza del suo beneficio. Se nella biblioteca moderna si ha fede, a farle guadagnare proseliti non basta la bontà della causa dimostrata

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teoricamente, bisogna farla oggetto tangibile di diffusa simpatia fiduciosa. La Chiesa, quando volle propagare la religione e farne anche una forza, non si contentò più dei santuari tenebrosi, degli apostoli scalzi, delle iniziazioni segrete: inalzò i templi maestosi, inventò i riti sfolgoranti, organizzò la propaganda universale e solare. L'architettura, la distribuzione dei locali, la proprietà, l'arredamento, l'aerazione ecc., sono tutti problemi che si studiano oggi in Italia, altrettanto seriamente che in America o in Germania, quando si vuol costruire una scuola o un ospedale, un'officina o un ministero. Né ci spaventa la spesa, né la riteniamo superflua anche se si tratti solo di rifare il teatro dell'Opera a Roma o la stazione ferroviaria a Milano: perché, a parte i bisogni nuovi, al nostro amor proprio di grande nazione moderna ripugna lasciare in piedi edifici concepiti per l'uso di cinquanta o sessant'anni fa. Per le biblioteche che da noi hanno sulle spalle due, tre o quattro secoli, restiamo invece fermi a guardare i progressi degli altri, mascherando con la venerazione dell'antico la nostra incomprensione del nuovo. Ci sentiamo gran signori perché abbiamo la Marciana o la Laurenziana, la galleria di Maria Teresa a Brera o il salone del Casanate alla Minerva: ma non pensiamo che questa è nobiltà, aristocrazia, archeologia, mentre la Nazione cammina con passo spedito e con propositi nuovi. È strano, poi, che queste magnifiche librerie di cui ci vantiamo eredi non c'insegnino il rispetto che sentivano per la Casa del Libro i nostri maggiori quando una biblioteca la costruivano come biblioteca. Le davano allora la solennità d'un tempio, benché lo studio fosse un culto di pochi: e noi che vogliamo farne il culto di tutti, siamo ridotti a questo: o a invitare il pubblico alla profanazione di quei templi, o a offrirgli insufficienti e indecorosi surrogati. Creata nella biblioteca l'atmosfera simpatica dell'ambiente, toltole cioè quel carattere impersonale e ripulsivo che è proprio degli uffici pubblici, ogni lettore deve sentirsi in biblioteca come in casa propria. E il personale che v'incontra non deve stargli sopra con divieti e pedanterie che egli non comprende. Il nostro pubblico è abituato a biblioteche che si difendono: bisogna educarlo a biblioteche che si offrono. Si narra del grande stupore di un americano nel sentir dire da un bibliotecario europeo a un giovane che, entrando in biblioteca, aveva dimenticato di richiudere la porta: «Chiuda che può entrare qualcuno»! Ora che esistono dapertutto le pubbliche biblioteche per ragazzi, l'educazione del lettore comincia nell'età infantile: e tra le prime materie d'esame per chi vuol darsi alla carriera delle biblioteche c'è la psicologia infantile. Gli scaffali sono aperti, ognuno può prenderne libri a suo piacere, consapevole che quei libri come appartengono a lui appartengono a tutti. Infrazioni, furti, danneggiamenti, ne avvengono pure; ma si fanno sempre più eccezionali: e messo in bilancio il poco che costano col grande beneficio che l'istituto dispensa, non mette conto rilevarli. II personale delle biblioteche riceve, dunque, una preparazione tecnica che lo rende padrone della sua professione nello stesso intraprenderla; e anche i posti più umili son dati in ragione della funzione da esercitare, non già come quelli degli ospizi per l'invalidità e la vecchiaia. E ogni servizio ha il suo numero sufficiente di addetti, in modo che vada come deve andare: così come nella strada ogni tram ha il suo conducente e il suo fattorino. Sono sconosciuti gli acrobatismi di funzioni a cui son condannati i nostri bibliotecari; e del trattamento economico non parliamo, dal momento che bisogna coprir le vergogne.

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Ma parliamo finalmente dei libri. Non occorrono per queste stazioni di lettura i tesori librari che ogni nostra grande biblioteca possiede. La lettura che disseta il gran pubblico ha limiti segnati dalla modernità e dal fine ricreativo, informativo, divulgativo a cui deve rispondere. Dieci o quindicimila volumi bene scelti bastano a impiantare una biblioteca rionale d'una città come Roma o Milano. C'è l'esempio offerto dalla biblioteca Vittorio Emanuele di Roma. Fino a qualche mese fa questa biblioteca, che è la più grande della capitale, era presa d'assalto ogni giorno da una folla promiscua di studiosi professionisti e di lettori occasionali. Ne nascevano continui inconvenienti che gittavano il discredito su un istituto di primo ordine, che oltre alla grande ricchezza patrimoniale può vantare alla sua direzione un bibliotecario di rara attività e competenza, qual'è Giuliano Bonazzi. È bastato mettere una divisione tra l'una e l'altra categoria di lettori, lasciando esclusivamente ai primi la Biblioteca Nazionale e formando in separati locali, con circa diecimila volumi di nuovo acquisto, con cataloghi e con personale proprio, la «biblioteca per tutti», per dare equilibrio a due istituti che prima si minavano a vicenda. Ci sono voluti, per capirlo, cinquantaquattr'anni, ma finalmente s'è capito: o, meglio, si era capito da un pezzo, ma finalmente s'è potuto attuare, in grazia d'un principio d'interessamento che soltanto nel presente Regime le biblioteche hanno avuto. Ma di simili biblioteche non una ce ne vorrebbe in una città come Roma, ma tante quanti sono i suoi rioni: simile a quella s'intende, nel corredo librario, non già nell'umiliazione dell'ambiente soffocato e malsano in cui deve esplicare la sua opera, nello sforzo funzionale cui soggiace per esser gestita da quattro gatti d'impiegati malcontenti e impreparati. L'esempio, a ogni modo, giova a dimostrare che il pubblico è assetato di lettura. Tanto più lo dimostra quanti più sono quelli che restano quotidianamente fuori perché la biblioteca non può contenerli o perché è troppo lontana dal loro centro o perché neppure la conoscono. Nel 1876, quando s'inaugurò la Biblioteca Nazionale, Roma non aveva 300.000 abitanti. Ora ne ha più di un milione e non s'è fatto che questo piccolo passo. Queste e simili meditazioni sulle nostre biblioteche non sono nuove; ma bisogna insistere nel proporle al pubblico finché il pubblico non s'interesserà di più alle sorti di un istituto di cui ancora gli sfugge l'efficacia. Proporle ai dirigenti non serve: c'è già un ottimo osservatorio da cui si guardano, si comprendono, si studiano queste cose: la Direzione generale delle biblioteche, istituita nel 1926 presso il Ministero dell'Educazione Nazionale. Ma quando, dopo gli studi, si fa per passare ad iniziative che chiedono comprensioni, volontà, attività, estranee a quel Ministero (ma, purtroppo, arbitrali), allora l'osservatorio rimane isolato e la nebbia scende a confondere l'indifferenza dei responsabili con quella del pubblico. La nebbia, come si sa, lascia il tempo che trova.

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A fiancheggiare l'azione statale in vantaggio delle pubbliche biblioteche è sorta da un anno l'Associazione dei bibliotecari italiani. Si chiama dei bibliotecari, ma conta soci d'ogni categoria e professione, amici del libro, della cultura, di quel progresso intellettuale collettivo che sta alla base d'ogni civiltà nazionale. Si sa che i paesi in cui le biblioteche sono in fiore lo debbono precipuamente alla attività e alla propaganda svolta da simili associazioni: la massima, l'Americana, viva da cinquantacinque anni,

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conta oggi 13.000 soci. Il suo programma si enuncia con poche parole, modeste in apparenza, ma molto significative: far diminuire il numero dei non lettori. Cosicché ogni anno il bilancio morale dell'Associazione consiste nel constatare quanti milioni di abitanti sono guadagnati alla lettura: su 130 milioni, quanti ne contano complessivamente Stati Uniti e Canadà, ce ne sono ancora oggi quaranta che non dispongono di biblioteche: c'è dunque ancora lavoro per l'Associazione americana. In che consiste questo lavoro? Nel pubblicare continuamente libri, opuscoli, periodici non solo d'interesse bibliotecario professionale, ma divulgativi e illustrativi dei fini, dell'azione, dell'organizzazione dell'istituto, atti, insomma, a disporre l'opinione pubblica alla fondazione e al perfezionamento delle biblioteche; nell'assistere col consiglio e con l'opera tutti quelli che s'interessano in qualche modo alle biblioteche; nell'attrarre i giovani delle classi più elette alla carriera bibliotecaria; nel promuovere la istituzione di apposite scuole di bibliotecari e la fondazione di gruppi speciali di biblioteche quali sono quelle per gli ospedali, i ciechi, gl'immigrati, i carcerati; nell'indire conferenze annuali per discutere importanti problemi e adottare misure che mirino al progresso sempre maggiore di un istituto che l'Associazione considera sua creazione e vuol rendere esemplare; nel proclamare, senza stancarsi, l'uso del libro come la forza più vitale, più fattiva, più educativa della vita americana. Di quali mezzi dispone l'Associazione? Dei contributi dei soci, del ricavato della vendita delle pubblicazioni, delle dotazioni ricevute, dei doni di tutti coloro che credono nel valore educativo delle pubbliche biblioteche. Colle nostre tradizioni latine non s'accorda forse questo genere di proselitismo, e ce ne sfugge il grande potere dinamico: ma non possiamo non vederne i frutti. Non c'è oggi Stato della Federazione Americana che non possegga una organizzazione bibliotecaria tale da assicurare il servizio della pubblica lettura alla maggior parte dei suoi cittadini. Ogni città, grande o piccola, ha la sua pubblica biblioteca centrale (diversa dalle biblioteche statali che sono soltanto nelle capitali e da tutte quelle altre che appartengono ad altri enti come università, scuole, associazioni, circoli ecc.) che appartiene alla città e da tutti i cittadini è mantenuta con tenuissime ma fisse imposte, in modo che c'è sempre proporzione tra l'importanza della biblioteca e il numero degli abitanti. Dalla biblioteca centrale dipendono e sono alimentate le biblioteche succursali (branches) che si ramificano per la città, in numero più o meno grande in ragione della sua estensione. Non basta: dalla centrale o da succursali più vicine si dipartono servizi ambulanti di biblioteca per recare i libri negli ospedali, nelle caserme, nelle carceri, nelle campagne: e fin nei villaggi più piccoli e sperduti arriva settimanalmente il camioncino dei libri, il cosidetto bibliobus, atteso sulla piazza come una benedizione del Cielo. A questa organizzazione modello s'è giunti a poco a poco con studi costanti di bibliotecari ed altri soci dell'American Library Association, che ogni anno si riuniscono a Congresso per scambiare idee e propositi: da loro fu promossa la legislazione statale che sta a base dell'organizzazione: da loro furon dettate le norme per gl'impianti, da loro istruiti gli architetti per le costruzioni, da loro fondate le scuole pei bibliotecari, da loro chiesti e ottenuti i mecenatismi privati che assicurano più larga prosperità a un'opera già per sé stessa efficiente.

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Qualche cosa di simile vuol tentare la nascente Associazione italiana. Suo compito sarà dunque specialmente studiare il modo di procurare al paese un servizio moderno di biblioteche senza chiedere all'erario i sacrifizi che non può fare. La quadratura del circolo? No, se da un pezzo s'è raggiunto altrove lo stesso intento. La nostra recente unità non ci ha ancora livellati nel carattere, nella educazione, nell'amor proprio: ma ci son già in Italia moltissimi Comuni, grandi e piccoli, che sentono la dignità del viver moderno, e promuovono opere grandiose a gara fra di loro. Verranno anche le biblioteche. E si ricorderà, un giorno, come leggendario il tempo in cui certi Comuni, ricevute in deposito dal Governo preziose raccolte librarie già appartenute a corporazioni soppresse, perché ne facessero il fondo nobile della loro biblioteca civica, le relegarono in soffitta e ve le lasciarono marcire; o, più pietosi della lor sorte, ne affidarono la cura a qualche antiquario girovago. Lo Stato, dunque, moderatore supremo e vigile, coi suoi organi, alla conservazione dell'immenso patrimonio librario ereditato, alla sua sempre maggiore messa in valore, al suo continuo arricchimento: ma tutti gli «amici del libro», che è quanto dire gli amici della cultura, della civiltà, del progresso nazionale, uniti in associazione per cooperare affinché il libro, istrumento principe d'ogni miglioramento, sia messo a disposizione di tutti per mezzo delle biblioteche. Non ha colore né tecnico, né professionale, né politico la nuova Associazione, e tutti può accogliere, come il Touring Club o la Società Dante Alighieri. Come questa, richiede in chi s'associa fine senso di patriottismo, come quello vuol diffondere la conoscenza, non più solo geografica a cittadini italiani, ma universale a cittadini del mondo. Vuole la diffusione del libro, che tutti siamo d'accordo nel lamentare insufficiente non solo ai fini culturali, ma anche industriali e commerciali, senza che nessuno si fermi a vederne la prima causa nella deficienza delle nostre biblioteche. Ripetiamo sempre che il nostro libro è in crisi, che il nostro libro non va all'estero, e facciamo così poco per farlo conoscere all'interno. Come può avere larga esportazione una merce che non si propaga neppure in paese? Chi ha a cuore il problema librario cominci dunque dal prospettarsi quello delle biblioteche. Da queste, quando saranno intese e diffuse alla moderna, potrà uscire la miglior propaganda cui ha diritto il libro italiano.

Luigi de Gregori


1 Torino è finora, il solo comune in Italia che abbia inteso l'orgoglio di fabbricarsi ex novo una pubblica biblioteca. Lo Stato costruì, molti anni fa, I'Universitaria di Padova e iniziò la Nazionale di Firenze: ma la prima fu mal concepita ed è già fatiscente, la seconda viene su così lentamente da far pensare ad un fato avverso.


Fonte: Luigi De Gregori. Biblioteche. (Note e rassegne). «Nuova antologia di lettere, scienze ed arti», n. 1430 (16 ottobre 1931), p. 560-565.
La trascrizione segnala la divisione delle pagine e rispetta ortografia e maiuscole dell'originale, salvo la correzione di un refuso ("un opera" invece di "un'opera" a p. 564 ultima riga).
Sono state inoltre inserite le due correzioni apportate a matita dall'autore sull'esemplare dell'estratto posseduto dalla Biblioteca dell'Associazione italiana biblioteche: "pił di un milione" al posto di "un milione" a p. 563 riga 31 (p. 6 dell'estratto), "alle biblioteche" al posto di "delle biblioteche" a p. 564 riga 13 (p. 7 dell'estratto).


Copyright AIB 2002-09-23, ultimo aggiornamento 2012-02-09, a cura di Alberto Petrucciani
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