Sulla Digital Library affidata all’ICCD per decreto ministeriale

Posizione AIB, ANAI, Associazione Bianchi Bandinelli, AIDUSA, SISBB

Qualcuno ha scritto che chi vende la novità ha interesse a far sparire il modo di misurarla e dev’essere proprio così: l’operazione «Digital Library della cultura italiana», annunciata sul sito dell’ICCD come la nascita di un «acquedotto digitale per convogliare le risorse esistenti e quelle che si costituiscono giorno per giorno», è infatti un capolavoro di rimozione e omissione, oltre che un  cattivo esempio di mancato raccordo tra fonti normative, di irrazionale organizzazione dei servizi pubblici e persino di provincialismo linguistico e subalternità intellettuale (in Francia o in Germania la scelta di denominare  Digital Library un progetto di valorizzazione della cultura nazionale sarebbe imperdonabile).

Il fatto è il seguente: un decreto ministeriale (DM 23 gennaio 2017, n. 37) pubblicato pochi giorni fa attribuisce all’ICCD compiti di coordinamento di tutti i programmi di digitalizzazione del MiBACT e la stesura di un piano nazionale per la digitalizzazione del patrimonio culturale. Questi compiti saranno svolti da un ufficio creato ad hoc nell’ambito dell’Istituto, il «Servizio Digital Library», cui sarà preposto un funzionario incardinato nell’Istituto stesso. Una scarna paginetta di relazione illustrativa, qualche «Visto» e «Considerato» che non vedono e non considerano leggi nazionali come il deposito legale, né le funzioni di gestione e coordinamento tecnico-scientifico che, riguardando le discipline documentarie,  sono naturalmente incardinate nelle competenze di strutture bibliotecarie (l’ICCU, Istituto centrale per il catalogo unico e le Biblioteche nazionali) e archivistiche (l’ICAR, Istituto centrale per gli archivi), ed ecco servito l’unico esperimento mondiale di biblioteca digitale nazionale affidata a una struttura che ha ben altri compiti istituzionali e che, a parte una collezione di fotografie digitali offerte a pagamento (10 euro a foto per finalità di studio personale), non ha mai svolto finora alcun compito significativo in materia di digitalizzazione.

Il tutto, come se in tema di politiche della digitalizzazione del patrimonio culturale questo paese partisse da zero e non avesse già predisposto soluzioni, peraltro in via di evoluzione e miglioramento, e sviluppato esperienze collegate ai principali sistemi europei e internazionali.

Il decreto in questione omette del tutto qualsiasi riferimento a sistemi realizzati e funzionanti come Magazzini digitali – il deposito legale digitale progettato e gestito dalle Biblioteche nazionali centrali di Firenze e di Roma e dalla Biblioteca nazionale Marciana – e ai portali e ai repertori nazionali progettati e realizzati dall’ICCU (Internet culturale, SBN, Cultura Italia, Edit16, Manus online, MuseiD, Anagrafe delle biblioteche italiane) e dall’ICAR (SAN, Portale Antenati, Gli archivi per la ricerca anagrafica) che – integrando risorse, informazioni e servizi messi a disposizione da migliaia di biblioteche, archivi, musei, istituti scientifici e culturali – offrono accesso a milioni di documenti digitali e analogici, moltiplicando le opportunità del loro utilizzo e promuovendo la cooperazione interistituzionale per queste finalità.

Nessuno nega che quanto fatto finora abbia bisogno di ripensamenti e analisi critiche, ma proprio per questo non ha senso proporre nuove biblioteche digitali senza concentrarsi sullo stato di salute di quelle esistenti dopo anni di penuria di risorse e di scarsa manutenzione. Nonostante gli encomiabili sforzi del Ministro per accrescere le magre risorse economiche del Ministero e dei suoi istituti, mancano ancora oggi finanziamenti adeguati per gestire e aggiornare i sistemi esistenti, adeguandoli continuamente ai modelli concettuali destinati necessariamente ad evolvere nella dimensione dinamica del web.

In questo senso la soluzione proposta con il decreto appare non solo astratta (perché non tiene conto delle reali condizioni ed opportunità di quanto esiste nel Ministero), ma anche superficiale (perché potrà generare ulteriore dispersione di energie e investimenti rallentando l’integrazione auspicata) e temiamo finisca per tradursi nell’ennesima esternalizzazione, dato che l’ICCD non ha certo le risorse per gestire internamente un progetto così complesso.

Soprattutto, ci si chiede quale idea di biblioteche digitali s’intenda sostenere.

Le nostre Associazioni si riconoscono nella visione espressa nel Manifesto per le biblioteche digitali, elaborato nel 2005 da un gruppo di lavoro dell’AIB. Questo documento, tra l’altro, afferma che le biblioteche digitali «promuovono conoscenza», «integrano comunità», «diffondono i documenti», “mal sopportano il centralismo” e che «Lo sviluppo coordinato delle biblioteche digitali è garantito dall’adozione e dalla diffusione di standard tecnologici che ne assicurino l’interoperabilità e da modelli organizzativi che ne promuovano la cooperazione».

La nuova cd. Digital Library sarà preordinata a queste finalità e secondo questa prospettiva aperta e inclusiva, oppure, a dispetto del nome, sarà poco più di una piattaforma di e-commerce, come l’esibizione di foto a pagamento attualmente presente sul sito dell’ICCD?

Merita infine sottolineare, a proposito del modello organizzativo e sulla base di una rapida rassegna dei grandi progetti di biblioteca digitale nazionale attivi in altri stati,  che dovunque questi progetti sono frutto di accordi interistituzionali ad ampio raggio che realizzano network collaborativi di biblioteche, archivi, musei e altri istituti scientifici e culturali nel rispetto delle specificità documentarie e di servizio di ogni partner, affidandone la guida a strutture di comprovata competenza ed esperienza nel campo.  E che si chiamino «biblioteche» dipende dalla maggiore complessità della digitalizzazione e trattamento bibliografico di uno solo libro o altro documento a carattere testuale rispetto a quella presentata da un reperto (si pensi solo al numero di fotografie digitali da acquisire nell’uno e nell’altro caso).

Purtroppo il modello italiano delineato dal recente DM non pare ispirato ad alcuna buona prassi internazionale: l’accentramento per decreto, senza una adeguata valutazione d’impatto di un «Servizio di Digital Library», in capo a un ufficio di un istituto che ha finora ispirato la sua policy a modelli proprietari di gestione dei dati e dell’informazione, senza nemmeno una adeguata motivazione che spieghi perché si vuole una nuova biblioteca digitale (pardòn, Digital Library), e se la si concepisce al posto di o in aggiunta a quelle esistenti, appare una scelta non adeguatamente ponderata, sulla quale chiediamo con forza un ripensamento e una pubblica discussione.

AIB, Associazione italiana biblioteche (Dott. Enrica Manenti)

ANAI, Associazione nazionale archivistica italiana (Prof. Mariella Guercio)

Associazione Bianchi Bandinelli (Prof. Vezio De Lucia)

AIDUSA, Associazione italiana docenti universitari di Archivistica (Prof. Andrea Giorgi)

SISBB, Società italiana di Scienze bibliografiche e biblioteconomiche (Prof. Alberto Petrucciani)

 


Documento di approfondimento realizzato da AIB e ANAI