Teca del Mediterraneo – Diciottesimo workshop, Bari, 7 aprile 2017

Il futuro delle biblioteche: nuovi ruoli nell’universo digitale

Saluto di Waldemaro Morgese, coordinatore MAB Puglia.

Ringrazio “Teca del Mediterraneo”, la direttrice Daniela Daloiso e la coordinatrice del workshop Maria Abenante, per l’invito a portare il saluto del MAB Puglia al 18° workshop, anche quest’anno su un tema impegnativo: il futuro delle biblioteche: nuovi ruoli nell’universo digitale.

Quindi si è pensato, giustamente, che le biblioteche abbiano un futuro nel nostro Paese e, credo, nel mondo.
Un futuro declinato nella galassia del digitale, cioè del non cartaceo. Il workshop individua alcuni snodi significativi: la smaterializzazione dei documenti, lo status lavorativo del bibliotecario digitale, l’informazione free, la qualità del servizio documentario, il catalogo.

E’ comunque sempre condivisibile il punto di vista di quanti sostengono che, pur nella pregnanza del futuro digitale, non si potrà non salvaguardare il valore del tradizionale bagaglio “analogico”, per così dire, intimamente connesso alla altrettanto tradizionale mission della biblioteca e cioè il ruolo efficace che essa svolge a beneficio dell’acculturazione dell’umanità.

Vari osservatori, di recente anche John Palfrey, hanno avvertito il bisogno di ribadirlo: Palfrey, direttore e fondatore della Digital Library of America, come epigrafe del capitolo conclusivo del suo BiblioTECH, un’opera del 2015, sceglie una frase di George Washington: “ovunque la conoscenza è la base più certa per la felicità pubblica”(1).

Palfrey appunta in questo capitolo un concetto che sembra interessante: la biblioteca è il luogo della serendipità, della scoperta involontaria, inattesa. Il cittadino, cioè, può entrare in biblioteca non solo con un scopo preciso di ricerca, ma anche con la consapevolezza di varcare uno scrigno di potenziali conoscenze, impossessandosene, nutrendosene a caso. Uno scrigno che quindi è in fondo un luogo di libera condivisione di conoscenza, magari in unione e sinergia con altri cittadini.

Sono adombrati qui, come si può agevolmente comprendere, sia la valenza non tramontabile della biblioteca quale arena di nutrizione della mente, sia il fatto che i modi tecnici della nutrizione sono una variabile contingente, soggiacente allo sviluppo storico. Mentre la mission resta universale e non sottoposta a fattori volatili.

Palfrey, coerentemente, sostiene pertanto che «le biblioteche fisiche e quelle digitali continueranno a coesistere, di certo per il prossimo futuro e forse per sempre»(2).

Si tratta di una prospettazione che, intanto, ha un riscontro certo in termini geopolitici: perché la transizione digitale è e resterà molto più lenta negli scacchieri del Terzo Mondo e comunque in tutte le plaghe che non coincidono con i Paesi OCSE(3).

Inoltre l’unica confutazione dell’assunto della perdurante compresenza di fisico e digitale potrebbe valere nel tempo futuro in cui un chip impiantato nel cervello dell’uomo potenzierà le nostre capacità e ci farà dialogare con i sw e i big data(4). Ma questo tempo, se pensiamo a chip impiantati su tutta l’umanità e non su pochi privilegiati, quindi ad una connotazione umanistica dello sviluppo scientifico(5), sicuramente verrà, ma non certo a breve o medio o lungo tempo: verrà a lunghissimo tempo.

Infine ci sembra condivisibile la non scontata ineluttabilità della sostituzione radicale delle macchine (i robot) al lavoro umano, quindi per analogia di “internet” (per così dire) alla biblioteca.

Mi ha fatto molto riflettere l’esemplificazione contenuta in un articolo apparso su un dorso economico, che suona così: «alla Daimler, negli ultimi anni, il prevalere del modello Toyota, dell’automobile ‘on demand’, ha costretto i manager ad un ripensamento. Le ordinazioni che arrivano al colosso dell’automobile, sono le più bizzarre: Swarowski sui fari o rifiniture speciali in oro o chissà. Così, nel tratto finale della catena di montaggio delle Mercedes i robot sono stati sostituiti dagli operai. Per venire incontro alle richieste dei singoli clienti ci vuole la mano dell’uomo. I robot non sono abbastanza flessibili. Intelligenti, si potrebbe quasi dire»(6).

Il paragone è intuitivo: ben si adatta alla biblioteca, luogo della minuta e variegata intermediazione informativa grazie all’azione del bibliotecario!

In conclusione credo (ne siamo convinti tutti noi) che sia oltremodo necessario sviluppare le tecnicalità digitali e favorire le transizioni nell’immateriale, ma ciò deve avvenire applicando un persistente cave. La cornice architetturale in cui collocare la biblioteca e il bibliotecario deve sempre restare scandita secondo una sequenza virtuosa che suoni così:

  • Il bibliotecario e la biblioteca sono preordinati, finalisticamente direi, a migliorare la vita delle persone
  • Questo fine ultimo è conseguito, dal bibliotecario e dalla biblioteca, attraverso una precipua modalità: “coltivare” la mente
  • Le forme strumentali attraverso cui il bibliotecario e la biblioteca “coltivano” la mente sono definite nel corso del tempo e costituiscono i cosiddetti paradigmi strategico-operativi: i cui ultimi tre, in ordine cronologico, sono stati, come noto a tutti, quello documentale, quello manageriale, quello welfaristico.

Questi paradigmi si sovrappongono alluvionalmente, non sono mai mutualmente esclusivi: e infatti la transizione digitale delle biblioteche appartiene al paradigma documentale, sostanzialmente, vale a dire al protagonismo dei media informativi e delle potenzialità offerte dalle TIC.

Mi sento pertanto di poter concludere questo saluto nello stesso modo con cui conclusi quello recato al 17° workshop, in fondo in due anni poco è mutato. Cioè così:
Aderiamo pure all’appello di Vladimir Majakovskij, che scrisse: “Voglio il futuro oggi!”. Se lo avessimo, con i suoi processi di dematerializzazione e la costruzione di inimmaginabili realtà virtuali, stiamo pur certi che le reti di biblioteche, musei e archivi (anche nelle loro valenze e refertualità fisiche) non perderebbero utilità e scopo, anzi, li guadagnerebbero, perché esse posseggono e manipolano in modo magnifico ed anche “customizzato” una materia prima che è l’elemento fondante, in questo secolo, di ogni sviluppo calibrato sulle capacità umane: l’informazione, il sapere, la conoscenza.

Vi ringrazio per l’attenzione.
Waldemaro Morgese


Note
(1) John Palfrey, Bibliotech. Perché le biblioteche sono importanti più che mai nell’era di Google, Editrice Bibliografica, Milano 2016, p. 209. La frase di George Washington è ricavata dal primo messaggio annuale al Congresso sullo Stato della Nazione, pronunciato l’8 gennaio 1790.
(2) Ivi, p. 216.
(3) Mi permetto di rinviare a: “Biblioteca” non è un edificio ma una funzione sociale, in Waldemaro Morgese, Bibliotecari e biblioteche. Coltivare la mente allo snodo del XXI secolo, Edizioni dal Sud, Bari 2016, p. 27-29.
(4) Massimo Gaggi, L’era dell’uomo cyborg, su «Corriere della Sera» del 29 marzo 2017, p. 21.
(5) Infatti la prospettiva cyborg (uomo-macchina) è ben diversa dalla prospettiva robot (solo macchina). Solo nella prospettiva cyborg l’uomo continuerà a controllare la macchina, inglobando cioè omeostaticamente l’intelligenza artificiale in quella naturale, vale a dire nelle capacità intellettuali umane.
(6) Tonia Mastrobuoni, Industria, il mondo in mano ai robot ma il lavoro resisterà all’automazione, su «la Repubblica – Affari&Finanza» del 6 febbraio 2017, p. 9.

07/04/2017 00:00