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Conservare il Novecento: la stampa periodica

I giornali tra consultazione e conservazione

Franca Alloatti
(Biblioteca nazionale Braidense di Milano)

Ho accettato volentieri l'invito a partecipare a questo convegno sulla stampa periodica, perché ritengo che il materiale presenti problematiche peculiari dal punto di vista della conservazione e della consultazione.
I giornali costituiscono delle raccolte speciali il cui mantenimento è costantemente rapportato alla completezza delle raccolte e alle carenze di spazio.
Problematiche derivate dal diritto di stampa, dalla conservazione degli originali, dalla loro distribuzione in vari istituti, e più recentemente dalle duplicazioni, fanno emergere periodicamente il caso dei giornali senza che mai tuttavia si sia arrivati ad una definizione puntuale che miri a coordinare la loro conservazione.
La preoccupazione di mantenere le raccolte è già presente a Milano nelle relazioni dei direttori della Biblioteca Braidense a partire dalla fine del '700: dal 1788 la biblioteca infatti era titolare del deposito legale e riceveva pertanto una copia di tutto quello che veniva stampato sul territorio della Lombardia teresiana.
Il diritto venne meno per 7 anni nel 1852, quando in questo ruolo la Braidense fu sostituita dalla Biblioteca universitaria di Pavia; l'Istituto milanese riacquistò il deposito legale nel 1859 e lo mantenne sull'intera regione, modificata nei confini dagli eventi storici, fino al 1910, quando fu limitato alla sola provincia di Milano.
Il periodo pavese e la legge del 1910 penalizzarono gravemente il mantenimento dell'integrità delle raccolte, già provate dalle inadempienze dei tipografi.
All'importanza documentaria riconosciuta alle maggiori testate locali e ad altre nazionali e internazionali, non corrispose però mai una dovuta attenzione sul piano della conservazione.

In tempi più recenti il tema in tutta la sua drammaticità emerge con una serie di iniziative all'inizio degli anni '80 in un momento di particolare interesse per la stampa periodica che culmina nel 1983, in occasione del convegno di Milano "I periodici nelle biblioteche: un patrimonio da salvare" (1).
Le tematiche, attuali nei contenuti, espresse nel convegno - conservazione, riproduzione, censimento delle testate, progetti di emeroteche regionali, prevenzione e restauro della carta - sono state riprese, dopo anni di silenzio, solo nel 1999 in occasione del seminario "Conservazione e tutela in biblioteca" tenutosi a Milano alla Biblioteca Trivulziana.
Le aspettative per la futura conservazione dei periodici della Braidense sono riposte nella nuova emeroteca che avrà sede nella Cavallerizza dove dovrebbe trasferirsi tutto il materiale periodico che ancora è in sede e quello attualmente dislocato in un deposito decentrato.

"Verba volant scripta manent": il detto latino ha perduto parte della sua veridicità perché le parole che possono essere fissate hanno vita più lunga di certi scritti che affidano la loro sopravvivenza ai supporti e ai modi di conservarli.
Questo è particolarmente attribuibile al giornale che" oggi è veicolo di notizie, domani è carta da pacchi, ma dopodomani è un pezzo di storia della civiltà".

Le pubblicazioni periodiche sono considerate materiale effimero, destinate a vivere un periodo di tempo limitato o limitatissimo, un giorno, nel caso dei quotidiani.
La deteriorabilità si attribuisce per lo più alla natura stessa della carta con cui vengono fabbricati; i giornali che noi oggi tentiamo di conservare sono stati prodotti con carta che contiene pasta di legno meccanica più recentemente unita a varie quantità di pasta chimica.
Con il metodo meccanico il legno è sottoposto ad un'azione abrasiva ottenuta comprimendo il legno contro una macina di pietra che gira fino a frammentarne le fibre.
Le paste meccaniche contengono quindi tutte le parti del legno: la lignina, l'emicellulosa, le resine e le sostanze coloranti; sono pertanto più inquinate delle paste chimiche, ottenute trattando il legno ad alte temperature che solubilizzano la lignina ed altre sostanze dannose.
Entrambi i trattamenti producono comunque fibre corte con poca capacità di legarsi le une alle altre, da cui deriva una scarsa resistenza alla trazione e allo strappo.
Il processo di degradazione ossidativa e idrolitica delle materie fibrose della carta è già in atto molto prima che si evidenzino segni caratteristici come l'ingiallimento e l'imbrunimento delle pagine a cui corrisponde la fragilità e conseguente frammentazione a iniziare dai margini, i primi ad essere aggrediti dalla luce e dalla polvere.
Questi danneggiamenti in fase avanzata conducono inevitabilmente ad azioni riparatrici: la carte sono sottoposte a lavaggi, deacidificazioni e trattamenti di rinforzo da più di 20 anni variamente eseguiti: a secco, a umido, con veli di carta giapponese e primal, paraloid, plextol, o tylose, o con l'impregnazione, la laminazione o con velatura a solvente con il metodo indiano, fino ad azioni estremamente traumatiche come lo sfaldamento della carta che rinforza la carta all'interno.

Negli ultimi 25 anni vari sono stati i sistemi operati per prolungare la vita di queste pubblicazioni, da quando ci si è resi conto del loro valore documentario, peraltro sancito da una circolare del 1972 del Ministero della pubblica istruzione che autorizzava le biblioteche statali ad includere nei preventivi di restauro del materiale raro e di pregio anche le collezioni di giornali "data l'importanza che essi rivestono ai fini della documentazione" (3).

Conservare era ed è ancora sinonimo di restaurare. L'azione della conservazione si identifica col restauro: alla mancanza di prevenzione si contrappone un grande attivismo nel restauro che della conservazione è l'aspetto più clamoroso ed evidente anche in termini finanziari.

Siamo d'accordo nel dire che il libro e i giornali nascono oggetti d'uso e che non è giusto sottrarli alla lettura e che la consultazione può essere alleata della conservazione, ma quando un documento diventa un bene culturale e per di più a rischio - rischio che sappiamo esiste fin dalla nascita per gran parte del materiale prodotto dalla seconda metà dell'800 - allora necessariamente devono scattare meccanismi di protezione che devono puntare di più sulla prevenzione, e sul restauro solo quando le varie norme preventive dirette e indirette a seconda che coinvolgano fisicamente gli oggetti non siano più in grado di proteggerli dalle aggressioni del tempo, dell'uso e dell'ambiente.

I giornali non sono libri; noi bibliotecari siamo abituati a vedere le collezioni di giornali trattate come libri enormi, disposti come questi verticalmente in scaffali, come questi rilegati in volumi di vario spessore.
La legatura è stata forse l'unica forma o meglio l'unico tentativo di protezione preventiva effettuata sui giornali.
La legatura già di per sé è un'azione alquanto discutibile e se proprio si deve fare, deve rispondere a principi corretti di conservazione.
La legatura applicata ad un giornale è un elemento del tutto estraneo al tipo di documento e si giustifica solo in nome della cronica mancanza di spazio che affligge gli istituti e che impone collocazioni verticali a documenti ai quali si addice invece, per le dimensioni, la collocazione orizzontale che evita le deformazioni - che provocano in breve tempo il distacco delle carte- tipiche in quei volumi già penalizzati dai dorsi tagliati e incollati, i grecaggi, le carte ripiegate all'interno quando il giornale cambiava formato.
Queste legature realizzate in economia non risolvono il problema della protezione delle raccolte, non si sono rivelate di nessun aiuto per la salvaguardia dei materiali, anzi in alcuni casi hanno peggiorato la situazione con interventi alquanto carenti nelle metodologie, incerti nelle tecniche, deleteri per il tipo di materiali impiegati, spesso non reversibili: qui più che mai siamo di fronte a costruzioni arbitrarie di strutture che oggi ci impongono delle azioni di riparazione.

La consultazione del cartaceo non è sempre necessaria, bisogna evitare le consultazioni inutili o di comodo: quello che interessa all'utenza è un testo che di un documento è la parte tramandabile, riproducibile: questo vale soprattutto per il giornale che non ha una componente materiale di rilievo come ha il libro: il giornale non è un manufatto come il libro antico, non ha un assemblaggio o una coperta che richiedano, come oggetti di studio, un contatto fisico con l'esemplare; degli originali insomma, se dobbiamo e vogliamo conservarli si può fare a meno.
La rimozione , il trasporto, la consultazione, la variazione dei parametri ambientali e la ricollocazione producono sempre dei deterioramenti che si possono evitare sostituendo agli originali delle riproduzioni.
La riproduzione in micro, la più comune, si effettuava fino a 20 anni fa solo quando il giornale era per le condizioni in cui si trovava a rischio di scomparsa: il micro che a volte si faceva dopo il restauro dell'esemplare cartaceo risultava ovviamente di pessima qualità perché ricavato da un originale gravemente provato e aveva senso solo in questa fase sostitutiva, quando non si riconosceva più nessuna forma di uso per il cartaceo.
Oggi si deve invece riconoscere alla duplicazione che deve sostituire gli originali per evitare che si deteriorino con l'uso, un ruolo preventivo primario.
La consultazione del cartaceo deve durare solo il tempo necessario alla preparazione del micro, - meglio ovviamente se il micro è immediatamente disponibile - e la sottrazione alla consultazione dei cartacei deve operarsi non appena disponibili i microfilm (sistema che in Francia è stato adottato dal 1978).
Gli originali devono essere conservati in appositi contenitori - scatole o cartelle - in posizione orizzontale su scaffali di dimensioni adeguate a distanza di sicurezza dal pavimento e dal soffitto o meglio in buste di polietilene sigillate sottovuoto che li compattano in blocco preservandoli da condizioni ambientali sfavorevoli - in particolare l'umidità -, e dall'azione nociva dalla luce, opponendo un forte rallentamento al processo di degradazione naturale della carta.
Tale sistema è in grado di evitare tutte le azioni preventive svolte direttamente sui cartacei come rinforzi delle carte ottenuti con vari tipi di velatura per lo più a caldo sotto pressa e contemporaneamente le normali forme di i degrado fisiche, chimiche, meccaniche che conducono a dispendiose e invasive forme di riparazione future.

Nel Regno Unito - come scrive Carlo Revelli (2) - si è avviato un programma articolato in 2 fasi: la prima che riguarda la conoscenza , il censimento e la dislocazione delle testate, la seconda basata sul recupero in micro dei giornali pubblicati tra il 1800 e il 1950, quelli che presentano carta con un processo ossidativo molto forte e quindi particolarmente poco durevoli, perché gli stessi editori di quei giornali stampati nell'arco di 150 anni non avevano mai pensato che questi sarebbero diventati documenti, supporti permanenti di testi.

Di fronte alla convinzione che è impossibile mantenere in vita i giornali non durevoli - secondo alcuni studiosi la deacidificazione è quasi inefficace sulla carta dei giornali storici perché rallenta, ma non neutralizza l'ossidazione - risulterebbe più conveniente investire sulla microfilmatura e non insistere in dispendiose iniziative di conservazione di materiale inconservabile, e di provvedere prima del loro definitivo degrado alla trasposizione su micro, metodo consolidato che, anche se un po' arretrato per l'uso e lo scorrimento, risulta comunque affidabile e può essere facilmente convertito in formato digitale , più adatto per la consultazione.
Personalmente mi schiero con chi sostiene che i microfilm e il materiale elettronico non possono né devono sostituire totalmente - come presenza assoluta - il materiale stampato, ma devono costituire l'alternativa nell'uso, il mezzo di completamento delle raccolte e di diffusione dell'informazione: le grandi raccolte cartacce rimangono una documentazione storica e una necessità.
Anche i supporti alternativi alla carta presentano problemi di conservazione: si deve tenere conto della labilità del materiale elettronico, delle modifiche tecniche delle macchine che permettono la lettura, della possibilità di perdite di informazioni nel trasferimento da un supporto all'altro.

La riproduzione in micro è dunque quella ancora la più in uso e si dovrebbe realizzare in 3 esemplari: il negativo da conservare integro, una seconda copia derivata dalla prima impiegata per le riproduzioni e la terza copia per la consultazione.
Il micro deve avere caratteristiche di stabilità fisiche come il potere di risoluzione (il numero medio di linee che si possono rilevare nitidamente con un microscopio, circa 100 per millimetro), la densità (la trasparenza che il micro presenta nelle zone più o meno esposte), e il contrasto, e ,dal punto di vista chimico, l'eliminazione dei tiosolfati residui, responsabili, se non rispondenti alla norma, del degrado della pellicola che diventa trasparente; il micro di sicurezza non dovrebbe essere collocato negli stessi locali in cui si trovano le altre copie di micro, né dove si trovano le collezioni.
Misure di conservazione si devono estendere anche ai contenitori delle bobine e alla situazione termoigrometrica - considerando condizioni ottimali la temperatura 12° e l'umidità relativa 35% - I microfilm sono su pellicola a sali d'argento di 35 mm. non perforata e lunghi 30 metri per bobina: i micro di prima e seconda generazione sono conservati in scatole di policarbonato rinforzato con fibre di vetro, quelli di terza generazione in scatole di cartone neutro; non vengono più usati i contenitori metallici perché facilitano la condensa.

Le riproduzioni offrono il vantaggio inoltre di moltiplicare in numerose biblioteche la presenza di documenti rari ed unici e di quelli che per la loro importanza richiedono una notevole presenza: le biblioteche non hanno tutte bisogno di avere gli originali perché questo si determina con il ruolo, le funzioni e le attribuzioni dei vari istituti, ma hanno bisogno se mai di avere l'informazione testuale completa; il micro è anche un mezzo integrativo, economico per i costi e per lo spazio che occupa, di completamento delle raccolte: le nostre collezioni, a causa del poco prestigio che il giornale godeva anche come fonte di ricerca, non sono presenti in tutte le edizioni giornaliere, sono state private dei supplementi, sono a volte incomplete a causa dei numeri mancanti.

La conservazione è concepita come una serie di problemi tecnici, ma non si può ridurre tutto a problema tecnico, se prima non ci si interroga sulle cause e finalità della conservazione.
Davanti alla massa che ci perviene per deposito legale si sente spesso dire che non è possibile conservare tutto: ma con quali criteri è possibile operare una selezione?

Tutte le scelte sarebbero soggettive ed arbitrarie perché la scelta di oggi non risponderebbe a quella di domani, perché si ignorano gli interessi dei ricercatori del futuro.
Si opererebbe né più né meno come gli uomini presuntuosi dell'Illuminismo che agendo secondo criteri selettivi hanno sancito la frammentazione, la dispersione e distruzione di una cultura che al tempo fu giudicata inutile.
Pertanto è giusto che tutto sia conservato - nel senso vero della parola - secondo criteri di coordinamento fra quegli istituti che la conservazione ce l'hanno come compito e sollevando da questo onere, non da poco , quegli istituti che dovrebbero trattare il materiale non come bene documentario, ma come oggetto d'uso e di consumo.
L'idea di conservazione presuppone una politica volta alla conoscenza delle testate possedute da ogni istituto, una specie di mappa di presenze e di assenze e al chiarimento delle funzioni degli istituti rispetto al materiale posseduto.
Come è impossibile e rischioso delegare un solo istituto - una nazionale centrale - al mantenimento di tutti gli stampati pubblicati in una nazione (la storia delle biblioteche è costellata di alluvioni, incendi, situazioni che possono decretare la scomparsa definitiva, ma esistono anche i furti e non sempre il deposito legale è rigoroso) così è impensabile che tutte le biblioteche conservino le stesse testate, con tutti i problemi di mantenimento che queste comportano.
Non è certo un'impresa facile, perché in Italia le biblioteche pubbliche - per origini e situazioni storiche - svolgono funzioni di biblioteche e di conservazione e quelle che la conservazione hanno come finalità, finiscono con l'acconsentire al consumo dei libri; funzioni che si intersecano creando confusioni di ruoli e conseguenti azioni come la creazione di depositi decentrati e i restauri dei giornali - o forse sarebbe più corretto chiamarle riparazioni perché si tratta sempre di procedimenti standard - moltiplicati per un numero mai ben precisato di titoli tutti uguali.
Bisogna operare un'inversione di tendenza e subordinare l'intervento di restauro ad un'azione conoscitiva.

Ritengo che la conservazione delle pubblicazioni periodiche debba avvenire su più livelli che investano, a livello regionale le biblioteche dei capoluoghi depositarie del diritto di stampa, per la conservazione della stampa provinciale, le biblioteche pubbliche per la stampa locale e gli istituti specializzati per il materiale di loro competenza.
Questa divisione presuppone una collaborazione tra le biblioteche almeno all'interno della regione per il mantenimento della stampa corrente; per i giornali storici non si potrà agire senza un censimento da cui deriveranno dei doveri di conservazione in base a criteri di tempo - legati anche alla storia della biblioteca -, interesse locale e rarità nei confronti del cartaceo, da qui una disciplina per un piano coordinato di riproduzione delle testate e di restauro.
L'Istituto che ha quest'incarico dovrà farsi carico della vera responsabilità della conservazione.
La fragilità dei supporti contribuisce indubbiamente ad accelerare forme di invecchiamento, ma il non rispetto delle più elementari e basilari norme di prevenzione produce danni ben più gravi: alla prevenzione si deve affidare la conservazione delle raccolte, predisponendo un habitat adatto alle varie tipologie documentarie, nel caso dei giornali correggendo la collocazione da verticale a orizzontale su scaffalature di dimensioni adatte, servendosi come già detto di involucri di protezione al posto delle legature, curando la manutenzione degli ambienti.
Solo la pratica quotidiana della prevenzione che coinvolge tutto il personale abbatte il diaframma tra le unità considerate pregiate e quelle correnti, mettendo al centro dell'interesse le raccolte in quanto tali, nel loro significato complessivo rispetto alla storia della cultura.

Voler fermare il tempo è una presunzione inutile, anche le raccolte invecchiano ed è inevitabile.
Ciò che possiamo e dobbiamo fare è rallentare il processo nel caso particolare dei giornali proponendo riproduzioni al posto degli originali e proteggendo questi dalla luce, dall'umidità e dagli sbalzi microclimatici: la prevenzione - e non il restauro - è l'unica pratica che allunga la vita ai cartacei: un testo è sempre trasferibile, non credo che ci si debba preoccupare troppo dei supporti alternativi: oggi abbiamo a disposizione quelli attuali, domani ne avremo degli altri, molto più da temere sono certe tecniche invasive di mantenimento preventive.

Di fronte all'invasione di supporti alternativi alla carta c'è chi va controcorrente come Nicholson Baker che ha costituito una società che si occupa del recupero dei giornali americani del XIX e XX secolo e afferma: "È interessante notare che i giornali sono in buone condizioni: la stampa dei giornali ha una vita assai più lunga di quanto i gestori delle biblioteche in America ci abbiano fatto credere".
Si potrebbe valutare questa affermazione con un procedimento inverso a quello dell'invecchiamento artificiale cioè quello della conservazione ottimale, cosa si può purtroppo realizzare per ora solo in un laboratorio scientifico.

(1) I periodici nelle biblioteche: un patrimonio da conservare a cura di C. Carotti e L. Ferro, Milano, Angeli, 1983
(2) Di alcuni aspetti della conservazione di C. Revelli, in Biblioteche oggi, dicembre 2000 p. 50-58
(3) Circolare 2328 della Divisione IV del MPI, luglio 1972


Copyright AIB 2001-04-10, ultimo aggiornamento 2001-04-21 a cura di Vittorio Ponzani
URL: https://www.aib.it/aib/cen/conv01-t1.htm

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