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Conservare il Novecento: la stampa periodica

I periodici musicali del '900

Marco Capra
(CIRPeM-Centro internazionale di ricerca sui periodici musicali, Parma)

Potrà sembrare strano che la musica possa costituire un argomento significativo nella storia e nell'evoluzione della stampa periodica italiana.
E le storie dedicate al giornalismo italiano in genere ignorano questo settore.
Quella musicale è infatti una forma di espressione artistica che in Italia non fa parte del bagaglio culturale medio; e nemmeno costituisce un'opportunità di discussione, di crescita, di approfondimento, ma piuttosto una consuetudine spesso coltivata o subita in modo acritico.
Eppure, proprio la musica è forse l'espressione artistica e culturale che più di ogni altra si sia servita della stampa periodica.
E questo fin dai primi decenni dell'800 in sintonia con l'enorme sviluppo del sistema produttivo e del mercato (che pure già erano assai consistenti) e con l'affermazione di una fortissima editoria specializzata nella stampa e nella promozione musicale.
Eppure la musica oggi non è in genere considerata materia di rilevante produzione libraria e di ancor più rilevante produzione pubblicistica.
Questo almeno nella coscienza comune; tanto è vero che le riviste specializzate in novità librarie molto raramente offrono uno spazio alla letteratura saggistica o di divulgazione che si occupa di musica.

Questa circostanza non è priva di conseguenze - anche gravi a mio avviso - dal punto di vista storiografico, poiché comporta in moltissimi casi il totale disconoscimento di una realtà dalle grandi implicazioni economiche, sociali e culturali.
Sotto quest'ultimo aspetto basterebbe riflettere con quanta frequenza, ad esempio in tanta letteratura dell'800 - si pensi a Giuseppe Rovani o a Carlo Collodi, per citare due casi eclatanti -, ci si imbatta in riferimenti musicali e musicali-teatrali: al punto di ritenere che l'argomento fosse talmente alla portata di tutti da costituire un terreno comune d'intesa tra autori e lettori.
Invece oggi è possibile scrivere una Vita quotidiana a Milano ai tempi Stendhal (Guido Bezzola, Milano, Rizzoli, 1991) senza quasi citare la musica e l'opera; quando basta sfogliare i diari di viaggio italiani dello stesso Stendhal per imbattersi, direi quasi ad ogni pagina, nelle sue esperienze di ascoltatore e di spettatore, e in sue considerazioni sulla musica.

Con queste brevi considerazioni spero di avere chiarito quale possa essere l'importanza, non solo per lo storico musica, della conservazione, della utilizzazione e dello studio delle fonti periodiche di interesse musicale.

Per venire alla situazione dei periodici musicali del '900, posso anticipare che un recente censimento (voce Periodicals: Italy, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, London, Macmillan, 2000) ha rilevato quasi 500 testate musicali specializzate uscite in Italia; senza poi tener conto della miriade di pubblicazioni - veramente sfuggente e di fatto non quantificabile - sfornate da associazioni, istituzioni, teatri, gruppi e imprese di vario genere (il che mi fa ritenere il numero di 500 al di sotto della realtà).

Ma perché la musica ha prodotto in cento anni una tanto rilevante editoria periodica?
È presto detto: la musica, e il teatro musicale in particolare, ha costituito una realtà produttiva diffusa e di grande rilievo, che oserei definire industriale, da prima che l'unità nazionale avesse il suo compimento, e ha dovuto la sua posizione di preminenza alla prontezza con cui ha saputo cogliere le variazioni del gusto e le trasformazioni sociali. Rispetto all'800, e in particolar modo ai primi due terzi, il '900 ha poi dispiegato un'impressionante varietà di offerta musicale, che nella stampa periodica ha trovato un potente sostegno e un efficace divulgatore.

Tutto comincia nella seconda metà dell'800, quando, con l'Italia unita, si verifica una straordinaria proliferazione di testate di ogni tipo che sconvolge il panorama dell'informazione.
Il mercato legato alla musica e alla sua esecuzione è di straordinarie proporzioni: nella prima metà del secolo nascono decine di nuovi teatri, anche nei centri più piccoli, che vengono ad aggiungersi o a sostituire quelli costruiti nei due secoli precedenti; e, per limitarci alla sola produzione operistica, vengono prodotti in media 40-50 titoli nuovi ogni anno solo in Italia.
Per queste ragioni il grande sviluppo della stampa di informazione significa una piccola rivoluzione anche in campo musicale: la critica e la cronaca si separano dalla musicologia (la nuova disciplina nata per occuparsi di ricerca musicale storica, tecnica e teorica).
I critici iniziano a privilegiare i quotidiani e le riviste d'informazione, e i musicologi si creano un proprio spazio in riviste specialistiche.
Alla fine del secolo appaiono dunque già abbozzate a grandi linee le direttrici che seguirà il "giornalismo" musicale novecentesco nelle sue varie espressioni, con la divisione tra un prodotto colto e raffinato, per addetti ai lavori, e uno destinato alla crescente massa degli appassionati.

All'inizio del '900, dunque, la situazione italiana si presenta grosso modo divisa tra periodici che si occupano della cronaca e della critica riferita all'attività di teatri, sale da concerto, editori e agenzie musicali, e periodici che assumono struttura e impostazione libraria e che a poco a poco si staccano dalla quotidianità musicale per dedicarsi alla storia, alla teoria, all'estetica.

Anche dal punto di vista dei rapporti con il sistema della produzione musicale, la situazione del primo '900 sembra prefigurare l'evoluzione che il settore avrà lungo i successivi cento anni.
Da una parte riviste non direttamente legate alle forze produttive in campo (mi riferisco in particolare alle testate musicologiche) e dall'altra le espressioni di un sistema produttivo sempre più vario, e per di più arricchito dall'autentica novità del secolo: la musica riprodotta meccanicamente, che in questo modo si affianca alla tradizionale fruizione dal vivo.
Tuttavia, stante la rapidissima evoluzione dell'industria discografica, la musica riprodotta gradualmente si affrancherà dalla posizione di sudditanza nei confronti di quella dal vivo e inizierà a sostituirla, con l'ovvia conseguenza di ........ la nascita di decine di riviste dedicate unicamente o soprattutto alla musica registrata.

Per quanto riguarda la tipologia delle pubblicazioni, l'aumento e l'eterogeneità del pubblico da una parte e la varietà degli interessi economici dall'altra hanno comportato una sempre maggiore specializzazione dell'offerta. Su questa base si è tentata una prima classificazione.

All'inizio del secolo, il mondo della produzione è rappresentato soprattutto dagli editori musicali e dalle forze direttamente impegnate nel meccanismo produttivo: i teatri, i residui dell'impresariato, le agenzie musicali (vale a dire le imprese che gestiscono il mercato degli artisti).
Vediamolo dal punto di vista dei periodici: se le principali testate musicali italiane dell'800 erano state pubblicate dagli editori musicali, nel nuovo secolo l'importanza di tali periodici si riduce rapidamente fino a scomparire, al cospetto di nuove e più potenti forme di propaganda e diffusione.
Finita la sessantennale vicenda della gloriosa Gazzetta musicale di Milano (1842-1902), l'editore Ricordi affida l'immagine della Casa a nuove riviste assai più accattivanti, ma del tutto prive di rilievo critico, quali Musica e musicisti (1902-05) e poi Ars et labor (1906-12): mensili di grande raffinatezza grafica, le cui copertine sono firmate dai maggiori illustratori dell'epoca (Hohenstein, Metlicovich, Dudovich, fra gli altri) e che sfruttano ampiamente la novità rappresentata dalla riproduzione fotografica.
Col tempo, le riviste di editori musicali riducono ulteriormente la loro portata, anche dal punto di vista dell'appeal della veste grafica, con una tendenza quasi esclusiva all'autopromozione.

L'altra faccia "rampante" del mondo della produzione è all'inizio del '900 rappresentata dalle agenzie musicali e teatrali, vale a dire le strutture imprenditoriali che sul mercato mediano tra la domanda e l'offerta.
Le pubblicazioni periodiche espressione di agenzie ancora nel '900 dimostrano quella vitalità che i giornali degli editori hanno ormai perso.
Organizzate come bollettini di scuderia, hanno un vastissimo notiziario che illustra la straordinaria ampiezza del mercato internazionale della produzione musicale.

Se i due precedenti tipi di periodici sono espressione di realtà economiche e produttive nate e sviluppatesi nel secolo precedente, del tutto novecentesche sono invece le pubblicazioni di particolari categorie professionali e lavorative.
Col nuovo secolo, la tendenza all'associazionismo già manifestatasi nell'800 acquista forza e coscienza nazionale, e così nascono organi e bollettini specifici: da quelli della neonata categoria professionale dei musicologi a quelli che, molto più avanti, saranno espressione della politica centralista o del sistema corporativo fascista, come la Rivista nazionale di musica (1920-43) o Il musicista (rivista del Sindacato nazionale fascista dei musicisti; 1933-43).

Se questi tipi di periodici erano espressione del sistema produttivo, dall'altra parte stavano le riviste che oggi definiremmo culturali, e che non esprimevano - almeno direttamente - interessi legati al mondo della produzione.

Si è detto che in seguito ai grandi mutamenti nel mondo dell'informazione intervenuti nella seconda metà dell'800 la critica dedicata agli eventi quotidiani si era venuta separando dalla riflessione storica, tecnica e teorica; le quali, da parte loro, avrebbero trovato un proprio rifugio nelle prime riviste di musicologia di fine secolo.
Alla più importante fra quelle, la Rivista musicale italiana (1894-1955), si deve buona parte dell'affermazione della musicologia italiana, con tutto quello che significò nell'ambito della nostra cultura musicale: lo studio e in molti casi la scoperta della musica pre-ottocentesca, l'attenzione per le esperienze che venivano dall'estero, la messa in discussione dello status quo, vale a dire della cultura operistica di fine secolo.
Tralascio tutte le considerazioni che potrebbero essere fatte sulle varie tendenze culturali e ideologiche, in genere oscillanti tra positivismo e idealismo (con l'ovvia preponderanza di quest'ultimo), che credo non si discostino troppo da quelle delle altre riviste culturali, per fare un accenno alla maggiore novità che l'inizio del '900 ha comportato nell'ambito della letteratura periodica musicale: vale a dire il coinvolgimento in prima persona dei musicisti di professione.
La novità era dirompente rispetto a una tradizione che aveva affidato l'esercizio critico soprattutto a letterati con più o meno approfondite cognizioni musicali, e nella quale i musicisti professionisti erano un'eccezione.
Ma ora, rispetto al passato, a occuparsi di musica sulle pagine dei periodici sono anche compositori e musicisti di prima grandezza che alla produzione artistica affiancano la critica militante, come fosse il naturale complemento alla loro attività musicale.

Come ho già accennato in precedenza, il panorama della seconda metà del secolo è segnato dalla rapidissima evoluzione dell'industria discografica e dalla nascita di decine di riviste ad essa unicamente o soprattutto dedicate.
Il fenomeno ha in qualche modo inibito quei generi musicali che hanno esigenze di tipo visivo e che hanno bisogno di tempi propri per esprimersi, e che quindi sono più adatti alla fruizione dal vivo che a essere confezionati su un supporto discografico che ha propri limiti ed esigenze (mi riferisco in generale alla cosiddetta musica classica); e ha invece favorito i generi musicali più agili e frazionabili, senza troppe esigenze visive, e quindi facilmente replicabili e commercializzabili (la cosiddetta musica leggera); e ha altresì favorito la tendenza a occuparsi di culture, generi musicali, autori e interpreti prima ignorati (mi riferisco ovviamente alla musica afro-americano e alla musica etnica); e infine ha favorito la nascita di generi ad hoc (la disco-music ne è solo un esempio).
Con la nascita del compact-disc, poi, date le caratteristiche di maneggevolezza del supporto, da più di una decina d'anni si è diffuso il fenomeno di periodici di vasta diffusione con CD allegato: periodici che proprio nel CD trovano la loro principale ragion d'essere.
Si verifica in questo modo una sorta di ribaltamento: quello che prima poteva essere un gadget per incentivare l'acquisto del periodico diventa ora l'oggetto principale della vendita, con il periodico talvolta ridotto a pretesto necessario per giustificare la vendita del CD come pubblicazione periodica.

Le riviste cui ho appena accennato sono destinate sostanzialmente a un pubblico di appassionati, come testimonia il fatto che sono rintracciabili generalmente presso le rivendite di giornali.
E questo vale anche per le numerose testate dedicate alla critica e all'informazione musicale, che ripropongono grosso modo la struttura dei periodici settimanali e mensili d'informazione generica.

A un pubblico di specialisti, invece, sono dedicate le attuali riviste musicologiche, così com'era per le progenitrici all'inizio del secolo.
Questa destinazione esclusiva è d'altra parte testimoniata dal fatto che nessuna di loro sia acquistabile nelle normali rivendite di giornali, pochissime in libreria, quasi tutte tramite abbonamento annuale.
Rispetto alle antenate degli inizi del secolo, anche tali riviste hanno via via subito il fascino della specializzazione: relativamente poche sono quelle dedicate a tutti gli argomenti di pertinenza musicologica, e molte invece restringono il loro campo a un determinato argomento: un singolo compositore, un determinato ambito cronologico, un particolare ambito culturale e sociale, e così via.

Da questo rapido campionario risulterà come una conseguenza del tutto naturale il fenomeno di moltiplicazione e frammentazione dell'offerta editoriale.
Questa tendenza, che dipende ovviamente da un'esigenza di mercato, ha implicato un rapido susseguirsi di mode e iniziative che ha comportato la nascita e la scomparsa di decine di testate, che non hanno lasciato traccia tangibile della loro esistenza e reso impossibile un'attendibile quantificazione del fenomeno.
Per questa ragione, il già citato censimento che ha rilevato quasi 500 testate musicali uscite in Italia nel '900 può ritenersi a mio avviso attendibile solo per la prima metà del secolo, ma sottostimato per la seconda metà, e per gli ultimi decenni in particolare.

Questa circostanza attiene al tema della conservazione sia del supporto bibliografico sia dell'informazione in esso contenuta.
Mentre nell'800 e nella prima parte del '900 la relativa scarsità (almeno rispetto a oggi) delle pubblicazioni - per non dire della destinazione che possiamo considerare elitaria - ha fatto sì che una buona parte delle stesse pubblicazioni sia stata recepita da istituzioni bibliotecarie, oggi non si può dire altrettanto.
Nel partecipare all'allestimento di una mostra dedicata ai periodici italiani del '900 - Edicola '900 (Parma, marzo-aprile 2001) - le maggiori difficoltà che ho incontrato hanno riguardato l'individuazione e il reperimento delle pubblicazioni più recenti, a riprova che la precarietà insita nella funzione stessa della stampa periodica unita alla crescita quantitativa ha reso tali pubblicazioni sempre più esposte al rischio della perdita e dell'oblio.
Allo scopo di porre un seppur parziale freno alla tendenza, e sulla scia del crescente interesse verso i periodici musicali, alla metà degli anni '80 è nato a Parma un centro di ricerca specifico: il CIRPeM-Centro internazionale di ricerca sui periodici musicali.
Dedicato all'individuazione, al censimento, alla riproduzione su microfilm, allo studio, allo spoglio e indicizzazione dei periodici italiani di interesse musicale, il CIRPeM ha ora ampliato il proprio ambito - inizialmente limitato all'800 e ai primi decenni del '900 - agli anni più recenti, nella consapevolezza del rischio che comporterebbe la perdita di una parte non irrilevante delle pubblicazioni periodiche del nostro tempo.


Copyright AIB 2001-04-10, ultimo aggiornamento 2001-04-21 a cura di Vittorio Ponzani
URL: https://www.aib.it/aib/cen/conv01-t2.htm

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