Ravenna, 4 maggio 2000
Ringrazio la CGIL per aver accolto la richiesta di un nutrito gruppo di colleghi del Polo SBN della Romagna e soci dell'AIB di dedicare un incontro pubblico ad una riflessione sulla applicazione del nuovo ordinamento in particolare negli Enti locali in relazione alla effettiva capacità di questo contratto di rispondere all'esigenza di valorizzare le capacità professionali dei dipendenti pubblici, in particolare di quelli dell'area dei servizi e tra questi di quelli culturali.
In questo tipo di discussioni l'AIB non ha mai perseguito, a differenza delle associazioni dei vigili, o degli avvocati, o degli addetti alla comunicazione pubbica, obiettivi corporativi.
Qualcuno mi dice che abbiamo sbagliato ad essere così di ampie vedute.
Vorrei potergli dire che abbiamo avuto ragione e forse la risposta dipenderà dall'esito di giornate come questa.
Pertanto anche oggi, quando parlerò di professione non mi riferirò solo a quella dei miei soci: le stesse considerazioni potranno essere estese a tutte quelle professioni che la rivoluzione tecnologica ed il crescente peso che assume la capacità intellettuale dei singoli nel costruire la ricchezza delle nazioni hanno riposizionato o creato dal nulla.
Tali professioni sono state individuate recentemente in un documento del Consiglio d'Europa di Raccomandazioni sul lavoro culturale nella società dell'informazione che richiamava i paesi membri ad adeguare le politiche del lavoro affinché vi fosse coerenza tra le possibilità di sviluppo e l'incentivazione delle professioni che ne sono protagoniste.
Tra esse sono contemplate, insieme ai bibliotecari, tutte quelle affini come i documentalisti, gli archivisti, i gestori di servizi web, tutta l'area multimediale, i gestori di contenuti etc.
Oggi più che mai dunque la professione del bibliotecario, una delle prime a comprendere e ad applicare nel mondo ed anche in Italia e proprio qui in Romagna l'enorme potenziale connesso al lavorare in rete, chiede che le venga riconosciuta in via definitiva la sua specificità.
Molto chiaro è il Manifesto dei bibliotecari romagnoli su questa vicenda. E dico questo non tanto o non solo per questioni salariali ma per marcare la differenza che esiste - ed è sempre esistita - tra una biblioteca, un archivio, un museo, un centro culturale da una parte ed un ufficio amministrativo dall'altra.
E per far ricadere sugli utenti l'indubbio vantaggio di un servizio che non ha dubbi sulla propria natura e funzione.
Anche la visibilità della biblioteca ne ha guadagnato in modo esponenziale innestando il circuito virtuoso che rafforza il senso di appartenenza dei bibliotecari alla loro struttura.
La questione si riapre ora con il d.d.l. 4014, una legge il cui scopo fondamentale è di azzerare le differenze tra imprese industriali in mano al privato e imprese dello stesso tipo in mano ad enti pubblici.
Ciò in nome dei princìpi della concorrenza che in teoria dovrebbe farci pagare il gas la luce e l'acqua meno di quanto le paghiamo ora. Sperando di non finire come con la benzina e le assicurazioni.
Lo stesso testo di legge prevede anche la sottrazione alla gestione in economia di tutti gli altri servizi pubblici locali, sociali, culturali, sportivi etc. che non siano di rilevanza marginale e residuale.
La gestione avverrebbe perciò in due forme :
- con affidamento in base a gara;
- a mezzo di istituzione realizzata da un solo ente o da più enti associati;
È ovviamente da escludere, stante la natura non economico-imprenditoriale dei servizi bibliotecari, l'ipotesi di trasformare le biblioteche in "società di capitali" (comma 4, punto b).
Il nostro giudizio sul d.d.l. 4014 è riassunto in un documento che abbiamo diffuso recentemente.
In sintesi rileviamo che la legge nasce vecchia e soggiace al pregiudizio che le strutture di proprietà pubblica debbano per forza seguire regole gestionali diverse da quelle private, avere maggiori vincoli e in ultima analisi scarse possibilità di dialogo col sistema delle imprese.
La definizione di "servizi pubblici locali" adottata all'art. 22, pone giustamente sullo stesso piano tutti i servizi che gli enti locali predispongono per i cittadini: "i servizi pubblici locali hanno ad oggetto la produzione di beni e lo svolgimento di attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali".
Ma, nell'individuazione degli strumenti di gestione di questi servizi, viene ad essere riprodotta una storica situazione di discriminazione tra i "servizi industriali" e "i servizi di carattere sociale e culturale".
Con riferimento a quanto sopra premesso, due sono gli elementi che maggiormente evidenziano, nel d.d.l., una chiara condizione di "minorità" dei servizi culturali rispetto ai servizi industriali:
- non è incentivata la forma associata per la loro gestione;
- non sono messi a disposizione strumenti gestionali che possano contare su un'effettiva autonomia e, quindi, efficienza ed efficacia.
Tale contraddizione ci appare ancor più palese se si richiamano i principi più importanti trasmessi dalle leggi di riforma delle autonomie locali e della pubblica amministrazione:
Nel contratto di Federculture esistono molte possibilità di riconoscere la professionalità degli operatori ed il loro impegno senza passare attraverso le procedure concorsuali del pubblico impiego, si può assumere con molta maggiore facilità le persone giuste a tempo dovuto rispetto agli obiettivi dell'azienda etc.
Vi è lo spazio per dare il massimo di progressione verticale alle professionalità tecniche a differenza del contratto degli EELL che di fatto privilegia per i gradi alti le figure amministrative a meno che non sia espressamente prevista per il posto l'iscrizione ad albi o il possesso di titoli specifici.
Vi sono nel contratto però le carenze derivate dal pregiudizio sulla minorità del settore socioculturale che hanno fatto tutto il danno che potevano nel rendere poco appetibile la riforma.
Una tra tutte: un bibliotecario che transitasse dal Comune ad una Istituzione del nuovo tipo guadagnerebbe molto meno di un operatore di un ufficio tecnico comunale di pari livello che andasse alla municipalizzata del gas!
Così pure dicasi per l'entità relativa delle retribuzioni.
Su tutto aleggia poi il timore che queste esternalizzazioni siano fatte solo nell'intento di risparmiare sui costi e magari di smantellare le strutture invece che per migliorare ed ampliare i servizi.
Sono convinto personalmente che se il servizio è di gradimento dei cittadini e molto frequentato questo rischio sia molto ridotto ma è anche vero che in diversi comuni della Lombardia le prime Giunte della Lega Nord non esitarono a chiudere biblioteche ben funzionanti e intensamente frequentate.
Poi pare che oggi le cose siano cambiate. Ed in ogni caso se si vuole chiudere un servizio lo si fa comunque, sia che lo si stia gestendo in economia che attraverso una istituzione o un appalto o una S.p.A.!...
A meno che quel servizio non sia obbligatorio per legge come detta il nostro progetto di legge quadro che iscrive i servizi di biblioteca ed informazione tra le funzioni connesse all'effettivo esercizio della cittadinanza e obbliga le amministrazioni pubbliche a prevederli nell'ambito delle pianificazioni urbanistiche e nella programmazione delle poste di bilancio.
Certo, questo significherebbe che le scelte sono fatte nell'ambito di una politica di alto spessore che troviamo ad esempio in Olanda, in Spagna e persino in Portogallo ma evidentemente a noi è negata.
Come vedete la scarsa chiarezza degli obiettivi di tale riforma, per la parte che riguarda i servizi sociali e culturali, determina legittime preoccupazioni negli operatori quando invece essi - o comunque quelli tra loro che soffrono nella gestione in economia la frustrazione di una omologazione alle figure impiegatizie - potrebbero contribuire al processo di riforma nella veste di soggetti invece che in quella di oggetti.
Ancora una volta una possibile opportunità di fare un salto di qualità per il riconoscimento della professione si trova frenata dal rischio di imboccare strade incerte e prive di prospettiva in un quadro di frammentarietà e contraddizioni che a volte possono creare situazioni paradossali. E vi spiego perché.
Il nuovo ordinamento, in nome della flessibilità e della mobilità, tende a sopprimere ogni rilevanza dei profili professionali specifici che non siano quelli delle professioni tradizionalmente intese (avvocati, ingegneri, architetti, vigili, insegnanti etc.).
Ne consegue che le esperienze professionali e le carriere perdono la loro specificità e verificabilità per esempio ai fini della copertura di posti per i quali invece quei profili fossero invece richiesti.
Nelle Istituzioni che usciranno dalla riforma, uno dei criteri che logicamente si dovrebbe seguire nella selezione del personale da assumere o da trasferire dovrebbe essere quello della dimostrata esperienza professionale nel settore.
Potrebbe così accadere che i dipendenti comunali che oggi andiamo ad inquadrare in profili generici ma sono ottimi bibliotecari domani si trovino svantaggiati o equiparati nell'accesso ad una Istituzione che gestisce biblioteche rispetto ad un giovane appena uscito da un corso di formazione ma senza alcuna esperienza!!!
Se poi si decidesse di effettuare scambi professionali con colleghi di altri Paesi dell'Unione, dove le professionalità riconosciute ed i curricula sono essenziali per l'accesso ai posti di lavoro di contenuto tecnico come quelli di cui stiamo parlando, l'operazione sarebbe impossibile perché i nostri sarebbero inquadrati come funzionari generici e non come bibliotecari, archivisti, conservatori di collezioni museali etc.
E potrei proseguire per molto tempo ma sono certo che con voi non c'è bisogno di spiegare oltre.
Con l'entrata in vigore della nuova normativa e l'applicazione dei contratti di lavoro del 1999, non è stata definita l'individuazione e la collocazione di questo profilo professionale nelle categorie.
Conseguenza di questo, in molti casi i bibliotecari vengono inseriti nell'area amministrativa, ignorandone la preparazione tecnico-specialistica, in altri casi si è invocata una mal intesa flessibilità o equivalenza per giustificare l'attribuzione al bibliotecario delle mansioni più disparate o per affidare il servizio bibliotecario a personale non specificamente qualificato.
I firmatari di questo appello chiedono:
La spiegazione di tutto ciò può essere ricercata nella velocità dei cambiamenti della realtà rispetto ai tempi di reazione delle organizzazioni politiche e sindacali ma questo non ci può tranquillizzare anzi ci pone un grande allarme: se coloro che prendono le decisioni non hanno la capacità di visione necessaria si faranno scelte dannose per il Paese e si freneranno i processi in atto.
Chi si pone nell'ottica di frenare i processi invece di governarli dichiara la sua inadeguatezza al ruolo che ha chiesto di ricoprire e prima o poi verrà emarginato.
Purtroppo il conto di tutto ciò lo pagano spesso proprio le realtà che maggiormente sostengono la prosperità del Paese.
Accade ciò in modo clamoroso nei confronti delle piccole e medie imprese così come in quelli dei lavoratori che vi prestano la loro attività.
Esse sono da decenni la spina dorsale dell'economia del Paese eppure non sono bastati quattro anni di governo del Centro sinistra a far decollare il famoso sportello unico per le imprese, a far funzionare gli uffici di collocamento secondo standard europei, a ristrutturare la formazione professionale, a garantire i diritti di cittadinanza alle masse degli esclusi.
Eppure questa è veramente, al di là della disgustosa retorica sulla new economy, un'epoca di grandi opportunità che potranno essere colte però solo se le classi dirigenti politiche e sindacali sapranno improntare le loro scelte ad una strategia politica basata sulla valorizzazione delle persone, su quello che gli economisti chiamano capitale umano.
Sono infatti le persone che rendono la Conoscenza capace di produrre effetti su tutti i piani: economico, sociale, etico, conoscitivo.
E questa, ci dicono politici e sindacalisti, professori e giornalisti è la società della conoscenza! Ma, se lo sanno, perché indugiano a lavorare su questioni morte con strumenti spuntati?
Uno dei tratti della nostra economia è la velocità: si calcola che la quantità e qualità di mutamenti che fino a dieci a venti anni fa avvenivano in un anno ora impiegano circa tre mesi ed il ritmo sta crescendo. Basta questo per capire perché ad esempio la legislazione è già decrepita quando si va ad applicarla.
Più che sulle regole la complessità si regge sull'autonomia e sulla competenza degli operatori: questo accade da tempo nelle biblioteche, nei centri documentazione, nelle agenzie che lavorano sul web, dove annoveriamo diversi soci dell'AIB in quanto provengono dalle file delle biblioteche o di aziende che lavorano per le biblioteche.
Questo è un lavoratore che sempre meno assomiglia ad un impiegato e sempre più ad un professionista di un'agenzia di servizi che ragiona con le tecniche del marketing, del targetting, sa farsi un budget e continua comunque a saper maneggiare un incunabulo e fare uno studio su un fondo di manoscritti.
Se è vero come dicono gli economisti che la rivoluzione sarà matura quando la new economy sarà integrata nella old economy, consentitemi di dire che nelle biblioteche questo nesso tra tradizione e innovazione non è mai venuto meno per ragioni intrinseche ed anzi costituisce uno dei tratti di forza di quelle che funzionano bene.
La biblioteca è quindi sempre più un'organizzazione di professionisti dell'informazione, di operatori della conoscenza, che opera in una struttura dotata di libri, computer e macchine multimediali: si ribalta la visione ancora dominante che la schiaccia nella funzione di "raccolta di beni librari e documentari" per la cui gestione - leggasi custodia - bastava, nell'opinione dei più, qualche bidello invalido.
La consapevolezza della complessità, la velocità, la capacità di dominare le conoscenze, organizzarle e classificarle, farle circolare e aggiornarle sistematicamente sono le doti di un lavoratore che al tempo di presenza sul posto deve aggiungere una intensa attività di autoformazione continua.
Sono i lavoratori della new economy per i quali il sindacato deve elaborare proposte adeguate al fine di tutelarli senza schiacciarli.
Sono professionisti che si riconoscono tra loro al di fuori della classificazione per comparti che viene divelta ed è sempre meno sentita rispetto alla definizione per ambiti di conoscenza, di specializzazione, di comunità intellettuale.
Si conferma quindi che l'identità non ci deriva dai luoghi in cui lavoriamo ma dalle capacità e dalle conoscenze che abbiamo e che possono mutare nel tempo.
Ed è finita quindi anche la staticità delle posizioni, c'è bisogni di poter circolare da una amministrazione all'altra sulla base di progetti, di imprese, di sfide.
E ribadisco che questo non riguarda solo le biblioteche, ma tutto il pubblico impiego ed anche le imprese private, specie le più grandi e sclerotizzate.
Se condividiamo questa lettura della realtà occorre trarne tutte le conclusioni: posizioni che un tempo difendevano il diritto di un lavoratore di godere dei vantaggi dell'appartenenza ad un comparto oggi sono spesso un freno e quindi un danno rispetto alle sue possibilità di sviluppo di carriera e rispetto all'interesse di una azienda o di un ente appartenente ad un altro comparto per la collaborazione di quel lavoratore.
Un'economia dinamica deve essere accompagnata da forme nuove e magari opposte a quelle attuali di tutela dei lavoratori. Non sono certo tra quelli che sostengono la riduzione delle tutele come fattore di progresso ma se fossi un dirigente sindacale mi porrei anche la questione della tutela delle opportunità di sviluppo oltre a quella delle prerogative acquisite.
Un'economia cresce non solo per la capacità di rischiare dei suoi capitalisti ma soprattutto se ogni individuo che la compone, nel suo piccolo, investe su se stesso nel presente guardando al futuro con ragionevoli attese di miglioramento delle proprie condizioni e delle proprie opportunità.
Mi auguro che da giornate come questa si prenda lo spunto per fare poi in altre sedi gli approfondimenti che portino ad un reale mutamento di rotta.
In caso contrario avremo perso tempo. Ma le cose cambieranno comunque.
Igino Poggiali
Presidente nazionale dell'Associazione italiana biblioteche