[AIB] Commissione nazionale catalogazione e indicizzazione

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Osservazioni sul documento della Commissione RICA
Parte II, Descrizione bibliografica e dell'esemplare

Teresa Grimaldi (coordinatrice), Carlo Bianchini, Pino Buizza, Andrea Fabbrizzi, M. Chiara Giunti, Stefano Tartaglia.

25 marzo 2008

La Commissione Catalogazione dell'AIB, Associazione Italiana Biblioteche, ha esaminato il documento della Commissione RICA Parte I, Descrizione bibliografica e dell'esemplare (p. 23-199 di REICA – Bozza complessiva) disponibile all'indirizzo <http://www.iccu.sbn.it/upload/documenti/REICAfeb2008>, ed esprime le seguenti osservazioni, nell'intento di contribuire positivamente al processo di revisione delle RICA.

Osservazioni generali

La prima considerazione riguarda il titolo della Parte I: diversamente dai titoli delle Parti II e III – che citano solo l'oggetto delle norme (rispettivamente Opere e espressioni; Responsabilità) –, il titolo della Parte I presenta un concetto di attività transitiva, qualificata nella prima parte da un aggettivo che non connota un oggetto specifico, (data l'estrema genericità dell'aggettivo), nella seconda parte cita invece un oggetto (l'esemplare) residuale rispetto a quello implicito, ma omesso, nella prima: tale omissione non è lieve, perché sposta in avanti il problema fondamentale e prioritario da affrontare immediatamente, con chiarezza e perspicuità terminologica e concettuale: l'oggetto della descrizione.

Va rilevato, inoltre, che nella Bozza complessiva delle REICA le definizioni e i concetti fondamentali delle norme sono state spalmate tra le parti I-III del codice e l'Introduzione.

Oggetto della descrizione bibliografica

Le RDA e l'ISBD consolidated edition adottano il termine 'risorsa'; l'ALA contesta questo termine in favore del termine 'manifestazione', in pieno accordo con FRBR. Le REICA scelgono il termine/concetto 'pubblicazione', che risulta:

In ogni caso è evidente la centralità della classe bibliografica "documento a stampa" anzi della sottoclasse "documento a stampa di carattere testuale", che delimita l'ambito del concetto di pubblicazione: tanto che il paragrafo 1.1.B recita che : "per le pubblicazioni a stampa di carattere testuale la descrizione bibliografica ha per oggetto di norma l'edizione [...]".

Oscura è inoltre la caratterizzazione delle cosiddette "pubblicazioni di altro genere", intese in 1.1.B come "[...] l'insieme di tutti gli esemplari prodotti utilizzando la stessa realizzazione materiale del contenuto": cosa si intende per utilizzazione della stessa realizzazione materiale del contenuto? A questo concetto non si fa riferimento altrove e, data l'importanza della definizione, sarebbe forse opportuno chiarire meglio.

La centralità della situazione bibliografica rappresentata dalla pubblicazione a stampa, anzi delle pubblicazioni a prodotti multipli, è testimoniata anche dalla definizione di esemplare presente in 1.1.C: "Gli esemplari di una stessa pubblicazione condividono in generale le stesse caratteristiche riguardo sia al contenuto intellettuale o artistico sia alla forma materiale [...]".

Ci sono tuttavia delle situazioni catalografiche in cui l'unità documentaria non è una copia rappresentativa di tutti gli esemplari ma è un unicum, ed è l'originale. Quest'ultima situazione è ritenuta residuale, ed è oggetto di descrizione separata, al Cap. 6, sotto la rubrica "Documenti non pubblicati", che comprende, in 6.0.A, "[...] manoscritti, prodotti e oggetti d'arte, manufatti o oggetti materiali d'altro genere considerati come documenti", di cui alcuni – vedi il punto 6.0.A.b – sono "originali, di solito in un unico esemplare [...]".

Tuttavia, se si estende la copertura del catalogo anche ad oggetti di natura non bibliografica (e questo argomento meriterebbe una riflessione: nelle nuove RICA, nonostante non sia ancora esplicita la lista degli oggetti e materiali, sono tuttavia presenti riferimenti per es. alle carte da gioco), allora sarebbe opportuna una chiarificazione, in sede preliminare, dello statuto e dei modi di esistenza delle opere, in relazione sia ai diversi modi di produzione, sia alla diversa natura costitutiva. In particolare andrebbe evidenziata la differenza :

  1. tra opere autografiche e opere allografiche: le prime sono quelle che, essendo prodotte in modo definitivo in un solo stadio – es. le sculture, i quadri, etc. –, sono ritenute autentiche solo nell'esemplare originale, unico e non riproducibile, e coincidono con un solo oggetto fisico); le seconde – es. le opere musicali, testuali, etc. – sono quelle che conservano la propria autenticità in tutta la molteplicità delle istanze riprodotte correttamente da uno stesso input originale.
  2. tra opere costituite secondo un sistema linguistico– notazionale (le opere in tutti i tipi di linguaggio, verbale, musicale, coreografico, filmico, etc.): sono quelle che possiedono un alfabeto di caratteri e una articolazione sintattica che consente di riconoscere l'identità dell'opera in ogni replica eseguita in modo corretto – con variazioni riguardanti elementi contingenti – sulla base di un esemplare originale (le variazioni costitutive sono invece sintomo di una nuova opera); e opere prive di articolazione linguistico– sintattica (le pitture, le sculture, etc.), che non ammettono variazioni e deviazioni dal prototipo, e sono singolari.

È evidente che a queste differenziazioni andrebbe commisurata una diversa e più articolata politica di indicizzazione e descrizione, congruente con la storia della produzione e con le caratteristiche costitutive delle differenti entità.

È quindi necessario individuare un livello di astrazione più alto e cercare un termine più generale adatto alla connotazione di ogni oggetto catalografico previsto (manoscritto, risorse digitali, etc.): e se forse è da escludere il termine manifestazione – che, oltre a non avere nessuna tradizione nella catalografia italiana, sembra riferirsi solo all'aspetto materiale del documento –, d'altra parte risorsa è troppo generico: sarebbe forse più opportuno designare l'oggetto della descrizione con il termine documento.

Funzioni della descrizione bibliografica

L'ambigua definizione dell'oggetto bibliografico ha una ricaduta anche nella definizione delle finalità della procedura di descrizione bibliografica: infatti al paragrafo 0.3.1.a dell'Introduzione si legge che funzione della descrizione bibliografica è "identificare la pubblicazione distinguendola da altre edizioni": ma se il concetto di edizione definisce un sottoinsieme dell'entità pubblicazione, forse sarebbe opportuno riformulare la lettera a) del paragrafo e dire "identificare la pubblicazione distinguendola da altre pubblicazioni", perché il discorso sembra essere su un piano generale.

Inoltre, al punto b) dello stesso paragrafo 0.3.1.a dell'Introduzione la seconda funzione della descrizione "(indicarne [della pubblicazione] le caratteristiche più significative, riguardo sia al contenuto intellettuale o artistico che alla forma materiale e alle caratteristiche tecniche [...]") ripropone il problema del rapporto tra identificazione formale del documento – garantita dalla fedele trascrizione dei dati – e informazione sulle caratteristiche non formali (es. linguaggio, audience) e sulle relazioni con documenti simili: ma queste vanno effettuate attraverso l'indicizzazione delle opere e delle espressioni, e le relazioni pertinenti fra quelle.

In generale, se si tratta di descrivere per rappresentare bisognerebbe evitare sia di fare omissioni e interventi soprattutto nella trascrizione dei titoli, sia di operare selezioni nella indicazione dei responsabili dell'opera, dell'espressione e della manifestazione.

Un riscontro con le RDA evidenzia che l'ambito di applicazione di quelle è molto più vasto, ed è dedicata molta attenzione alla interoperabilità con altre comunità informative e alla convergenza dei dati catalografici con quelli archivistici e con i metadati: finalizzata a ciò è la presentazione degli elementi descrittivi come dizionario di dati piuttosto che secondo lo schema in aree dell'ISBD, ritenuto un formato troppo strettamente legato alla comunità bibliotecaria. Ma, indipendentemente dalle RDA, il richiamo alla armonizzazione con le agenzie informative più rappresentative è espressamente formulato nei Principi di Francoforte.

Un altro problema di carattere generale è il rapporto tra norme REICA sulla descrizione e ISBD. Il testo proposto ora all'esame pubblico da parte della Commissione RICA a volte sembra una parafrasi del nuovo standard internazionale, a volte propone differenze che a prima vista non sembrano giustificate. In alcuni casi, si ha l'impressione che le consuetudini introdotte in Italia per errata interpretazione o applicazione delle norme internazionali ora vengano sancite e elevate a norma: il pericolo è che questo tipo di scelte rischia di indebolire tutto il codice, e di distrarre l'attenzione da altri approfondimenti che sarebbero più urgenti. Forse, al posto di dare indicazioni di struttura logica e formale, si sarebbe dovuto invece partire dalla scelta dei dati.

In generale, le prescrizioni della Parte I esprimono la summa della prassi descrittiva degli ultimi 25 anni, molto circostanziata, ben rappresentata, – e per questo forse troppo pesante dal punto di vista esemplificativo, e ripetitivo nel testo delle prescrizioni –; sarebbe tuttavia auspicabile un'attenzione maggiore verso le problematiche scaturite dalle più recenti riflessioni teoriche e applicative sull'ontologia catalografica.

Osservazioni specifiche

1.3.1 (e nelle altre ricorrenze)

Correggere "Designazioni generiche del materiale " in "Designazioni generali dei materiali"

1.4.A lettera b)

Si indicano due condizioni molto diverse, nelle quali la presenza di più unità è dovuta a due ragioni profondamente diverse; nel primo caso la separazione delle unità è dovuta a un limite fisico-logistico (non si possono fare libri con un numero illimitato di pagine); nel secondo caso la presenza di più unità è dovuta alla "condizione di completamento" (1.1.D). Tale distinzione viene peraltro ampiamente ripresa ed evidenziata dalle norme successive. Per maggiore chiarezza sarebbe opportuno distinguere le due condizioni, creando una lettera c).

1.5.1, lettera d):

andrebbe aggiunta a fine frase la specificazione "ad eccezione di quanto previsto in 1.5.3.1.B".

1.7

Variazioni o cambiamenti che richiedono descrizioni distinte: è senz'altro positiva l'analiticità della casistica e la ricchezza esemplificativa; tuttavia va indicato in nota, o forse meglio va indicizzata, non solo la relazione tra le pubblicazioni ma anche quella tra i testi invarianti delle opere contenute.

1.7.1.2 vs 1.7.1.4

Vi si trovano espresse considerazioni di carattere sostanziale che portano alla prescrizione di non effettuare una nuova descrizione di quelle ristampe che presentano piccole differenze nel contenuto, anche se indicate con il termine edizione, e considerazioni di carattere formale che prescrivono una nuova descrizione per quelle ristampe (inalterate dal punto di vista testuale) che presentano variazioni nei principali elementi di identificazione (il titolo e i suoi complementi, l'indicazione di responsabilità, l'editore, la paginazione).

Ciò determina una incertezza nella classificazione sia degli esemplari facenti parte della stessa edizione ( infatti bisognerebbe fare una distinzione tra ristampe alterate nella forma e ristampe inalterate nel contenuto afferenti tuttavia alla stessa composizione testuale) sia delle opere contenute nella pubblicazione (perché andrebbe evidenziata l'identità del testo, cioè dell'espressione, in due ristampe descritte autonomamente come differenti perché presentano diversi elementi di identificazione). Altri problemi per una corretta classificazione delle espressioni delle opere discende dalla considerazione del contenuto della pubblicazione invece che del testo dell'opera contenuto nella pubblicazione: per cui l'aggiunta di una premessa o di una prefazione alla ristampa crea una ristampa alterata (questa volta l'aggettivo qualifica l'aspetto materiale della forma di produzione). Questi problemi indicizzatorii e relazionali sono tuttavia ineludibili anche a livello descrittivo, in quanto la prescrizione di non riportare le indicazioni di edizioni riferentesi a ristampe, pone il problema, specie in sede di catalogazione collettiva, della visualizzazione completa della gamma delle impressioni di una stessa edizione, per collocare l'esemplare che si sta catalogando nella posizione giusta all'interno dell'edizione di riferimento. Se l'informazione "2. ed. (ma ristampa) 1972" è presentata solo a livello di nota di esemplare, e non è evidente dalla descrizione (che si riferisce all'edizione di base – ma sarebbe meglio usare un'altra formula, es. "alla 1. impressione dell'edizione" – è difficile – e a volte impossibile – ritrovare la propria ristampa come esistente e già descritta; d'altra parte, se tale descrizione deve essere presente, è evidente che bisognerà riflettere sulla necessità di introdurre più livelli della descrizione bibliografica, così articolata da riflettere in modo completo e sistematico tutti i membri ritenuti equivalenti o quasi-equivalenti delle varie impressioni all'interno della "classe" edizione. Solo così può essere vera l'affermazione che la descrizione corrisponde a tutti gli esemplari della pubblicazione, e si abolirà la contraddizione del ricorso a descrizioni bibliografiche distinte solo per esemplari particolari della stessa edizione.

In conclusione, dall'esame dei punti riguardanti l'area dell'edizione, si deduce che l'oggetto della descrizione è un aggregato non omogeneo: il lettore quindi, specie in un catalogo collettivo, si troverà con oggetti e dati incoerenti, corrispondenti in alcuni casi all'aggregato "edizione", in altri ad aggregati più grandi (quando si dovesse fare un'unica registrazione per diversi formati), in altri casi ancora ad aggregati più piccoli (particolari esemplari nell'ambito di una edizione).

1.7.1.6.C.

Questa prescrizione non è coerente con la funzione descritta in 1.1.A; si tratta infatti di pubblicazioni diverse e quindi dovrebbero esserci descrizioni distinte.

2.3.B, 2.3.C e 2.3.D.

Non è chiaro il motivo per il quale le norme REICA in questa parte si discostano da ISBD e forse tale motivo andrebbe chiarito in premessa. Tuttavia dovrebbe essere considerata attentamente la decisione di cambiare rispetto a ISBD e la sua forte volontà di perseguire l'interoperabilità con altri sistemi e formati di visualizzazione. Peraltro, le stesse norme REICA si propongono di seguire ISBD e si preoccupano anche di aspetti relativi alla visualizzazione dei dati, come si vede nell'ultimo paragrafo di 2.3.C.

Non è chiaro quindi perché non vengono accolte le scelte innovative di ISBD per la punteggiatura, che stabilisce adesso che può essere ripetuto il punto se un'area termina con un punto e l'area successiva inizia con un punto e che ciascun elemento integrato nella medesima area deve essere singolarmente compreso entro parentesi quadre (e non entro una parentesi quadra comprensiva di tutti gli elementi integrati).

3.2.3.B

Per le cosiddette "Pubblicazioni d'altro genere" viene indicata come fonte primaria la "fonte leggibile a occhio nudo, se sufficiente per la descrizione, rispetto a una fonte che richiede l'impiego di un'apparecchiatura (p. es. per videoregistrazioni o pubblicazioni elettroniche diffuse su un disco o cassetta)". Ma se una volta era ragionevole il ricorso all'etichetta nella catalogazione delle videocassette e DVD – perché in genere non era possibile prenderne visione per catalogarle correttamente – oggi l'orientamento dovrebbe essere invece quello di privilegiare le fonti 'interne' del documento nella gerarchia delle fonti. Criticabile è anche la scelta del titolo della scatola come titolo della pubblicazione nel caso di pubblicazioni in più unità che non hanno nulla in comune. In questo caso sarebbe più corretto riconoscere che le unità non hanno nulla in comune e trattarle come tali.

4.1.0.1

Data la scelta di adottare l'ISBD, colpisce l'abbandono del titolo proprio, rinominato titolo principale. Questo tuttavia non è definito, perché in 4.1.0.1 si dice che l'area del titolo comprende il titolo principale, e in 4.1.1.1 si prescrive di riportare come primo elemento il titolo principale della pubblicazione. Ciò che si definisce è solo il concetto di titolo, (in 4.1.1.0), che è "una espressione [...] che si presenta come indicazione essenziale per designare o individuare una pubblicazione (o una o più opere in essa contenute".

Si pongono quindi alcuni quesiti: perché è stato abolito il titolo proprio? Si ritiene forse che si tratti di un concetto e di un termine troppo legati al gergo catalografico e si intende distaccarsi dall'ISBD? Ma allora perché continuare ancora a sostenere alcune differenziazioni proprie dell'ISBD, ad es. quelle per cui una pubblicazione senza un titolo collettivo che però cita i titoli di due o più opere non ha un titolo principale? La proprietà del titolo di valere come "indicazione essenziale per designare o individuare una pubblicazione (o una o più opere in essa contenute)" si riferisce alla funzione auto-identificativa posseduta generalmente dai documenti a stampa, per lo più fissi e auto-descriventi attraverso una fonte precisa d'informazione, (se è così è una funzione troppo centrata su un solo tipo di documento), o è un elemento con funzione piuttosto citazionale che denotativa (come nella gran parte dei documenti non testuali e non a stampa)?

Se quindi le nuove RICA si basano espressamente sulle ISBD, l'abolizione del Titolo proprio va motivata e giustificata.

Non sono inoltre citati, né definiti il titolo significativo, distintivo e collettivo che compaiono sia nella Parte I che nella Parte II; si trova inoltre titolo d'insieme e titolo collettivo indifferentemente.

In generale il riordino delle informazioni (es. le varie soppressioni e posposizioni di elementi presenti nel frontespizio dei documenti a stampa) ripropongono il problema del valore identificativo (che richiederebbe la maggiore fedeltà possibile al frontespizio) o informativo della descrizione: l'ISBD è una convenzione catalografica forte, ma non sempre il risultato descrittivo è di chiara interpretazione da parte dell'utente finale: riflette la necessità di chiarire il significato della descrizione la proposta di indicare la posizione del nome dell'autore quando viene posposto?

4.1.1.7.A, B

Le varianti del titolo e i titoli diversi sono considerati punti di accesso e quindi si rinvia alla Parte II, Cap. 13: ma la Parte II non si intitola "Punti di accesso alle opere, espressioni e pubblicazioni" ma "Opere e espressioni". Come mai contiene anche gli accessi dai titoli principali delle pubblicazioni? Il capitolo 13. "Accesso ad altri titoli" è quindi di collocazione impropria nella Parte II.

4.2

In aggiunta al commento ai punti 1.7.2 e 1.7.4, va inoltre fatta una riflessione sulla natura ibrida dell'indicazione di edizione: se l'indicazione di edizione guida il lettore nella scelta del documento, e se la scelta è orientata più all'opera contenuta che alla peculiarità editoriale del documento che la manifesta, allora la funzione diversificativa deve essere effettuata non solo al livello della manifestazione (cioè all'interno di una determinata forma di realizzazione fisica), o al livello di tipologia del materiale (ciò che avviene quando si effettua una nuova descrizione per forme di realizzazione diverse da quella originale), ma anche a livello di espressione. A tal fine il codice deve stabilire esplicitamente le entità da descrivere, indicizzare e correlare, esplicitando e rafforzando le prescrizioni descrittive e i meccanismi indicali atti alla segnalazione delle relazioni di equivalenza tra espressioni e tra manifestazioni contenenti la stessa espressione. Non è una solo una questione di OPAC: l'organigramma delle entità e delle relazioni deve essere parte integrale e costitutiva del codice.

4.4.1.1 C

Il criterio di qualificazione del luogo di pubblicazione (con il nome dell'ambito geografico più vasto – il comune, la provincia, lo stato cui il luogo appartiene –), non risponde a fini identificativi del documento – a cui si adatta la trascrizione del dato – ma a fini identificativi dell'entità "luogo di pubblicazione, produzione ...etc.": si tratta quindi di dati pertinenti a punti di accesso controllati, e quindi indicizzabili in altra sede rispetto a quella descrittiva.

4.4.4

La data di pubblicazione non è definita, e in 4.4.4.2 si prescrive che, se non compare la data di pubblicazione, va riportata la data di copyright o la data di stampa o manifattura, "se possono essere considerate equivalenti, almeno approssimativamente, alla data di pubblicazione effettiva".

Tuttavia l'eliminazione della qualificazione della data di copyright e della data di stampa – sia nel caso di coincidenza tra i due dati, sia nel caso di presunta corrispondenza (ma in base a quali criteri?) di una delle due date alla data di pubblicazione – potrebbe forse creare problemi di identificazione del documento.

5.2.7

Area delle note: in un catalogo relazionale le informazioni relative alle caratteristiche dell'opera o dell'espressione, o alla storia bibliografica del documento, dovrebbero forse essere presentate non tanto come dati descrittivi del documento, ma come registrazioni autonome, da mostrare in stretta relazione con tutte le registrazioni correlabili, e si dovrebbe mostrare per ogni singola tappa della ricerca bibliografica il quadro organico completo delle informazioni bibliografiche pertinenti rispetto al singolo documento.


Copyright AIB 2008-04-28, a cura della Redazione AIB-WEB.
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