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Dalle pubblicazioni ufficiali alla documentazione di fonte pubblica: il ruolo delle biblioteche tra controllo bibliografico e diffusione dell’informazione

Roma, Biblioteca della Camera dei deputati, 23 ottobre 1998


La documentazione di fonte pubblica nell'era di Internet

di Nicola Palazzolo

 

1.Questo breve intervento vuole cercare di mettere a fuoco il rapporto fra l'evoluzione delle scienze documentarie e bibliotecarie da un lato, l'evoluzione delle tecnologie informatiche e telematiche dal'altro, e il ruolo che lungo questa evoluzione assumono o potrebbero assumere gli Enti pubblici che istituzionalmente si occupano di documentazione giuridica e amministrativa. Se non parlerò direttamente di biblioteche è solo perché mi pongo nell'ottica non tanto di chi offre il servizio all'utente finale, ma piuttosto di chi organizza non solo la raccolta delle informazioni, ma anche la loro diffusione.

C'è anzitutto da chiarire un concetto che mi sembra assolutamente centrale: quando si parla di "documentazione pubblica" ci si può riferire a cose molto diverse tra loro. C'è da un lato quella accezione più ristretta che guarda solo i documenti "prodotti" dagli Enti pubblici (documenti normatici, documenti politico-costituzionali (atti parlamentari, ecc.), documenti amministrativi, documenti bibliografici di editoria pubblica. C'è poi un'accezione più ampia, secondo cui è documentazione non solo pubblica ma di fonte pubblica quella che viene comunque "diffusa" dagli Enti pubblici che sono i diffusori di informazione (i sistemi informativi delle assemblee legislative, della corte di Cassazione, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ecc.: si tratta di materiali la cui fonte di produzione non è pubblica, ma che vengono trattati alla stessa stregua di quelli, in quanto l'Ente pubblico se ne fa distributore. Ed infine, nell'era della telematica, il termine "documentazione pubblica" può assumere un'accezione ancora più ampia, di tutto ciò che è messo a disposizione del pubblico sulla rete, che è accessibile da tutti, anche se non è né prodotto né diffuso da un Ente pubblico. La documentazione è pubblica in quanto la sua circolazione non è limitata (come lo sarebbe la documentazione tra le amministrazioni pubbliche). E d'altra parte, c'è una documentazione di fonte pubblica che non è pubblica, in quanto non è liberamente accessibile a tutti: basti pensare - come è stato ricordato anche nei materiali introduttivi di questo convegno - ai documenti che solo in presenza di un interesse legittimo possono essere conosciuti dagli interessati attraverso un particolare procedimento, quello appunto del diritto di accesso.

Spero si sarà capito da questa precisazione che io intendo parlare non solo della documentazione prodotta ma anche di quella diffusa dagli Enti pubblici mediante strumenti telematici, in altre parole dell'informatica giuridica pubblica.

2. E' probabilmente un luogo comune quello di pensare che l'informatica giuridica, o meglio il suo aspetto documentario, cioè l'uso di strumenti informatici al servizio della documentazione giuridica e amministrativa, abbia raggiunto ormai livelli difficilmente comparabili con quelli raggiunti da altre discipline.

E' vero certamente che la quantità di dati conservati su supporto elettronico, per iniziare dai grandi sistemi pubblici (il Centro elettronico di Documentazione della Corte di Cassazione, l'Istituto per la Documentazione Giuridica del CNR, i sistemi informativi di Camera e Senato) e continuando con le moltissime iniziative private sul mercato dei CD-ROM, sembrerebbe avallare questa idea. A me però sembra che ciò sia vero solo dal punto di vista quantitativo, non da quello qualitativo, che non investa cioè i modi di operare degli operatori del diritto, cioè di coloro che producono il diritto, applicano il diritto, insegnano il diritto; ma specialmente non tocchi ancora il tradizionale modo di porsi del cittadino nei confronti della Pubblica amministrazione

Dal primo punto di vista, se noi guardiamo al modo di operare dei giuristi, anche in Italia, che è ritenuta la nazione all'avanguardia nella ricerca in materia di informatica giuridica, ci accorgiamo che esso non differisce di molto da quello che era il modo di lavorare dei giuristi di cinquant'anni fa. La ricerca e ancor di più la didattica nelle Facoltà di diritto continua a farsi pressoché esclusivamente sui libri; l'attività di produzione normativa cresce a dismisura senza che nessuno sappia più quanto una nuova legge è coerente con le altre leggi già esistenti, e quali di esse debbano ritenersi abrogate; il processo, sia civile che penale, continua ad essere un "processo di carte", nel quale lo strumento informatico viene utilizzato al massimo per ritrovare i precedenti giurisprudenziali, mentre mancano strumenti adeguati per ricostruire con i precedenti la "memoria del fatto"; e la Pubblica amministrazione lavora in gran parte ancora con la carta e la penna: anche atti amministrativi semplicissimi, e senza alcuna discrezionalità, devono essere ogni volta il frutto di personale elaborazione da parte del funzionario addetto, con un'enorme dispendio di energie.

C'è insomma uno scarto enorme tra la ricerca in materia di informatica giuridica, la quantità di dati documentari disponibili e la concreta applicazione nella scienza e nella pratica del diritto. L'informatica non ha operato ancora, nel campo del diritto, quel salto di qualità che invece è riscontrabile in altre discipline (si pensi alla medicina, alla biologia, e in genere alle scienze sperimentali).

3. Ma anche con riferimento all'attività di documentazione giuridica in senso tradizionale (la documentazione del diritto: normazione, dottrina, giurisprudenza) l'aumento esponenziale della produzione giuridica memorizzata su supporto elettronico rischia di divenire non una opportunità in più per gli operatori del diritto, ma piuttosto un limite, al quale occorre senza indugi porre rimedio.

Per la produzione normativa si è già detto qualcosa: la mancanza a tutt'oggi di un "testo corrente" di ogni atto avente valore di legge, aggiornato non solo con le innumerevoli modifiche che giornalmente vengono apportate, ma anche con le pronunce sui giudizi di costituzionalità della Corte costituzionale, rende quanto mai precaria l'affidabilità di una consultazione di strumenti informatici. Da oltre un quindicennio il dibattito istituzionale e dottrinale ha indicato la necessità di limitare la quantità della produzione legislativa, renderla più omogenea, migliorarne comprensibilità e chiarezza. Tale necessità è dettata da due esigenze: restituire ai cittadini la comprensibilità e la certezza del diritto; liberare la Pubblica amministrazione dai molteplici vincoli derivanti dall'ipertrofia, dall'incertezza nell'applicazione e interpretazione, dalle sovrapposizioni e dalle contraddizioni delle norme. In particolare negli ultimi tre anni queste esigenze sono state sempre più avvertite dall'opinione pubblica tanto da diventare argomenti del dibattito politico e dare origine ad interventi regolamentari ed organizzativi. In questo processo stanno assumendo particolare rilevanza i metodi, le tecniche, gli strumenti, le procedure per il coordinamento dei testi legislativi, inteso nell'accezione più ampia e quindi ricomprendente tutte quelle attività volte ad individuare, chiarire, rendere comprensibile, connettere, consolidare e ricostruire il quadro normativo composto da più norme in vigore (o in gestazione) in un dato ambito. C'è quindi una attenzione spiccata dei poteri pubblici verso questi temi, ma tutti sappiamo che nei fatti la strada verso un'informazione normativa che risponda alle esigenze sopra elencate è di là da venire.

Per quanto riguarda le sentenze il sistema collaudato (e che i magistrati da sempre utilizzano) è quello della "massima", cioè del principio giuridico tratto liberamente dalle sentenze dei giudici: l'affidabilità di questo sistema dovrebbe stare nel fatto che a redigere la massima sono i magistrati stessi, non però gli stessi che hanno redatto la sentenza, bensì uffici speciali costituiti presso la Corte di Cassazione (per le sentenze della Cassazione) e presso le Corti di appello per le sentenze dei giudici di merito. Tutti coloro che hanno pratica di documentazione sanno però quanto rischiosa può essere la conoscenza di un documento basata soltanto su un riassunto in linguaggio non controllato, specie quando si pretenda, come si fa nelle massime giurisprudenziali, di astrarre da una decisione concreta, nella quale gli elementi di fatto sono sempre diversi da quelli di altre situazioni pur analoghe, un principio giuridico che possa giovare come precedente per casi simili. La ricerca attraverso la massima sarebbe plausibile qualora chi fa la ricerca avesse la possibilità di giungere in tal modo al documento completo, cioè alla sentenza originale, per verificare da sé il procedimento logico-interpretativo che ha condotto alla decisione esaminata. Ma tutti sanno che così non è, perchè solo una piccola parte delle sentenze della Corte di Cassazione (e solo di questa) è memorizzata a testo pieno, e comunque si trova in un archivio del tutto separato rispetto a quelli nei quali normalmente si fa la ricerca del precedente giurisprudenziale. Oggi sono piuttosto i privati che si sono lanciati nel mercato del testo pieno giurisprudenziale, ma con risultati che - ovviamente - rispondono ad un'ottica imprenditoriale, più che a quella del servizio pubblico.

Se poi andiamo ai sistemi bibliografici in campo giuridico gestiti o diffusi da Enti pubblici, qui si può osservare subito come al proliferare, in progressione geometrica, della produzione bibliografica non faccia riscontro una adeguata disponibilità di strumenti di reperimento che diano insieme garanzie di completezza, rapidità di aggiornamento e attendibilità documentaria. Non che non vi siano affatto di questi strumenti: farei un torto gravissimo sia alla Camera dei deputati che oggi ci ospita, sia al mio stesso Istituto se dicessi questo. Ma purtroppo sono dei sistemi che, allo stato attuale, rispondono solo ad una o al massimo a due di quelle esigenze: laddove c'è completezza spesso non c'è tempestività di aggiornamento o c'è un'indicizzazione approssimativa, laddove esistono strumenti di analisi documentaria più raffinati troppo spesso la base documentaria è assolutamente inadeguata rispetto a tutto ciò che si pubblica.

Dopo quanto ora detto non posso perciò che plaudire alla iniziativa promossa dalla biblioteca della Camera dei Deputati e dalla sua Direttrice dott.ssa Lamaro, di rivedere dalle sue basi il sistema di informazione bibliografica pubblica in materia giuridica, con un'iniziativa che coinvolga tutti i soggetti produttori di informazioni (pubblici e privati) e che miri a costruire un sistema moderno sia dal punto di vista documentario che informatico, e chre risponda a tutti e tre i requisiti di completezza, rapidità di aggiornamento e attendibilità documentaria.

4. Se l'informazione giuridica, come si è cercato di dimostrare, è di gran lunga carente per i professionisti del diritto, ancora più paradossale è il modo di porsi dell'informazione pubblica nei confronti del cittadino.

L'informazione giuridica, in particolare, è rimasta fino ad oggi troppo spesso legata alle esigenze degli addetti ai lavori, cioè a dire delle professioni forensi. Qui c'è il paradosso, tutto italiano, per cui da un lato è l'Ente pubblico che progetta, costruisce e gestisce i grandi sistemi informativi (primi tra tutti quelli della Corte di Cassazione e delle assemblee legislative), e dall'altro si tratta di sistemi costruiti e pensati - sia dal punto di vista documentario che da quello informatico - non in funzione dei cittadini, ma piuttosto dell'utenza interna (i magistrati per la Cassazione, i parlamentari per le assemblee legislative): non solo, ma costruiti nella previsione di un intermediario dell'informazione (il documentalista giudiziario o parlamentare) che certamente non rende facile un accesso indifferenziato come è quello attraverso Internet. Ciò ha finito per favorire negli ultimi anni un proliferare di iniziative, collegate quasi sempre alle case editrici che producono informazione giuridica su supporto cartaceo, che hanno attirato fette di mercato consistenti generalmente su prodotti in CD-ROM, ma anche sempre più spesso in rete.

Si potrebbe obiettare che in fondo questo è poco male: una sana concorrenza tra pubblico e privato potrebbe essere anche in questo campo salutare. E d'altra parte questa è la scelta che è stata fatta in altri paesi europei. Se guardiamo ai paesi con un ordinamento più simile al nostro (Francia, Germania, Spagna) il rapporto fra pubblico e privato è addirittura istituzionalizzato: è lo Stato che produce l'informazione e la organizza, ma sono i privati che, in base ad una convenzione, la diffondono.

E però, a parte l'aspetto finanziario (l'investimento di risorse pubbliche che c'è stato in Italia nelle banche dati giuridiche non è per nulla comparabile con quello degli altri paesi europei) io credo che se c'è ancora oggi una ragione per cui gli Enti pubblici produttori di informazione debbano direttamente diffondere senza intermediari questa informazione, mettendola a disposizione di chi la desidera, questa è una ragione tutta politica, di politica dell'informazione, appunto.

5. Cosa si deve chiedere allora agli Enti pubblici che producono o diffondono informazione? Oggi - come si diceva - l'informazione giuridica è in Italia concentrata attorno a pochi grandi sistemi informativi pubblici, più una serie di iniziative dell'editoria privata. Per ragioni diverse (gli uni perché costruiti su sistemi informatici in buona misura superati (Italgiure-find per il CED della Cassazione, STAIRS per Camera e Senato) , gli altri perché tutti tesi a recuperare comunque una fetta di mercato che ancora non avverte esigenze più raffinate) di fatto si tratta di imprese che non hanno investito in ricerca e perciò di prodotti nel complesso alquanto tradizionali, quanto a concezione e modalità di realizzazione: per farla breve, siamo ancora fermi alla logica booleana e poco più.

Eppure negli ultimi vent'anni la ricerca in materia di informatica giuridica è andata avanti, non solo all'estero, ma anche in Italia: appunto l'Istituto per la documentazione giuridica del CNR, che era nato per gestire sistemi informativi di tipo tradizionale, si è andato caratterizzando sempre più come un Istituto di ricerca in tecnologie informatiche applicate al diritto, ma anche di analisi del linguaggio giuridico, di logica giuridica, di teoria del linguaggio giuridico, settori di ricerca probabilmente di maggiore attrattiva, che si sono affermati sempre più, sino al punto da creare due compartimenti stagni tra questi studi e l'attività di documentazione giuridica che continuava a seguire metodi tradizionali.

Verso la fine degli anni settanta si è cominciato a progettare sistemi che superassero la fase documentaria spingendosi verso la funzione decisionale, al fine di fornire consulenza o forme di aiuto alla decisione su aspetti rilevanti di un determinato ambito. Anche i giuristi, sotto la spinta della mole rilevantissima di testi normativi che rischiavano di pregiudicare l'ordinata e corretta applicazione, hanno pensato ad un maggiore e migliore utilizzo dello strumento informatico, cioè, di fatto, ad un superamento della fase documentaria e alla sperimentazione di tecniche innovative miranti ad un'analisi profonda del testo normativo. L'obiettivo ambizioso era quello di costruire sistemi in grado di simulare il ragionamento giuridico. L'applicazione delle tecniche dell'intelligenza artificiale al diritto, pur con i problemi connessi con le ricerche di frontiera, ha rappresentato comunque un terreno di proficua sperimentazione interdisciplinare; non sono pochi i giuristi impegnati a sperimentare queste tecniche, mentre numerosi informatici utilizzano ambiti normativi per lo sviluppop delle loro ricerche più avanzate.

Ma è lo stesso concetto tradizionale di informazione giuridica ad essere cambiato in questi anni. La necessità di dominare masse di dati spesso tra loro confliggenti e l'esigenza di contrarre il più possibile i tempi necessari allo svolgimento delle complesse procedure operative esistenti hanno indotto a ricercare nuovi strumenti e diverse metodologie per la gestione e l'analisi dell'informazione.

Tanto per fare un esempio, basti pensare alle ricerche che ormai da circa un decennio il nostro Istituto svolge in un campo di grande attualità e rilevanza sociale, qual è quello della normativa sull'ambiente. In questo settore i due filoni dell'informatica giuridica, quella documentaria e quella decisionale, hanno finito per intrecciarsi ed interagire, diventando tra loro complementari.

C'è qui un superamento dello stesso concetto di sistema esperto in senso tradizionale: si va piuttosto verso "sistemi di reperimento avanzato", in cui si utilizzano sia tecniche di trattamento della conoscenza basate sull'intelligenza artificiale, sia tecniche specifiche di retrieval evoluto.

Questa evoluzione ha modificato pure il modo di lavorare e il ruolo stesso dell'IDG: da ente produttore di banche dati quale era all'inizio si è andato specializzando dapprima nella sperimentazione di sofisticati strumenti di ricerca integrati e di prototipi di sistemi esperti applicati a basi di conoscenza specialistiche, che si proiettano verso il traguardo della "consulenza" o del "supporto" alla decisione, per poi diventare nell'ultima fase partner privilegiato degli enti pubblici che hanno come obiettivo la diffusione dell'informazione ai cittadini, e che perciò incontrano ogni giorno problemi da un lato di costruzione di basi di conoscenza quanto mai complesse, data la presenza di documenti della più varia natura, dall'altro di sapere, ad esempio, quale e quanta informazione può essere distribuita attraverso le reti, e quanto invece deve rimanere riservato perché costituirebbe violazione della privacy, o - da altro profilo - tutti i problemi, le garanzie e i limiti che incontra l'uso giuridico del documento elettronico.

Il progetto della Rete civica dell'Area metropolitansa fiorentina, a cui partecipano tutte le amministrazioni pubbliche che gravitano in quell'Area geografica, mi sembra a questo proposito un esempio di grandissimo interesse, perché tende a valorizzare la copperazione di tutti i soggetti interessati, partendo dalla base comune costituita dalla integrazione dei patrimoni informativi, passando per la razionalizzazione delle procedure relative alla distribuzione delle informazioni e all'erogazione dei servizi, per giungere alla costruzione finale della "rete", intesa non come semplice infrastruttura, ma come sistema informativo complesso e integrato. A questo procetto l'Istituto per la documentazione giuridica ha dato e sta dando un importante contributo di conoscenza e di supporto tecnologico, che costituisce uno dei più validi esempi di come un istituto pubblico di ricerca possa oggi ridefinirsi al servizio della comunità nazionale, e non solo di una ristretta cerchia di addetti ai lavori.

6. Ed è qui forse il nodo principale, il vero punto di svolta nella concezione dell'informazione di fonte pubblica. Concepire dei sistemi informativi orientati al cittadino significa infatti confrontarsi con un uno dei nodi più grossi con cui si incontra oggi il nuovo tipo di attività documentaria.

Una società che vuole essere davvero democratica e partecipativa non può evitare di confrontarsi con il problema di fondo dell' "ignoranza del diritto (che non può essere eluso sulla base del postulato ignorantia iuris non excusat). Una società evoluta deve porsi il problema se l'ignoranza del diritto è da ascrivere unicamente all'inerzia conoscitiva del cittadino, o se in qualche misura esista un deficit di informazione giuridica dovuto sia alla massa di materiale normativo e giurisprudenziale, non facilmente dominabile dal cittadino comune, sia alle difficoltà di decodifica del linguaggio normativo.

La questione dei "nuovi diritti" (e tra questi il diritto all'informazione è fondamentale) attiene ad una concezione progredita della civiltà giuridica, e quindi dei rapporti tra cittadini e apparati pubblici.

L'informatica giuridica, forse più che altre discipline che pure usano strumenti informatici, ha saputo sviluppare una cultura scientifica interdisciplinare che può ritenersi strumento idoneo al formarsi di una nuova concezione del rapporto tra cittadino e ordinamenti pubblici, basata sul valore dell'informazione.

Si tratta di realizzare sistemi dotati di apparati di conoscenza capaci di produrre un'informazione giuridica di livello più elevato rispetto ai sistemi di information retrieval tradizionali: non più soltanti risposte di tipo documentario, ma con contenuti informativi più ricchi ed espliciti ai fini della comunicazione. Un sistema informativo "orientato al cittadino" deve poter fornire conoscibilità integrale, esplicita, espressa in un linguaggio che renda comprensibile all'utente la risposta sotto il profilo dei diritti e degli obblighi, nonché di tutto ciò che presenta il quid iuris conoscibile. Si tratta di una struttura complessa, che presenta funzioni di documentazione e di interpretazione integrate, che riesce ad organizzare la domanda del cittadino utente in forma dialogica, sviluppandola poi in una forma giuridicamente corretta.

Un insieme organico di "sistemi informativi orientati al cittadino", interrogabili attraverso una rete nazionale, specializzati per ambiti normativi (a cominciare da quelli che maggiormente interessano la vita di relazione: l'Ambiente, la Famiglia, il Lavoro), dotati di procedure d'accesso semplificate, istituzionalizzati come elementi strutturali di un organico Servizio d'utilità pubblica, rappresenterebbe infatti un inizio praticabile nel percorso verso la modernizzazione e razionalizzazione degli ordinamenti. Un'opportuna quanto necessaria evoluzione del modo di intendere e sviluppare il rapporto tra la persona, soggetto del diritto, e l'ordinamento.



Copyright AIB 1998-12-12, a cura di Fernando Venturini e Elena Boretti
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