[AIB]

XLVI Congresso nazionale AIB
Oltre confini e discontinuità
Torino, 11-13 maggio 2000


Bibliotecari, duemila anni di continuità. - 2000-05-11 14:30/17:30

NOTA redazionale. Ringraziando gli autori che hanno messo a disposizione per AIB-WEB i testi delle loro relazioni, avvertiamo che potranno risultare lievi differenze tra questa versione e quella definitivamente licenziata per la stampa.


Nascita delle biblioteche pubbliche: les confiscations

Luciano Canfora
(Università di Bari)

 

«Sin dal principio della Rivoluzione ci sono sempre state Commissioni composte di dotti, artisti e letterati, incaricati di mettere en réserve ovvero inventariare gli oggetti preziosi della scienza e dell'arte appartenenti alla nazione».

Così si esprimeva Antoine Alexandre Barbier nel luglio 1799. Il futuro bibliotecario personale dell'imperatore dei Francesi, allora componente del "Conseil de Conservation".

Barbier si rivolgeva al Ministro dell'Interno e faceva un bilancio di circa dieci anni di attività delle commissioni via via insediate, che avevano provveduto, secondo l'espressione allora in voga, a mettere i beni artistici e letterari «nelle mani della Nazione». Questa grande impresa, questo immenso trasferimento alla massima istituzione pubblica (la Bibliothèque Nationale) dei beni culturali posseduti dagli ordini religiosi soppressi, e dagli émigrés è un evento che ha segnato in via definitiva la vita culturale francese, e che, nonostante i mutamenti politici intervenuti successivamente, non è stato, se non in parte, rimesso in discussione. La borghesia è stata davvero la più drastica confiscatrice di ricchezze che l'Europa abbia visto all'opera.

Le tappe attraverso le quali si è svolto questo processo sono l'oggetto di questa comunicazione.

Innanzi tutto il "Comité des Quatre Nations". I suoi verbali sono stati pubblicati integralmente da L. Tuetey, nel 1902/1903, nell'ambito di una pubblicazione complessiva comprendente anche quelli della successiva "Commission des monuments". Essi coprono gli anni 1790-1794). Il nome di questo comitato deriva dal luogo dove esso si riuniva: l'antico Collège des Quatre Nations, poi sede dell'Institut. Esso era composto di sei persone, tratte pariteticamente dai due "Comités d'aliénation": quello dei beni nazionali e quello dei beni ecclesiastici, emanazione entrambi della Assemblea Costituente. La soppressione, decretata il 2 Novembre 1789, di una serie di comunità religiose aveva reso necessaria la costituzione di tali comitati. La prima riunione del Comité des Quatre Nations avvenne l'8 Novembre 1790. A questo Comité des Quatre Nations si deve l'iniziativa più moderna e importante: quella di un Catalogo unico di tutto il materiale bibliografico confiscato, e destinato ad entrare nelle costituende biblioteche pubbliche. La Bibliographie universelle de France, cui Pierre Riberette ha dedicato un importante studio pubblicato nel 1970 dal Ministero dell'Éducation Nationale. L'impresa fu interrotta -- come vedremo -- sotto il Direttorio, nonostante gli importanti risultati acquisiti. E fu oggetto del celebre rapporto dell'abate Grégoire letto al cospetto della Convenzione. Furono apprestate centinaia di migliaia di schede.

Tra gli esecutori e responsabili del progetto vanno annoverati alcuni dei più insigni bibliografi del tempo. Innanzi tutto Hubert-Pascal Ameilhon (bibliotecario della città di Parigi) e l'abate Mercier de Saint-Léger, già bibliotecario della Sainte Geneviève e bibliografo eminente. È evidente già da queste scelte la linea di condotta del governo, mirante ad utilizzare le forze migliori, indipendentemente dalle simpatie degli interessati per la Rivoluzione; e Mercier de Saint-Léger non ne aveva certo moltissime. Il Comitato fu però presto paralizzato dall'ostruzionismo di Ameilhon, contro cui Mercier si mosse, alleandosi con l'abate Leblond, segretario del Comitato.

Il primo compito fu quello di salvaguardare materialmente il patrimonio confiscato, che giaceva nei depositi, mal sopportato, per ragioni di spazio, dalle autorità locali. Secondo problema: il "catalogage". Fu Mercier incaricato di elaborare il modello di scheda-tipo, diffuso in tutta la Francia perché l'operazione avesse in tutto il paese carattere di uniformità.

Le schede provenienti da una determinata biblioteca erano spedite, legate da un filo, già disposte secondo l'ordine alfabetico d'autore o della parola chiave nel caso di opere anonime. A Parigi, al "Bureau della Bibliographie", commessi ad hoc procedevano allo spoglio delle schede e alla trascrizione su fogli di ricapitolazione. Ma le direttive dei Comitati riuniti e del "Comité des Quatre Nations" fu ben lungi dall'ottenere il necessario ascolto. Le autorità locali erano alle prese con la vendita dei beni nazionali, e perciò concessero distratta attenzione alla delicata impresa bibliografica. Accampavano talvolta persino pretesti sconcertanti (come ad esempio: negare l'esistenza dei depositi librari!). Oltre tutto, con la nascita dell'Assemblea legislativa, si modificò il quadro istituzionale. I Comitati riuniti si estinsero perché i loro compiti passarono alla competenza di una commissione dell'assemblea. Intanto il "Comité del Quatre Nations" (ormai correntemente definito "Commission des Monuments") si arricchì di un importante componente nella persona di Lefèvre d'Ormesson (il quale, il 23 XII 1789, era stato nominato bibliotecario del re). L'idea del "Bureau de Bibliographie" era stata sua, ed egli poté, così, (sebbene non più deputato) continuare ad occuparsene.

All'inizio del '92, la Legislativa diramò nei distretti le disposizioni necessarie alla continuazione degli inventari e dei cataloghi. Ma la situazione non migliorò. In molte località continuarono le vendite non autorizzate e incontrollate. E quanto restava dopo tali vendite arbitrarie appariva assolutamente irrilevante, non certo meritevole di catalogage!! E soprattutto gli amministratori locali erano persuasi che prima o poi quei libri sarebbero stati loro sottratti in pro delle biblioteche di Parigi.

Per dissipare questi sospetti la Commission des Monuments inviò delegati nei vari dipartimenti: il loro compito era di riattizzare lo zelo, tranquillizzare, ribadire la necessità di salvaguardare i libri e gli altri oggetti d'arte presenti nei "dépots". Ben pochi materiali (schede etc.) affluivano intanto al "Bureau de Bibliographie" a Parigi, il che comportò che la sezione bibliografica della Commission des Monuments venisse indirizzata verso altre mansioni (tra cui la definizione, piuttosto controversa, di che cosa mettere in vendita dei materiali confiscati).

Una svolta si determinò con l'entrata in carica della CONVENZIONE NAZIONALE. Una emanazione fu il Comité d'instruction publique, il quale a sua volta intervenne a modificare i compiti del Service de la Bibliographie. I compiti di questo service furono tolti alla Commission des Monuments: una mossa questa che mirava a togliere potere a d'Ormesson, già destituito dal suo ruolo di bibliotecario del re. Al vertice del Service de la Bibliographie il comitato di istruzione pubblica pose, in luogo di d'Ormesson, un repubblicano fervente: Urbani Domergue (2 Novembre 1792, circa un mese dopo la proclamazione della Repubblica). Ma soprattutto l'urgenza di un riordino del settore scaturiva da fatto che il precipitare della situazione politica aveva incrementato notevolmente il numero degli émigrés: si erano moltiplicate le condanne, anche capitali, la cacciata dei preti anti-patriottici etc. Tutto questo lasciava intravedere un fortissimo incremento dei libri confiscati ed il conseguente intasamento dei "depots littéraires".

Ben presto ci si rese conto della incombente paralisi. Si calcolava che almeno 40 anni sarebbero stati necessari per venire a capo dell'impresa. Per giunta gli addetti erano incompetenti bibliografi improvvisati. E si apriva anche un fronte "ideologico": la disputa cioè intorno al carattere dei libri da salvare o da eliminare, il proposito essendo, da parte di alcuni, di non ingombrare le biblioteche di libri "perniciosi"; né mancarono accuse dell'eccesso opposto (di aver cioè messo via e destinato alla vendita libri preziosi!).

In questo clima si aprì la drammatica disputa su ciò che allora fu chiamato con allarme "le vandalisme". E come capro espiatorio del prevedibile fallimento del "bureau de bibliographie" e più in generale di tutta l'impresa mirante ad acquisire alla Nazione ("nazionalizzare" appunto) i beni librari dei ceti sconfitti fu chiamato in causa direttamente Domergue. DOMERGUE si difese scaricando ogni responsabilità sulla Commission des Monuments e si spinse a proporre -- provvedimento sintomatico! -- una sorta di "jury rivoluzionario" incaricato di "proscrivere" (se così si può dire ) i libri riconosciuti come "inutili o dannosi"!! Una proposta del genere era un incremento al vandalismo, che già si era manifestato, alla caduta della monarchia, con l'ondata di distruzione dei simboli reali: non solo nei monumenti pubblici (si sa che i sotterranei del Louvre sono pieni di statue mutilate allora), ma anche nelle legature dei libri. Del resto persino all'interno stesso della Commission des monuments l'intransigente repubblicanesimo sfociava talvolta, almeno nell'iniziativa di alcuni, nel "vandalismo". Chardon de la Rochette, il grecista che ebbe qualche anno più tardi un ruolo importante in queste vicende, racconta -- nella sua commemorazione di Mercier de Saint Léger ("Magazin Encyclopédique" V, II, 1799) -- che il cittadino Barrère, uno dei 33 membri della Commission, aveva presentato questa proposta: far approntare una sintesi di ciascun volume posseduto dalla Bibliothèque Nationale, far stampare splendidamente da Didot tutte queste epitomi, e bruciare tutto il resto (gli originali!). Quella volta Mercier non si perse d'animo e obiettò che comunque gli stessi volumi che si intendeva eliminare erano anche in altre biblioteche di Francia, e che dunque il fine proposto da "questo novello Omar" non poteva essere raggiunto! E perciò fu accantonato: è un episodio istruttivo per intendere il clima dei primi mesi della Repubblica.

È da dire però che proprio il governo della Montagna (dopo la caduta della Gironda: 31 maggio 1793) prese l'iniziativa di fermare questa follia. Fu la Convenzione, nella seduta del 24 ottobre 1793, a vietare la distruzione o mutilazione dei libri compiuta col pretesto di distruggere i simboli monarchici.

E fu saggezza sciogliere ormai la Commission des Monuments, rimpiazzata nel successivo mese di novembre (29 frimaio dell'anno II) con un nuovo organismo, la Commission temporaire des arts, nella quale furono comunque recuperati alcuni dei più competenti membri della precedente commissione: tra gli altri Leblond e l'ex-benedettino Germain POIRIER. Lo stesso DOMERGUE fu mandato via il 7 marzo 1794, ed in suo luogo fu nominato l'ex-benedettino BARDEL, che prometteva di attuare un piano di grande ambizione per la sistemazione dei circa quattro milioni di schede che si attendevano da tutti i distretti del paese.

Inutile dire che sulle distruzioni "repubblicane" dei libri si formarono ben presto fantasiose leggende alimentate dai nemici e disistimatori postumi della Rivoluzione. Un esempio insigne in tal senso (visto il rilievo dell'autore) è rappresentato dal Voyage pittoresque et bibliographique en France (1821) di Thomas Fragonal DIBDIN. Tra le biblioteche francesi da lui visitate spicca quella municipale di Rouen, che al viaggiatore inglese giustamente apparve per molti versi pregevole. A suo dire i volumi posseduti erano, in quel momento, 20.000 (Licquet il bibliotecario di Rouen corregge in 26.000). Dibdin prosegue con questa iperbolica informazione: «Durante la Rivoluzione la biblioteca [confonde dépots e biblioteca!] si gloriava di 250.000 voll., di cui una parte considerevole era stata sottratta alle biblioteche degli émigrés, i quali però sono tornati, in parte, in possesso delle loro proprietà. Quando impazzava la più stravagante di tutte le manìe -- quella rivoluzionaria -- fu venduta la maggior parte della biblioteca per la misera somma di ventimila franchi. E si suppone che circa diecimila volumi siano stati bruciati pubblicamente nella piazza dei Carmelitani. Mi sembra ancora di respirare l'aria soffocante dovuta la fumo di questo rogo sacrilego. Chi sa quanti Mystères, romanzi, cronache sono stati inghiottiti in questo turbine politico!». Ma il traduttore Licquet, bibliotecario a Rouen in questi anni, annota: «Sono d'accordo sul dato che l'insieme dei libri di tutte le comunità religiose e delle biblioteche dei privati ammontasse a circa 250.000 volumi. So anche che una parte fu venduta. È ben vero che un numero rilevante di volumi fu reso ai proprietari. Ma che diecimila volumi siano stati bruciati in pubblico è una favola. La stessa piazza dei Carmelitani non esisteva all'epoca di cui parla Dibdin, e comunque neanche un libro fu bruciato.» Licquet puntigliosamente precisa che Rouen fu esente da eccessi durante la Rivoluzione (sul che si potrebbe discutere): ma in campo librario ha indubbiamente ragione, se solo si considera l'instancabile, positiva, azione del prete repubblicano Gourdin, cui toccò la responsabilità dei "dépots" di Rouen per tutto il corso della Rivoluzione e che portò nel 1809 a compimento a compimento l'impresa di costituire a Rouen la Municipale, inaugurata finalmente in quell'anno dopo innumerevoli difficoltà e ritardi.

Il tono di Dibdin è quello del bibliofilo inorridito, che peraltro inorridisce sul sentito dire. È da notare che il più feroce pamphlet contro i "crimini" della Rivoluzione, quello del conte Joseph de Maistre, intitolato ironicamente Les bienfaits de la Révolution (elaborato probabilmente tra il 1794 e il 1800 circa ma edito soltanto postumamente nel 1870, nel VII tomo delle Oeuvres inédites), dedica pochissimo spazio al destino dei libri. Vi è sull'argomento solo una frase, nel capitolo XIV (Scienze e arti): «Centomila volumi raccolti in un palazzo o in un edificio religioso erano un bene nazionale. Venduti all'incanto non sono più nulla.» (per il resto si occupa di quadri e cammei). Ma quella frase è piuttosto velenosa e furbesca proprio nel ricorso alla formula "bene nazionale". Intende dire, con ritorsione polemica nei confronti delle "nazionalizzazioni" rivoluzionarie (confiscations) che anche dei beni come i libri in tanto sono "un bene nazionale" in quanto restano presso i possessori, chiusi nei castelli o nei conventi ...

Ma torniamo allo sviluppo degli avvenimenti.

Il 27 gennaio 1794 (8 piovoso) la Convenzione adottò, sotto il governo del Comitato di salute pubblica, il testo, esaltante e utopistico, ma non privo di conseguenze, relativo al riordino delle biblioteche di Francia. Il cardine del decreto era l'istituzione di una biblioteca per ogni distretto sull'intero territorio nazionale, mentre ogni amministrazione locale veniva investita del compito di reperire sedi adeguate attingendo ai "bâtiments nationaux", agli edifici nazionalizzati dopo la caduta delle classi privilegiate. Il lato più carente del decreto era quello riguardante le spese di funzionamento, ivi compreso il trattamento dei bibliotecari. Il lavoro di catalogazione passava ai distretti ed era da terminare entro quattro mesi.

Contro il corrente pregiudizio secondo cui il governo Robespierre sarebbe stato spiccatamente centralista, qui si può notare come fosse vero il contrario. Il decreto di piovoso fu apprezzato in provincia proprio perché rese chiaro a tutti -- e i poteri locali ne furono rincuorati -- che i frutti del lavoro sarebbero rimasti in loco: avrebbero potuto conservare in loco le ricchezze letterarie di cui erano divenuti depositari. La testimonianza di questa accoglienza al decreto di piovoso è nella corrispondenza intercorsa tra i singoli distretti da un lato e le due commissioni centrali: quella di istruzione pubblica e la Commission temporaire des arts.

Nonostante il nuovo spirito di reciproca fiducia, il termine di quattro mesi risultò ben presto insostenibile. Il comitato d'istruzione pubblica chiese allora all'abate Grégoire (già autore del memorabile rapporto sul vandalismo) di presentare un promemoria "sul modo di organizzare la bibliografia, per quanto attiene al catalogage". Questo rapporto (presentato alla Convenzione il 14 fruttidoro dell'anno II -- fine agosto 1794) è stato più volte ristampato nel secolo scorso. Viene inteso addirittura come il pensiero della Rivoluzione introno alla conservazione dei beni librari della Francia. In realtà è un testo che ripercorre tutta la storia della questione, e descrive con competenza le molteplici difficoltà. Con uno scatto di ottimismo prevede che il catalogage poteva terminare in otto mesi, ma reputava inattuabile il più ambizioso dei progetti di d'Ormesson, cioè la Bibliographie générale et raisonnée de la France. Non c'erano dunque più ostacoli -- o così sembrava -- alla realizzazione del piano "una biblioteca per ogni distretto", fatta eccezione per la questione del reclutamento dei bibliotecari.

Intanto, mentre i due Comitati (istruzione pubblica e Commission temporaire des arts) conducevano la loro valida battaglia contro la distruzione dei libri di liturgia e teologia, altre erano le minacce alla integrità dei "dépots littéraires"! Non ultima la nuova legislazione mirante a correggere gli effetti del "grande Terrore": leggi in favore delle famiglie dei condannati a morte, dei "sospetti" incarcerati senza giudizio, dei preti refrattari etc. Nei confronti di queste categorie le confische venivano private di ogni base legale, e le domande di restituzione -- per lo più passibili di successo -- si moltiplicavano. E la stessa norma che vietava qualunque alienazione dei beni librari raccolti nei dépots littéraires cominciava a venire intaccata, tra l'altro per il crescente bisogno di carta: la Commissione d'istruzione pubblica si decise a chiedere alla Commission temporaire des arts di autorizzare -- in favore della "Commission d'agriculture" -- la distruzione dei libri di liturgia considerati superflui (febbraio 1795).

Con Termidoro il centralismo parigino (di solito addebitato al governo del Comitato di salute pubblica) si rafforza. L'inversione di tendenza si produce nel momento in cui le istituzioni culturali parigine più importanti -- gli organismi di governo, le commissioni esecutive, la Bibliothèque Nationale, la Scuola dei lavori pubblici, le Scuole di artiglieria, il Museo di storia naturale -- vengono autorizzate ad attingere a volontà ai "dépots littéraires" al fine di completare le loro risorse librarie ovvero costituirsi una biblioteca.

A questo punto è evidente che restituzione per un verso e "prelievi" -- come li si chiamò -- per l'altro snaturavano e rendevano di fatto impossibile il proseguimento dei lavori del Bureau de Bibliographie. Il lavoro degli impiegati del Bureau cambiò ormai natura: non si trattava di integrare le nuove accessioni delle schede provenienti dai distretti quanto piuttosto di togliere via via quanto veniva prelevato per una ragione o per l'altra! Né quest'opera di "rettifica" poté avvenire in modo ordinato. Ben presto quell'immenso schedario cominciò a diventare inaffidabile.

Il colpo di grazia lo dette il decreto del Direttorio che abrogava i distretti. Cadeva così la premessa da cui tutta l'operazione era partita (una biblioteca per ogni distretto). Uno degli ultimi testi legislativi votati dalla Convenzione (3 brumaio dell'anno IV) stabilì un diverso principio: esso privilegiava la suddivisione in Dipartimenti del territorio della Repubblica (una divisione amministrativa fondata su entità più grandi, molto più grandi dei distretti), e sanciva che in ogni Dipartimento doveva esserci una "scuola centrale"; ogni scuola centrale doveva avere una biblioteca. Cambiava così il quadro, bisognava disegnare una nuova mappa della rete bibliotecaria; è chiaro che il senso stesso del Bureau de Bibliographie veniva meno. E fu appunto il Direttorio a firmarne l'atto di morte. Il 28 febbraio 1796 una circolare del ministro degli interni ordinava agli amministratori dei Dipartimenti di "far cessare l'invio dei cataloghi bibliografici sia su scheda che su foglio".

Di conseguenza la stessa "Commission temporaire des arts" vide ridotti drasticamente i suoi poteri, il numero dei suoi componenti e la sua stessa denominazione. Divenne CONSEIL DE CONSERVATION des objets de science et d'art. (6 nevoso a. IV = 27.XII.1795).

Presidente del "Conseil" fu nominato l'ex-abate LEBLOND, il quale prese immediatamente con sé Antoine-Alexandre BARBIER, già "curé constitutionnel de La Ferté-sous-Jouarre". Barbier è una figura straordinaria nel panorama della storia della bibliografia in Francia: una figura rilevante sia per la traiettoria politica (che giunge fino alle prime fasi della Restaurazione) che per la competenza tecnica. Il suo nome è legato ad opere durevolissime come il Dictionnaire des ouvrages anonymes et pseudonymes (1. ed. 1806/8) che tuttora adoperiamo con profitto. La "società di bibliofili" ruotante intorno a lui è stata ogni tanto evocata, qui vi si fa cenno solo di passata. Altri nomi vanno fatti q questo proposito, che torneranno nel seguito del nostro racconto: almeno quello di Chardon de la Rochette, che diventerà l'uomo-simbolo dell'ultima fase di questa storia.

Chi voglia una ricca e interessante informazione biografica su Barbier può attingere all'amplissima introduzione che suo figlio Louis ha premesso alla terza edizione del Dictionnaire des ouvrages anonymes (1872). Questa "notizia" è interessante, oltre che per i dati che fornisce, anche per la presentazione molto unilaterale dell'opera di Barbier nei confronti dei "dépots". Diamo la parola al figlio Louis, che rispecchia ovviamente l'auto-rappresentazione che lo stesso Barbier ha avallato del proprio lavoro: «È come componente della Commission temporaire des arts ch'egli ha reso alle lettere servizi inestimabili, raccogliendo o facendo conservare e sistemare nelle biblioteche pubbliche della capitale una gran parte delle ricchezze letterarie della Francia, disperse durante le tempeste della rivoluzione o ammucchiate in depositi costituiti in fretta. È così che egli poté contribuire molto all'accrescimento delle biblioteche di Parigi: la Mazarine, la Sainte-Geneviève, il Corpo legislativo, l'École de Medicine, l'École polytechnique, il Jardin des plantes etc.». (In seguito Barbier, all'inizio del 1798, sarà incaricato di costituire la Biblioteca del Direttorio, poi smembrata con l'avvento del Consolato: ed è grazie al rapporto privilegiato col Primo Console che diverrà dapprima bibliotecario del Conseil d'État poi dell'Imperatore, al momento del congedo del Denina).

In realtà le cose stanno un po' diversamente da come risulterebbe da questa pagina. Certo è che, una volta assunta la linea accentratrice affermatasi con Termidoro e soprattutto col Direttorio, non restava che affidare la selezione dei dépots parigini al triage di persone davvero competenti, in grado di trascegliere i materiali migliori da avviare nelle biblioteche della capitale. Il problema principale diventava quello di liquidare il più rapidamente possibile i dépots, che erano preda degli appetiti più vari, finché restavano nella loro condizione di provvisoria incompiutezza. C'era anche l'opposizione abile di Ameilhon, il quale conservava il ruolo di custode di uno dei più importanti dépots parigini (quello di Louis- La Culture) e di bibliotecario dell'Arsenal. Per sbarazzarsi dei cavilli di Ameilhon fu perso un anno: dal 7 maggio 1796 (quando il ministro dell'interno investì Leblond e Barbier del problema di condurre a termine il triage e svuotare i dépots) al 24 aprile 1797 quando effettivamente si pose mano allo svuotamento dei dépots di Parigi e di Versailles. Il criterio adottato fu quello di mettere in vendita quanto veniva scartato (a questo appunto serviva il triage): essenzialmente opere di teologia e di antica giurisprudenza con l'eccezione di tutto quanto fosse stampato prima del 1550 e di quanto fosse stampato in lingue straniere. Alla fine del 1798 restavano a Parigi due soli dépots, mentre la sola Bibliothèque Nationale si era arricchita di almeno 30.000 volumi.

Restava aperto e scottante il problema dei dépots provinciali. Mancavano bibliotecari in grado di affrontare, nel resto del paese, il pesantissimo lavoro del triage con competenza. Mentre a Parigi il Conseil de Conservation s'era arricchito di componenti agguerriti (tra gli altri il padre di Baudelaire, Jean-Françoise, e Chardon de la Rochette), in provincia c'era una resistenza sorda a procedere e, spesso, una grave mancanza di competenze. La situazione nei Dipartimenti non migliorò neanche dopo la legge del settembre 1797 (26 fruttidoro anno V), che autorizzava i dépots dei Dipartimenti a procedere anch'essi alla vendita delle opere "scartate" purché il triage fosse condotto con lo stesso criterio adottato per i depositi di Parigi e Versailles e per giunta con la precauzione di imporre la stesura di un catalogo descrittivo sommario volto ad evitare la dilapidazione di tesori bibliografici.

L'uomo che, d'intesa con Barbier, svolse un ruolo determinante nei vari dipartimenti fu Chardon de la Rochette. Il suo ruolo è ben descritto dal seguente documento del Ministero dell'Interno (dal gennaio 1801 ministro dell'Interno è Chaptal, conterraneo e protettore di Chardon): «La mission de M. Chardon Larochette (sic) a pour objet de visiter TOUTES les bibliothèques des Départements, pour provoquer leur formation définitive, la confection de leurs catalogues, d'en extraire pour la Bibliothèque Nationale les manuscrits et les anciennes éditions d'ouvrages précieux et rares. Il doit aussi s'occuper del moyens d'éteindre les dépôts littéraires en faisant mettre à part les bons livres et vendre le reste.» (Paris CARAN : F/17/1282/dossier 15).

Questi compiti si spiegano e si giustificano alla luce della legge emanata nel mese di Piovoso dell'anno X (= gennaio 1802), che restituiva alle città il controllo dei dépots formatisi a seguito delle confiscations, salvo per le opere più preziose che, in ragione del loro interesse nazionale, dovevano essere riunite nella capitale. È qui il concetto stesso di "biblioteca NAZIONALE" che viene chiamato in causa. Ricordiamo il sarcasmo di De Maistre, di cui s'è detto in principio su cosa davvero intendere per "beni nazionali".

L'attribuzione a Chardon (protetto da Barbier) di questi compiti era sicuramente frutto del buon lavoro da lui svolto a Parigi come componente del Conseil de Conservation, e, insieme, della protezione politica di Chaptal. Era stato Chardon stesso a porre il problema dei libri di pregio da portare a Parigi, per potenziare il carattere "nazionale" della più importante biblioteca di Francia. Chardon si era espresso in una relazione pronunziata davanti al Conseil, e solo in parte pubblicata da DELISLE nel II volume (1874, pp. 15-16) del Cabinet des manuscrits de la Bibliothèque Nationale. Il testo completo si può leggere in un bifoglio incollato all'interno del manoscritto parigino LATIN 17012 (già appartenuto al president Bouhier e perciò passato di sicuro per le mani di Chardon, che della collezione Bouhier a Troyes fu attento studioso: cfr. il volume in proposito di Albert RONSIN).

Trascelgo qui solo i passaggi principali che rendono esplicita l'idea che sorregge questa iniziativa. Diciamo anche che, assistito dal Dott. Prunelle, Chardon ha percorso per circa otto anni la Francia in lungo e in largo attuando quanto previsto nel suo rapporto e sancito nel mandato governativo che ho prima ricordato:

«Il s'agit, de statuer promptement sur l'immensité des richesses littéraires répandues dans les divers départements. Troyes recèle, outre la bibliothèque de Bouhier, les manuscrits, les livres apostillés, de la main des Pithou ; Orléans, la bibliothèque de Prousteau, dans laquelle avoit été versée celle de Henry de Valois, dont tous les livres sont couverts de notes de ce savant laborieux. Carpentras possède la bibliothèque la plus riche en manuscrits qui existe dans nos anciens départements ; Rheims, les nombreux manuscrits de la ci-devant abbaye de Saint-Remi. Les Départements réunis offrent une collection abondante de manuscrits, de premières impressions, de livres de critique et de philologie, dont nos bibliothèques, sans en excepter la Nationale sont si pauvres. Si chaque départements veut retenir celles de ses richesses qui ne sont pour lui qu'un luxe vain et ambitieux, elles resteront vouées à l'obscurité, à l'inutilité ; elles n'auront fait qu'échanger leur tombeau. Si, au contraire, ces richesses sont réunies dans la commune, que j'ai déjà appelée la commune centrale des sciences et des arts, parce qu'elle sera toujours le foyer des lumières, le point unique où les savants pourront se réunir, en nombre, de toutes les parties de la république, se communiquer leurs idées, leurs projets, et, par conséquent, les rectifier et surtout les améliorer, elles seront rendues à leur destination première, à l'utilité publique [...]

Il reste au Conseil à examiner une question non moins importante que la première. Si le ministre se détermine à réunir à Paris les trésors scientifiques et littéraires ensevelis dans les départements, se fiera-t-on aux catalogues envoyés par les conservateurs ? Enverra-t-on des commissaires ? Le premier parti seroit sans doute le plus expéditif ; mais le Conseil ne peut ignorer que la plus grande partie des conservateurs des dépôts littéraires dans les départements n'a point mesuré ses forces à l'énormité du fardeau qu'on lui a ou plutôt qu'il s'est imposé. Il est vrai que les connaissances indispensables pour un travail aussi important sont devenues tous les jours plus rares, et qu'il faut tenir compte à ces conservateurs de la bonne volonté qu'ils ont manifestée et surtout prouvée ; mais le Conseil doit prévenir les abus nés et à naìtre d'un ordre de choses aussi vicieux. J'exhorte donc le Conseil à examiner dans sa sagesse s'il ne conviendroit pas d'inviter le ministre à envoyer dans les départements des commissaires qui réunissent à un patriotisme sur la connoissance du matériel de manuscrits et celle de la langue dan laquelle ils son écrits.

J'invite encore le Conseil à examiner s'il ne faudroit point donner à ces commissaires, dans la supposition où le ministre les croiroit nécessaires, une mission spéciale pour acheter les manuscrits enlevés des monastères, des bibliothèques publiques et particulières, dont une partie sans doute appartient originairement à la Nation, mais dont les traces de propriété sont perdues. J'appuye d'autant plus sur cette dernière proposition que, depuis le commencement de la Révolution, et surtout depuis la suppression des ordres religieux, j'ai vu s'écouler une infinité de manuscrits précieux, que je n'ai pu retenir n'avois point de mission pour cela ; ni acheter, parce que mes facultés ne me le permettent pas.»

La successiva vicenda di Chardon de la Rochette sarà oggetto di un'altra indagine, per la quale ho raccolto i materiali: in particolare la sua corrispondenza, tuttora inedita, con Barbier, da lui tenuto regolarmente al corrente del frutto delle sue missioni nei Dipartimenti. Ancora oggi l'immagine di Chardon che non di rado viene proposta è quella del depredatore dei tesori bibliografici della provincia francese a vantaggio della capitale [1]. Oltre tutto si accredita in modo semplicistico l'immagine di lui come Commissario unico, forse in ragione anche del suo maggior rilievo intellettuale. Non va dimenticato invece che per la regione renana il commissario, con poteri analoghi a quelli di Chardon, fu Jean-Baptiste Maugerard [2]: figura assai sconcertante e doppia, emigrato lui stesso a Erfurt nel '93, per aver rifiutato (da prete) il giuramento costituzionale, ritornato in Francia col Consolato, gratificato della radiazione formale dalla lista émigrés, a suo tempo trafficante egli stesso (a beneficio dei signori suoi protettori) in libri antichi e preziosi. Questo tipo umano rappresenta bene i tempi nuovi. Chardon è ancora legato alle idee generali della Rivoluzione, sia pure nell'ottica centralista affermatasi col Direttorio. Una tradizione, che ha trovato spazio anche nella recente Histoire des bibliothèques de France, si compiace di raffigurare positivamente la "resistenza" degli elementi locali (specie ecclesiastici: si veda proprio il caso Troyes) contro le missioni e i sopralluoghi di Chardon e di Prunelle. Noi preferiamo ricordare questo grande e sfortunato grecista per la sua lettera a Barbier in cui descrive con schietto repubblicanesimo il clima oscurantista della provincia francese che ancora nei primi anni dell'Impero boicotta l'obbligo scolastico per i ragazzi, sotto l'istigazione dei preti [3].

 


Note e riferimenti

[1] "Il a privé les bibliothèques municipales de bien des manuscrits confisqués à la Révolution au profit de Paris, de Lyon et de Montpellier" mi scriveva anni fa Garreta!

[2] C'è una lettera di Chardon a Barbier del 1804 che precisa che il Reno è fuori della sua "missione".

[3] Lettera 11 vend. a. X (= 3.X.1801) BNF, n. a. fr. 1275, pp. 32-42.

 

© Canfora, AIB, EG, 2000-06, rev. 2000-06-12.
AIB-WEB, URL: <https://www.aib.it/aib/congr/c46/s13b.htm3>


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