[AIB]

XLVI Congresso nazionale AIB
Oltre confini e discontinuità
Torino, 11-13 maggio 2000


Bibliotecari, duemila anni di continuità. - 2000-05-11 14:30/17:30

NOTA redazionale. Ringraziando gli autori che hanno messo a disposizione per AIB-WEB i testi delle loro relazioni, avvertiamo che potranno risultare lievi differenze tra questa versione e quella definitivamente licenziata per la stampa.


Il mestiere di bibliotecario in Francia : da erudito ad intermediario culturale

Dominique Varry
(ENSSIB (Lyon), Maître de conférences (HDR), Chargé de mission pour la Recherche)

Traduzione a cura di Ilaria Andreoli.

 

Nelle sue attività e nei suoi scrupoli professionali, il bibliotecario francese di oggi non è certamente molto differente dal suo collega italiano. Si può inoltre affermare che tutti i bibliotecari europei sono i lontani eredi di un lungo processo nato e maturato all'interno della biblioteca medievale, ma questo schema originario comune si è in seguito declinato e differenziato a seconda delle vicende storiche nazionali di ciascuno. Nelle linee che seguono vorrei soffermarmi sui principali mutamenti che hanno caratterizzato la situazione francese, e a questo proposito devo ricordare che, se disponiamo da ormai una decina d'anni di una Histoire des bibliothèques françaises in quattro volumi [1], non esiste ancora una "storia del bibliotecario". È un progetto a cui vorrei volentieri dedicarmi negli anni a venire, sempre ammesso che ne trovi il tempo. Di fatto, questa storia è interamente sottintesa all'interno della nozione di "biblioteca pubblica", nelle differenti accezioni che ha conosciuto questo termine nel corso dei tempi.

La nascita della biblioteca pubblica

Lasciamo i bibliotecari monastici nella solitudine del chiostro e soffermiamoci invece su di un testo fondamentale: L'Advis pour dresser une bibliothèque [2], pubblicato per la prima volta nel 1627 e riedito nel 1644. Ne è autore Gabriel Naudé, un libertino nel senso classico del termine, bibliotecario del Président de Mesme, un parlamentare parigino cui l'opera è dedicata, e, più tardi, bibliotecario del cardinale Mazzarino.

Cosa dice del bibliotecario? Nulla.

Tuttavia, questo libricino ebbe un'importanza considerevole nell'incitare i grandi personaggi ad aprire le loro biblioteche "al pubblico", ovvero ad una ristretta élite di studiosi e di squattrinati nobili di spirito. In qualche modo, esso ha anche dato origine a quella moda, diffusasi tra XVII e XVIII secolo, di accogliere, in vita, dei lettori selezionati, e, alla propria morte, di donare i libri ai concittadini, sottomettendo il legato a particolari condizioni ed orari di accesso e consultazione. Alla vigilia della Rivoluzione una cinquantina di città francesi di tutte le taglie erano dotate di una biblioteca pubblica istituita secondo questa formula. Questo processo era divenuto talmente "naturale" che nel 1772, gli abitanti di Grenoble si tassarono al fine di acquistare tramite sottoscrizione pubblica la biblioteca del vescovo, che aveva avuto il cattivo gusto di morire senza lasciarla alla comunità. Questo atto, che è all'origine della biblioteca municipale di Grenoble, fu il primo di questo genere.

Nel corso del XVII e XVIII secolo, le biblioteche pubbliche civiche e le biblioteche principesche e delle grandi personalità furono gestite da bibliotecari di cui sappiamo molto poco, se non che essi furono in maggior parte degli ecclesiastici. La loro formazione sembra essere stata sostanzialmente empirica, impartita oralmente da maestro a discepolo. Rari sono i testi, almeno in francese, che hanno registrato ciò che poteva essere l'innegabile competenza professionale di questi personaggi, nonostante essa si basasse su di una lunga tradizione e sull'esperienza dei loro predecessori. Si può tuttavia citare la quindicina di pagine anonime delle "regole del bibliotecario", inserite all'interno di un manuale in uso ai monaci benedettini della Congregazione di S. Mauro [3]. Questo capitoletto, parente prossimo delle regole del cuoco, del giardiniere o del portinaio della comunità monastica, rappresenta un vero e proprio trattato pratico di biblioteconomia, probabilmente uno dei primi nel suo genere [4]. L'ultima generazione di questi bibliotecari d'Ancien Régime, quella un po' più nota, ha rivestito un ruolo fondamentale al momento della Rivoluzione Francese, creando un legame tra la tradizione professionale ad essa propria e la coorte dei bibliotecari improvvisati che allora spuntavano un po' a caso. Tra questi ultimi bibliotecari d'Ancien Régime possiamo ricordare i nomi dell'abate Rives, bibliotecario del duca de la Vallière, del minimo François-Xavier Laire [5], bibliotecario di Monseigneur de Loménie de Brienne ed in seguito delle biblioteche de la Yonne, considerato come il più grande bibliografo dei suoi tempi, d'Ameilhon [6], bibliotecario de la Ville de Paris, o di Joseph Van-Praet [7], conservatore degli stampati della Bibliothèque Royale e considerato come l'inventore della nozione di "fondo prezioso" ...

I quindici anni che trascorrono fra il 1789 e il 1803 rappresentano il punto di svolta più importante nella storia delle biblioteche francesi e dei loro bibliotecari [8]. Le conseguenze di questa svolta pesano ancora sull'andamento quotidiano di numerose biblioteche municipali o universitarie francesi. Illudendosi sul contenuto reale delle raccolte che allora confiscarono, i rivoluzionari sognavano che il libro potesse rappresentare un veicolo dei Lumi ed uno strumento tramite cui combattere "l'oscurantismo ed il fanatismo". Le confische che essi operarono in tre riprese, sul clero (1789), sui fuoriusciti, i deportati e i condannati (1792) e sulle corporazioni e università soppresse (1793), portarono, da un lato, allo sradicamento della rete delle biblioteche creata dall'Ancien Régime, e dall'altro, ad un immane movimento di milioni di volumi, raggruppati a caso, inizialmente nei "depositi letterari". Dietro questo termine pomposo si nascondeva la realtà ben più sordida di depositi nei quali i libri confiscati furono gettati in attesa di miglior sorte. Inizialmente, ognuno dei 545 distretti del territorio nazionale ebbe il suo "deposito letterario", trasformato con un tratto di penna, da un decreto dell'8 piovoso, anno II (27 gennaio 1794) in "biblioteca pubblica di distretto". Teoricamente aperte a tutti i cittadini, queste ultime rimasero per molto tempo gli ammassi disorganizzati di libri che erano in origine. Un nuovo decreto dell'8 piovoso anno XI (28 gennaio 1803), pur mantenendo la proprietà statale sui fondi confiscati, ne trasferì la gestione alle municipalità, a spese delle quali, se esse erano in grado di sostenerle, dovevano essere organizzate le biblioteche civiche. Questo testo è considerato come l'atto fondatore delle biblioteche municipali moderne che cominciano a essere aperte ed organizzate, non senza grandi difficoltà, lungo tutto l'arco del XIX e poi del XX secolo.

Con l'apertura dei primi "depositi letterari" sul finire del 1789, nasce dal nulla tutta una schiera di bibliotecari improvvisati: ognuno dei depositi, infatti, fu dotato di un "guardiano", reclutato più sulla base della sua ortodossia rivoluzionaria che sulle sue eventuali competenze biblioteconomiche. Se questo gruppo comprendeva un certo numero di energumeni che vendettero, mutilarono o distrussero libri, bisogna tuttavia ammettere che la maggior parte di essi acquisirono, sul campo, una certa formazione professionale. In ciò furono aiutati dalle direttive redatte presso le amministrazioni parigine da bibliotecari confermati d'Ancien Régime. Queste direttive costituirono inoltre dei "manuali" e delle "istruzioni" in misura di conservazione, conteggio e catalogo uniformato (quest'ultimo effettuato sul retro delle carte da gioco che davano garanzia di misure standardizzate), nell'ambito di un vasto progetto di catalogazione collettiva nazionale, che non venne mai portato a termine per la mancanza di mezzi finanziari. Nel quotidiano, e ne abbiamo numerose testimonianze [9], furono i bibliotecari improvvisati di provincia ad incontrare le maggiori difficoltà, lavorando spesso senza riuscire a toccare lo stipendio che gli era dovuto ... Ad essere sinceri, le biblioteche di allora servivano spesso da "armadi", nel fondo dei quali tentavano di farsi dimenticare gli ecclesiastici cacciati dalle loro parrocchie o dai loro conventi, o partigiani di fazioni politiche sconfitte (gli ex-girondini, per esempio). Ma è all'interno di esse che si formarono alcuni dei grandi bibliotecari di primo Ottocento: un Barbier, autore del Dictionnaire des ouvrages anonymes, un Charles Nodier a Besançon, o ancora Gabriel Peignot a Vesoul [10] e molti altri ancora.

Il XIX secolo fu un periodo di riorganizzazione e di ricostruzione di nuove reti di biblioteche, a partire dalla situazione alquanto caotica lasciata dalla Rivoluzione. Su che cosa consistette allora il lavoro dei bibliotecari, non possiamo che rinviare alle pagine loro consacrate da Louis Desgraves nell'Histoire des bibliothèques françaises [11]. Bisogna sottolineare che in molte città, le biblioteche municipali ebbero notevoli problemi a sorgere dal nulla, e per diversi anni, fino in pieno XX secolo, furono aperte parsimoniosamente ad un pubblico letterato di eruditi locali, e nella maggior parte dei casi gestite da dei notabili o da professori di liceo, cui i municipi concedevano la carica, più onorifica che reale, di "bibliotecario", accompagnandola da una modesta retribuzione, prebenda che veniva rivendicata dai veri professionisti. L'Ottocento fu inoltre caratterizzato dagli inizi, assai difficili, della professionalizzazione. Le prime due tappe furono rappresentate dalla creazione di una "Inspection générale des bibliothèques", nel 1822 [12], di poco preceduta (1821) da quella dell' "École nationale des chartes", una parte dei cui allievi, fin dalle origini, ebbe la vocazione a lavorare nelle biblioteche. In realtà il loro inserimento nelle diverse istituzioni fu alquanto tardivo: la Bibliothèque nationale fu loro preclusa fino al 1839, e le biblioteche provinciali li accolsero ancora più tardi ed in numero limitato [13]. Solo il decreto del 1897, effettivo però solo a partire dai primi anni del secolo successivo, permise la loro installazione in numero adeguato. Esso "classificava" un certo numero di biblioteche municipali che, per l'importanza dei loro fondi, raggruppati in seguito alle confische rivoluzionarie, necessitavano di essere dirette da un conservatore statale. La storia dei bibliotecari di provincia è ancora molto poco esplorata. Degli studi attualmente in corso dovrebbero, in un prossimo futuro, permettere di conoscerla meglio [14].

Nel secolo scorso si assistette anche alla ricostituzione delle biblioteche universitarie, che erano state soppresse dalla Rivoluzione. La loro reale rinascita è posteriore agli anni '70 dell'Ottocento [15], ed è inoltre importante ricordare come sia al loro interno che apparve, nel 1879 [16], il primo diploma professionale aperto ai titolari di una "licence" [17]: il CAFB (Certificat d'aptitude aux fonctions de bibliothécaires). Quest'ultimo conobbe una storia piuttosto complessa, e la sua validità fu ben presto estesa alle biblioteche pubbliche. Con il nuovo secolo esso diventò il diploma richiesto ai "sous-bibliothécaires" di stato, ribattezzati in seguito "bibliothécaires-adjoints" (incarico istituito nel 1950 per personale reclutato su concorso con il requisito del "baccalauréat", il diploma di scuola superiore) e ai bibliotecari municipali delle istituzioni non "classificate". Un decreto del 17 settembre 1951 creò un nuovo CAFB, che subì delle riforme nel 1956, 1960 e 1989, prima di essere definitivamente soppresso. La professionalizzazione, sanzionata dall'istituzione di un vero e proprio corso universitario e da differenti diplomi, non divenne realmente effettiva che nel XX secolo [18]. Da parte sua, l' "Association des bibliothécaires français" (ABF), creata nel 1906, istituì, fin dalla sua nascita, dei corsi di formazione professionale destinati ai dipendenti delle biblioteche e ai bibliotecari delle piccole strutture municipali o associative [19], che sono tuttora attivi. Nel primo dopoguerra, dal 1924 alla fine del 1929, creata su iniziativa americana, fu attiva a Parigi un effimera "École américaine de bibliothécaires", che, ad eccezione della ormai centenaria École des chartes, da cui uscivano archivisti e bibliotecari, fu la prima e la sola a formare esclusivamente dei bibliotecari. La formazione dei quadri delle biblioteche statali (Bibliothèque nationale, biblioteche universitarie, biblioteche municipali "classificate", poi, dopo il 1945, biblioteche centrali "di prestito"), fu affidata ad un diploma professionale aperto ai titolari di una "licence". Questo diploma, dopo aver cambiato più volte denominazione e subito numerose riforme, è ancora in vigore: si tratta del "Diplôme technique de bibliothécaire" (DTB), creato nel 1932, divenuto "Diplôme supérieur de bibliothécaire" (DSB) nel 1950, poi "Diplôme de conservateur de bibliothèque" (DCB), dopo la creazione dell'ENSSIB nel 1992 [20]. Su decreto del 12 luglio 1963, venne creata un "École nationale supérieure de bibliothécaires" (ENSB), che accolse i suoi primi allievi nel 1964, nei locali della Bibliothèque nationale. Questa istituzione era all'epoca, insieme all'École nationale des chartes, la sola a formare dei quadri di biblioteche statali. Dalla data della sua creazione, è solamente presso di essa che poteva essere conseguito il DSB. Nel 1974 la scuola fu trasferita a Villeurbanne, nell'immediata periferia di Lione. Un insieme di decreti risalenti al 1992, dovrà sconvolgere ulteriormente la situazione. Essi riorganizzarono l'insieme dei dirigenti delle biblioteche statali e delle collettività territoriali, distinguendo all'interno della funzione pubblica due tipi di quadri di categoria A (reclutati su concorso aperto ai titolari di una "licence"): i bibliotecari e i conservatori. Questi decreti portarono inoltre alla trasformazione dell'ENSB in ENSSIB (École nationale supérieure des sciences de l'information et des bibliothèques), istituzione di pieno statuto universitario, incaricata della formazione dei conservatori e dello sviluppo della ricerca nel campo delle scienze dell'informazione e delle biblioteche. Unica istituzione del genere in Francia a formare i conservatori bibliotecari, l'ENSSIB, a differenza dell'ENSB, accoglie per la loro formazione professionale anche gli ex allievi dell'École nationale des chartes che si consacrano alle biblioteche. Infine, da qualche mese, all'ENSSIB è stata ugualmente affidata la formazione dei dipendenti bibliotecari, divenendo così la sola istituzione formativa per tutti i livelli dell'organico delle biblioteche statali e delle collettività territoriali [21].

Ritratti

Nel 1804, il libraio parigino Boulard [22] pubblica un Traité élémentaire de bibliographie, il cui quarto capitolo è intitolato "Dei bibliotecari". Questo testo, di cui ho citato ampi passi nell'Histoire des bibliothèques françaises [23], esemplifica bene la concezione che si aveva allora di questa professione. Mi sembra dunque interessante riportarne qualche estratto:

«[...] Il bibliotecario è un uomo che deve aver trascorso una parte della sua vita applicandosi al fine di acquisire il sapere che deve possedere se vuole assolvere i suoi compiti di modo da godere di una buona reputazione, e che consacra il suo tempo alla sistemazione e al mantenimento del buon ordine di una biblioteca pubblica o privata, sufficientemente grande da necessitare di cure continue. [...]

[...] Sebbene non sia assolutamente necessario che un bibliotecario sia un uomo di lettere, sarebbe tuttavia auspicabile che egli dia prova delle sue capacità attraverso qualche saggio, che abbia il gusto deciso, il tatto fine, che sia in grado esprimere un giudizio severo ed imparziale sulle opere pubblicate, così da essere certi che egli non ammetterà nella biblioteca che opere che il buon gusto e la decenza possano consultare senza arrossire. È soprattutto necessario che egli ami il suo compito, che egli vi si dedichi interamente, per inclinazione e non per la considerazione degli emolumenti che la sua posizione gli può procurare; è infatti difficile che un uomo rivesta un incarico i cui obblighi gli siano fonte di disgusto. [...] Desidererei dunque, che possedesse perfettamente la sua lingua madre, che conoscesse sufficientemente il Latino, leggesse il Greco, almeno per riuscire a riconoscere un titolo; che fosse in grado di tradurre l'Italiano, lo Spagnolo, il Portoghese, l'Inglese e il Tedesco, quel poco che gli permettesse di distinguere la materia di cui trattano le opere redatte nelle diverse lingue moderne [...]

È assolutamente necessario che un bibliotecario abbia letto molto, perché ciò facilita grandemente il suo lavoro di catalogazione [...] Un bibliotecario deve essere capace di rispondere a tutte le domande che gli vengono poste, non solamente per quanto riguarda in particolare il fondo affidatogli, ma anche su di un'infinità di argomenti che gli sono per così dire estranei, perché, dal momento che la posizione che occupa gli fornisce tutti mezzi per istruirsi, bisogna pensare che egli ne abbia approfittato [...] Se ne deduce che la missione del bibliotecario esige parecchio talento e bisogna assicurarsi che colui che ambisce a ricoprirla ne possieda un tasso elevato, prima di ammettervelo. [...]».

Questo lungo brano descrive senza dubbio numerosi bibliotecari che hanno esercitato la loro professione lungo tutto l'arco del XIX secolo, aprendo parsimoniosamente le raccolte loro affidatagli a qualche notabile del luogo interessato alla lettura, e consacrando la maggior parte del tempo alle loro ricerche erudite personali. Durante i primi anni del XX secolo, Eugène Morel, un bibliotecario incaricato alla Nationale ed iconoclasta all'interno del suo stesso milieu professionale, si auspicava dei cambiamenti che impiegarono lungo tempo a prodursi. Poteva allora scrivere [24]:

«[...] Ogni bibliotecario deve sapere abbastanza di rilegatura, di bibliografia, di contabilità, eccetera, per essere in grado di occuparsene al bisogno. E che dire delle nozioni di archeologia, che sono l'oggetto degli attuali esami nelle biblioteche francesi? Assolutamente nulla, se non che esse non hanno niente a che vedere con l'arte bibliotecaria. Dal tempo che ci si occupa dei libri antichi e dei manoscritti, essi dovrebbero essere classificati e descritti, o allora vuol dire che sono stati affidati a degli incapaci [...] l'École des chartes non ha, beninteso, assolutamente alcun diritto di più rispetto a qualunque altra scuola, sia quella "des Ponts et Chaussées" o il Conservatorio, di fornire dei bibliotecari. Essa può, come tutte le altre, formarne di eccellenti, qualora essi si prendessero la briga di imparare i moderni metodi di classificazione scientifica, e quanto basta di contabilità, di rilegatura, di commercio [...] In una grande biblioteca, soprattutto se essa possieda dei fondi antichi, non è più utile avere un archivista-paleografo che un naturalista, un medico, un giurista o un industriale. E non è bene che si pratichi un reclutamento indistinto, che lasci agli storici, e agli archivisti paleografi in particolare, un ruolo predominante nell'amministrazione delle biblioteche francesi. La situazione stagnante in cui esse versano è talmente evidente che non è necessario soffermarvisi. C'è bisogno di un nuovo personale [...] Fino ad ora, praticamente due sole discipline si sono disputate le biblioteche: la letteratura e la storia. Aprendo agli uomini -- a tutti gli altri -- le biblioteche generali, bisognerà soprattutto cercare di differenziare le competenze e le influenze. [...]»

Numerosi capitoli dell'Histoire des bibliothèques françaises, tra cui quello di Louis Desgraves, ci hanno offerto alcuni ritratti alquanto truculenti di bibliotecari piuttosto "folkloristici" che si ritrovano fino agli anni '60 del nostro secolo. Per mancanza di tempo non possiamo dilungarci ulteriormente su di essi.

Concludendo, mi pare importante sottolineare come la professione del bibliotecario non si sia mai cosė rapidamente evoluta come negli ultimi quarant'anni. Questo periodo ha conosciuto uno straordinario sviluppo della lettura pubblica fin nei luoghi più sperduti ed è stato caratterizzato dalla nascita dell'università di massa, e, di conseguenza, dalla moltiplicazione delle biblioteche universitarie più o meno fornite. Ultimamente, il dibattito accesosi riguardo la TGB ("Très grande bibliothèque"), divenuta Bibliothèque Nationale de France, ha innescato una nuova dinamica, percettibile ben più oltre il microcosmo parigino. In questi anni, il mestiere stesso si è notevolmente evoluto, e continua a farlo tuttora. Da un anno, conservatori e bibliotecari ricevono la loro formazione all'interno della stessa istituzione a cui saranno destinati. Agli eruditi di allora si sono sostituiti dei veri e propri "manager" in grado di gestire finanziamenti e personale, interlocutori dell'amministrazione e delle autorità accademiche, rotti alle tecnologie più innovative: ieri l'informatica, oggi le risorse elettroniche e la biblioteca virtuale, domani chissà.

Infine, e ciò lascerebbe stupefatti Naudé, Boulard, lo stesso Morel e tutti i loro seguaci, il bibliotecario francese di oggi (nel senso generico del termine) è soprattutto una bibliotecaria [25].

 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Histoire des bibliothèques françaises, Paris, Promodis-Cercle de la Librairie, 1988-1992, 4 volumi:
André Vernet, (a cura di), Les Bibliothèques médiévales, VIe siècle-1530, 1989.
Claude Jolly, (a cura di), Les Bibliothèques sous l'Ancien Régime 1530-1789, 1988.
Dominique Varry, (a cura di) Les bibliothèques de la Révolution et du XIX siècle 1789-1914, 1991.
Martine Poulain (a cura di) Les bibliothèques au XXe siècle, 1992.

[2] Gabriel Naude, Advis pour dresser une bibliothèque. Reproduction de l'édition de 1644 précédée de l'Advis, manifeste de la bibliothèque érudite a cura di Claude Jolly, Paris, Aux amateurs de livres, 1990. Sull'importanza di quest'opera vedi: Robert Damien, Bibliothèque et État. Naissance d'une raison politique dans la France du XVIIe siècle, Paris, PUF, 1995.

[3] Règles communes et particulières de la Congrégation de Saint-Maur, Paris, s.n., 1663, capitolo 7, pp. 79-93. Questo testo è stato riedito senza modificazioni: Règles communes et particulières de la Congrégation de Saint Maur. Nouvelle édition corrigée sur les constitutions déclarations & règlemes de Chapitres Generaux, s.l., s.n., 1686.

[4] Dominique Varry, Contribution à une histoire des savoirs professionnels des bibliothécaires: les "règles" du bibliothécaire mauriste, in Facettes. Réflexions multiples sur l'information. Textes réunis et présentés par Chantal Dentzer-Tatin, Lyon, Associations des Documentalistes et Bibliothécaires Spécialisés (ADBS) Rhône-Alpes, 1994, pp. 177-185.

[5] Michel Vernus, studio inedito che non trova editore.

[6] Hélène Dufresne, Erudition et esprit public au XVIIIe siècle: le bibliothécaire Humbert-Pascal Ameilhon (1730-1811), Paris, Nizet, 1962.

[7] V. la bibliografia di riferimento da me dedicatagli nel terzo volume dell'Histoire des bibliothèques françaises, pp. 302-303.

[8] Su di una questione di così vasta portata non posso far altro che far riferimento a miei contributi precedenti, ed in particolare al terzo volume dell'Histoire des bibliothèques françaises.

[9] Dominique Varry, La profession de bibliothécaire en France à l'époque de la Révolution française, Le Commerce culturel des nations: France-Allemagne XVIIIe-XIX siècle, Revue de synthèse, 4e série, n. 12, janvier-juin 1992, pp. 29-39.

[10] Hélène Joannelle, Le Bibliographe Gabriel Peignot (1767-1848), DEA, ENSB, 1990.

[11] Louis Desgraves, Les bibliothécaires, in Histoire des bibliothèques françaises, vol. III, op. cit., pp. 281-293.

[12] Maurice Caillet, Les inspecteurs généraux des bibliothèques, Histoire des bibliothèques de France, 1972, pp. 529-537.

[13] Henri-Jean Martin, Les chartistes et les bibliothèques, Bulletin des bibliothèques de France, 1972, pp. 529-537.

[14] Olivier Tacheau, Jalons pour repenser l'histoire des bibliothécaires municipaux sous la Troisième République(1897-1939), DEA, ENSSIB, 1995.

[15] Alain Gleyze, Concentration et déconcentration dans l'organisation des bibliothèques universitaires françaises de province (1855-1095), thèse de l'Université Lumière Lyon II, 1999, 2 vol.

[16] È sintomatico constatare che il 23 agosto 1879 comparvero 3 decreti che istituirono la creazione delle biblioteche universitarie (nel senso moderno del termine) e il CAFB.

[17] Diploma conseguito al termine dei primi tre anni dell'Università francese.

[18] Richard Kent Gardner, Education for librarianship in France. An historical survey, PhD, School of library science, Case Western Reserve University, 1968, 2 vol.

[19] Françoise Hecquard, La formation des bibliothécaires. L'enseignement de l'Association des bibliothécaires français 1910-1991, texte d'un mémoire ENSB.

[20] A differenza del DBS, che forma anche degli studenti stranieri, il DCB non può essere rilasciato che a dei funzionari statali. Esso prevede per i conservatori-stagisti una scolarità di 18 mesi all'ENSSIB, qualunque sia il concorso d'ammissione.

[21] Su questa storia piuttosto complessa, vedi: Daniel Renoult, La Formation et les métiers, in Histoire des biblothèques françaises, vol. 4, pp. 420-440; Dominique Varry, L'Ecole nationale supérieure des sciences de l'information et des bibliothèques, (bref historique de l'ENSB et de l'ENSSIB), Les Ecoles de la République, Paris, Eclectis, 1993, p.280.

[22] Boulard, S., Traité élémentaire de bibliographie ..., A Paris: chez Boulard, An XII (1804), pp. 35-48.

[23] Dominique Varry, D'un siècle à l'autre, in Histoire des bibliothèques françaises, vol. 3, op. cit., p. 626.

[24] Eugène Morel, La Librairie publique, Paris, 1910, pp. 286-290. Nel suo testo Morel sostituisce il termine "librairie" a quello di "bibliothèque". Inoltre il suo testo porta come epigrafe : «Chi è quel pedante che ha inventato la parola "bibliothèque" lasciando il termine francese "librairie" agli inglesi?»

[25] Le donne rappresentano circa il 75 % dei bibliotecari francesi.

 

© Varry, Andreoli, AIB, EG, 2000-05, rev. 2000-05-30.
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