[AIB]

XLVI Congresso nazionale AIB
Oltre confini e discontinuità
Torino, 11-13 maggio 2000


Bibliotecari, duemila anni di continuità. - 2000-05-11 14:30/17:30

NOTA redazionale. Ringraziando gli autori che hanno messo a disposizione per AIB-WEB i testi delle loro relazioni, avvertiamo che potranno risultare lievi differenze tra questa versione e quella definitivamente licenziata per la stampa.


I bibliotecari del libro antico

Angela Nuovo
(Università di Udine)

 

Vorrei premettere due parole sul fatto che, per parlare dei bibliotecari del libro antico, anziché fare riferimento alla nostra tradizione e realtà, mi occuperò esclusivamente del mondo statunitense. Nonostante le grandissime differenze tra il nostro mondo e il loro, soprattutto nella formazione storica dei fondi antichi, mi è sembrato che negli ultimi venti anni la loro esperienza abbia assai di frequente anticipato molti temi e problemi che si sono poi profilati anche da noi. È indubbio che le nostre biblioteche vedano nel modello americano un traguardo cui avvicinarsi: sarà utile allora vedere come i bibliotecari americani del libro antico, immersi in un contesto assai più avanzato del nostro ma al quale tentiamo di raffrontarci, abbiano discusso dei problemi della loro specializzazione, e quali siano attualmente i problemi sul tappeto.

La prima generazione di bibliotecari del libro antico

Ricordiamo le origini della professione del rare book librarian attraverso alcune figure-chiave che assunsero ben presto uno spessore esemplare. L'inizio dell'era moderna nella storia dei bibliotecari americani specializzati nel settore può essere fatta risalire alla nomina di Wilberforce Eames (1855-1937) a bibliotecario della Lenox Library di New York nel 1893 [1]. Eames, prodigioso lavoratore e bibliografo pioniere d'America, divenne il leader intellettuale del mondo del libro antico e influenzò grandemente lo sviluppo dei bibliotecari del settore, individuando le loro competenze come differenti rispetto a quelle dei bibliotecari delle biblioteche pubbliche o universitarie, o degli storici. Basterebbe la sua biografia. A 12 anni rimase a lungo a letto per le conseguenze di un morso di un cane, e così lesse tutta la Decadenza e caduta dell'Impero Romano di Edward Gibbon: da lì si annotò tutte le fonti erudite che rintracciò in seguito da solo. Fu un vero e proprio erudito autodidatta, che completò la sua formazione lavorando presso un libraio antiquario di New York. Fondatore della Bibliographical Society of America e primo bibliotecario di questa istituzione (1905-1909), fu tra i primi bibliografi (specializzato in bibliografia americana) ad applicare massicciamente le fotografie e le riproduzioni fotostatiche al lavoro descrittivo tradizionale. La sua influenza fu capitale nel rafforzamento delle collezioni della New York Public Library, come anche nel renderle note attraverso una filosofia biblioteconomica tutta orientata al servizio, certamente influenzata dalla sua personale formazione di autodidatta. È l'esponente primo e più suggestivo del rare book librarian, figura che, nella prima generazione, recupera la tradizione erudita, irrinunciabile bagaglio professionale del bibliotecario europeo, interpretandola però in chiave americana: la applica ad esempio al terreno quasi vergine della bibliografia americana.

Belle da Costa Greene è l'altro esempio che vorrei richiamare qui, di quel periodo pionieristico tra Otto e Novecento [2]. Per tutta la vita fu la bibliotecaria dei Morgan, padre e figlio (43 anni di servizio), aiutandoli in modo determinante con il suo gusto e la sua abilità di compratrice a erigere la Pierpont Morgan Library, aperta al pubblico nel 1920. La sua attività era assai simile a quella di un bibliotecario di corte europeo di alcuni secoli prima, era come se facesse parte della familia dei Morgan, compresi i vantaggi di cui pare amasse assai godere (soggiorni all'Hotel Ritz di Parigi, frequentazioni con l'alta società mondiale), ma con un che di amichevole e informale con i suoi principali, tipico dello stile americano. Belle era una donna estremamente intelligente e spiritosa, il cui decennale legame sentimentale con Bernard Berenson certamente influenzò il carattere italiano della Morgan Library, ma era soprattutto un esempio particolarmente riuscito di quel genere di bibliotecario 'privato' che serviva esattamente alle stupefacenti collezioni di libri antichi che i magnati americani si stavano costituendo in quegli anni. Il rapporto personale era fondamentale. Quando William L. Clements era alla ricerca di un bibliotecario per la propria collezione, ne esaminò moltissimi già raccomandati dai più importanti bibliotecari d'America, e gli capitò di scartarne uno (Lawrence J. Burpee) perché, benché munito di tutti i titoli di eccellenza, nell'opinione di Clements non si lavava abbastanza [3]. Il rapporto di dipendenza diretta richiedeva una simbiosi particolare.

Dunque eruditi, fondatori di Bibliographical Societies, effettivi 'conservatori', 'bibliofili', custodians. Il compito più importante che questa generazione di bibliotecari si trovò ad adempiere fu quello di gestire la transizione di preziose collezioni dalla protezione del privato possessore a quella accessibilità che sempre, ma soprattutto in America, si ritiene inscindibile da ogni biblioteca nel momento in cui diventa pubblica.

D'altronde, il debito che l'America ha con i suoi collezionisti del libro antico è incalcolabile: si pensi che al primo raduno dell'ALA nel 1853, il presidente (il reverendo Samuel Osgood di New York) tristemente sottolineava che in America nessuna biblioteca aveva i requisiti bibliografici per rendere possibile lo studio approfondito di alcun argomento: nessuno studioso di storia antica o moderna era in grado di approfondire le sue ricerche rimanendo sul suolo americano [4]. Soltanto un secolo dopo, gli Stati Uniti erano in possesso di sterminati fondi antichi che rendevano doveroso, oggi poi più che allora, allo studioso europeo di completare le proprie ricerche in America; si pensi solo al fatto che nessun filologo di Shakespeare può concludere oggi le sue ricerche senza visitare la Folger Shakespeare Library di Washington. Il limite di queste collezioni private, che viene al giorno d'oggi pagato caro, è il loro usuale principio ordinativo e costitutivo, il canone bibliografico cui si attengono: quello di, per così dire, pagare il debito che l'America aveva contratto con la lunga tradizione della civiltà occidentale. Ciò che era rimasto indiscutibile fino agli anni Cinquanta (il canone della tradizione occidentale), oggi diventa imbarazzante, se non qualche volta avvertito addirittura come retrivo.

Sarebbe lungo ora esaminare il processo di forte professionalizzazione che i bibliotecari del libro antico americani misero in moto a partire dal secondo dopoguerra, e il loro progressivo distaccarsi dal mestiere di bibliotecari dei collezionisti ad intermediari tra istituzione e pubblico. Il contesto perfettamente 'moderno' delle biblioteche americane fece nascere in loro, prima che negli europei, la sensazione che la loro professione fosse una ben precisa specializzazione. Si occuparono di definirla, di darsi da sé i propri standard e linee-guida, le proprie regole di catalogazione e thesauri, di cui incessantemente si occupano. Il contesto, sempre dinamico, in cui lavoravano e lavorano, ha fatto sorgere ben presto le stesse tensioni che oggi noi viviamo quotidianamente. Mi limiterò perciò ad accennare ad alcuni punti del dibattito professionale negli ultimi due decenni, che abbiano sollevato questioni attuali ora anche da noi.

Gli anni Ottanta

Già nel 1983, infatti, Thomas R. Adams rilevava come, dal momento che i bibliotecari americani avevano sempre definito il loro lavoro a partire dal concetto di informazione e non dall'oggetto-libro, ora che le due realtà iniziavano evidentemente ad allentare quell'esclusivo rapporto di unione tipico dei secoli precedenti, quando l'informazione contenuta nel libro e il libro stesso erano trattati come un unicum inseparabile, il ruolo dei bibliotecari del libro antico avrebbe iniziato a farsi sempre più marginale [5]. L'amore del libro come oggetto non sarebbe più stata la molla principale per diventare bibliotecari; la biblioteca non si sarebbe più identificata con il solo edificio e i materiali bibliografici ivi contenuti; le risorse sarebbero state comprate sempre di più per rispondere alle domande dell'utenza e non, come le fonti delle collezioni speciali, per porre delle domande a un'utenza di studiosi. In questo contesto, secondo Adams, i rare book librarians non potranno che trovarsi ai margini della professione, una profezia avveratasi purtroppo velocemente persino in Europa, ove il prestigio dei bibliotecari del libro antico poteva contare su qualche secolo in più di tradizione. La proposta che già allora faceva Adams era quella di avvicinare le collezioni speciali ai musei: Le biblioteche non sono musei è un'affermazione del tutto superata, diceva, quando si pensa ai musei odierni, con i loro programmi educativi, con le loro politiche di ricerca, le loro serie di pubblicazioni e tutti gli studiosi che annoverano nel loro staff. L'avvicinamento era proposto sulla base del principio che entrambe le istituzioni conservano oggetti fisici muniti il più possibile delle loro caratteristiche originali. Torneremo su questa concezione.

Sempre negli anni Ottanta, ebbe luogo una assai importante pubblicazione nel campo della Rare Book Librarianship, ma anche della storia del libro: un numero intero dell'illustre rivista «Library Trends» intitolato Recent Trends In Rare Book Librarianship [6]. L'idea portante della serie di contributi, non nuova ma proposta con grande convinzione, era che la scienza (sostanzialmente la chimica, la fisica e le varie sperimentazioni in corso) poteva fornire allo studio del libro (e del manoscritto) come oggetto dati nuovi e rivelatori: certo si intendeva dimostrare che, proprio nel settore più tradizionale della biblioteca, grazie alla scienza e alla tecnologia, si spalancavano incalcolabili possibilità di rinnovamento, quasi di rovesciamento del già noto. Tra nuovi sistemi di rilevazione della filigrana, studi sulla carta e sull'inchiostro e così via, spicca il progetto più ambizioso di quegli anni, condotto alla University of California at Davis dal professor Schwab: il bombardamento dell'inchiostro della Bibbia di Gutenberg con un flusso di protoni accelerati in un ciclotrone, processo che ottiene la composizione parziale dell'inchiostro [7]. Con tale complesso procedimento si era venuto a sapere tra l'altro che nella formula messa a punto da Gutenberg compariva il titanio, elemento chimico noto solo dal 1791 e usato come pigmento solo alla fine del XIX secolo; si era anche scoperto che l'inchiostro fu continuamente mutato durante l'avanzare della stampa della Bibbia e venne ricostituito (se non riformulato) ben 294 volte: forse ogni mattina, visto che la Bibbia necessitò di almeno 300 giorni di lavorazione. Questo geniale inchiostro è la vera e propria firma di Gutenberg, e lo si è riscontrato in altri prodotti tipografici (calendari e altro) a lui riconducibili, un inchiostro che sembra avvicinarsi più ai colori dei pittori che alle formule messe a punto dagli altri tipografi delle origini.

Certo, risultati affascinanti. Ma questi progetti, per quanto impressionanti, avevano almeno due grossi difetti: innanzi tutto, necessitavano della rilevazione di un gran numero di dati per consentire, attraverso la comparazione, un'interpretazione fondata dei fenomeni. L'altro e maggiore difetto era che erano tutti costosi o costosissimi, mentre i sistemi di studio tradizionale, anche se basati sull'osservazione empirica, erano e rimangono a costo zero.

Più interessante, e foriero di sviluppi, era il salto di qualità che nella stessa sede si propugnava nell'automazione della catalogazione del libro antico. Ma per quel che riguarda quanto discutiamo qui oggi, la rivista recava un interessante contributo di Daniel Traister, ancora oggi uno dei protagonisti della Rare Book Librarianship, al riguardo della professione [8]: Traister ne lamentava l'isolamento, causato anche fisicamente dalla reclusione nelle parti più protette della biblioteca, o addirittura in un edificio separato. Dal punto di vista della carriera, i rare book librarians non avevano già allora più nessuna possibilità di diventare direttori di biblioteca (o solo di una Independent Research Library, cioè biblioteche di soli o quasi fondi antichi, pochissime in America, la cui direzione è peraltro spesso affidata a studiosi). Una delle possibilità di migliorare la propria posizione era vista nella capacità di pubblicare, o di tenere conferenze, partecipare a convegni etc., proprio come da noi. Ma, secondo Traister, una funzione-chiave avrebbe assunto nel futuro prossimo la figura del conservatore, o responsabile della conservazione in tutta la biblioteca, il quale dalla sua posizione avrebbe governato molti processi, dettato le principali politiche di accesso, lavorato con lo staff e con i lettori. Una nuova stagione di creatività e di centralità della Rare Book Librarianship si è realizzata negli anni Ottanta con l'enorme sviluppo a livello mondiale assunto, dentro e fuori dalle biblioteche, dalla storia del libro: è certo che proprio l'emergere di nuovi media ha fatto risaltare le caratteristiche del libro. È stato detto che i pesci non vedono l'acqua in cui nuotano, ma certamente cominciano a notarla quando il suo livello si abbassa.

Gli anni Novanta

Vorrei chiudere segnalando alcune proposte e alcuni scenari che la Rare Book Librarianship ha avanzato negli anni Novanta, tempi di più acuta ed evidente crisi. Durante il convegno Rare Book and Manuscripts Libraries in the Twenty-First Century tenutosi ad Harvard nel 1992 [9], si sono riuniti per discutere dell'argomento studiosi e bibliotecari, informatici e librai antiquari, architetti, collezionisti e avvocati (questi ultimi per il calcolo delle detrazioni fiscali ai donatori). Naturalmente, lo scopo del convegno era di mantenere alto il morale degli addetti, quindi, nonostante le differenti posizioni e i contrasti, l'idea condivisa era che i valori incarnati dalle collezioni di manoscritti e libri antichi supereranno vittoriosi questo mutamento generale e profondo delle biblioteche. Innanzi tutto, si è concordemente rilevato come l'impegno crescente a livello mondiale nella costruzione di enormi nuove biblioteche conviva con l'affermarsi del modello della biblioteca interattiva e digitale, fornitrice di servizi e di informazioni di provenienza quasi sempre esterna; e come sia fondamentale per queste nuove biblioteche identificarsi con il proprio fondo antico, che è l'unico che rimarrà fisicamente sempre stabile e fisso; così il fondo antico attualmente, specie in America, una periferia della biblioteca, potrebbe incarnare l'unico nucleo intellettuale inalterabile e fisicamente tangibile.

Al convegno di Harvard era presente G. Thomas Tanselle, e la sua opinione merita di essere riportata per intero [10]. Secondo Tanselle, i rare book librarians sono gli unici bibliotecari che dovranno sempre rimanere legati al libro a stampa, la categoria di manufatti che negli ultimi cinque secoli è stata la causa principale di aumento delle dimensioni delle biblioteche. Il ruolo delle collezioni speciali deve diventare più importante che mai nel futuro elettronico, i libri saranno sempre le fonti principali del lavoro di ricerca umanistica. Per tutti gli studiosi sarà un enorme vantaggio disporre di moltissimi testi direttamente sullo schermo, a patto che essi si rendano conto dell'importanza dei dati di contesto che in questo modo perdono, e del fatto che il ricorso agli originali non sarà mai irrilevante.

Secondo Tanselle, mentre la biblioteca virtuale si sviluppa e occupa sempre nuovi settori, ciò che dovrebbe logicamente accadere è che le competenze dei cosiddetti dipartimenti di libri antichi o delle collezioni speciali siano ampliate fino a comprendere gli interi magazzini librari della biblioteca. Il risultante dipartimento sarebbe semplicemente il Dipartimento dei libri a stampa, o, più appropriatamente, il Dipartimento dei Materiali Originali, perché si occuperebbe di ogni tipo di originale, non solamente di libri e manoscritti. Questo sviluppo, questa evoluzione chiarificherebbe anche l'inquadramento concettuale di alcuni aspetti della biblioteconomia. Fino ad oggi i libri sono stati trattati in modo differente nelle due parti della biblioteca, l'antica e la moderna (per l'America, gli scaffali chiusi e quelli aperti): un libro negli scaffali generali era soggetto a rilegatura sostitutiva, o perfino scartato e rimpiazzato facilmente, perché la sua forma fisica non era avvertita come importante. Ma se era trasferito nel dipartimento delle collezioni speciali prima di subire questi trattamenti (trasferimenti che in America avvengono periodicamente), sarebbe stato attentamente conservato nella sua forma originale. Nessuna teoria soddisfacente era mai riuscita a spiegare perché i libri erano trattati a volte come manufatti che meritano una scrupolosa conservazione, e altre volte come semplici veicoli testuali o informazionali. L'avvento dell'elettronica conferirebbe perciò una nuova coerenza al trattamento dei libri; l'incoerenza scomparirebbe nel momento in cui tutti i libri fossero posti nelle mani di coloro che hanno l'esperienza e la cultura della conservazione. La disseminazione dell'informazione (grazie all'elettronica o ad altri mezzi), cioè di testi astratti dalla loro apparizione originale, sarebbe allora riconosciuta come un'attività distinta, che non ha a che vedere con la conservazione dei manufatti.

L'invito di Tanselle ai bibliotecari del libro antico è dunque quello di ampliare, e di molto, le loro competenze, di occupare campi che nel futuro prossimo rimarranno sguarniti: non è certo un invito a ignorare i nuovi mezzi e i nuovi prodotti tecnologiche, ma è certamente un invito a perseverare nella propria professionalità di bibliotecari, approfondendo le competenze nel campo della conservazione. La centralità della biblioteca e della bibliografia per Tanselle non sono affatto in discussione.

Al contrario, l'associazione professionale RBMS pare oggi imboccare un'altra strada. La rivista ufficiale «Rare Books and Manuscripts Librarianship» dal prossimo numero assumerà il titolo «RBM: A Journal of Rare Book, Manuscripts and Cultural Heritage», sulla base dell'affermazione che, come le biblioteche di libri antichi e manoscritti sono evolute nel modello delle 'special collections' (un processo che da noi non è per il momento avvenuto), così ora le 'special collections' stanno trasformandosi in depositi di oggetti del patrimonio culturale (beni culturali, diremmo noi) [11]. Di fatto, le 'special collections' (termine che attualmente si preferisce a 'collezioni di manoscritti e libri antichi' per la presenza di molti diversi materiali, molti non necessariamente antichi, in questo settore della biblioteca) si trovano in America a condividere collezioni, mostre, utenti, fonti di finanziamento (private) con i musei, gli archivi e le società storiche. Per salvarsi dalla crescente marginalizzazione, i rare book librarians pensano di identificarsi più da vicino e di promuovere la loro professione come una parte integrante del più vasto mondo dei curatori del patrimonio culturale, che include bibliotecari, archivisti, curatori di museo, conservatori e la comunità tutta degli studiosi. Questa è la risposta che attualmente l'associazione propone per la ridefinizione professionale nel mutato contesto. Il processo produrrebbe dei vantaggi, ad esempio per istituzioni all'interno dello stesso campus universitario che sarebbero unite amministrativamente, potrebbero condividere le stesse risorse catalografiche e così via; ma soprattutto si raggiungerebbe una migliore visibilità.

La pressione che spinge oggi molti dipartimenti di libri antichi a diventare musei del libro nasconde però di sicuro delle insidie: ad esempio, in un contesto fortemente valutativo come quello americano, tali 'musei del libro' tenderanno a disfarsi di quegli oggetti che sono privi di un reale valore iconico, o a dimenticarli nello loro politiche di valorizzazione. Più di un osservatore ha messo in guardia le biblioteche dal partecipare alle massicce campagne di outreach, ovvero di attiva ricerca del pubblico, definendole una 'futile competizione con Internet', affinché le biblioteche non soccombano alle stesse pressioni che hanno sopraffatto le fondamentali funzioni culturali dei musei e delle università: la difesa della qualità, la conservazione della cultura, l'educazione dell'occhio e della mente [12]. Questo ricercare una nuova visibilità attraverso il web una sorta di rincorsa che accomuna molte di quelle istituzioni culturali alle quali i rare book librarians si vorrebbero agganciare, questo appiattire i vari materiali nell'unica riproduzione digitale, è stato già definito come la devoluzione delle biblioteche nell'arena dell' "edutainment" (non pochi musei vi si trovavano da tempo). Il pericolo è che, alla ricerca di una posizione più forte e più protetta, inseguendo un vasto pubblico che essi non avranno mai, i bibliotecari del libro antico perdano la loro cultura specifica, fatta di bibliografia, erudizione, codicologia, bibliologia, tutte discipline il cui impallidimento o addirittura abbandono finirebbe per causare una più grave e dannosa alienazione e irrilevanza professionale.

 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Eames, Wilberforce (1855-1937), di W. Davenport Robertson e Edward G. Holley, in Dictionary of American Library Biography, ed. by Bohdan W. Wynar, Littleton, Libraries Unlimited Inc., 1978, pp. 148-153.

[2] Belle da Costa Greene (1883-1950), di Ruth Rosenberg, in American Book Collectors and Bibliographers. Second Series, ed. by Joseph Rosenblum, Detroit [etc], Gale Research, 1997, (Dictionary of Literary Biography, 187) pp. 131-136. Restano più di seicento lettere (di lei) a testimoniare la relazione sentimentale con Bernard Berenson durata decenni: Belle, al contrario, bruciò tutte le lettere di lui prima di morire.

[3] "My impression of him was that he was not neat in his person. He is rather fat and like many fat people his collar was wilted and did not look to me absolutely clean. To me that would be a terrible objection, for an untidy person with himself and about the building personally I could not tolerate. If he did not insist upon neatness throughout the building he could not be tolerated": così scrisse lo stesso Clements nel 1923 al grande bibliotecario George Parker Winship, suo principale consigliere nella scelta. Leggo la lettera nel volume di Margaret Maxwell, Shaping a Library: William L. Clements as collector, Amsterdam, Nico Israel, 1973, p. 297.

[4] Louis B. Wright, American Book Collectors, in Book Collecting and Scholarship: Essays by Theodore C. Blegen, James Ford Bell, Stanley Pargellis, Colton Storm, & Louis B. Wright, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1954, pp. 51-67: 51-52.

[5] Si tratta dell'articolo di Thomas R. Adams, Librarians as Enemies of Books??, «College and Research Libraries», 45 (May 1984), pp. 198-206.

[6] Michèle Valerie Cloonan Issue Editor, «Library Trends», 36, Summer 1987.

[7] Richard N. Schwab, The History of the Book and the Proton Milliprobe: An Application of the PIXE Technique of Analysis, in Recent Trends in Rare Book Librarianship, «Library Trends», 36, Summer 1987, pp. 53-84.

[8] Daniel Traister, A Caucus-Race and a Long Tale: The Profession of Rare Book Librarianship in the 1980s, in Recent Trends in Rare Book Librarianship, «Library Trends», 36, Summer 1987, pp. 141-156.

[9] Rare Book and Manuscript Libraries in the Twenty-First Century, ed. by Richard Wendorf, «Harvard Library Bulletin», Spring 1993, 4, n. 1-2.

[10] Session One: Discussion [intervento di] G. Thomas Tanselle, in Rare Book and Manuscript Libraries in the Twenty-First Century, ed. by Richard Wendorf, «Harvard Library Bulletin», Spring 1993, 4, n. 1, pp. 38-40.

[11] Lisa Browar e Marvin J. Taylor, Notes from the Field, «Rare Books & Manuscripts Librarianship», 14, 1, 1999, p. 7. Il mutamento di titolo e quindi (si immagina) di contenuti, segna anche un mutamento nella direzione della rivista, affidata fino al numero precedente a Sidney E. Berger.

[12] Opinioni espresse, ad esempio, dallo scrittore William Gass nel discorso (non pubblicato) The Value of Values, come si evince dall'articolo di Cathy Henderson, Negotiating New Borders for Special Collections, «Rare Books & Manuscripts Librarianship», 14, 1, 1999, pp. 9-17.

 

© Nuovo, AIB, EG, 2000-05, rev. 2000-05-30.
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