[AIB]

53º Congresso nazionale AIB

Le politiche delle biblioteche in Italia
La professione

Roma, Centro congressi Europa
Policlinico universitario "A. Gemelli"
18–20 ottobre 2006


Programma 53º Congresso AIB

Fare quasi la stessa cosa : tipici e atipici lavorano insieme

Stefano Bolelli Gallevi

Abstract

La comunicazione si propone di esaminare le dinamiche di interazione che intercorrono tra bibliotecari dipendenti/funzionari a tempo indeterminato e bibliotecari con qualunque altro tipo di contratto, nel momento in cui si trovano a collaborare nella stessa struttura bibliotecaria.

Si vuol dare rilievo sia agli aspetti psicologici (ad es. dinamiche di potere) che a quelli più strettamente professionali (affidamento delle mansioni), cercando di affiancare all'analisi delle situazioni una lettura critica e l'eventuale suggerimento di buone pratiche per la cooperazione.

Parte della comunicazione sarà dedicata al confrontro tra tre bibliotecari che lavorano per lo stesso ente, uno dipendente dell'ente a tempo indeterminato, gli altri due dipendenti a tempo determinato, uno dall'ente stesso e l'altro di una cooperativa appaltatrice dell'ente. Tutti e tre inquadrati a livello C.

L'intento è comparare tre tipologie di bibliotecario con lo scopo di rilevare se, oltre alla macroscopica differenza dell'aspettativa di durata del lavoro, ci siano altre differenze e quali, e capire se e come queste possano influenzare le dinamiche di interazione sul posto di lavoro.

Si pensa di realizzare questo confronto nella forma dell'intervista, per meglio enfatizzare le differenze nelle risposte e far emergere la voce dei soggetti di questo lavoro.

 


 

Lo scopo di questo intervento è di analizzare un'interazione che, se non viene data per scontata, quantomeno non ci risulta sia ancora stata oggetto di riflessione, per capire quale sia lo stato d'animo dei bibliotecari di fronte a questa nuova situazione lavorativa. Mi riferisco cioè alla coesistenza di bibliotecari tipici e atipici [1], laddove prima c'erano prevalentemente dipendenti a tempo indeterminato, risultato dell'ormai radicato ricorso all'outsourcing da parte di biblioteche di ogni ordine e grado.

A partire dall'applicazione della legge Biagi, i bibliotecari senza un contratto a tempo indeterminato sono andati ad accrescere la percentuale del personale delle biblioteche; non sono a conoscenza di statistiche aggiornate, ma credo che ormai siano moltissime le biblioteche a personale "misto", cioè composto di bibliotecari a tempo indeterminato e bibliotecari "a tempo".

La situazione che qui interessa è quella in cui i bibliotecari "a tempo" vengono chiamati per integrare i servizi di base (catalogazione, servizi di bancone, ricollocazione), servizi che la teoria biblioteconomica [2] è abbastanza concorde nel ritenere che dovrebbero essere svolti dal personale di ruolo delle biblioteche.

Il paragone sorge spontaneo con i supplenti scolastici: nella scuola una percentuale di personale "a tempo" c'è sempre stata, per sostituire il personale di ruolo, in biblioteca è un fenomeno, almeno nelle attuali dimensioni, di novità. Nella scuola talvolta c'è resistenza verso i supplenti, spesso da parte dei genitori preoccupati della possibile interruzione della "continuità didattica"; in biblioteca non è difficile scorgere un'analoga preoccupazione da parte del personale strutturato nei confronti di quello "a tempo", sia nel garantire la continuità dei servizi, sia per le capacità del personale "supplente" stesso. È per questo, credo, che spesso un bibliotecario "a tempo", anche quando chiamato a sostituirne uno di ruolo, di fatto finisce per fare altro (ad esempio se manca l'incaricato del prestito interbibliotecario il sostituto designato viene messo a catalogare), in tutto o in parte, mentre le mansioni del dipendente sostituito vengono ripartite tra il personale strutturato oppure "congelate" fino al suo ritorno.

Se in alcune occasioni questa può essere una soluzione obbligata, dovrebbe comunque essere adottata nel minor numero di casi possibile, anzi solo quando la persona che sostituisce non ha i requisiti per svolgere il lavoro in oggetto. Spesso invece la si adotta per risparmiare il tempo che sarebbe richiesto al "personale a tempo" per "entrare" nei flussi di lavoro della biblioteca, ovvero imparare le regole specifiche, ma soprattutto le consuetudini, che la regolano. Non ci interessa qui tanto valutare la ragionevolezza delle argomentazioni, quanto evidenziare le conseguenze di questa scelta, in particolare che il nuovo venuto ha la sensazione di non essere all'altezza del proprio compito (che sarebbe quello di rilevare le mansioni di chi va a sostituire) e che ha un'idea della biblioteca come luogo di "convenzioni" ad hoc piuttosto che di regole generali ed efficienti, facili da imparare.

A volte accade anche il contrario, e il personale "a tempo" viene messo a ricoprire servizi con poche o insufficienti spiegazioni, come se le sue conoscenze di base e i suoi studi dovessero andare bene per qualunque biblioteca. Il risultato è che, nel momento in cui si verifica una situazione in cui sono richieste conoscenze specifiche della biblioteca, anche banali, ma che il bibliotecario "a tempo" non ha, si trova in imbarazzo per non saper rispondere, ricavandone ancora una volta una sensazione di insicurezza o l'impressione di essere stato trascurato nel suo processo di integrazione.

È indubbio, infatti, che il bibliotecario "a tempo" compie comunque un suo processo di integrazione in ciascuna biblioteca in cui lavora, e che si trova a gestire momenti delicati come l'ingresso in una sede nuova e il distacco da questa. Per quanto breve possa essere il lavoro, si affezionerà alla struttura o meno, e di conseguenza proverà tristezza o sollievo al momento di lasciarla.

Queste considerazioni possono sembrare banali, ma servono a mostrare quanto diverso può essere l'approccio al lavoro dei bibliotecari "a tempo" rispetto a quello dei bibliotecari di ruolo. Questi ultimi, infatti, hanno un processo di affezione alla propria biblioteca che è radicalmente diverso da quello dei bibliotecari "a tempo", perché non hanno la prospettiva di doverla lasciare. Questo determina molta meno ansia nell'apprendimento sia per loro che per i colleghi, perché il tempo in cui devono dimostrare efficienza ed efficacia è molto lungo. Non così per il bibliotecario "a tempo"; infatti le biblioteche vorrebbero personale di supporto già formato, lo dimostrano anche i tempi di pratica sempre più lunghi richiesti nei bandi di concorso [3] e la tendenza a richiedere alle cooperative sempre le stesse persone sia per i lavori di catalogazione che di bancone, come anche quella dei rinnovi prolungati di contratti atipici nella stessa biblioteca. Infine, nei casi di graduatorie per le assunzioni a tempo determinato nei centri bibliotecari di ateneo, si tende, quando possibile, a far tornare le stesse persone nelle biblioteche "che conoscono già".

Anche un piccolo evento, come quello di cominciare a prestare servizio e non trovare pronti né un ufficio né un computer, ha chiaramente una eco diversa su una persona che rimarrà per sempre (o ha comunque questa aspettativa) e un'altra che invece se ne andrà al più tardi dopo un anno: mentre la prima lo considererà un intoppo che ha il tempo di essere risolto, l'altra persona la vivrà come una limitazione della propria efficienza e un indizio non buono su quella della struttura, in termini emotivi sentirà che il gruppo di lavoro non pensa a lei o vede il suo arrivo e la sua permanenza lì come una fonte di nuovi problemi pratici da risolvere.

Un caso esemplare ci sembra quello di una sostituzione per malattia: il bibliotecario "a tempo" comincia il lavoro con il senso di colpa di averlo avuto grazie alla sfortuna di qualcun altro e non per i propri meriti come nel caso della vittoria di un concorso; durante tutta la sua permanenza si confronterà con la malattia della persona che sostituisce, perché i colleghi continueranno a informarsi con costanza, e il momento del termine del contratto non potrà che essere all'impronta dell'ambivalenza: contentezza per il collega e lutto per la fine del lavoro, oppure tristezza per il prolungarsi della malattia ma gioia per il prolungarsi del lavoro in caso di rinnovo.

Passando alle mansioni svolte, anche qui si trovano differenze di approccio, ad esempio nel rapporto con l'utenza al bancone. Il bibliotecario "a tempo", ci sembra, è mediamente più cortese di quello di ruolo nel rapporto diretto col pubblico, perché meno coinvolto in problematiche ripetitive e meno soggetto all'irritazione che questo servizio può comportare nella lunga durata. Ci sembra che questo fenomeno sia osservabile particolarmente bene nelle biblioteche universitarie, dove il lavoro al bancone è scandito dal rinnovo periodico di parte dell'utenza, le matricole, a cui bisogna spiegare sempre le stesse cose, dal tasso molto alto di ritardi nelle restituzioni soprattutto dei docenti ecc.

Ritornando al parallelo con la scuola, si vede come lì i docenti supplenti rappresentino spesso per gli studenti il cambiamento rispetto al consueto, a volte un miglioramento o comunque una ventata di novità. Credo accada anche per gli utenti di biblioteca, che spesso trovano nel personale "a tempo" quella cortesia e distacco che il personale strutturato non riesce più a garantire quando troppo appesantito dalla ripetitività del lavoro. Infatti, da un punto di vista psicologico queste difficoltà logorano in misura proporzionale alla frequenza di ripetizione e alla durata nel tempo. Inoltre spesso sono al centro dei complessi rapporti di amore-odio che si creano tra bibliotecari di ruolo e utenti. Al contrario, i bibliotecari "a tempo" risultano meno soggetti a queste dinamiche: la percezione del termine del lavoro li fa essere più distaccati. Per loro non esistono o quasi gli "utenti tipici", inoltre possono maggiormente relativizzare le malfunzioni in genere basandosi sulla loro esperienza di più posti di lavoro.

Quest'ultimo punto, tuttavia, ha pro e contro. Se l'aver lavorato in biblioteche "peggiori" permette al bibliotecario "a tempo" di gestire meglio di quello di ruolo le frustrazioni, non così avviene nel caso contrario. E inoltre c'è da tener conto del logoramento provocato dall'avvicendarsi troppo rapido degli incarichi e dalla loro breve durata.

Trovarsi a lavorare in una biblioteca considerata "brutta", nel caso di un bibliotecario di ruolo è frustrante, e lo è ancora di più se, come accade sempre più spesso, ha avuto esperienze di bibliotecario "a tempo" che gli hanno dato il modo di conoscere ambienti di lavoro migliori. Tuttavia, ci sono anche forti aspettative di poter migliorare la struttura, date proprio dalla prospettiva di poterci lavorare a lungo, e nel tempo di poter aumentare la propria incisività guadagnando la fiducia dei propri superiori e, facendo carriera, l'autonomia per poterla migliorare.

Al contrario, per il bibliotecario "a tempo" l'aspettativa di miglioramento non è così scontata e, qualora tale aspettativa si attivi, nella maggior parte dei casi è destinata ad essere frustrata, per vari motivi: innanzitutto è lo stesso termine che limita le prospettive di incisività del bibliotecario "a tempo" sul problema rilevato, ma anche nel caso di miglioramenti fattibili nell'arco di tempo di durata del lavoro, la frustrazione è dietro l'angolo perchè non è detto che la proposta verrà accettata e condivisa da tutti i colleghi, e, se sì, a volte non se ne potrà vedere il risultato.

Del resto, un problema non secondario è quello del grado di responsabilità che viene accordato ai bibliotecari "a tempo". Nel caso che ci interessa, cioè quello dei servizi di base, la tendenza è quella di dare poca o nessuna autonomia anche a personale iperqualificato. I motivi sono da ascriversi alla difficoltà che i bibliotecari di ruolo hanno nella gestione del personale "a tempo", che non riescono a non vedere come personale di serie B o comunque poco utile perché assegnato, per poco tempo, a lavori nei quali loro hanno anni di esperienza. Questo scatena sentimenti di invidia e può creare situazioni in cui il personale di ruolo "confina" il personale "a tempo" in mansioni che ne sottolineino la temporaneità e non mettano in crisi il proprio ruolo.

Può sembrare paradossale che un dipendente di ruolo si senta maggiormente messo in discussione da un collega a tempo piuttosto che da uno strutturato, ma le motivazioni risiedono nel fatto che i rapporti di potere sono legati a fattori complessi.

Nelle biblioteche, come nella pubblica amministrazione, il potere risiede nell'anzianità e nei titoli di studio, e non è difficile capire che un dipendente di ruolo può sempre far valere almeno uno dei due fattori verso il nuovo collega a tempo indeterminato, e questo crea un certo equilibrio tra loro; inoltre, il raggiungimento di un equilibrio è aiutato dall'avere di fronte molto tempo, perché ciò dilaziona i conflitti e dà l'illusione di avere il tempo di risolverli o comunque di esprimerli.

Al contrario, un collega "a tempo" è una figura difficilmente inquadrabile dal punto di vista dell'anzianità, perché o non ne ha, oppure ne ha una diversa da quella del dipendente di ruolo, perché spesa in tanti posti invece che in uno solo, cosa che può suscitare invidia e difficoltà a stabilire gerarchie condivise. Inoltre, come abbiamo già visto, l'idea che il collega se ne debba andare crea l'aspettativa che la sua utilità sarà limitata. Quando poi, come spesso accade, il bibliotecario "a tempo" è più titolato dei suoi colleghi di ruolo (a parità di qualifica), c'è la forte possibilità che questo amplifichi le difficoltà di integrazione. Dal suo punto di vista, inoltre, l'anzianità non è un valore fondante come per il dipendente di ruolo, ed è portato a vedere il lavoro che fa principalmente in termini di efficienza e efficacia, anche perché non è suscettibile di cronicizzazione della sua prassi operativa. Inoltre spesso i dipendenti di ruolo, a torto o a ragione, vengono visti dai colleghi "a tempo" come lenti e i loro flussi di lavoro come farraginosi.

L'immagine del gruppo di lavoro di ruolo che arriva al bibliotecario "a tempo" è chiaramente un modello, che incarna l'aspirazione al tempo indeterminato, e proprio la difficoltà ad avere una buona immagine dei propri colleghi "di ruolo" determina in molti giovani bibliotecari la fantasia di poter fare i liberi professionisti, o comunque lavorare in ditte o biblioteche private, sicuramente meno "appesantite" da questo tipo di dinamiche rispetto agli enti pubblici.

Come si è visto, molte sono le ragioni di conflitto, se non conclamato almeno sotterraneo, tra bibliotecari di ruolo e "a tempo". La cosa interessante è che solo una minima parte dei conflitti viene agita e si sviluppa con un confronto diretto. Il bibliotecario "a tempo" infatti non protesta né è particolarmente attivo nel manifestare i propri disagi lavorativi. Non è chiaro perché questo accada, probabilmente dipende dalla difficoltà di combattere contro le biblioteche, per la loro natura di "cattivo datore di lavoro", cioè di istituzione che, anche se solo a tempo, però dà occupazione. A questo si deve anche aggiungere l'aspettativa di conseguire un giorno un contratto a tempo indeterminato, spesso alimentata dagli stessi bibliotecari di ruolo (tanto noi dovremo andare in pensione...), che funziona da freno inibitore dei conflitti, soprattutto nel caso dei contratti atipici, perché la possibilità di rinnovarli o meno mette le biblioteche in una condizione di strapotere, mentre nel caso delle graduatorie i giochi di potere si consumano al momento del concorso.

Un esempio lampante della difficoltà dei bibliotecari "a tempo" a prendere posizione nei confronti delle biblioteche è la comunità di Biblioatipici, che sta morendo proprio ora che c'è un'impennata di concorsi per posti a tempo indeterminato.

Concludendo, ci sembra che la collaborazione tra bibliotecari di ruolo e "a tempo" si stia affermando de facto, perché l'unica alternativa sarebbe limitare o rinunciare a dei servizi ritenuti fondamentali, ma che avvenga in un regime di evidente, ma taciuta, doppia insoddisfazione.

Ci preme però sottolineare che questa situazione potrebbe cambiare nel medio periodo proprio per effetto di un aumento delle assunzioni a tempo indeterminato. Infatti la nuova leva dei bibliotecari di ruolo, essendo stati loro stessi precari, potrebbe affrontare la coesistenza lavorativa con i colleghi "a tempo" in modo maggiormente disteso e improntato a una maggiore fiducia; in questo senso sembrano andare gli esempi di ex atipici che, una volta assunti a tempo indeterminato, continuano a mantenere vivo il contatto con i colleghi precari.

 


Note

[1]   In questo intervento, da ora in poi, parlerò di bibliotecari "a tempo" invece che atipici per includere ogni forma di lavoro diversa dal contratto a tempo indeterminato.

[2]   Gestire il cambiamento: nuove metodologie per il management della biblioteca, a cura di Giovanni Solimine, Milano: Editrice Bibliografica, 2003.

[3]   Negli ultimi tempi la richiesta di pratica, pure di anni, è comparsa anche nei bandi di concorso a tempo indeterminato persino di qualifiche B, ma la nostra opinione è che sia una prassi volta a favorire persone che hanno già lavorato in quella struttura "a tempo".


Copyright AIB 2006-12-11, a cura della Redazione AIB-WEB.
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