[AIB]

53º Congresso nazionale AIB

Le politiche delle biblioteche in Italia
La professione

Roma, Centro congressi Europa
Policlinico universitario "A. Gemelli"
18–20 ottobre 2006


Programma 53º Congresso AIB

Curriculum del bibliotecario in una prospettiva europea

Anna Maria Tammaro
Università di Parma

Abstract

Viene presentata una rassegna del dibattito in corso a livello internazionale (ed in particolare europeo) per l'adattamento del curriculum del bibliotecario alla Società dell'apprendimento. I risultati del progetto europeo LIS education in Europe <http://www.db.dk/LIS-EU/>, coordinato dalla Scuola di biblioteconomia di Copenhagen, vengono descritti per evidenziare le tendenze europee ed i diversi soggetti coinvolti nel Bologna process (la riforma delle università in Europa, avviata dopo la Dichiarazione di Bologna nel 1999).

Infine, viene chiarito come l'integrazione europea include l'armonizzazione del curriculum insieme all'accreditamento di qualità e le problematiche del riconoscimento delle qualifiche professionali.

 


 

Introduzione

L'Unione Europea ha prodotto una serie di strumenti di riferimento per la formazione professionale, indispensabili per la mobilità dei professionisti, per il riconoscimento delle qualifiche professionali, per migliorare la qualità della formazione, utili a creare una vera integrazione tra le nazioni. Lo scopo che ci si pone è quello di competere in un mercato del lavoro internazionale e ottenere il miglioramento complessivo delle persone che lavorano in Europa. In un prossimo futuro, soprattutto con lo sviluppo di corsi a distanza, ci sarà la possibilità ad esempio per studenti italiani di iscriversi a corsi di altre nazioni in Europa, potendo poi continuare gli studi in università italiane; sarà anche possibile, al completamento dei corsi, ottenere il riconoscimento della qualifica professionale, per essere ammessi a competere per posti di lavoro in Italia o all'estero. Questo significa che il curriculum universitario di un bibliotecario oggi dovrebbe includere, oltre alla conoscenza delle lingue straniere e allo sviluppo di scambi istituzionali con le altre nazioni europee con programmi come Erasmus, un contenuto dei corsi a orientamento internazionale, adeguato sia al mercato del lavoro europeo che al mercato del lavoro nazionale.

La prospettiva europea non è da intendere come semplice comparazione tra diversi approcci alla formazione del bibliotecario nelle nazioni europee. Siamo in una fase avanzata di integrazione o, se si preferisce, europeizzazione della formazione del bibliotecario. Sarebbe da considerare un atteggiamento del passato quello di sentirsi diversi, in meglio o in peggio non fa differenza, ad esempio tentando di applicare acriticamente alcune direttive europee o le attuali Dichiarazioni di Bologna (che si riferisce alla formazione universitaria) e di Copenaghen (che si riferisce alla formazione lungo tutto l'arco della vita) [1]. Nella presentazione, in particolare, ci si concentra sulle competenze professionali e sui diversi livelli di specializzazione su cui si è raggiunto un accordo. Come si dirà nelle conclusioni, il quadro di riferimento europeo è ancora lontano dalla sua realizzazione perché ancora mancano degli elementi essenziali, come dei sistemi per il riconoscimento professionale e dei criteri condivisi per valutare la qualità dei corsi. Per ottenere gli obiettivi che si pone l'Europa è necessario l'avvio di un cambiamento culturale: occorre migliorare la comunicazione tra tutti gli interessati al processo formativo, come le associazioni professionali, i docenti, i datori di lavoro e soprattutto i singoli professionisti.

La fonte informativa a cui si farà qui riferimento, oltre agli specifici documenti dell'Unione Europea, è il progetto dal titolo "European curriculum reflections on library and information science education" [2] che per la prima volta ha discusso i temi e le problematiche del curriculum dei bibliotecari in Europa.

1.   Il bibliotecario: i diversi livelli e specializzazioni della professione

Non è banale, nella prospettiva del cambiamento del quadro europeo, cominciare a chiedersi di chi stiamo parlando. Il bibliotecario a cui facciamo riferimento è una figura professionale profondamente rinnovata: è considerato un particolare lavoratore della conoscenza, o professionista dell'informazione, una categoria professionale in cui vengono compresi anche i documentalisti, gli archivisti, i curatori di museo. Le aree principali di attività per i professionisti dell'informazione sono non solo nelle biblioteche. Oltre che nelle istituzioni culturali, come biblioteche, archivi e musei, i bibliotecari possono trovare occupazione nell'industria editoriale multimediale, presso i fornitori di prodotti e servizi informativi, nei centri di servizio, nelle aziende di sviluppo software. Altre nuove professioni della conoscenza sono state create o trasformate dalla rivoluzione delle nuove tecnologie, come ad esempio il webmaster culturale e gli editori multimediali, anche se non c'è ancora un riconoscimento e un accordo sulle loro funzioni [3]. C'è anche da dire che a livello internazionale i professionisti dell'informazione si trovano oggi a operare in un contesto competitivo e, in particolare, è evidente la vulnerabilità della professione rispetto ad altri professionisti più forti dal punto di vista del riconoscimento sociale come gli informatici, i manager di servizi informativi ecc.

La sfida attuale per i bibliotecari è quella di diventare dei professionisti che siano capaci di apprendere tutta la vita. Quale è lo scopo di un continuo apprendimento? Certamente quello di migliorare l'efficienza dei servizi informativi di cui i bibliotecari sono intermediari, ma anche quello di diventare persone sempre più attive e consapevoli per realizzare la Società dell'apprendimento. Il continuo apprendimento non sarà tuttavia occasionale e per lo più svolto nella pratica. La formazione lungo tutto l'arco della vita dovrà invece essere programmata e registrata in appositi documenti, con una continua riflessione e autovalutazione dei propri bisogni formativi da parte dei singoli professionisti, principali responsabili del loro apprendimento.

Una prima conseguenza dell'ampio raggio di possibili occupazioni del bibliotecario è che una formazione universitaria di base, in cui si possa ottenere un primo orientamento disciplinare insieme a una cultura generale, deve essere seguita da una necessaria specializzazione. L'esigenza della specializzazione riguarda sia i bisogni formativi relativi a diversi ambiti lavorativi in cui ci si può trovare a lavorare, sia le esigenze formative adeguate a livelli diversi di responsabilità al progredire della carriera (come direttore di biblioteca, coordinatore di sistema informativo ecc.). Bisogna infatti essere attenti a considerare che i bibliotecari rivestono nella biblioteca o altra istituzione diversi profili e diverse qualifiche professionali, che corrispondono a diverse qualificazioni negli inquadramenti contrattuali, in genere classificabili come: dirigenti e quadri, bibliotecari, collaboratori bibliotecari.

Considerando la necessaria diversificazione della professione nelle molteplici prospettive lavorative e di carriera, le scuole di biblioteconomia stanno cercando di ridefinire il loro ruolo e i loro curricula [4]. Il curriculum delle scuole di biblioteconomia si sta trasformando, seguendo gli attuali cambiamenti delle università e i docenti ricevono numerose pressioni per adeguare la formazione al mercato del lavoro e rendere trasparenti gli obiettivi formativi dei corsi. Prima di tutto, seguendo i criteri di qualità che ogni università stabilisce o riceve dal governo, le scuole devono offrire un curriculum costruito secondo gli standard accademici di qualità. In secondo luogo, anche per effetto della necessità della spendibilità del titolo nel mondo del lavoro, devono tener conto delle aspettative dei datori di lavoro, che desiderano bibliotecari che lasciano l'università equipaggiati con le competenze necessarie per essere immediatamente operativi.

Di solito, le scuole di biblioteconomia europee pianificano a livello iniziale della professione dei corsi di laurea triennali, con lo scopo di dare un orientamento completo sulle conoscenze disciplinari, pianificando la successiva specializzazione (o master) in un settore specifico della disciplina, per arrivare a formare un professionista completo dopo cinque anni di studio. Tuttavia molti corsi di specializzazione (dopo la prima laurea) prevedono anche che si possa accedere al corso con una laurea generica. La diversa struttura dei corsi di biblioteconomia in Europa è essenzialmente legata al livello richiesto per l'accesso alla professione e alle modalità per il successivo avanzamento di carriera nei diversi contesti nazionali: alcuni paesi richiedono per l'accesso una laurea generica e la specializzazione per passare di livello, altri una laurea triennale in biblioteconomia o addirittura una specializzazione post-laurea per accedere alla professione.

Ogni scuola ha dovuto adottare il sistema ECTS (European Credit Transfer System) per la quantificazione del carico didattico e correlato alla struttura dei corsi in livelli. Il sistema dei crediti [5], pur con i limiti di un'applicazione meccanica e acritica come spesso è avvenuto, è da intendersi necessariamente legato alle qualifiche professionali. L'istituzione della struttura dei corsi in due (e successivamente tre) livelli e dei corsi post-laurea di master [6] insieme ad altri corsi professionalizzanti (come l'alta formazione), propone il coinvolgimento universitario nella formazione lungo tutta la vita, con importanti opportunità per la necessaria specializzazione dei bibliotecari.. Tuttavia, questa possibilità è ancora non completamente realizzata malgrado siano già stati raggiunti significativi risultati [7].

Dobbiamo essere chiari: il bibliotecario in una prospettiva europea deve avere dei titoli di accesso alla professione che lo qualificano e dei titoli di specializzazione che gli sono necessari per la sua carriera. Non è possibile, ad esempio, che ci si presenti per una selezione di un concorso senza una competenza disciplinare di base, o che si avanzi nella carriera per anzianità, senza avere mai avuto una formazione professionale specifica. Possiamo dire con certezza che non esiste più in Europa l'apprendistato, cioè la situazione in cui il bibliotecario impara il suo mestiere nel luogo di lavoro. Anche in situazioni dove questo era previsto, dopo la riforma l'accesso alla professione e l'avanzamento della carriera è stato collegato e combinato a un corso formale. Questo è un concetto tuttavia molto diverso dal riconoscimento ufficiale del titolo di studio, concetto da considerarsi una delle particolarità dell'Italia limitatamente alle professioni riconosciute (non quindi per i bibliotecari). Il riconoscimento di cui si parla è delle reali competenze acquisite, accertate attraverso la certificazione delle competenze individuali. Sono inoltre previsti dei sistemi di riconoscimento sia dell'attività lavorativa che dei titoli accademici acquisiti per essere ammessi ai corsi post-laurea.

Il cardine del quadro di riferimento che si è venuto a creare in Europa è quindi costituito dalle competenze e dal loro riconoscimento. Le competenze devono corrispondere agli obiettivi formativi nei diversi livelli dei corsi universitari. Lo strumento di riferimento proposto dal processo di Bologna è costituto dai descrittori di Dublino [8], che chiariscono il concetto di obiettivi formativi dei corsi. Il focus sulle competenze è usato per rendere comparabili le diverse qualifiche professionali, oltre che per stimolare la formazione lungo tutto l'arco della vita9.

2.   Quali sono le competenze della professione?

La novità del sistema basato sulle competenze, non intese come semplici abilità pratiche ma comprendenti conoscenze disciplinari e capacità personali, è che devono venir costruiti degli strumenti di riferimento per i diversi settori disciplinari, come ad esempio liste di competenze professionali, con lo scopo di avviare o migliorare il dialogo da parte di tutti gli attori sociali coinvolti nella formazione, come docenti, datori di lavoro e associazioni professionali, per identificare e costruire un sistema condiviso di valori professionali di base. Per attuare il sistema della certificazione delle competenze, occorre arrivare quindi una collaborazione ampia per accordarsi sulle competenze richieste, non basta che un'associazione professionale, come è avvenuto, costruisca un suo sistema limitatamente ai suoi soci iscritti senza avviare un confronto ampio con il settore intero [10]. La certificazione delle competenze implica il passaggio da un criterio formale (il possesso di un titolo con valore legale o il conseguimento di un titolo presso un corso accreditato) a un criterio sostanziale, cioè l'evidenza che devono dimostrare i professionisti di possedere precise competenze di base e specialistiche. Questo approccio ha due capisaldi: un rinnovato ruolo delle associazioni professionali per la certificazione professionale e, soprattutto, la responsabilità del singolo bibliotecario per il suo apprendimento costante. Il sistema delle competenze ha già migliorato la trasparenza dell'offerta formativa delle Scuole di biblioteconomia che, nell'ambito del cambiamento avviato in Europa, è ora basata sugli obiettivi formativi, correlati a specifiche competenze che lo studente deve dimostrare di avere a completamento del corso.

Pur nella diversità delle diverse impostazioni epistemologiche, il sistema formativo in Europa si concentra attualmente su un insieme di competenze professionali, con diversi livelli di specializzazione. In particolare, c'è un sostanziale accordo sulle competenze di base che il bibliotecario deve dimostrare, indicate come:

  • organizzazione e recupero dell'informazione (e della conoscenza). che include i principi e le teorie, i metodi ed i processi tecnologici alla base della professione;
  • conoscenza dei contenuti che devono essere acquisiti, organizzati e resi fruibili, cioè il bibliotecario deve avere una conoscenza delle discipline della comunicazione e dei processi dell'industria editoriale e, in una prospettiva estesa, una conoscenza non solo delle diverse tipologie di pubblicazioni ma anche dei contenuti dei diversi documenti, per essere un buon intermediario nel servizio di reference soprattutto in biblioteche specializzate;
  • saper capire ed analizzare il contesto sociale di riferimento, il ruolo sociale della professione e come questo ruolo è condizionato dal cambiamento della Società, saper amministrare le risorse a disposizione, secondo le regole giuridiche ed economiche vigenti, per realizzare le funzionalità previste.

Il lavoro del bibliotecario è quello di identificare, organizzare e rendere fruibile l'informazione e i documenti che la contengono a un'utenza con determinati bisogni informativi [11]. Questo ruolo, chiamato di mediazione, è stato tradizionalmente svolto nell'ambito del flusso della comunicazione scritta tra l'autore e il lettore, filtrata attraverso le pubblicazioni a stampa, e in particolare il libro e l'editoria sono stati, rispettivamente, il contenuto specifico e il contesto di riferimento della professione. In modo sintetico, possiamo dire che l'attività del bibliotecario è legata a una collezione e le funzioni essenziali della professione sono state identificate come [12]:

  • selezionare, raccogliere e conservare i documenti;
  • realizzare l'accesso ai documenti e al loro contenuto per mezzo delle tecniche di catalogazione;
  • stimolare e facilitare l'utilizzazione dei documenti.

Poiché il bibliotecario inoltre si troverà sempre a lavorare in un'istituzione o organizzazione, sia pubblica che privata, a queste funzioni deve essere aggiunta l'attività di amministrazione delle risorse finanziarie e umane che sono necessarie per la realizzazione delle diverse attività previste dal ruolo di mediazione (library management). Tra le funzioni indicate, la catalogazione (chiamata anche knowledge organisation), è stata ritenuta quella che caratterizza la professione (o il core). Nel tempo è stato realizzato un approfondimento teorico dei principi alla base dell'attività di catalogazione, soprattutto attraverso la standardizzazione internazionale per lo scambio di record catalografici. I sistemi automatici di recupero dell'informazione (information retrieval) sono stati fin dal loro nascere un valido strumento per migliorare l'accesso alle collezioni, e sono stati applicati prontamente e con successo per la realizzazione del catalogo in linea, spesso in modo cooperativo, e per l'accesso alle banche dati bibliografiche.

In modo schematico, potremmo identificare le categorie essenziali (fig. 1) che fanno parte del bagaglio professionale tradizionale di un bibliotecario in:

  • Procedure: acquisizione, catalogazione, conservazione dei documenti;
  • Collezioni: selezione e gestione dei documenti;
  • Accesso: predisposizione di cataloghi e di banche dati; stimolo all'uso dei documenti attraverso i servizi di prestito e document delivery;
  • Amministrazione: gestione delle risorse finanziarie ed umane, conoscenza della legislazione.

Metacategorie incluse nel lavoro del 
bibliotecario [diagramma]
Fig. 1. Meta categorie incluse nel lavoro del bibliotecario

Il focus sulla collezione e sull'organizzazione delle pubblicazioni ha contribuito ad alimentare in certi casi uno stereotipo di bibliotecario erudito e concentrato su tecniche come la catalogazione, sostanzialmente isolato dalla società e rivolto soprattutto alla storia passata (Library and society in an historical perspective); in questi casi si è privilegiata un'interpretazione del ruolo professionale come conservazione e valorizzazione della produzione intellettuale di un paese, nell'ambito del settore della conservazione dei beni culturali. Questo ruolo tradizionale è molto importante e riceve attualmente una nuova vitalità dalla spinta alla digitalizzazione del patrimonio storico (cultural heritage and digitisation), ma è più adeguato per le biblioteche nazionali che per altre tipologie bibliotecarie.

Alcuni cambiamenti sono intervenuti recentemente a estendere il ruolo tradizionale del bibliotecario. I fattori principali che possono essere indicati come agenti di cambiamento sono stati le nuove tecnologie e la nascita della Società dell'apprendimento: entrambi questi fattori vanno considerati come un unico insieme, perché le tecnologie considerate isolatamente dal cambiamento della società potrebbero portare a mero tecnicismo e la nascita della nuova società senza il sostegno degli strumenti tecnologici potrebbe sembrare una visione utopistica difficilmente realizzabile. L'attuale situazione ha quindi portato a evidenziare l'importanza del contesto sociale: il bibliotecario non è più solamente un tecnico isolato dalle mura della sua biblioteca dalla vita della società in cui lavora, viceversa il bibliotecario ha un ruolo sociale importante.

L'attività del bibliotecario è oggi strettamente collegata alla Società dell'apprendimento [13], le cui radici risiedono in una spinta economica e in particolare nella risposta dei governi delle varie nazioni, all'inizio degli anni Novanta, alla nuova economia globale. La generale constatazione del mondo politico, di fronte alle sfide della globalizzazione, è che la sola alternativa possibile per le economie sviluppate è quella di competere sulla base di conoscenze più evolute e maggiore produttività [14]. La considerazione della necessità di costruire la Società dell'apprendimento non si basa solo su necessità economiche ma viene anche evidenziato il necessario riferimento all'apprendimento per una crescita individuale e collettiva delle persone, che sono parte attiva della società "inclusiva", cioè la società in cui tutti sono partecipi e collaborano al miglioramento collettivo. Quale impatto può avere la Società dell'apprendimento sul ruolo del bibliotecario? L'impatto della Società dell'apprendimento sul lavoro del bibliotecario è di grande rilevanza perché il mondo del commercio, i politici, le istituzioni educative, il pubblico in genere, concordano nel ritenere che l'accesso all'informazione è la chiave del successo (e in certi casi della sopravvivenza): l'apprendimento si basa infatti sull'informazione. Occorre tuttavia che le istituzioni, le comunità e i singoli individui sappiano apprendere, cioè sappiano usare l'informazione come una risorsa. Internet e il Web hanno reso disponibile un'infrastruttura che è alla base del nuovo paradigma, di cui ancora non si comprende bene la portata. L'esperienza ha dimostrato che la disponibilità di questa infrastruttura e l'accesso a una mole incredibile di informazioni non hanno tuttavia migliorato l'apprendimento della Società [15]. C'è quindi l'esigenza di una nuova alfabetizzazione di tutti, per assicurare che ciascuno sia equipaggiato con le conoscenze e le capacità critiche che sono necessarie per ottenere i benefici dell'età dell'informazione.

La domanda precedente, quale impatto ha la Società dell'apprendimento sul bibliotecario, può essere rovesciata, chiedendosi: quale impatto il bibliotecario può avere nella Società dell'apprendimento? Quale è il ruolo sociale della professione e come questo ruolo sta cambiando per i cambiamenti attuali della società? Il bibliotecario, lungi dall'essere la figura dotta e distaccata dai problemi reali, spesso associata allo stereotipo della professione, ha oggi un ruolo attivo e importante, come quello di garantire a tutti l'accesso libero all'informazione, educare alle capacità di ricerca e uso dell'informazione, favorire la crescita di una cittadinanza attiva nelle comunità in cui sono inseriti e, in genere, dare un contributo essenziale al miglioramento dell'apprendimento delle persone e allo sviluppo continuo della Società dell'apprendimento [16]. Al ruolo tradizionale di mediazione tra autore e lettore nel processo di comunicazione delle pubblicazioni, si aggiunge un nuovo ruolo di facilitatore dell'apprendimento, che si realizza in primo luogo identificando il bibliotecario come principale attore nell'alfabetizzazione degli utenti a saper cercare e usare l'informazione (information literacy). In alcuni contesti nazionali, questo ruolo viene visto anche come ruolo sociale di assicurare a tutti il libero accesso all'informazione (Information society: barriers to the free access to information), a supporto di un approccio multiculturale alla società globale (Library in a multicultural information society), che, in particolare in Europa, favorisca l'integrazione a tutti i livelli sociali (mediation of culture in a European context) [17].

Come viene organizzata quindi la biblioteca per facilitare l'apprendimento del singolo individuo e il miglioramento generale del contesto sociale della biblioteca? In modo sintetico, potremmo dire che il lavoro del bibliotecario nella Società dell'apprendimento è quello di realizzare opportuni servizi informativi, identificati come servizio di reference. Usando al meglio le nuove tecnologie, il focus è su una specifica comunità di utenti, per cui vengono selezionate delle collezioni di informazioni e di documenti (che possono essere sia fisiche che virtuali), per un servizio attivo e personalizzato di informazione, insieme a un'attività di educazione all'uso critico delle risorse informative. Queste attività estese del bibliotecario, da non confondere con il servizio acritico fornito dai motori di ricerca, richiedono l'amministrazione di una complessità di risorse umane, tecnologiche e finanziarie. Schematicamente, potremmo indicare le categorie (fig. 2) che fanno parte del bagaglio culturale del nuovo bibliotecario come segue:

  • Utenti: studi dei bisogni e dei comportamenti di uso dell'informazione di comunità e singole persone che usano il servizio; cooperazione e reti;
  • Contesto: analisi dei fattori culturali e problematiche del contesto istituzionale e sociale che hanno un impatto nel comportamento di accesso all'informazione degli utenti;
  • Procedure: attività e processi connessi alla gestione del ciclo di vita dell'informazione e della conoscenza: creazione, digitalizzazione, memorizzazione, ricerca (information seeking), recupero (information retrieval), catalogazione, preservazione;
  • Collezioni: aspetti di selezione e gestione delle risorse informative (collection development);
  • Accesso: aspetti tecnologici, sistemi informativi integrati, interazione con l'utente tramite il computer (human-computer interaction);
  • Amministrazione: gestione e razionalizzazione delle risorse finanziarie, umane e tecnologiche; conoscenza della legislazione nazionale e internazionale (come il copyright).

Metacategorie incluse nel lavoro del
bibliotecario nella Società dell'apprendimento [diagramma]
Fig. 2. Metacategorie incluse nel lavoro del bibliotecario nella Società dell'apprendimento

Il focus dalle collezioni si è spostato sugli utenti e i contesti culturali e istituzionali in cui il bibliotecario opera. La creazione di una collezione rimane una caratteristica della professione ma passa da un processo statico di acquisizione di risorse (anche detto possesso) a una posizione più fluida, che riguarda la fornitura dell'accesso alla collezione. L'enfasi passa dall'organizzazione della collezione a quello di dare all'utente l'accesso all'informazione di cui ha bisogno al momento giusto, indipendentemente dal possesso della collezione e della fonte [18]. I servizi di accesso si basano sempre di più sulle tecnologie, ma non è la tecnologia l'oggetto del bibliotecario: è l'utente a essere al centro dell'attenzione, anche con servizi personalizzati.

Tra le funzioni indicate del ruolo di facilitatore dell'apprendimento, l'attività che viene ritenuta caratteristica dei bibliotecari e fondamentale (il core) è la gestione dell'informazione e/o della conoscenza (information management e knowledge management), intesa come controllo dell'intero ciclo di vita dell'informazione e della conoscenza, a iniziare dalla sua creazione (e non solo dopo la pubblicazione) e strettamente associata all'applicazione delle tecnologie. Le funzioni caratterizzanti il bibliotecario, come amministrazione di risorse informative e tecnologiche, organizzazione della conoscenza e gestione della collezione, possono tutte essere riconosciute come attività essenziali di gestione dell'informazione [19]. In modo crescente, la comunità professionale internazionale collega la gestione dell'informazione all'importanza della formazione dell'utente per diventare autonomo nel cercare e usare l'informazione (information literacy). L'interesse per la gestione della conoscenza (knowledge management) contribuisce inoltre a focalizzare l'attenzione su competenze del bibliotecario come la comunicazione e le capacità didattiche. Questo ruolo del bibliotecario focalizza il potenziale di sviluppo del contesto sociale che la biblioteca può assumere ed è particolarmente adeguato a biblioteche inserite in contesti collegati alla didattica e alla ricerca, biblioteche pubbliche, aziendali, speciali e amministrative.

Bisogna avvertire che tutti i sistemi di organizzazione della conoscenza, come appunto le biblioteche, hanno alla base dei presupposti epistemologici [20]. Il contesto culturale di riferimento della biblioteca, grazie alla facilità di cui oggi godiamo della mobilità in un mercato del lavoro europeo, potrà non essere limitata alla realtà italiana o, in Italia, a un solo specifico tipo di biblioteca con la corrispondente utenza di riferimento. Bisogna quindi che i bibliotecari siano capaci di capire e analizzare le funzionalità della professione in modo che siano adeguate al contesto sociale più ampio della biblioteca o dell'istituzione culturale in cui si andrà a lavorare o già si opera.

In particolare la tabella che segue (tab. 1) indica i risultati del questionario che è stato inviato alle scuole di biblioteconomia in Europa, in risposta alla richiesta di indicare i moduli di insegnamento previsti nel corso [21]. In ordine percentuale di presenza, i contenuti sono i seguenti:

Tab. 1. Contenuti dei curriculum delle Scuole di biblioteconomia in Europa

100%
Information retrieval
96%
Library management and promotion
86%
Knowledge organisation
82%
Knowledge management
76%
Information literacy
64%
Information Society. Barriers to the free access to information
66%
Library and society in an historical perspective
62%
Cultural heritage and digitalisation
42%
Library in a multicultural information society
26%
Mediation of culture in a European context

2.1 Le tecnologie e la formazione per il bibliotecario

Per completare la discussione sulla formazione universitaria dei bibliotecari, non si può ignorare i problemi che questa formazione sta vivendo attualmente. Negli ultimi venti anni, lo stato della formazione universitaria per i bibliotecari a livello internazionale ha subito un grosso cambiamento, dovuto in primo luogo al rapporto difficile con la Scienza dell'informazione e all'impatto delle nuove tecnologie.

Molte università, specie quelle negli Stati Uniti che hanno un finanziamento privato, hanno chiuso le scuole di biblioteconomia ed è in corso un animato dibattito sul futuro orientamento delle scuole stesse [22]. Il dibattito, iniziato intorno agli anni Novanta, negli Stati Uniti ha visto prevalere due punti di vista sostanzialmente in opposizione: da una parte è stata scelta una sostanziale integrazione con la Scienza dell'informazione e invece dall'altra si è cercato di tendere verso la diversificazione dei profili con l'offerta formativa di diverse specializzazioni. La tendenza alla specializzazione dell'offerta formativa è stata propugnata da McClure ed Hert [23] che affermano che la formazione per i bibliotecari deve rinnovarsi di fronte al cambiamento della società, altrimenti rischia di diventare obsoleta. L'offerta formativa delle scuole di biblioteconomia, distribuita per diversi profili e strutturata per diversi livelli di specializzazione, ha tuttavia delle problematiche: è costosa, in quanto limitata a un ristretto numero di iscritti; può essere di bassa qualità, in quanto spesso troppo orientata alle tecniche, più che rispondente ai criteri accademici di qualità.

L'altra strategia che è stata proposta e sperimentata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è stata quella di espandere (e quindi di nuovo specializzare) i programmi alla Scienza dell'informazione, cambiando anche il nome delle scuole in LIS – Library and Information Science. La formazione tradizionale è stata comparata da Van House e Sutton a un animale in estinzione, come il panda o Panda syndrome, animale amorevole e delicato, ma destinato a scomparire [24]. Gli autori affermano che la professione dei bibliotecari sta subendo la forte competizione di altre discipline, come l'informatica e l'economia aziendale, e suggeriscono una strategia di nicchia, in attesa di un cambiamento definitivo. Questa è stata anche chiamata una strategia di sopravvivenza e ha rappresentato un cambiamento di focus, da quello tradizionale, centrato sulle biblioteche, a un altro centrato sulla gestione dell'informazione. Questa posizione ha molti sostenitori e molte scuole di biblioteconomia sono arrivate a cambiare ulteriormente il loro nome in IS – Information School. Negli stessi Stati Uniti esistono anche voci critiche autorevoli [25] che sostengono che bisogna tornare indietro, ascoltando maggiormente le voci dei professionisti delle biblioteche e i bisogni di formazione che essi esprimono. Cronin, analizzando lo stato degli studi LIS parla della tensione intollerabile tra il punto di vista imposto dall'Information science con quello tradizionale della Library science. L'autore suggerisce di sostituire Library science con il termine Librarianship, perché la convivenza dei due termini con due diverse concezioni è ambigua.

Le scuole di biblioteconomia in Europa, dove prevale il finanziamento pubblico, hanno invece vissuto rispetto alle scuole americane, un fenomeno diverso, chiamato il fenomeno della convergenza. Con questo termine si definisce l'interscambio disciplinare della biblioteconomia con altre professioni affini, come l'archivistica, la documentazione e anche la museologia, per cui è stata coniata una nuova sigla ALM – Archives, Libraries, Museums. Un'altra tendenza della convergenza, abbastanza diffusa in Italia, è quella in cui i curricula di biblioteconomia sono stati incorporati in altri curricula, perché le scuole sono confluite in altri dipartimenti o facoltà universitarie, con specializzazioni disciplinari più generali, come ad esempio Italianistica, Storia, Scienze della comunicazione, Scienza della formazione. La convergenza non è solo amministrativa, ma deve essere attentamente valutata nella scelta di un corso, perché condiziona, attraverso il reclutamento dei docenti, l'approccio epistemologico che orienta la formazione delle singole scuole.

Una caratteristica del sistema formativo in Europa è che, di fronte alla crescente importanza delle nuove tecnologie e ad alcuni ritardi delle scuole di biblioteconomia nell'adeguare l'offerta formativa, molti corsi di Ingegneria hanno introdotto dei curricula specifici per i bibliotecari, con un'impostazione prettamente tecnologica. La situazione prevalente in Europa è quindi esattamente opposta alla Panda syndrome, con l'isolamento dell'insegnamento (e della ricerca) delle nuove tecnologie dalla biblioteconomia, ad eccezione della sola Gran Bretagna dove viene adottato il modello americano [26]. Il problema su cui si è discusso in Europa è stato quindi quello dell'introduzione dell'insegnamento delle nuove tecnologie nelle scuole di biblioteconomia [27]. Per risolvere il problema dell'introduzione dell'insegnamento delle tecnologie in un contesto in rapida evoluzione, la prima soluzione è sembrata quella di avviare un curriculum unico [28]. La tendenza attuale delle scuole di biblioteconomia in Europa è che la concezione di un modello rigidamente applicabile per tutti è un approccio obsoleto poiché, con la sua connotazione di pianificazione e controllo centralizzato, può non rispondere ai bisogni del mercato del lavoro – che abbiamo detto così diverso nei contesti sociali dei professionisti dell'informazione. Il quadro di evoluzione dell'impatto delle tecnologie dell'informazione nella formazione dei bibliotecari, come è stato evidenziato nel progetto europeo "European curriculum reflections on library and information science education", è attualmente diventato abbastanza simile nelle scuole di biblioteconomia dell'Europa e degli Stati Uniti: prevale infatti l'opinione che le tecnologie devono essere integrate con l'approccio basato sull'utente. In questa evoluzione dell'importanza delle tecnologie, il cambiamento sembra essere divenuto un fattore permanente, una necessità con la quale i bibliotecari – tradizionalmente abituati a un ruolo e a curriculum professionali stabili e immutati nei secoli – devono abituarsi a convivere, reagendo in modo attivo e propositivo (e con urgenza!). Tutti i corsi di formazione per i bibliotecari devono quindi sottolineare nei singoli moduli l'importanza dell'infrastruttura tecnologica per l'intero assetto che include non solo l'accesso e la gestione di processi come la catalogazione, ma anche i problemi di gestione dei contenuti digitali.

In sintesi, i curricula universitari in Europa devono avere oggi la caratteristica principale di una grande flessibilità, così da poter essere di supporto a molte carriere diverse, di cui le biblioteche sono solo una delle possibili, e devono prevedere un percorso di progressiva specializzazione [29]. La complessa situazione attuale, anche per l'impatto delle tecnologie e della Società dell'apprendimento, spinge a un rinnovamento del curriculum. Per realizzare questo importante obiettivo occorre creare sinergia e integrazione tra le migliori esperienze in Europa e soprattutto avviare, dove non c'è, una necessaria collaborazione tra tutti gli interessati, come professionisti, associazioni, enti locali e docenti.

3.   L'annoso problema della teoria vs la pratica

Il problema del giusto equilibrio tra teoria e pratica è quello che ha sempre reso difficile, se non impossibile, il dialogo tra docenti e professionisti. Bisogna quindi rimuovere questo ostacolo, se vogliamo progredire con successo nella strada indicata dal processo di Bologna e trovare un equilibrio tra i principi teorici e le capacità anche di saper applicare in pratica quei principi. Deve essere chiaro che la formazione universitaria differisce dall'addestramento e dall'aggiornamento, in quanto non deve limitarsi a dare dei contenuti e delle tecniche ma deve essere capace di formare dei professionisti, che sappiano comportarsi professionalmente anche in situazioni completamente diverse da quelle che sono state esemplificate durante il corso. La formazione nelle università ha il compito quindi di trasmettere prima di tutto una metodologia professionale e dei principi essenziali, che caratterizzano un professionista da un praticante. Criteri, principi e metodi sono strettamente legati all'approccio epistemologico e, in Europa, il progetto europeo "European curriculum reflections on library and information science education" ha evidenziato la multidisciplinarità della biblioteconomia, con diversi approcci metodologici, come la metodologia linguistica e filologica, il metodo storiografico, la ricerca sociale, la scienza dell'informazione, la statistica e la bibliometria.

Una prima possibilità per risolvere questo problema è quella di integrare alcuni professionisti di successo nella didattica dei corsi. Questa pratica è largamente diffusa in Europa, con un duplice scopo: quello di aggiornare i contenuti disciplinari alle reali problematiche del mondo del lavoro e, soprattutto, quello di motivare i professionisti, incaricati di insegnare in un corso, a un'attività di studio e di ricerca, che è necessaria per la preparazione delle lezioni ma ha una sicura ricaduta nell'ambito del servizio. La scelta di dare o no un incarico di insegnamento a un professionista è fatta dalle singole università, che hanno autonomia nell'adottare o no questa soluzione [30]. Non mancano critiche a questa pratica diffusa, che è strettamente correlata all'offerta di specializzazioni nei corsi: si è fatto notare che i professionisti possono non avere capacità didattiche adeguate.

Una seconda possibilità è quella dello stage. Uno degli autori dell'articolo sulla Panda syndrome ha allargato successivamente il suo studio, prendendo in esame l'addestramento pratico realizzato attraverso gli stage come un modo di combinare teoria e pratica, con un'esperienza di lavoro prima della tesi [31]. Anche se l'addestramento pratico può oggi essere considerato largamente diffuso e pressoché accettato dai docenti e dai professionisti, esiste ancora un certo numero di problematiche, legate a una migliore comprensione degli obiettivi e delle finalità di questa attività didattica. Molti docenti sono convinti che un addestramento troppo calato nella pratica tenda ad abbassare la qualità della formazione, non dando la capacità critica e la flessibilità che servono al bibliotecario in questo periodo di grandi cambiamenti. Sembra quindi di poter dire che un periodo di stage ben organizzato e pianificato come elemento del corso possa essere indicato come una soluzione ponte all'annoso problema di teoria e pratica, a patto che si rispettino certi requisiti. Deve essere chiaro che lo stage è un'attività didattica, cioè l'opportunità di calare nella pratica le teorie apprese, e non è invece la possibilità di avere dei lavoratori a basso costo. Gli studenti inoltre devono essere coinvolti fin dalla fase organizzativa dello stage, essere consapevoli delle particolari competenze che vogliono ottenere da questa attività pratica, selezionando alcuni specifici obiettivi. Una particolare importanza deve essere data alla cooperazione tra docenti e professionisti con la responsabilità della supervisione nell'istituzione ospitante, considerando insieme la pianificazione dello stage, l'addestramento, il supporto fornito allo studente e la valutazione finale.

Malgrado l'evidente avanzamento nella soluzione della dicotomia tra teoria e pratica attraverso le prospettive adottate, il contrasto tra teoria e pratica permane. La vera soluzione all'annoso problema è indicata dal quadro formativo europeo: per realizzare il sistema della formazione lungo tutta la vita non è sufficiente accordarsi sulle competenze, occorre in modo costruttivo attivare il dialogo tra tutti gli interessati sul riconoscimento delle qualifiche e sull'accreditamento di qualità.

La qualità della formazione universitaria in particolare è uno degli obiettivi che, dopo il primo avvio concentrato sul riconoscimento, ha ottenuto sempre maggiore importanza, fino a diventare attualmente il focus della riforma. Gli obiettivi formativi sono centrali per l'accreditamento di qualità dei corsi. La qualità non si deve quindi basare sulle risorse che l'istituzione mette a disposizione, o sulle competenze dei docenti e sull'efficacia e efficienza delle modalità di erogazione dei corsi: tutti questi elementi sono importanti ma nell'ottica del raggiungimento di precisi obiettivi formativi. Sull'accreditamento dei corsi credo che permangano molte confusioni, soprattutto in Italia, forse a causa della novità dei concetti. La prospettiva europea ha posto gli obiettivi formativi al centro della valutazione proprio perché rendano facile il dialogo con il mondo del lavoro: è necessario che il sistema di valutazione della qualità sia un vero e proprio linguaggio di comunicazione comune.

Conclusioni

Per concludere, possiamo dire che il ruolo del bibliotecario potrà essere sempre più importante e di rilevante utilità sociale se, oltre al ruolo tradizionale di mediazione tra autore e lettore, diventerà quello di facilitatore dell'apprendimento. L'importanza sociale del ruolo è correlata alla complessità delle conoscenze e delle capacità personali, da acquisire con una formazione lungo tutta la vita e che include una formazione di base, una formazione specialistica e un continuo apprendimento.

Analizzando gli strumenti e i metodi per la formazione dei bibliotecari in una prospettiva europea, appare evidente che il problema da affrontare è quello della qualificazione dei professionisti dell'informazione. Una situazione difficile si presenta per il riconoscimento professionale e l'avanzamento della carriera, dove si devono costruire dei sistemi per il riconoscimento dell'apprendimento continuo, che siano condivisi tra tutti gli interessati. La principale causa del gap attuale è da riconoscersi nella completa separazione che si è attuata nel tempo tra i diversi interessati, in particolare enti locali, docenti e professionisti, in alcune nazioni europee, tra cui l'Italia.

Per superare il problema, l'opportunità dell'internazionalizzazione e del cambiamento in corso è da indicare essenzialmente in due aspetti essenziali:

  • il primo riguarda il focus sugli obiettivi formativi e le competenze. Questo aspetto richiede una collaborazione necessaria tra tutti gli interessati, come i docenti, le associazioni professionali e i datori di lavoro, usando anche strumenti di riferimento comuni a livello europeo come lo European Qualifications Framework e i Descrittori di Dublino;
  • il secondo riguarda la qualità della formazione. Questa implica l'innovazione della didattica, un diverso rapporto tra teoria e pratica, la trasparenza dei contenuti (e dei loro obiettivi formativi) e la garanzia di qualità dei corsi, anche con un nuovo impegno dell'università nella formazione lungo tutta la vita.

Non è sufficiente tuttavia lo stimolo della legislazione attuale per far sì che le cose avvengano. Il focus della formazione del bibliotecario sugli obiettivi formativi e le competenze facilita e rende necessaria la comunicazione e la collaborazione tra tutti gli altri interessati al processo formativo, contribuendo a eliminare l'ostacolo della dicotomia della teoria e della pratica: questo va considerato il primo passo. Il processo del cambiamento tuttavia potrà essere lungo e difficile e il successo dipenderà dai bibliotecari. Il nuovo scenario avviato in Europa della formazione lungo tutta la vita è ancora tutto da costruire e i bibliotecari, come responsabili del proprio apprendimento, dovranno loro stessi per primi avviare un circolo virtuoso dove ora esiste un circolo vizioso.

 


Note

[1]   La prospettiva europea del curriculum dei bibliotecari è quella che si è venuta a creare con la Dichiarazione di Bologna, l'accordo che i ministri europei dell'educazione hanno firmato nel 1999. Questo accordo e il cambiamento ancora in corso, che viene chiamato Processo di Bologna, hanno determinato il contesto di riferimento della riforma universitaria dei corsi per i bibliotecari anche in Italia, con importanti novità. I ministri europei hanno inoltre siglato un successivo accordo a Copenaghen che ha avviato una seconda linea di attività per la formazione continua, strettamente integrata al processo di Bologna, e che ha avuto come maggiore risultato il disegno di uno strumento di riferimento per le qualifiche professionali: l'EQF o European Qualifications Framework.

[2]   Il progetto europeo "European curriculum reflections on library and information science education", coordinato dalla Royal School of Library and Information Science di Copenaghen, ha pubblicato nel dicembre 2005 un rapporto di sintesi delle discussioni di docenti di biblioteconomia e scienza dell'informazione europei sul curriculum dopo la Dichiarazione di Bologna <http://biblis.db.dk/uhtbin/hyperion.exe/db.leikaj05>. Questa discussione era stata iniziata nella conferenza EUCLID di Thessaloniki nel 2002. EUCLID (European Association for Library & Information Education and Research) è un'organizzazione europea indipendente che ha lo scopo di promuovere la cooperazione per la didattica e la ricerca della biblioteconomia e della scienza dell'informazione.

[3]   Il Progetto CREMISI è stato il primo a portare la discussione in Italia sulla necessità di nuove figure professionali, sulla base di uno studio europeo. Cfr: Progetto CREMISI: 2000: le nuove professioni in biblioteca, Roma: Ministero per i beni e le attività culturali; AIB; Amitie; Union Comunicazione.

[4]   Per un'approfondita analisi del dibattito in corso in Italia si rimanda a: Alberto Petrucciani, La laurea in biblioteconomia: finalità e prospettive dei nuovi ordinamenti universitari, «Bollettino AIB», 41 (2001), n. 2, p. 145-155.; Alberto Petrucciani, Professione bibliotecario: formazione, occupazione, prospettive, «Economia della cultura», 13 (2003), n. 3, p. 401-406; Alberto Petrucciani, Formazione, occupazione e professione,.in: Rapporto sulle biblioteche italiane 2001-2003,a cura di Vittorio Ponzani, Roma: Associazione italiana biblioteche, 2004, p. 110-119; Alberto Petrucciani – Simona Turbanti, I corsi universitari dopo la riforma: per un'analisi dei contenuti delle offerte didattiche, «Bollettino AIB», 41 (2001), n. 4, p. 493-500.

[5]   Il Diploma Supplement, che registra esattamente le caratteristiche del corso che si è completato con successo, inclusi gli obiettivi formativi e il loro conseguimento, è ancora in corso di sviluppo. Il dispositivo normalmente utilizzato è il portfolio, cioè un registro di crediti conseguiti dalla formazione di base alla formazione continua, in cui i crediti accademici ottenuti all'università si sommano ad altri crediti conseguiti sia per attività di lavoro che di formazione continua e l'EUROPASS per il riconoscimento a livello europeo delle stesse competenze.

[6]   Un approfondimento in: Anna Maria Tammaro, Formazione continua e master universitari: nuove opportunità per i bibliotecari e per i professionisti dell'informazione, in: Professione bibliotecario: come cambiano le strategie di formazione, a cura di Carlo Federici, Claudio Gamba, Maria Laura Trapletti, Milano: Editrice Bibliografica, 2006.

[7]   Il risultato maggiore ottenuto riguarda la struttura dei livelli dei corsi, corrispondente alle qualifiche professionali previste per quel livello. Il Bologna Process ha stabilito tre livelli successivi per la formazione universitaria, corrispondenti agli ultimi tre livelli dell'EQF – European Qualifications Framework: tre anni per la prima laurea, cinque anni per la specializzazione e otto anni a livello di dottore di ricerca. Un punto importante della riforma italiana per la comparazione internazionale è che il titolo di Laurea magistrale (corrispondente ai master europei) richiede 300 crediti in totale, e può essere conseguito solo dopo il completamento di 180 crediti della laurea. Un accordo per il riconoscimento reciproco di una laurea o un master in biblioteconomia è un elemento chiave per continuare gli studi o praticare la professione in ogni nazione europea. Un ulteriore passo avanti nella formazione per i bibliotecari è stato lo sviluppo di programmi basati sulla cooperazione internazionale delle scuole di biblioteconomia. L'internazionalizzazione di curricula in corsi congiunti può essere vista come qualcosa più comprensivo che sviluppare curricula con un contenuto internazionale. Un approfondimento in: Anna Maria Tammaro, Recognition and quality assurance in LIS: New approaches for lifelong learning in Europe, «Performance measurement and metrics», 6 (2005), n. 2, p. 67-79, e in: Anna Maria Tammaro, Formazione continua e master universitari cit.

[8]   Le competenze, intese nei descrittori di Dublino in modo esteso, vengono classificate come: Conoscenze e comprensione, Saper applicare le conoscenze, Saper fare giudizi, Saper comunicare, Saper apprendere. I descrittori differenziano le competenze previste a completamento dei tre livelli dei corsi universitari. Cfr. European Commission and European Union Council, Joint interim report on the implementation of the detailed work programme on the follow up of the objectives of education and training systems in Europe, Brussels: European Commission, 2003.

[9]   Per una maggiore trasparenza e comparabilità delle qualifiche professionali in Europa, è stato realizzato l'EQF – European Qualifications Framework. L'EQF è stato approvato a Bruxelles nel 2005 e la sua applicazione è volontaria, tuttavia ha una base legislativa nella direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali del giugno 2005. Si basa su tre elementi:
– una struttura di riferimento e di comparazione, basata su otto livelli corrispondenti a precisi obiettivi formativi (learning outcomes) e che sono correlati a titoli di studio (di cui i titoli universitari corrispondono agli ultimi tre livelli) o alla validazione di competenze comunque apprese. Le qualificazioni che interessano i bibliotecari possono essere individuate negli ultimi tre livelli: 5 (collaboratore), 6 (bibliotecario), 7 e 8 (dirigenti e quadri);
– un insieme di strumenti come il portfolio e l'Europass, per la registrazione delle competenze;
– principi e procedure comuni tra i diversi interessati (stakeholders), come docenti, professionisti e datori di lavoro, per la garanzia di qualità della formazione, la certificazione delle competenze e un orientamento per chi voglia intraprendere una precisa carriera.

[10]   Nel contesto di questa evoluzione europea, per il settore delle biblioteche ha avuto successo un progetto dell'ECIA per la certificazione delle competenze che sono richieste ai professionisti dell'informazione. L'ECIA (European Council for Information and Documentation) nel 1997 ha realizzato il progetto DECIDOC (Develop European Competencies in Information and Documentation). La prima fase del progetto ha realizzato la pubblicazione Competencies guide, tradotta in italiano e pubblicata dall'AIDA nel 2000.

[11]   Sui compiti del bibliotecario in una prospettiva internazionale, si rimanda alla lettura degli articoli che Carlo Revelli ha dedicato a più riprese all'argomento: Compiti e caratteristiche del bibliotecario, «Biblioteche oggi», 13 (1995), n. 2, p. 46 ss.; Un mestiere in evoluzione, «Biblioteche oggi», 16 (1998), n. 5, p. 40 ss.; I compiti della biblioteca e i doveri del bibliotecario, 1, «Biblioteche oggi», 18 (2000), n. 9, p. 42 ss.; Quali siano i compiti del bibliotecario, «Biblioteche oggi», 21 (2003), n. 5, p. 58 ss.

[12]   Alfredo Serrai, Guida alla biblioteconomia, edizione aggiornata a cura di Maria Cochetti, Firenze: Sansoni, 1997, p. 33.

[13]   Già nel 1974 Torsten Husen affermava la sua convinzione che se la società non diventa una società che apprende e smette di vedere l'educazione come un processo normalmente limitato a chi abbia tra sei e sedici anni e quindi concluso per sempre, le singole persone non potranno mai tenere il passo con il futuro sempre più tecnologicamente complesso che ci aspetta, in cui ciascuno dovrà imparare nuovi lavori molte volte nello spazio di una vita; solo chi non smetterà mai di imparare potrà affrontare la nuova realtà che ci si prospetta. La realtà tecnologica è diventata oggi molto complessa e il gap in Europa tra le capacità effettivamente disponibili nelle persone e le capacità effettivamente richieste dall'economia globale è sempre più profondo: Torsten Husén, The learning society, London: Methen, 1974.

[14]   Alcuni testi per approfondire questo nuovo fenomeno possono essere identificati in: Malcolm J. Maguire – Alan Felstead – Susan Maguire, Factors influencing individual commitment to lifetime learning: a literature review, Sheffield: Employment Department, 1993.

[15]   Si è parlato di Information literacy divide per definire la situazione attualmente più diffusa, in cui pochi hanno la capacità di usare al meglio le risorse informative e i servizi disponibili. Cfr. Alan Bundy, Growing the community of the informed: Information literacy – a global issue, «Australian Academic & Research Libraries», 33 (2002), n. 3, <http://www.alia.org.au/publishing/aarl/33.3/full.text/bundy.html>.

[16]   I valori della professione vengono attualmente riscoperti proprio evidenziando il valore sociale dei bibliotecari. Gli autori che se ne sono soprattutto occupati sono: Michael Gorman, I nostri valori: la biblioteconomia nel XXI secolo, Udine: Forum, 2002; Robert W. Vaagan, Lis education – repackaging infopreneurs or promoting value-based skills?, «New Library World», 104 (2003), n. 1187/1188, p. 156-153.

[17]   Sul ruolo di facilitatore dell'apprendimento del bibliotecario non c'è tuttavia un accordo condiviso, come non c'è un accordo sulla necessità del cambiamento delle biblioteche, per adattarsi alla Società dell'apprendimento. Molte scuole di biblioteconomia in Europa non ritengono che la gestione dell'informazione sia l'oggetto di studio, ma invece considerano il libro (o il documento) l'oggetto concreto su cui organizzare il servizio. Nel contesto dell'Europa, abbiamo a che fare con realtà che si sono costruite socialmente in contesti culturali diversi, con diversi presupposti epistemologici, in modo approssimativo identificabili come il Nord ed il Sud dell'Europa, ma riconoscibili anche come modelli culturali diversi nell'ambito di una stessa realtà nazionale.

[18]   Confronta: B. Cronin – M. Stiffler – D. Day, The emergent market for information professionals: educational opportunities and implications, «Library trends», 42 (1993), n. 2, p. 257-276; Gunilla Widén-Wulff [et al.]. Knowledge management / information management, in: European curriculum reflections on library and information science education, Copenhagen: Royal School of Library and Information Science, 2005, p. 130-141.

[19]   Per i rapporti tra biblioteconomia, scienza dell'informazione e documentazione in un approccio storicistico ed epistemologico si rimanda all'articolo: Vilma Alberani – Elisabetta Poltronieri, Documentazione e scienza dell'informazione: interazioni con la biblioteconomia, «Bollettino AIB», 43 (2003), n. 2, p. 189-201.

[20]   Per una definizione dei diversi approcci epistemologici e del loro eventuale conflitto, si rimanda a: Sebastiano Miccoli, Questioni di epistemologia biblioteconomica, «Bollettino AIB», 45 (2005), n. 4, p. 415-437.

[21]   Jeannie Larsen Borup, A survey of library & information science schools in Europe, in: European curriculum reflections on library and information science education, Copenhagen: The Royal School of Library and Information Science, 2005, p. 241-249.

[22]   Nel 1994 alla conferenza di ALISE, dieci presidi di scuole di biblioteconomia discussero il tema dei rapporti tra scienza dell'informazione e biblioteconomia. Il tema è stato ripreso dalla conferenza di ALISE del 2006, arrivando allo stesso risultato di ritornare ad una formazione limitata alla biblioteconomia.

[23]   Due caratteristiche centrali vengono indicate dagli autori per valutare le scuole di biblioteconomia ed orientarsi sulla loro offerta di corsi. Per prima cosa c'è da analizzare le scuole secondo il livello dei corsi ed il numero dei programmi offerti: alcune scuole offrono solo un corso di base (negli Stati Uniti il livello base per un bibliotecario è il master), altre hanno corsi a diversi livelli post-laurea e con numerose specializzazioni per diversi profili. La seconda caratteristica è il target di riferimento a cui si indirizzano i programmi: alcuni programmi sono specificamente indirizzati ai bibliotecari, altri fanno riferimento a figure in evoluzione di professionisti: Charles McClure – Carol Hert, Specialisation in library and information science education: issues, scenarios and the need for action,. Washington: ERIC, 1991.

[24]   N. Van House – S.A. Sutton, The panda syndrome: an ecology of LIS education, «Journal of education for library and information science», 1996, n. 37, p. 131-147.

[25]   Si rimanda agli articoli di: Michael Gorman, Whither library education?, «New Library World», 105 (2004), n. 1204/1205, p. 376-380; B. Cronin, An i-dentity crisis? The information schools movement, «International Journal of Information Management, 25 (2005), n. 363-365.

[26]   L'European Commission Directorate General XIIIB all'inizio degli anni Novanta ha commissionato uno studio all'International Federation of Library Association (IFLA) sul modo in cui le scuole di biblioteconomia avevano incluso l'insegnamento dell'automazione nei curricula. Lo studio ha rivelato che le nazioni europee presentavano grandi differenze, ad esempio la Gran Bretagna era in uno stadio avanzato e l'Italia all'ultimo posto. Cfr: Jan H. Van der Starre, Library schools and information technology: a european overview, «Information Processing and Management», 29 (1993), n. 2, p. 241-248.

[27]   In Italia, un esauriente articolo sul problema della formazione per le nuove tecnologie è in: Franz Berger, Europa ante portas: riflessioni sull'offerta formativa delle università italiane con l'avvio del sistema 3+2, «Bollettino AIB», 41 (2001), n. 4, p. 481-492.

[28]   La riflessione, partita durante il convegno Unesco "International symposium on the harmonisation of education and training programmes in information science, librarianship and archival studies", Paris, 8-12 October 1984 (cfr. il Final report) ha dato come risultato: Guidelines in curriculum development in information technology for librarians, documentalists, archivists, edited by M. Cook, Paris: Unesco, 1986. Una riflessione dopo tre anni è in: M. Cook, Training in technology and its management, in: Harmonisation of education and training programmes for library information and archival personnel: proceedings of an international colloquium, London, August 9-15, 1987, edited by I.A. Johnson [et al.], München: Saur, 1989, p. 193-210.

[29]   Una riflessione in: R. Audunson – R. Nordlie – I.C. Spangen, The complete librarian – an outdated species? LIS between profession and discipline, «New Library World», 104 (2003), n. 1189, p. 195-202.

[30]   In Italia molto spesso l'autonomia delle singole università nella scelta dei docenti è stata limitata dal governo. Ad esempio attualmente non è possibile affidare incarichi di insegnamento ai bibliotecari delle università.

[31]   S.A. Sutton, Trends, projections and crystal ball gazing, «Journal of education for library and information science», 42 (2001), n. 3, p. 241-247.


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