[AIB-WEB] Associazione italiana biblioteche. Congresso 1999

 

I problemi del lavoro in biblioteca

Leonarda Martino , Università di Bologna
Lo stato delle cose

Mi propongo di chiarire, con questo intervento, che i problemi del lavoro in biblioteca, nell’ambito delle università, sono non tanto di diversa natura quanto di ordine diverso da quelli incontrati dai colleghi operanti in altri contesti istituzionali: voglio dire che appartengono ad una categoria logica superiore, in quanto legati all’oggettivazione dello stesso ambito operandi .

Questa precisazione mi sembra opportuna in un momento in cui il nuovo contratto e il probabile passaggio ad un nuovo ordinamento polarizzano tutta l’attenzione. Non intendo sottovalutare l’importanza, anche simbolica, della fine dell’era del mansionario, ma richiamare l’attenzione su fattori, a mio avviso, altrettanto se non più decisivi: sono stati i processi reali, le modificazioni della "costituzione materiale", ad imporsi sulle codificazioni inerti e sui vuoti normativi, interagendo con gli aspetti positivi innescati dall’autonomizzazione degli atenei e dalla riforma in senso privatistico della P.A. Questi fattori, più ancora dell’irruzione delle nuove professionalità indotte dalle trasformazioni tecnologiche, hanno svuotato il sistema delle mansioni al punto da renderne unanime la richiesta di archiviazione.

Mi spiego meglio: le rigidità del mansionario hanno creato problemi di sotto-inquadramento e disparità di trattamento di non lieve entità; l’assenza di meccanismi certi di carriera ha prodotto situazioni inique dal punto vista soggettivo e dannose da quello funzionale; la mancanza di una coerente politica formativa ha costretto molti di noi all’alternativa tra auto-formazione o deprofessionalizzazione, e si potrebbe continuare. Questi problemi non mi sembrano però peculiari dei bibliotecari universitari: sono legati alla sotto-valutazione delle biblioteche tipica del nostro paese, all’indefinitezza dello status della nostra professione, alla struttura orientata sulle procedure propria della burocrazia del settore pubblico. Quello che fa di noi un gruppo in situazione di grave disagio è il fatto di lavorare all’interno di una "organizzazione professionale" 1 che si percepisce ancora nei termini medievali del contratto tra professori e studenti, negando, per volontà o per cecità, la realtà di molteplici e specifiche strutture organizzative a sostegno di quella relazione primaria, strutture il cui grado di complessità comporta una gestione competente da parte di specialisti 2.

Ricordo il tagliente giudizio di Serrai: "le biblioteche universitarie, in quanto organismi strutturati nei modi che sono loro propri e specifici, in Italia non esistono [...] ci sono delle biblioteche nelle università" 3. La relazione da cui traggo la citazione ha una data significativa: risale al 1980, l’inizio dell’attuale regime che, come è noto, deriva dalla legge 312 di quello stesso anno ed è stato minutamente disciplinato nel DPCM dell’anno successivo. Non è necessario sottolineare il parallelismo con la situazione in cui ci troviamo adesso, alla vigilia della definizione di un nuovo ordinamento professionale che, come è naturale, si ripromette di superare quanto di inadeguato l’esperienza di quasi un ventennio ha messo a nudo nell’ordinamento in vigore. Ma, appunto, vediamo cosa ci insegna l’esperienza fatta.

Se in un momento di abbandono all’ottimismo della volontà, Serrai si avventurava a sperare prossima la "riforma generale e sensata del non-sistema delle biblioteche universitarie italiane" 4, la sua tesi portante si può riassumere nella sfiducia verso le virtù proprie delle codificazioni e nell’indicazione di puntare semmai sullo sviluppo di "una tradizione umana e professionale, così robusta e consapevole che colla sua vitalità e maturità sia in grado di costituire l’ambiente, l’etica e le consuetudini" 5 che danno senso alle norme. Insomma, la sfida era quella di "far[ci] padroni di ciò che, in quanto esiste, è di [nostra] competenza o altrimenti non esiste - ossia la organizzazione delle biblioteche". 6

Bisogna dire che il Nostro dimostrava una singolare preveggenza rispetto agli imminenti "adeguamenti" normativi: il nuovo assetto, che per due decenni avrebbe ingessato il lavoro del personale tecnico-amministrativo delle università in una maniacale scansione di mansioni e procedure, taceva infatti risolutamente sull’essenziale, cioé, per quanto ci riguarda, sull’identità istituzionale delle biblioteche e sul sistema delle competenze legato alla loro organizzazione. Al riparo, quindi, dal rischio di una qualsivoglia incidenza sul contesto della loro sfera d’azione, se così si può dire, le declaratorie del 1981 hanno attraversato formalmente indenni tutte le recenti e meno recenti trasformazioni dell’assetto dell’università: né la dipartimentalizzazione né la riforma in senso autonomistico degli atenei ne hanno messo in questione l’inerzia e l’astrattezza.

All’istituzione di un’"Area funzionale delle biblioteche" non corrispondeva, infatti, l’attribuzione di una intelaiatura giuridica che consentisse l’emergere di strutture bibliotecarie a sé stanti. Ciò malgrado, molte cose sono successe e molto è cambiata la fisionomia delle biblioteche universitarie: la partita si è giocata, e si gioca tutt’ora, sul piano di quel processo di autonomizzazione degli atenei che, imponendo a questi ultimi la scrittura di statuti e regolamenti di organizzazione, ha reso inevitabile la formalizzazione di quella strutura complessa costituita dalla dirigenza amministrativa e dai servizi a gestione tecnica.

Grazie alle occasioni che si offrono nel corso di grandi mutamenti, i bibliotecari sono riusciti a creare il loro oggetto d’applicazione, i sistemi d’ateneo, su questa intelaiatura procedendo a rivendicare l’esercizio della propria specifica professionalità. Lo stabilirsi di legami, per quanto deboli, tra entità approssimativamente definibili come "esercizi di acquisto e di consultazione" 7 ha consentito di raggiungere il grado di complessità sufficiente a richiederne una gestione, almeno in nuce, tecnicamente autonoma, e ha favorito la progressiva visibilità dei tecnici dotati delle competenze necessarie.

Questa evoluzione è stata resa meno lineare dal contemporaneo processo di dipartimentalizzazione che, accanto al cospicuo drenaggio di risorse verso strutture periferiche sempre meno coordinate da indirizzi e controlli centrali, ha delineato un ritorno alla "netta partizione medievale tra una bibliotheca magna, o di consultazione generale per gli studenti, e le varie bibliothecae parvae, quali raccolte destinate ai docenti o ai ricercatori" 8. In quanto costituenti indifferenziate dei dipartimenti, le biblioteche hanno visto un accentuato controllo da parte dei docenti, accompagnato da politiche di acquisizione e servizi totalmente subordinate a fini e obbiettivi dei dipartimenti stessi.

È interessante a questo punto notare come ci si sia trovati tra due tensioni essenzialmente contrarie: quella degli atenei, da una parte, a doppiare l’autonomia rispetto al Ministero con una moltiplicazione di centri indipendenti al loro interno, e quella dei sistemi bibliotecari d’ateneo, dall’altra, volta ad introdurre, se non una centralizzazione, almeno un coordinamento tecnico tra strutture che soltanto nell’ambito del sistema potevano pervenire allo status di biblioteche. Anche se questa non è, ovviamente, la sede per interrogarci sul senso di questa "perdita del centro" e sul contrasto, non solo organizzativo ma culturale, tra la tendenza delle biblioteche verso il sistema, coerentemente a un concetto di universitas studiorum dall’impianto unitario, e quella dei centri didattici e di ricerca dell’università verso un’autonomia debolmente coordinata quando non egocentrica 9, va almeno detto che il problema esiste e diventerà sempre più urgente attrezzarsi ad affrontarlo, visto che coinvolge l’articolazione del doppio ruolo di fornitori di servizi a studenti e docenti e il controllo delle risorse a cominciare dal coordinamento delle acquisizioni.

Il processo è quindi stato difficoltoso e contraddittorio: darne una lettura unificante è reso terribilmente complicato dalla diversità delle vicende occorse nelle diverse sedi universitarie. Possiamo dire che la lotta per il riconoscimento non si è ancora conclusa nel suo insieme e che uno sguardo comparativo alle situazioni dichiarate da statuti e regolamenti mostra più differenze che convergenze, al di là di quanto poi andrebbe verificato nella costituzione materiale, di cui le carte fondamentali sono spesso più l’occultamento che la prescrizione.

Certo è che la strada dell’autonomia ha reso impossibile perseguire un ripensamento organico 10, consegnando l’evoluzione istituzionale delle biblioteche universitarie alle dinamiche da cui sono attraversate le università sul piano della riforma della didattica, di quella della selezione del personale docente, della gestione "per budget " delle risorse finanziarie, delle logiche dei nuclei di valutazione, ecc. L’adozione della ricetta alla moda: policentrismo applicativo nell’ambito di poche regole emanate dall’alto, ha funzionato sì e no: non solo perché spesso quello che era lasciato all’iniziativa dei singoli atenei non è stato fatto o è stato fatto al minimo, ma anche perché la cornice generale non è riuscita ad essere sobria e coerente ma invece torrenziale e farraginosa. L’assetto dell’università non fa eccezione alla caratteristica generale della nostra legislazione di riuscire adessere al contempo pletorica e lacunosa dove più conta.

D’altra parte, il superamento dell’assurda situazione che mette alla direzione delle biblioteche i professori e alle dipendenze di questi i bibliotecari - "equivalente a quella di un corpo di ballerini messi sotto il comando di un cantante" 11 - è già tutto scritto nel D. lgs. 29/93 e nella successiva legislazione di riforma della P.A.: legislazione che,come è noto, da nessuna parte ha ricevuto così scarsa applicazione come nelle università, il suo principio ispiratore, la separazione tra politica e gestione, avendo trovato resistenze fortissime da parte di un modello organizzativo come quello professionale, caratterizzato da auto-referenzialità e scarso potere delle tecno-strutture 12.

Malgrado le difficoltà, dobbiamo riconoscere, credo, che è questo il terreno primario sul quale va condotta la lotta per il riconoscimento. A partire dalla separazione tra politica e amministrazione, vanno occupati gli spazi decisionali che, attraverso la presenza dei bibliotecari nelle commissioni didattiche e nei comitati di gestione finanziaria, edilizia e del personale e attraverso l’introduzione di precisi meccanismi di finanziamento delle biblioteche nei regolamenti di organizzazione dei sistemi bibliotecari di ateneo, soli possono metterci in grado di farci padroni dell’organizzazione delle biblioteche. Ed è un terreno sul quale ci troviamo ad agire senza rappresentanza mediate, visto lo scarso interesse da parte sindacale, anche a causa di una mai sconfessata antipatia per il D. lgs. 29.

Situazione prefigurata dal nuovo ordinamento professionale

Il disegno del nuovo ordinamento professionale, il nodo più importante dell’attuale partita contrattuale, porta i segni del percorso che ha seguito la sua elaborazione. Ricordiamone brevemente le tappe: le sue premesse sono contenute nell’art. 50 del vigente contratto, a sua volta esito di compromesso tra la richiesta delle OO. SS. e il rifiuto dell’ARAN di mettere al centro della trattativa un’ipotesi di nuovo ordinamento. L’articolo da un lato istituiva una Commissione incaricata di svolgere i lavori istruttori della revisione dell’ordinamento; dall’altro demandava alle singole amministrazioni la facoltà di intervenire sulle insufficienze e le inadeguatezze dell’attuale ordinamento attraverso la sperimentazione organizzativa. Oltre all’obbiettivo di vincolare l’ARAN ad affrontare comunque la questione nella tornata successiva, l’art. 50 si proponeva anche quello di seguire un percorso dal basso che assecondasse appieno il processo di autonomia degli atenei. Obbiettivo in buona misura mancato: con poche eccezioni, non si è infatti registrata una capillare attività di sperimentazione nelle sedi universitarie, probabilmente anche per la prevalente e radicata convinzione che in ogni caso il nuovo ordinamento sarebbe stato deciso a tempo debito a Roma (un atteggiamento che, ovviamente, ha verificato la previsione). Come sappiamo, la Commissione ha licenziato il 17 febbraio scorso un documento non conclusivo, in cui non si va oltre l’enunciato delle premesse per la negoziazione, essendosi registrate forti divergenze non solo tra l’ARAN e le OO. SS. ma anche all’interno di queste ultime.

Se non altro, il lasso di tempo intercorso ha segnato un punto importante per i bibliotecari: se la nostra area era scomparsa dalle bozze di nuovo ordinamento che circolavano all’epoca dello scorso contratto, la nuova piattaforma la resuscita pur senza entrare nello specifico delle differenze. Che vi sia stato comunque un consapevole ripensamento è dimostrato dal fatto che, in un documento ufficiale dello SNUR-CGIL, tra le figure professionali per le quali viene richiamata l’esigenza di un riadeguamento delle qualifiche e della loro valorizzazione, vengono diligentemente enumerate anche quelle che operano all’interno delle "attività bibliotecarie, documentaristiche e di diffusione di conoscenza" 13.

Che cosa ci è lecito sperare dall’esito del negoziato in corso? La piattaforma presentata dalle OO.SS. enuncia di voler produrre un quadro flessibile per l’individuazione e il riconoscimento delle nuove professionalità: quindi

• accorpamento degli attuali livelli all’interno di quattro macro-qualifiche scandite in rapporto al titolo di studio previsto per l’accesso e al grado di complessità e autonomia delle attività in esse ricomprese;

• meccanismi di carriera incentrati sulla formazione permanente

• riconoscimento delle alte professionalità e richiesta della dirigenza anche per le categorie dei tecnici

• riconoscimento, accanto alla responsabilità manageriale, del ruolo di ricerca

Come si vede, si tratta di punti sui quali non si può non essere d’accordo: in particolare va sottolineata la funzione di motore della progressione di carriera che viene assegnata alla formazione, concepita all’interno di una programmazione permanente. Certo, dovrà trattarsi di formazione certificata e verificata: un dovere al quale le amministrazioni devono ancora imparare a fare fronte. Altrettanto positivo il recupero delle specificità professionali e il riconoscimento della necessità di intervenire sulla attuale fascia dei ruoli speciali, superandone la compressione quantitativa e riconoscendole competenze e responsabilità equiparate a quelle della dirigenza. Pari apprezzamento può concedersi, rispetto alle primitive formulazioni, alla decisione di spostare sul piano della contrattazione nazionale le definizioni articolate per aree delle macro-qualifiche e di attribuire valore su scala nazionale (per lo meno!) ai crediti formativi maturati dai dipendenti, mentre lascia perplessi l’attribuzione a livello locale delle modalità di accesso alle qualifiche e di mobilità al loro interno. Viceversa, si vorrebbe qualche lume in più sulle modalità con cui avverrà il primo reinquadramento: sembra che, dopo le prime fiere opposizioni, anche le OO.SS. abbiano accettato il concetto dell’"operazione a costozero" cara all’ARAN, e questo può anche essere preferibile rispetto a quanto si è visto in passato in casi anologhi 14 . In tal caso, dovrebbe però rendersi cogente per la contrattazione di secondo livello l’obbiettivo di risanare il sotto-inquadramento prima della sigla del contratto nazionale, salvo trasportare nel nuovo ordinamento tutte le situazioni di sofferenza di quello uscente. Altri punti meramente enuciati e sui quali si vorrebbero più informazioni sono quelli, delicatissimi proprio perché riguardano i meccanismi di carriera e di selezione, legati all’accertamento dell’acquisizione di maggiore professionalità e alle modalità delle verifiche di profitto dei corsi di formazione.

L’aspetto da tenere d’occhio con più attenzione è quello comportato dal completo cambiamento del rapporto tra contratto nazionale e contrattazione di secondo livello e dall’estensione della contrattualizzazione ad ogni sfera dell’organizzazione del lavoro nonché dall’incisivo mutamento del quadro delle relazioni sindacali: viene da chiedersi quanto siano attrezzate R.S.U. e sindacati a misurarsi con questo nuovo modello di contrattazione, visto che contenuti e stili della contrattazione si condizionano reciprocamente. Ci lasciamo alle spalle un sistema di certezze, per quanto feudale, per entrare in un sistema di relazioni fluidee da definire di volta in volta, in base a rapporti di forza e lavoro di pressione, dove si accrescerà di molto il ruolo dei sindacati e l’importanza delle capacità di chi è investito del compito di rappresentanza e di trattativa e dove l’attività dell’ Osservatorio dell’Associazione può assumere un ruolo significativo di elaborazione e di orientamento.

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1 - La definizione è di Mintzberg. Cfr. H. Mintzberg, Management: mito e realtà, Milano, 1991 (pp. 223-249)
2 - Si prenda la vasta letteratura che da L’università dei tre tradimenti in avanti si è dispiegata sui problemi dell’università italiana e dalla quale è vistosamente assente qualsiasi indizio che nelle università lavorano anche alcune migliaia di "non-docenti".
3 - Le biblioteche universitarie italiane: un caso di arretratezza e di oscurantismo (relazione al convegno "Il bibliotecario nell’università", Torino, 1980. Pubblicato in: A. Serrai, Temi di attualità bibliotecaria, Roma, 1981, pp. 59-76 (la frase citata è a p.70). Non essendo state superate le contraddizioni che in esso si evidenziavano, il saggio di Serrai resta, purtroppo, ancora attuale.
4 - ivi, p. 67
5 - ivi, p. 60
6 - ivi, p. 61
7 - ivi, p. 70
8 - ivi, p. 71
9 - Si potrebbe dire che nelle università il modello delle "organizzazioni professionali" si va sempre più intrecciando con quello delle "organizzazioni diversificate": cfr. Mintzberg, op. cit., pp. 200-222
10 - In questo quadro lo stesso Gruppo di Lavoro sul Sistema bibliotecario delle università, istituito presso il MURST dal 1997, si è assegnato un ruolo di consulenza e di proposta, attraverso la produzione di documenti di indirizzo, di cui varrebbe la pena studiare la diffusione e il grado di recepimento da parte degli atenei.
11 - Serrai, op. cit., p. 63
12 - Cfr. Mintzberg, op. cit., il logotipo a p. 224
13 - A. Timoteo, Verso i rinnovi contrattuali, in: Università Progetto, 10-11, 1998, p. 7 (si tratta di una sintesi della relazione per l’attivo sulle politiche contrattuali, Roma, 10 luglio 1998)
14 - È di qualche giorno fa la notizia che, contestualmente al richiamo rivolto all’ARAN alla ripresa (o, meglio, all’inizio) della trattativa, le OO. SS. hanno posto come condizione preliminare il riequilibrio del dislivello contributivo rispetto agli altri comparti


Copyright AIB 1999-07-04 a cura di Susanna Giaccai

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