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La cattura di Eusebio

Un racconto

di Massimo Gatta



Quella mattina Annalisa si sentì strana. Avvertiva in lei che qualcosa non andava nel verso giusto, come un disagio nuovo e vecchio insieme e tremendamente fastidioso. Erano mesi che quella sensazione le ronzava intorno senza abbandonarla, creando una strana atmosfera, come sospesa.

Dall'inizio anche la pen drive diede problemi con la porta uessebi del piccì, forse era rovinata, pesnò lei. Poi sia il responsabile del servizio di front office, un collega brizzolato e per nulla stupido, che quello della sezione elettronica opac, la salutarono appena, cosa abbastanza strana considerato che tutti in quella biblioteca sembravano volerle bene.

Anche quel giorno, pensò Annalisa, l'accesso all'Indice essebienne dell'iccu sarebbe stato, come spesso negli ultimi tempi, lungo e difficoltoso e la porta uessebi, se effettivamente danneggiata, avrebbe reso tutte le operazioni ancora più frustranti, forse inutili. Niente da fare.

Ma cos'era lo strano malessere che si sentiva addosso come un alito cattivo? Una sensazione come se a colpirla, proprio tra gli occhi, fosse un sasso di ghiaccio, appuntito e tagliente, che un attimo prima era solo innocua acqua trasparente? Fu così che si ricordò della scena di un giallo del tenente Colombo dove l'assassino aveva utilizzato proprio un massiccio pezzo di ghiaccio, oggetto reale e irreale insieme, un'arma letale che si scioglie, scomparendo. Diabolico, pensò Annalisa. Un sasso di ghiaccio che, dopo aver fracassato la nuca della giovane vittima, era stato gettato in piscina sciogliendosi e tornando così ad essere semplice acqua, senza tracce o indizi. Un grande mistero che l'intelligenza di Colombo aveva brillantemente risolto. L'acqua della piscina, infatti, contiene cloro di cui erano invece prive le poche gocce d'acqua trovate sul bordo, che il detective aveva fatto analizzare, ultima traccia del passaggio di quel sasso di ghiaccio prima di sciogliersi definitivamente. Come si spiegava quindi, rifletteva nel film Colombo, la presenza d'acqua dolce senza cloro a pochi centimetri dalla piscina, senza che nelle vicinanze ci fosse una fontana o altra sorgente d'acqua dolce? Dopo, per lui, fu tutto più facile. Seguì l'intuizione, la magnifica idea, fino in fondo, fino al fondo della storia.

Annalisa fissava, senza vederlo, il monitor nuovissimo a cristalli liquidi elleciddì che la direzione le aveva finalmente fornito. Un vero gioiello tecnologico multimediale dove l'ampia e nitida schermata azzurrina era priva del fastidioso e impercettibile traballìo delle immagini.

Pensò che quasi tutto fosse ormai compromesso pur avendo, quella mattina, una tremenda necessità di "catturare" Eusebio, portandoselo dall'indice al polo e dopo, forse, "schiacciarlo". Rifletté che quel giorno non le sarebbe stato tanto facile e notò, di sfuggita, come un'ombra scura flettersi e scomparire rapida oltre la porta del servizio di reference. La stessa porta dietro la quale, un tempo, sedevano due sue colleghe del servizio DD risorse elettroniche e del servizio ILL, da qualche tempo trasferite ad altro incarico in una prestigiosa superbiblioteca del nord, specializzata in non-book materials e in e-books. In esse era possibile consultare e scaricare milioni di volumi senza sfiorarne nemmeno uno col dito sudaticcio dei poveri bibliotecari d'antan. Senza sfiorare neppure una pagina! si ripeté Annalisa, senza sfiorare una pagina, un frontespizio, un dorso. Libri sempre meno necessari nella loro presenza viva e calda, in queste supermoderne biblioteche dove si conservano solo tracce informatiche di libri, unicamente il loro ricordo. Come la sottile traccia umida che la lumaca lascia dietro di sé, unico segnale del suo passaggio vivente tra di noi.

Le tracce informatiche esistono e non esistono, i documenti on-line appaiono e scompaiono senza dolore per nessuno, i non-book materials si manifestano solo cliccando qualcosa, tutte le banche dati contengono pulviscolo impercettibile, compresso, inesorabilmente distante da noi anni luce. Sono come le strisce bavose delle lumache, ci ricordano (ma fino a quando?) che da lì sono transitati anche libri di carta, poesie e romanzi, saggi e partiture musicali, periodici, incunaboli e manoscritti, codici.

La mattina era abbastanza tiepida, rifletté Annalisa, col cielo terso, virato nelle varie sfumature d'azzurro, inverno pieno. Annalisa riprovò la porta uessebì, nulla. Poi si decise ad usare il piccì dell'amica Fiorenza, quella della sezione esu che era in malattia. La password la ricordava a memoria (meno male che Fiorenza non l'aveva cambiata come faceva con gli uomini!). Così riuscì a connettersi subito ed entrare nell'Indice essebienne per trovare il titolo da catturare. Ma anche l'iccu, quella mattina, faceva i capricci. Il server altalenante ritardava all'infinito la connessione, tutti i bid indicati ci mettevano un secolo a fornire le schede giuste. Insomma giornata nera, pensò ancora Annalisa.

Fu allora che l'ombra tornò a materializzarsi profilandosi nel lungo corridoio della sezione virtuale dove l'aula multimediale, a quell'ora deserta, consentiva agli studenti l'accesso al paradisiaco mondo fluttuante del web e quindi ai paradisi virtuali (come quelli fiscali) di migliaia di biblioteche sparse per il mondo. Ma, guardandosi meglio intorno, Annalisa notò che qualcosa non quadrava e la sensazione di fastidio ritornò.

Intanto Eusebio era apparso in tutto il suo fittizio splendore sul monitor del piccì e Annalisa fece scorrere in basso il mouse fino dove sapeva di trovare il vero Eusebio, non quello che si celava dietro pseudonimi. Bisognava "catturarlo", portarlo nel polo e fare eventualmente legàmi. I legàmi! Quanto amava quella parola, la carezzava con lo sguardo quando la scriveva, la ripeteva a voce alta quando la leggeva. Legàmi che, se accentata diversamente, dava légami, creando un cortocircuito simbolico davvero intrigante.

Si ricordò, allora, di quel film di Almodóvar con quel titolo bifronte, visto in compagnia di Vittorio e Lucia. Anche allora Annalisa si era persa a fantasticare intorno a quella parola. Lei voleva davvero legàmi nella vita? e avrebbe acconsentito a che un amante la legasse per amore? Insomma un semplice accento era capace di tirarla da parte per ore.

Ma, pensò, come poteva "catturare" il sommo poeta senza prima indugiare un attimo su alcune delle sue poesie più belle? Hai ben ragione tu! Non turbare | di ubbie il sorridente presente. || La tua gaiezza impegna già il futuro | ed un crollar di spalle | dirocca i fortilizi | del tuo domani oscuro. Già, il domani oscuro, pensò Annalisa. Era proprio così e non bastava che Eusebio, da quel lontano dove ormai si trovava, la incitasse a non turbare con ubbie il sorridente presente. Ma quale sorridente presente? pensò la giovane. "Dirocca i fortilizi del tuo domani oscuro", ripeté a voce alta Annalisa. I fortilizi. S'immaginò Eusebio seduto in poltrona con la solita Giubek tra le dita e il fumo sottile e azzurro salire in alto nella stanza calda ed ovattata. Via Bigli, si disse Annalisa, che bel nome.

Pensò alle tante parole che frullano nella testa dei poeti, agli aggettivi, ai verbi, alle metafore alate. Pensò poi anche allo sforzo di scegliere una parola invece che un'altra, un aggettivo, un verbo. Lei avrebbe mai pensato a "fortilizi"? forse si, ma non un tempo, ora. Certe parole invecchiano con noi, ci sono più vicine man mano che la vita s'allontana. E sarebbe mai stata capace di scrivere, avendola prima pensata, "la tua gaiezza impegna già il futuro"? E lei aveva mai avuto una vera gaiezza, tale da scuotere il buio del presente?

Ora sia il tuo passo | più cauto: a un tiro di sasso | di qui ti si prepara | una più rara scena. D'accordo, pensò Annalisa, più cauta, più cauta doveva procedere per non turbare il riposo del poeta. Non domandarci la formula che mondi possa aprirti | sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. || Codesto solo oggi possiamo dirti, | ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. E invece lei voleva proprio sapere ciò che era diventata e ciò che voleva. Voleva riuscire a capire chi fosse, che tipo di donna e anche di bibliotecaria era ora, ben diversa da quelle di Alessandria, di cui una volta aveva letto la storia.

E soprattutto voleva sapere bene cosa cercare quella mattina: entrare nell'indice e catturare quel benedetto bid che mancava nel suo polo, neppure min in polo c'era, nulla, neppure una lieve traccia di Eusebio c'era in quel maledetto polo. E lei doveva scalare intera quella tremenda montagna del proprio dubbio, risolvere l'enigma della Sibilla cumana, dialogare con l'indice, trovare Eusebio e catturarlo! Altro che turbare con ubbie il sorridente presente del poeta. Altro che parole e verbi. Si sentiva da schifo, quel giorno, e non aveva nessuno a cui dirlo.

L'ombra Annalisa l'avvertì adesso alle spalle. Ebbe una leggera paura, un rossore e trattenne il respiro. Preferì non voltarsi. Il cielo alle sue spalle si rifletteva mutevole sullo schermo ultrapiatto del piccì, le piccole nuvole transitavano e si mischiavano ai titoli, ai nomi, alle localizzazioni, alle classi e ai soggetti, cose che avevano invaso lo schermo azzurro. Già, i soggetti! Buoni quelli dell'aula multimediale, pensò Annalisa. Persi per ore nei cataloghi on line, non sapevano ormai quasi più entrare in una libreria per chiedere un libro, un libro vero non la traccia bavosa della lumaca. Dove mi trovo, chi sono, dove andrò, pensò ancora la giovane bibliotecaria.

Ci muoviamo in un pulviscolo | madreperlaceo che vibra, | in un barbaglio che invischia | gli occhi e un poco ci sfibra. Proprio così, il pulviscolo danzava nell'aria sospesa di fronte a lei, nella luce accecante del mattino, e le parole nere sullo schermo vibravano in un barbaglìo che invischiava gli occhi e, certo, la sfibrava. Avvertì di avere la fronte calda, effetto del sole che penetrava dalle grandi vetrate o della febbre che le stava salendo? Tentava la vostra mano la tastiera, | i vostri occhi leggevano sul foglio | gl'impassibili segni; e franto era | ogni accordo come una voce di cordoglio. Infatti la sua mano cercava sulla tastiera del piccì i tasti che l'aiutassero a superare l'impasse. Ma ne sapeva in fondo così poco, Annalisa, di piccì e altro. Lei subiva il travaglio di sentirsi una bibliotecaria a metà, di quelle che schedano a mano i libri su schede di cartoncino, raccolte una ad una e inserite nei pesanti catalogatori metallici, impensabili ora nelle supermoderne biblioteche come la sua. Le ricordava, eccome, quelle schede, tutte in bella calligrafia all'antica.

Finalmente Annalisa individuò il suo Eusebio, quello assente nel polo e che doveva catturare e collocare. Dissipa tu se lo vuoi | questa debole vita che si lagna, | come la spugna il frego | effimero di una lavagna. Giusto, si disse. Basta lamenti, effimeri fregi sulla lavagna della vita. Annalisa pensava spesso a quei versi. Eusebio era lì di fronte a lei, cioè non Eusebio ma il suo bid, localizzato in altre decine di supermoderne biblioteche. Annalisa cliccò lesta per selezionarlo, esaminarlo. Ma Eusebio era poi davvero di fronte a lei? L'ombra alle spalle ebbe un fremito leggero che anche Annalisa ebbe, come un piccolo dubbio. Voleva voltarsi ma... Non sono | che favilla d'un tirso. Bene lo so: bruciare, | questo, non altro, è il mio significato. "Favilla d'un tirso", Annalisa si rigirava in bocca quel verso succhiandolo come una caramella. Bruciare! Eusebio le consigliava forse di scomparire e di chiarire a se stessa il proprio significato?

La stanza divenne silenziosa d'un tratto come se tutto il silenzio del mondo si fosse raccolto in essa e l'avesse invasa all'improvviso. Anche i colleghi sembravano spariti, così i pochi libri superstiti, diventati adesso invisibili. Annalisa pensò che era giunta di fronte a una scelta. S'è rifatta la calma | nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta. La calma era infatti quello che Annalisa notò subito. Una calma assoluta, luminosa, diversa. Ah qui restiamo, non siamo diversi. || Immobili così. Nessuno ascolta | la nostra voce più. Così sommersi | in un gorgo d'azzurro che s'infolta.

Il solo "gorgo d'azzurro" che vide era quello dello sguardo di Alberto che le stava di fronte osservandola chissà da quanto. Lei non s'era accorta affatto della sua presenza. Annalisa gli sorrise distratta. In fondo Alberto le piaceva, era l'unico di cui lei si fidasse veramente, l'unico ancora in grado di condividere con lei, almeno in parte, il gusto antico dei libri in carne e ossa, cioè in carta e cartone. Alberto le si sedette accanto iniziando a scorrere le pagine dell'indice per cercare altre schede utili all'amica. Senza dirle nulla.

Annalisa lo lasciò fare e ne approfittò per pensare. Forse riavrò un aspetto: nella luce | radente un moto mi conduce accanto | a una misera fronda che in un vaso | s'alleva s'una porta d'osteria. Riavrò un aspetto! pensò Annalisa, che non ricordava se quei versi fossero in Delta o in Incanto. Alberto le sorrise nell'attimo stesso in cui finalmente trovò il bid giusto, quello da catturare e trascinare in polo. Ma era un rec, accidenti a lui! Eusebio si sarebbe sentito umiliato da quella scelta. Alberto intuì la delusione nello sguardo febbricitante dell'amica i cui occhi erano ...sballottati | come l'osso di seppia dalle ondate | svanire a poco a poco; | diventare | un albero rugoso ad una pietra | levigata dal mare; nei colori | fondersi dei tramonti; sparire carne | per spicciare sorgente ebbra di sole, | dal sale divorata... Cercò ancora, poi le suggerì di catturare comunque quell'Eusebio rec.

Se Alberto avesse conosciuto, anche solo in parte, quella poesia, pensò lei, lo avrebbe amato di sicuro. Non avrebbe avvertito come un muro irto in alto di cocci di bottiglia che la separava, a volte, da quello sguardo inondato d'azzurro. Alberto non conosceva Riviere, in compenso era un mago dei bid, dei codici d'accesso al mai, all'iccu, all'essebienne e a molte delle tante diavolerie elettroniche delle supermoderne biblioteche d'oggi. Alberto non conosceva una sola virgola di Eusebio e non sapeva che farsene di quel Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale | e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino, per lei invece così necessario, essenziale e terso nello splendore di quegli anni così difficili e che sapeva non eterni. Darsi il braccio scendendo le scale. Un gesto per proteggere entrambi. Ma chi faceva ormai più un simile gesto, pensò con malinconia Annalisa. Per le scale la gente vola, catapultandosi in basso per la fretta d'arrivare, scendere o salire migliaia di scale, una gara di velocità e basta.

Alberto, e tanti come lui, non sapeva che farsene di quei versi e di sicuro se avessero avuto di fronte il volto buffo e rugoso di Eusebio, volto di bambino adulto, non lo avrebbero neppure riconosciuto. Solo i bid contavano, le notizie esatte, soggettate a dovere; le classi erano tutto, complete e senza sbavature. Dovevano essere notizie max in polo, quasi sup in indice, l'avrebbe fatto vedere lui a quelle sciacquette della nazionale centrale di Firenze chi era Alberto Bassani, responsabile informatico del polo e massimo esperto dell'opac. La dewey a portata di mano, libro sacro per loro, che Annalisa usava avendone però paura, come quando mangiava cioccolata e temeva le conseguenze di quell'azione.

E il Paradiso? Esiste un Paradiso? pensò Annalisa, che osservava inebetita Alberto ormai padrone assoluto del gioco.

Catturiamolo, dai! le disse l'uomo. Adesso possiamo farlo collocando il tuo poeta con calma, tanto ormai non ci scappa più. L'ombra si dileguò e il cielo s'oscurò improvviso. Annalisa ringraziò l'amico per la sua disponibilità, lasciando che si portasse via il gorgo azzurro del suo sguardo. Gli chiese di lasciarla sola, tanto adesso sapeva come cavarsela.

A ben guardare però l'anno di edizione era sbagliato, la numerazione delle pagine, accidenti a lui! pensò Annalisa. Non era quella la scheda, e ora che fare? Tutto tempo sprecato dietro la striscia bavosa della lumaca. Ora bisognava scatturarlo! accidenti.

Già "catturarlo" era una orribile parola, ma "scatturarlo", poi. Non era forse meglio dire "liberare"? Liberare Eusebio, anziché scatturare Eusebio. Annalisa pensò che avrebbe usato quel verbo, liberare, che ben si adeguava al suo poeta preferito.

Si, pensò, lo libero immediatamente e definitivamente. Ed ebbe l'impressione, ma fu solo un attimo, che anche l'ombra fosse d'accordo e le sorridesse riconoscente.

Che cosa di noi resta | agli altri | (nulla di nulla all'Altro) | quando avremo dimesso | noi stessi e non penseremo ai pensieri | che abbiamo avuto perché | non lo permetterà | Chi potrà o non potrà, | questo non posso dirlo.

Non pensare ai pensieri le sembrò un verso bellissimo, degno del Nobel che assegnarono al poeta.

La mattina, infine, fluì tranquilla. "Che cosa di noi resta agli altri", si disse seria, ci penserò domani e decise di accettare l'invito a cena di Alberto.

 


Copyright AIB 2005-01-28, ultimo aggiornamento 2005-01-31, testo di Massimo Gatta, a cura di Claudio Gnoli.
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