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Il nuovo regolamento della legge Ronchey

di Luca Bellingeri


Quando nel febbraio 1993 venne pubblicata sulla Gazzetta ufficiale la l. 14 gennaio 1993, n. 4, recante "Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposizioni in materia di biblioteche statali e archivi di Stato", quanti, come chi scrive, lavorano in un grande istituto bibliotecario ebbero la sensazione che finalmente qualcosa di sostanziale potesse cambiare nel modo di gestire determinati servizi, consentendo a un tempo di migliorarne la qualità e di renderli economicamente vantaggiosi per la biblioteca che li erogava e, quindi, per l'intera comunità.
All'interno di una legge purtroppo confusa, disorganica e approssimativa, fortemente voluta da Alberto Ronchey, da poco divenuto Ministro per i Beni culturali, accanto a disposizioni volte a consentire un più ampio orario di apertura dei musei, veniva infatti per la prima volta prevista la possibilità di erogare determinati servizi, aggiuntivi rispetto a quelli più propriamente istituzionali dei diversi Istituti, a pagamento.
Si trattava di un provvedimento originariamente volto a consentire una maggiore libertà di azione e di iniziativa ai musei e più in generale al settore delle arti, nel quale, in extremis, grazie anche all'intervento di operatori ed associazioni, fra i quali l'AIB, erano stati ricompresi biblioteche ed archivi, destinati, come sempre nella loro storia, ad essere oggetto di articoli bis, anziché di organiche norme di legge, ma che in ogni caso forniva una prima apertura in un settore nel quale, fino a quel momento, quasi nulla era concesso, con un ritorno economico che, quando non era del tutto assente, risultava a solo vantaggio dei privati coinvolti in tali attività.
Appare del tutto naturale dunque la soddisfazione con cui la Legge Ronchey fu accolta, eppure, come sottolineavo in un convegno svoltosi lo scorso maggio a Roma, a distanza di oltre quattro anni la situazione, almeno per quanto riguardava biblioteche ed archivi, sembrava immutata, tanto da far pensare che quella legge non fosse mai esistita. Che cosa, dunque, aveva ritardato l'avvio di questo processo virtuoso, impedendo una rapida, ed efficace, applicazione di quei principi?
Una prima risposta va senz'altro ricercata nella struttura stessa della legge, nata dall'esigenza di rispondere ad un'emergenza con delle "misure urgenti", e per ciò stesso priva di ogni organicità e completezza. In appena sei articoli sono così affastellate norme relative al personale ed ai sistemi di sicurezza, disposizioni sulle convenzioni con le associazioni di volontariato e il famoso articolo 4 sui servizi aggiuntivi. Si parla essenzialmente di musei, ma, come abbiamo visto, compaiono poi, seppur per inciso, biblioteche ed archivi. Si accenna alle concessioni dei servizi, rinviando poi però, per l'individuazione di criteri, indirizzi e modalità, ad un successivo regolamento. La conseguenza è stata un susseguirsi di norme, regolamenti, circolari, disposizioni, pareri, che spesso hanno finito per ingenerare confusioni e ambiguità, mutando persino le procedure in corso d'opera.
Troppo lungo e noioso sarebbe ripercorrere qui le tappe di questo lungo e tortuoso percorso, costellato di impercettibili passi in avanti e continue battute d'arresto. Basti dire che dal 31 gennaio 1994, quando con il d.m. n. 171 venne emanato il regolamento recante determinazione di indirizzi, criteri e modalità per la gestione dei servizi aggiuntivi, sono state 12, senza contare il nuovo testo di Regolamento recentemente emanato, le leggi, decreti, disposizioni, note, pareri, rivolte ai capi d'istituto chiamati a rendere operativi quei servizi.
Un tale profluvio di norme, spesso in contrasto tra di loro, unito ad alcune contraddizioni ed incongruenze già insite nel Regolamento, non poteva non frenare la realizzazione di molte delle iniziative previste dalla legge. Non può dunque stupire se gli unici servizi aggiuntivi in genere tempestivamente attivati sono stati quelli per i quali le procedure previste erano decisamente più semplici e più direttamente legate alla sola volontà del Direttore.
Immediata così, quasi ovunque, è stata l'applicazione delle tariffe per le riproduzioni, le edizioni a stampa, le riprese cinematografiche e televisive, per le quali non esistevano particolari problemi interpretativi, né complesse procedure di concessione del servizio. Con analoga celerità, nonostante la norma in questo caso non risultasse del tutto chiara, si è potuto procedere per le concessioni per l'uso occasionale degli spazi, ed anche per le stampe su supporto cartaceo delle ricerche bibliografiche realizzate mediante consultazione di archivi elettronici.
Ben diversa invece la situazione per quei servizi per la cui natura si rendeva necessaria una concessione a terzi attraverso gara, ad oltre quattro anni dall'entrata in vigore della legge ancora ben lontani dall'essere attivati e a tutt'oggi, salvo la lodevole eccezione di alcuni rari musei, ancora gestiti secondo le modalitˆ preesistenti.
I motivi di questo ritardo, sicuramente in parte dovuto anche ai singoli responsabili degli istituti, restii ad avviare una procedura del tutto nuova ed in gran parte sconosciuta agli stessi referenti amministrativi, erano tuttavia essenzialmente legati ai meccanismi stessi previsti dal Regolamento, spesso talmente complessi e laboriosi, da rendere la norma di difficile, se non impossibile, applicazione. Lo stesso fitto susseguirsi di lettere, note, richiami, solleciti, rinvii che hanno caratterizzato il lento divenire di queste pratiche, là dove si è almeno tentato di avviare il processo, mostra come gran parte dei ritardi e delle difficoltà incontrate nelle diverse fasi istruttorie della gara di concessione nascessero da un sistema, che, fra le altre cose, prevedeva il coinvolgimento di tante e tali entità (singolo Istituto, Ufficio servizi aggiuntivi, Ministro, Intendenza di finanza, Camera di Commercio, esperti), dipendenti da altre Amministrazioni o addirittura esterne ad essa, ciascuna con propri tempi ed esigenze, da rendere inevitabili quei disguidi e quei rallentamenti che hanno finito per costellare l'intera vicenda.
Se dunque era naturale che una legge che modifica così radicalmente consuetudini e procedure delle nostre biblioteche necessitasse, almeno in fase di prima applicazione, di chiarimenti ed interpretazioni che ne potevano, provvisoriamente, rallentare il cammino ed era altresì comprensibile che in questa prima fase potessero esserci ripensamenti e correzioni di rotta che trasformavano progressivamente il quadro di riferimento, rimaneva tuttavia il problema di una norma che, a tutela e garanzia di tutte le parti in causa, prevedeva una tale serie di pareri, consulenze, determinazioni, da rendere inevitabilmente lunghi, se non addirittura infiniti, i tempi necessari per l'espletamento di tutte le fasi e i passaggi previsti dalla procedura.
Per questo ed altri motivi fin dal giugno 1995, a poco più di un anno dall'entrata in vigore del Regolamento, l'Ufficio servizi aggiuntivi, in collaborazione con il Gruppo di consulenza per l'applicazione della Legge Ronchey, aveva cominciato a lavorare, anche alla luce delle innovazioni introdotte dall'art. 47-quater della legge 22 marzo 1995, n. 85, che ampliava notevolmente il concetto dei servizi affidabili in gestione a terzi, ricomprendendovi anche servizi non propriamente aggiuntivi (quali quelli di informazione, fornitura di sussidi catalografici, gestione di diapoteche, raccolte discografiche e biblioteche museali, organizzazione di mostre e altre iniziative promozionali), ad una nuova e più funzionale versione del Regolamento, che tenendo conto dell'esperienza maturata in questi anni rispondesse in maniera più adeguata all'esigenza di dotare la legge Ronchey di un'agile strumento di attuazione e che oggi è finalmente divenuta operativa con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dello scorso 28 maggio del d.m. 24 marzo 1997, n. 139: Regolamento recante norme sugli indirizzi, criteri e modalità di istituzione e gestione dei servizi aggiuntivi.
Si tratta di un testo molto più snello e all'apparenza efficace del precedente, che rinunciando all'ambizione di voler disciplinare puntigliosamente tutti gli aspetti della questione, si limita nei suoi 12 articoli a fornire quelli che dovrebbero essere i principi generali cui attenersi nell'applicazione della legge, definendo quelli che sono i servizi affidabili a soggetti esterni e regolando per grandi linee le procedure di affidamento degli stessi.
Riuscirà dunque questo nuovo strumento normativo a risolvere i molti problemi finora irrisolti creati dalla precedente versione? Ad una prima lettura il nuovo Regolamento sembra voler appunto rispondere a questa esigenza, semplificando sostanzialmente le procedure, affidando gran parte dei compiti e delle responsabilità direttamente ai Capi d'istituto, riducendo al minimo l'intervento di soggetti esterni all'amministrazione dei Beni culturali, la cui consulenza, quando necessaria, non dovrebbe più essere, come invece è oggi, a titolo gratuito.
L'apprezzabile sinteticità del testo, che ad esempio, non disciplina più in maniera dettagliata, come invece avveniva nel d.m. n. 171/1994, gli elementi che devono essere presi in considerazione in fase di aggiudicazione del servizio, la composizione della Commissione aggiudicatrice o le cause di decadenza della concessione, pone tuttavia un inquietante interrogativo per il futuro: quante note, circolari, pareri si renderanno necessari in fase di prima applicazione prima che anche in questa nuova versione la legge possa finalmente dirsi pienamente operativa ed anche le biblioteche italiane riescano a fornire quei servizi aggiuntivi che tutti ormai da anni si aspettano?


BELLINGERI, Luca. Il nuovo regolamento della legge Ronchey. «AIB notizie», 9 (1997), n. 7, p. 8-8.
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Copyright AIB, ultimo aggiornamento 1997-08-22 , a cura di: Andreas Zanzoni